Capitolo 2 Parte 6

"Questo luogo è consacrato. Sangue, dolore e sacrificio sono impregnati nel suo pavimento. Ti chiedo cortesemente di non blaterare più falsità alle sue mura."
Rompe il ghiaccio con parole ancora più gelide.
Ormai sfinita, annuisco semplicemente con un cenno del capo.
È piuttosto evidente che le mie scarse capacità d'inganno non funzioneranno su di lei.
Sembra molto scaltra.

Inabile di trovare un argomento sensato, vado diritta al punto, rischiandomela, ma almeno sapendo che andrò in contro ad una verità, seppur parziale.

"Io... Mi dispiace dover chiedere, ma nell'armadio della mia stanza... ecco..."
Annuisce.

"Taccole.
Una volta all'anno, gli uomini escono a caccia di Taccole da sacrificare. Nell'armadio di ogni stanza del Monastero, ne viene rinchiusa una, che patendo atroci sofferenze, purifica l'aria dagli spiriti malvagi. È una cerimonia necessaria affinché rimaniamo protetti e intatti."
Prende una pausa per riflettere.

"Curioso come tu abbia notato un simile dettaglio a malapena percettibile."
Ridacchia.

A malapena percettibile? L'intera superficie è ricoperta di graffi. Istintivamente porto lo sguardo sulla mia mano. Il mio cuore perde un battito nel vedere un unghia mancante alla mia mano sinistra.

La mia mente prende a vagare tra i ricordi della scorsa notte.

~~~
I raggi di luna illuminano scarsamente la stanza.
Ho completamente perso la cognizione del tempo e dello spazio. La mia attenzione ricade su dei graffietti lungo la base dell'armadio.

Esitante, con la punta delle dite, ripasso i graffi. Si diffonde in me una sensazione spregevole. Le voci nella mia testa si fanno sempre più forti. Fin troppo forti. Non riesco a farle smettere. Non riesco a distrarmi. Non riesco a deglutire. Non posso respirare.

Graffia...

Sgrano gli occhi ripassando più volte il pollice sui graffetti.

Graffia. Affonda le unghie e graffia.

La mia fronte si imperla di sudore. Poggio la testa sul muro continuando a fissare il legno scheggiato.

Graffialo.

So che se inizio non potrò fermarmi. Non ho scelta. Ci saranno atre conseguenze. Devo farlo.

Non riesco a smettere di pensarci. Non riesco a pensare lucidamente.

Solo un paio di volte. Graffia.

Lentamente affondo le mie unghie nel legno del mobile.
Provo un sollievo istantaneo nell'andare avanti e indietro ripetutamente.

Graffia.

Il mio respiro accelera.

Graffia. Graffia. Graffia. Graffia. Graffia. Graffia.

Digrigno i denti.

Graffia. Continua. Graffia. Graffia. Graffia. Graffia. Graffia. Graffia. Graffia.

Fa male. Ho paura. Tuttavia la paura che mi attende se non continuo è di gran lunga peggiore.

Graffia. Graffia. Graffia. Graffia. Graffia.

Non riesco a farlo smettere. Le mie mani tremolanti si poggiano sulla mia fronte dando dei colpi sul mio cranio. Colpisco disperatamente, cercando di distogliere la mia attenzione, invano.

Graffia.

La tentazione è fin troppo forte.

Graffia.

Non riesco.

Graffia.
Graffia.
Graffia.
Graffia. Graffia.
Graffia. Graffia. Graffia.
Graffia. Graffia. GraffiaGraffia.
Graffia. Graffia. Graffia. Graffia.
Graffia. Graffia. Graffia. Graffia. Graffia.
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Vengo fermata da un dolore lanciante che si propaga dal mio anulare fino all'avambraccio. Inorridita, fisso la mia unghia staccarsi e cadere sul pavimento.

~~~

"Quindi quello che ho visto prima..."
Mi riferisco ai corpi dissanguati e l'altare.
Carla fa un cenno.

"Non temete il peggio? Hanno il totale controllo!"
Scuote il capo come per allontanare dei pensieri inopportuni.

"Noi donne non ne parliamo. Non è affar nostro. E per la cronaca, il peggio accade comunque. È così che funziona."
La necessità strapparmi le orecchie e gettarle vie dimenticando di averle una volta avute, aumenta gradualmente.

Soccombere in silenzio per anni... Perché mi ricorda fastidiosamente Giselle?

Carla si lascia trasportare dai suoi pensieri, continuando a isolarsi per quasi dieci minuti.

"C'è parecchio lavoro che ti attende. Farai meglio ad iniziare."
Si dirige verso l'esterno fermandosi per un momento a pensare.
Mi alzo in piedi.

"Prima che me ne dimentichi. Il tuo lavoro consiste anche nell'occuparti di Brahina."
Aggrotto la fronte perplessa.

"Cosa intendi per occuparmi?"
Un velo di tristezza le offusca la visuale.
È la prima volta che vedo il suo sguardo spegnersi in questo modo.

"Brahina è la nipote della Sacra Madre. È una giovane donna dall'aspetto e i comportamenti... particolari."
La Madre ha una nipote?
Credevo si trattasse di una Suora.
La situazione non fa altro che confondermi sempre di più.

Come se stesse leggendo nei miei pensieri, Carla continua.

"Brahina e la Sacra Madre sono le uniche che qui possono permettersi certi comportamenti. Condividono lo stesso dono ma lo padroneggiano in modo diverso. Quando le incontrerai sarà tutto più chiaro."
Prende un respiro profondo. Per una frazione di secondo, la sua voce trema.

"Che il Signore sia con te"
Mi lascia sola sommersa da dubbi e incertezze.

Le spiegazioni fornitemi da Carla mi portano diritto ad una sola conclusione: La sparizione di Giselle ha a che fare con gli uomini del Monastero.

Se quello che dice è vero, vuol dire che la rappresentazione del male è il genere maschile, e il loro peccare è considerato religiosamente lecito, per cui rimane impunito.
Non mi sorprende il fatto probabilmente le Suore siano al corrente dei loro malefici piani ma non vogliono ammetterlo. Non possono farlo.

Sbuffo.

La situazione è terribilmente assurda. Sono assurde le loro credenze, lo sproporzionato sessismo, il mio essere qui e la sparizione improvvisa di Giselle.

È tutto talmente assurdo che tutto mi sembra impossibile da elaborare.
Spero vivamente che la polizia chiamata dall'autista arrivi presto.
Non c'è nessun modo per connettersi con il mondo esterno qui.

Mi chiedo come stia il mio povero fratellino...
Spero di riuscire a raggiungerlo il più presto possibile. Il fatto che sia solo con nostra zia fa ribollire sangue in me. Sa badare a se stesso ma suo malgrado rimane pur sempre un ragazzino.

Mi alzo con cautela e mi dirigo verso quella che sembra essere la cucina.
Se desidero risposte devo stare alla loro recita. Più sarò discreta meglio è.
E poi questo luogo ha davvero bisogno di una seria ripulita. Mi duole solo il respirarci dentro.

"Da dove arrivano le scorte di cibo? Voglio dire... c'è un modo per arrivare alla città?"
Vengo totalmente ingnorata.
Il tono imbarazzante della mia voce fa eco.
D'accordo.

Ci do veramente dentro nonostante la scarsa socialità dei due cuochi e le loro occhiataccie.
Scale, pavimento, finestre, panni e polvere.
Il tempo scorre e il monastero pian piano inizia a riaquisire il suo antico splendore.

Riordinare seguendo questo ritmo impegnativo mi porta a ricordare mia madre. Da piccola mi portava spesso con se nelle case più opulenti e sfarzose per lavorare. Passavo le giornate ad ammirare la sua alacrità al lavoro. Era onesta e sapeva farsi rispettare nonostante la sua posizione sociale fosse oggettivamente bassa. A quando pare ho ereditato la stessa caratteristica. Mio malgrado non riesco a rendere la disonestà parte di me.

Nel esatto momento in cui l'orologio schiocca segnando le cinque del mattino, ogni singola cosa è al suo posto.
Porto le mani ai fianchi sfinita, esibendo un sorriso soddisfatto.

"Molto meglio!"
Mi dirigo in mensa.

Ogni bene possibile ed immaginabile è posto sui due enormi tavoli.
Presumo questa suddivisione comprenda i due generi.

I seminaristi seguiti dal loro prete non tardano ad arrivare.
Con fare goffo e imbranato si siedono attorno al tavolo esibendo ghigni e cipigli.
Le loro fattezze sono diafane, quasi surreali. Fanno un incredibile contrasto con la loro reputazione malfamata.

"Buongiorno."
Vengo totalmente ignorata per la seconda volta.
Mi mordo il labbro inferiore maledicendomi mentalmente.

Non posso rivolgermi agli uomini.
Queste sono le regole.

Abbasso il capo e cerco di tenermi il più lontano possibile da loro.

Querele provenienti dalla soglia della porta della mensa, richiamano la mia attenzione.
Le seguo, senza degnarmi di prestare attenzione a quel che faccio.

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