Cap 3: Phileas
Caro diario,
Non so perché ti scrivo ma si dice che la scrittura allevia l'anima da tutti i fardelli e i pensieri. Dopotutto lo sta facendo anche Emma e perché non dovrei farlo anch'io? Allora ti racconto di un paio di cose che mi sono successe nella vita.
Fin da bambino la mia vita non era stata molto facile con un padre molto severo e che esigeva il massimo rispetto. Naturalmente mia madre non faceva mai niente per farmi crescere in felicità.
Spesso quando passavo davanti a una casa, andando a scuola, vedevo una bellissima bambina bionda con degli occhi che facevano assomigliare il suo volto a una bambola di ceramica. Mi salutava spesso poggiando il suo libro ( d'avventura?) sulle sue gambe e mostrando un sorriso triste.
Volevo conoscerla meglio ma mio padre mi permetteva solo di studiare. Avevo ormai vent'anni e una storia d'amore conclusa malamente alle spalle quando finalmente ci riuscimmo a incontrare.
Avevo chiamato una carrozza per portarmi al mio solito club quando la vidi.
«Salve, sono Phileas Fogg. Lei gentile signorina?»
«Emma Williams»
Il suo nome mi parve molto familiare come se l'avessi già sentito altre volte...fin troppo familiare. Ma non ricordai dove l'avessi sentito. I ricordi d'infanzia, specie se fin troppo piccoli, tendono a scomparire come nuvole dopo un violento temporale.
«Emma...Emma...Emma...perché il suo nome mi suona familiare? Non importa. Dove sta andando?»
«Sto cercando un lavoro. Ho studiato molto a fondo le tecniche giornalistiche e mi piacerebbe diventare una giornalista. Conosce per caso qualche quotidiano che ne cerca una?»
Io non ne conoscevo nessuno e così le dissi che mi sarebbe piaciuto che lei lavorasse per me. Lei sorrise riconoscente e in più, per la mia gentilezza innata, le rivelai che una casa davanti alla mia era disabitata e lei avrebbe potuto affittarla. Lei ne fu ancora più felice.
Ci dirigemmo così a Saville Row e nel mentre lei mi raccontò tutta la sua vita; più parlava più sembrava liberarsi di un peso enorme. Mi informò che i suoi genitori volevano che diventasse una vera donna istruendola secondo i dettami del bon-ton ma lei sapeva che dentro di lei c'era qualcosa di più, qualcosa che la spingeva a vedere il mondo. Poi mi disse che amava i libri d'avventura, come me, e che il suo desiderio era vedere il globo.
Gli raccontai poi di me e alcune volte le scapparono delle piccole e tenere risate. In breve, senza neanche essercene accorti, eravamo arrivati a Saville Row. Scesi per primo dalla carrozza e le aprì lo sportello porgendole una mano per aiutarla a scendere. Lei mi ringraziò.
Le mostrai quella piccola casetta e Emma rimase meravigliata dalla bellezza che aveva davanti agli occhi.
Le portai la valigia in camera e la lasciai a sistemare i suoi oggetti personali. Una volta nel mio club la mia mente rimase ancorata a quella bellissima ragazza conosciuta che mi pareva così familiare come se fosse una sorella mai avuta.
Non sapevo a quel tempo quanto ero andato vicino alla realtà.
Il giorno seguente la invitai al mio club per scrivere qualche articolo su alcuni personaggi che lo frequentavano.
In breve tempo si fece un nome e quel sentimento che mi aveva fatto soffrire tempo prima riapparve: l'amore.
Ci vedevamo spesso a casa sua per scambiarci qualche notizia e per bere il tè.
Ma fu soltanto nel 1842 che mi accorsi che quel sentimento si stava facendo largamente spazio nel mio cuore.
Era il 13 luglio 1842 ed era una giornata molto afosa. Io ero seduto sul mio comodo divano nel mio club quando alle mie orecchie arrivò la notizia che quella sera ci sarebbe stato un ballo. Mi venne in mente Emma e uscii all'esterno; il caldo sole estivo era alto nel cielo e faceva molto caldo. Nervoso come un giovanissimo adolescente in preda alla sua prima cottarella mi diressi a casa sua.
Feci avanti e indietro davanti alla porta non avendo il coraggio di chiederglielo. Alla fine presi un profondo respiro e suonai il campanello. Sentii i suoi passi avvicinarsi e alla fine la vidi. Era più bella delle altre volte e non seppi cosa dire o fare. Ero veramente un codardo alcune volte.
«Salve, Phileas, cosa ti porta qui?»
«Al mio club stasera ci sarà un ballo, ti va di andarci?» ecco era fatta ora dovevo soltanto aspettare una sua risposta.
Lei parve molto a disagio e nervosa.
Bravo Phileas, bravo. Sai come far mettere a disagio le persone. Magari non ha mai preso lezioni di ballo. Sei uno stupido.
Pensai mentalmente finché lei non parlò di nuovo.
«Ehm, non lo so, Phileas. Non sono molto portata per la danza.»
Ecco avevo fatto centro.
«Ti potrei insegnare io, se vuoi?»
Ma cosa sto facendo? E soprattutto perché? Questo sentimento mi fa andare fuori di testa.
Pensai mentre lei mi faceva entrare dentro la sua abitazione. Una volta entrato misi su un grammofono un brano di musica classica da valzer e la presi per la vita. Quando le nostre mani si intrecciarono mi sentii avvampare e il mio cuore correva come un matto. Lei era bellissima al pari di una bambola troppo delicata da maneggiare. Le feci fare una giravolta e ridemmo insieme. Eravamo nella nostra bolla in cui esistevamo solo noi e il nostro amore. La musica terminò e ci sedemmo sul sofà.
«Invece sei molto brava, Emma. Sono stati i tuoi genitori a fartelo imparare?»
«Come obbligo, ma non ho mai voluto continuare. Non mi sarebbe servito visto che il mio sogno è girare il mondo»
«Quindi stasera verrai?» sperai che dicesse di sì e fui felice quando la vidi annuire.
Il resto della giornata lo passai a prepararmi al meglio e, alle ore 20:00, mi feci trovare davanti alla sua abitazione. Lei, quella sera, era ancora più meravigliosa e splendente: aveva un'acconciatura molto elaborata e un abito bianco come la neve più pura. Alle mani aveva dei guanti di pizzo dello stesso colore. Sulle sue labbra c'era un rossetto rosso come il sangue che le faceva risaltare.
Le porsi la mia mano e la feci salire sulla carrozza. Non smisi un attimo di guardarla. Sembrava una piccola stella caduta dal cielo.
Arrivati le aprì la porta e la feci scendere; lei vide quello spettacolare edificio marmoreo con un giardino immenso e una fontana zampillante e ne rimase meravigliata.
Entrati all'interno una soave musica suonata da violini e un pianoforte arrivò al nostro udito.
Molta gente era raccolta davanti a dei tavolini bianchi e chiacchierava amabilmente.
Cenammo e un'ora più tardi iniziammo a ballare.
La musica ci avvolgeva e ci ritrovammo di nuovo in una bolla in cui era presente solo il nostro amore.
Ballammo fino a tarda notte senza mai staccarci.
Ormai era fatta. Ero ufficialmente innamorato di lei. Un'altra donna mi aveva rubato il cuore.
Quando si fece abbastanza tardi tornammo alla nostra carrozza e durante il tempo del viaggio le nostre mani restarono intrecciate come le nostre anime.
Giunti davanti alla sua abitazione separarci fu un dolore troppo intenso. Lei pareva indecisa su qualcosa ma poi entrò sussurandomi un lieve " buonanotte".
Per tutta la notte non riuscii a pensare ad altro che a quella sua indecisione.
Avrebbe voluto baciarmi? Se sì, perché non l'ha fatto? Pensa che io non ricambi il suo amore? Sono pazzo di lei!
Non riuscii a chiudere occhio e soltanto nel 1872 con un'avventura vissuta in India finalmente il nostro amore trionfò.
Qualche anno dopo quel ballo, era il 1872, accadde un evento che ci cambiò la vita per sempre.
Il lavoro di Emma andava a gonfie vele e ne era estremamente contenta e orgogliosa.
Quel giorno ci trovavamo al mio club. Lei era sempre la benvenuta e molti sospettavano che tra di noi ci fosse qualcosa visti gli sguardi che ci lanciavamo.
Si iniziò a parlare del furto avvenuto alla Banca di Londra e infine di quanto la Terra si fosse rimpicciolita. A quel pensiero colzi la palla al balzo.
«È possibile fare il giro del mondo in 80 giorni e lo farò»
A quell'affermazione molti rimasero sorpresi e ammutoliti.
«Ma è impossibile circumnavigare la Terra in soli 80 giorni, Phileas» Emma fu la prima a riprendere la parola. Andrew parve della sua stessa opinione.
«Volete scommettere?»
Bellamy, un mio amico d'infanzia, si avvicinò e scommise quattromila sterline e io ventimila.
Vidi Emma profondamente sconvolta e sorpresa.
«Emma, tu verrai con me?» le domandai sperando in una risposta affermativa. Senza la mia ancora sarei stato tremendamente perduto.
«Phileas, è impossibile una cosa del genere! Nessuno è mai riuscito in tale impresa. Mi piacerebbe davvero moltissimo vedere il mondo e tutte le sue meraviglie, ma è impossibile. Poi in 80 giorni!»
«Sei una donna di poca fede, Emma. So che è possibile, sennò non avrei scommesso, non trovi? Allora mi accompagnerai?»
Sospirò e compresi che quello era un sì. Con lei tutto sarebbe stato molto più facile.
Alle sette e venticinque lasciammo commiato dai miei colleghi e il Club. Alle sette e quaranta arrivammo a casa mia.
Appena entrato chiamai il mio valletto: Passepartout.
Lo feci conoscere a Emma e lo informai che saremmo partiti per il giro del mondo in 80 giorni.
Passepartout, con gli occhi smisuratamente dilatati, le palpebre e i sopraccigli tirati su, le braccia penzoloni, il corpo afflosciato, presentava in quel momento tutti i sintomi della meraviglia spinti fino allo stupore.
«Il giro del mondo!» mormorò alla fine.
«In ottanta giorni. Quindi non abbiamo un istante da perdere»
«Ma le valigie?» osò chiedere il mio servo, il quale ciondolava inconsciamente il capo a destra e a sinistra.
Io gli ordinai che non sarebbero servite e lui si ritirò a prendere almeno un sacco.
Alle otto, Passepartout aveva terminato di preparare il modesto sacco contenente il mio guardaroba, quello di Emma e il proprio; e, con il cervello ancora sottosopra, lasciò la camera, ne chiuse diligentemente la porta, e ci raggiunse.
Intanto io stavo consultando un libro sulle ferrovie e dei battelli da prendere quando lo vidi ritornare.
Scendemmo in strada e una giovane ragazza si avvicinò a noi. Si presentò come Abigail Fix Fortescue ed era una giornalista. Avevo fatto un'eccezione per Emma ma non avrei sopportato un'altra giornalista. Però da una parte mi dispiacque e lei venne con noi.
Prendemmo il primo battello per Parigi e vidi tutta l'emozione di Emma nei suoi splendidi occhi marroni. Io invece iniziai a soffrire il mal di mare.
Il viaggio fu per lo più tranquillo; quel tempo lo passai con Emma e qualche volta nella mia camera.
Il giorno seguente giungemmo a destinazione e vedemmo che c'era una sommossa.
«La polizia sta chiudendo le stazioni ferroviarie? Non può essere vero!» chiesi stupefatto.
«Finché tutto questo non sarà finito» rispose Passepartout.
«E quando sarà?»
Il servo le rispose che essendo in Francia ci sarebbero voluti decenni; si allontanò andando a chiamare un taxi, insieme ad Abigail, e noi rimanemmo qui ad aspettare ma tra tutta quella gente che ci spintonava, ci ritrovammo spaesati. Avevo paura. Ero in un Paese sconosciuto che molto probabilmente non sapeva la mia lingua. Era per questo che odiavo viaggiare ed ero stato definito un codardo.
Vidi poi Emma chinata per terra in preda a un attacco di panico: aveva le mani sulle orecchie e gli occhi chiusi. La presi tra le braccia dandole conforto e sicurezza. Il suo respiro tornò normale.
«Non ti farò succedere niente piccola Emma, lo prometto» le baciai la fronte.
Poco dopo vidi ritornare Passepartout e Abigail che ci prese le nostre valigie facendoci salire dentro una carrozza.
Emma chiese, sconvolta dagli avvenimenti, cosa stesse succedendo e Passepartout le rispose che il Governo aveva tagliato la Comune di Parigi e ora il popolo stava protestando contro il nostro Presidente.
Poco dopo la carrozza si fermò e Passepartout scese spiegandoci che stava andando ad organizzare il noleggio di una carrozza per prendere il treno in Italia. Abigail fece altrettanto.
Rimanemmo soli e calò un silenzio imbarazzante soprattutto per quello che era accaduto poco prima.
La carrozza si fermò per la terza volta e una massa di gente rivoltosa si gettò all'interno. Eravamo nel panico più totale e venimmo gettati fuori in meno di un secondo con tutti i nostri oggetti personali. Riuscimmo in qualche modo a scappare ma dei bambini ci rincorsero.
Ero nel panico più totale a differenza di Emma che sembrava aver ritrovato tutta l'energia perduta.
Ci trovammo davanti a un palazzo con le porte sbarrate e chiedemmo a quel qualcuno di farci entrare. Nessuno rispose. Provammo molte volte ma quel qualcuno non si degnava di aprirci.
I bambini ci presero tutto quello che avevamo nelle valigie senza che potessimo fare nulla per fermarli.
Pensando che la situazione non si calmasse arrivarono delle suore.
Le Sorelle mandarono via i bambini e ci spiegarono che le persone con le pancie vuote non comprendono le buone maniere. Noi, capendo l'andazzo, gli offrimmo del denaro per poi andare alla ricerca dei nostri compagni.
Sembravano scomparsi nel nulla poi arrivammo alla stazione di polizia ma all'interno c'era il Presidente e inutilmente cercai di attirare la sua attenzione. Mi sentii tirare da una manica da Emma e voltandomi vidi la chioma rossa di Abigail. La chiamai ma un proiettile proveniente da quell'edificio diroccato mi colpì.
Non seppi bene cosa era successo ma mi ritrovai vivo e vegeto.
Mi guardai intorno e poi l'interno del mio cappotto: la fiaschetta dorata regalatami da Estella mi aveva salvato la vita.
Risi felice di essere ancora vivo.
Quella felicità durò poco che uno schiaffo proveniente da Emma mi fece rinsavire.
«Perché l'hai fatto?»
Guardai il suo volto e i suoi occhi erano rossi dal lungo pianto.
Che cosa mi sono perso?
«Ero sconvolta e tu ridi. Perché? Chi ti ha salvato la vita? Cos'hai in tasca?» mi fece il terzo grado.
«Hai pianto per me?»
Cercavo di allontanare il pensiero di Estella dalla sua testa. Non era il momento adatto per farle sapere che, nel momento in cui ci stavamo conoscendo, io avevo avuto una relazione finita male con una donna che ancora amavo ma non più di Emma.
«Sì, ma ora questo non è importante. Cos'hai in tasca?» arrossì lievemente sulle guance.
Ormai senza speranza alcuna, sospirando, gliela porsi.
Immediatamente quando vide la frase e il nome incisi il suo volto si inumidì nuovamente di lacrime. Aveva già compreso tutto. Volevo spiegargli tutto quanto ma l'arrivo dei nostri compagni interruppe il momento.
Le guardie ci stavano ormai sparando a vista d'occhio e noi corremmo in cerca di un rifugio.
Dopo varie corse lo trovammo.
Era uno spazio chiuso con all'interno una bellissima mongolfiera.
Noi volevamo volare su di essa ma il suo costruttore, un uomo abbastanza anziano, ce lo impedì. Ci raccontò che l'aveva costruita per sua moglie, che per l'appunto si chiamava Marie Rose, ma che era morta prima che la completasse.
Emma, colpita dal racconto, gli si avvicinò.
Quello che disse mi pietrificò.
«Monsieur, lasci che Rose voli per i cieli come avrebbe voluto sua moglie. Io, per un attimo, ho pensato di perdere una persona per me molto importante e se fosse veramente successo avrei continuato il viaggio in suo onore e ricordo. Avrei vinto la scommessa per lui»
Sta parlando di me! L'avrebbe veramente fatto?! Emma, tu sei pazza e io sono pazzo di te. Ma Estella? Adesso non so veramente chi delle due amo di più. Sono confuso.
Erano questi i pensieri nella mia mente così attorcigliata.
L'uomo, colpito dal discorso di Emma, ci lasciò prendere le mongolfiera.
Noi finalmente volammo verso la nostra nuova destinazione: Italia.
Mentre eravamo in volo volli togliermi quel tarlo che avevo in testa così, dopo la spiegazione di Emma, glielo chiesi.
«Davvero avresti vinto la scommessa per me?»
Lei annuì.
Ora ero davvero fottuto.
Due donne mi avevano rubato il cuore.
Cosa avrei fatto? Quale sarebbe stata al mio fianco per sempre?
Forse avrei trovato la risposta a quelle tante domande durante quel viaggio.
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