23
Mentre continuavo a camminare a passo spedito sui marciapiedi, le dita costantemente ad asciugarmi le guance su cui si riversavano senza sosta le mie lacrime, il cielo terso si incupì velocemente e le nuvole coprirono le stelle. In una mezz'oretta iniziò a piovere e, come se la mia noncuranza desse fastidio a qualcuno da lassù, la pioggia si fece più fitta in breve tempo, puntigliandomi le spalle ed i capelli come spilli gelidi. Incrociai le braccia e mi affrettai a rifugiarmi sotto la tenda di un negozio, respirando affannosamente. Mi sentivo odiata dal mondo, come se l'universo avesse avuto in mente di rovinarmi completamente la serata in una manciata di minuti. Prima Jaime, poi Dylan, poi la pioggia. Che altro aveva in serbo per me il destino, quel giorno?
Fortunatamente, una macchina a me molto familiare accostò sul marciapiede e Tyler, al fianco di Helena, abbassò il finestrino per invitarmi a salire.
«Cosa ti è successo, Candice?» mi chiese la mia amica una volta che mi fui accomodata nella vettura.
«Vediamo, prima Jaime tenta di portarmi a letto contro la mia volontà, poi Dylan mi ripete, in modo esplicito, che non mi ama, e mentre sto tornando a casa vengo travolta da un acquazzone. Non è successo niente, insomma, è una serata meravigliosa, perché lo chiedi?» sbuffai e alzai lo sguardo al cielo. «Adesso faccio pure la melodrammatica. Sono ridicola.»
«Tu non sei ridicola, Candice. E stanotte dormi da me» mi rassicurò Helena. «Ci mancherebbe solo che tornassi a casa in lacrime ed i tuoi scoprissero di quel... Di quel... Troglodita» sbottò infine.
«Grazie, tesoro.»
«Io non capisco cosa ci trovi in lui» si intromise Tyler, lanciandomi un'occhiata dallo specchietto retrovisore prima di tornare a concentrarsi sulla strada.
«Non lo so» ammisi. «Evidentemente ciò che lui non trova in me.»
«Quindi la detestabilità, l'arroganza, la stronzaggine e l'idiozia?» commentò la mia amica. «Certo, questo è tutto ciò che lui ha e tu no e che ne fa il fantastico cattivo ragazzo dei libri. Ma non ciò che ti serve in un uomo.» Si voltò di scatto verso di me con tutto il corpo ed assunse un'espressione sconvolta. «E si può sapere che diavolo pensavi di fare in una stanza da sola con Jaime McMurray?»
«Mi avevi detto che era cambiato» l'accusai. «Stavamo parlando tranquillamente, persino del suo passato, non pensavo che mi stesse proponendo di fare sesso, chiedendomi di appartarci.»
«Tutti i ragazzi, quando ti chiedono di appartarvi, ti stanno proponendo di fare sesso. È una delle regole fondamentali delle feste, Candice.»
«Oh, andiamo! Non pensavo che uno che è stato in prigione per sei mesi per aggressione, se non tentata violenza sessuale, potesse tornare all'attacco così velocemente! Ma la galera non gli ha insegnato nulla, scusa?»
«La galera non insegna certo niente a qualcuno che ha problemi al cervello» mi rispose Tyler.
«Io...» Mi accasciai contro il sedile, improvvisamente stanca. «Voglio solo bere una birra, togliermi questo vestito e coricarmi per dimenticare questa serata» ammisi in un sospiro.
«Ottimo piano. Puoi andare più veloce, dolcezza?» Helena incitò il suo ragazzo.
«Si vede molto poco, non voglio rischiare di fare incidenti.»
«Sarebbe la ciliegina sulla torta» borbottai.
«Già, in ospedale però non puoi scappare da Robert come fai a scuola» mi fece notare la mia amica, perciò io appoggiai rassegnata la fronte al finestrino su cui batteva incessante la pioggia e chiusi gli occhi, per immaginare di vivere un'altra vita, in cui io sarei stata tornando da un normale viaggio di piacere con i miei, la radio che emetteva un flebile sottofondo ed il temporale che impestava al di fuori dell'abitacolo.
Sarebbe stata bella, una vita come quella. Sarebbe stata più facile. Forse non avrei sposato Robert, perciò non avrei conosciuto Dylan e non avrei passato una serata come quella. Per coloro che credono nel destino, tutto ciò sarebbe successo comunque. E per me che credevo nelle nostre scelte, nell'uomo artefice del suo stesso destino, forse... Be', sì, forse sarebbe successo lo stesso. Un po' mi rincuorava, sapere che forse era proprio così che dovevano andare le cose. In fondo, una serata di merda non avrebbe condizionato la mia vita, o sbaglio? L'indomani, dopo aver smaltito l'alcool ed aver fatto luce sul disastro che era diventata la mia vita, sarebbe andata meglio. Avrei elaborato le parole di Dylan, i gesti di Jaime, il comportamento di Robert. L'avrei superata, in qualche modo. Sarebbe andata meglio, forse persino bene.
Me lo ripetei per tutto il tragitto fino a casa di Helena: domani andrà meglio. Una volta in pigiama, struccata e sotto le coperte con la mia amica, mi costrinsi a sfogarmi, a piangere adesso, così che non avessi più niente dentro che avrebbe potuto farmi del male. Fu un sollievo buttare tutto fuori sulla spalla dell'unica persona al mondo che per me c'era sempre stata.
«Prova a dormire» mi consigliò infine, quando sembrò che avessi finito di piangere.
«Okay» la assecondai. «Buonanotte, Helena.»
«'Notte, Candice.»
«Helena» la chiamai di nuovo, nel buio della stanza.
«Sì?»
«Grazie.»
«Di niente, le amiche servono anche a questo. Ora dormi, piagnucolona» aggiunse, facendomi ridacchiare.
«Ho un pianto ridicolo.»
«Concordo. E comunque non mi piace vederti piangere. Fai una smorfia per cui mi riesce difficile consolarti senza riderti in faccia.»
Sbuffai una risata e, con il sorriso sulle labbra dopo ore, forse giorni, ripetei: «'Notte.»
«'Notte.»
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