44. L'ultima Dea (P)
Le porte si aprirono con un tintinnio e noi scendemmo sul vialetto aereo.
"Deprimente" di solito non è la parola giusta per descrivere l'Olimpo, ma era così che appariva in quel momento. Non c'erano fuochi a illuminare i bracieri. Le finestre erano buie. Le strade erano deserte e le porte sbarrate. C'era un po' di movimento solo nei parchi, allestiti come ospedali da campo. Will e gli altri ragazzi di Apollo si davano da fare, curando i feriti. Naiadi e driadi gli davano una mano, usando i canti magici della natura per guarire scottature e avvelenamenti.
Mentre Grover piantava l'arboscello di lauro, io, Alex e Annabeth facemmo un giro per cercare di rincuorare i feriti. Passai davanti a un satiro con una gamba rotta, a un semidio bendato dalla testa ai piedi e a un corpo coperto con il drappo dorato della casa di Apollo. Non sapevo chi ci fosse sotto. Non volevo scoprirlo. Mi sentivo il cuore pesante come il piombo, ma ci sforzammo di trovare delle cose positive da dire. «Vedrai che fra poco sarai di nuovo in piedi a combattere contro i Titani!» dissi a uno dei ragazzi feriti.
«Hai un ottimo aspetto!» disse Annabeth a un altro.
«Leneo si è trasformato in un arbusto!» disse Grover a un satiro gemente.
Alex era andata dal figlio di Dioniso, Polluce, con la schiena appoggiata a un albero. Aveva un braccio rotto, ma per il resto stava bene. Stava cercando di convincerlo a rimanere a riposo. Li raggiunsi. «Posso ancora combattere con l'altra mano» le stava assicurando, stringendo i denti.
«No» replicò Alex «hai fatto abbastanza. Resta qui a dare una mano con i feriti»
«Ma...»
«Promettimi di restare al sicuro» intervenni «va bene? Come favore personale»
Aggrottò la fronte, incerto. Non è che fossimo grandi amici, ma non avevo intenzione di dirgli che era una richiesta di suo padre. L'avrei solo messo in imbarazzo. Alla fine promise, e quando tornò a sedersi, capii che era sollevato.
«Te l'ha chiesto il signor D, vero?» mi sussurrò Alex all'orecchio. Mi limitai ad annuire.
Continuammo a camminare verso il palazzo. Era lì che si sarebbe diretto Crono. Non appena raggiunto l'ascensore (e non dubitavo che ci sarebbe riuscito, in un modo o nell'altro) avrebbe distrutto la sala del trono, il centro del potere degli dei. Ero ferocemente determinato a proteggere Alex con ogni mezzo possibile. Non potevo lasciare che un'orrida lama le strappasse l'anima: decisamente mi piaceva dov'era in quel momento.
Le porte di bronzo si aprirono con un cigolio. I nostri passi riecheggiarono sul pavimento di marmo. Le costellazioni luccicavano fredde sul soffitto della grande sala. Il fuoco era ridotto a un bagliore rosso cupo. Estia, nella sua forma di bambina con le vesti marrone, era accovacciata lì accanto, scossa da brividi. L'Ofiotauro nuotava mestamente nella sua bolla d'acqua. Mi salutò con un timido muggito. Alla luce delle fiamme, i troni gettavano ombre quasi malvagie, simili ad artigli. In piedi, di fronte al trono di Zeus, intenta a guardare le stelle, c'era Rachel. Teneva un vaso greco in mano. «Rachel?» esclamai «Ehm... che ci vuoi fare con quello?»
Mi mise a fuoco come se l'avessi appena sottratta a un sogno. «L'ho trovato. È il vaso di Pandora, vero?»
Le brillavano gli occhi più del solito e una brutta sensazione mi riportò alla mente panini ammuffiti e biscotti carbonizzati. «Per favore, mettilo giù» le dissi.
«Dentro c'è la speranza. La vedo». Rachel fece scorrere le dita sui disegni della ceramica. «È così fragile...»
Alex scattò in avanti. Le strappò il vaso tra le mani e la fulminò con lo sguardo. Lei sembrò riprendersi. «Posso capire che sia apparso all'improvviso quando hai visto i tuoi genitori» ringhiò la mia ragazza, rivolta a me «ma tra le mani di questa qui proprio no!»
Mi sembrò che gli organi mi si annodassero tutti insieme. Fissai il vaso tra le mani di Alex... e la tentazione di aprirlo e salvarle la vita fu così intensa che mi mancò il respiro. «Alex... mettilo giù...» gemetti con un filo di voce «ti prego...»
Lei spostò lo sguardo da me al vaso. Si accigliò, e scosse la testa. «No, preferisco tenerlo io» mi disse «così non c'è rischio che tu lo apra»
«Tenendolo in mano peggiori la situazione» le dissi a denti stretti «dammelo... ti prometto che non lo apro. Non riesco a guardarti se lo tieni tu... la tentazione è troppo forte, capisci?»
Alex sospirò. «E va bene. Ma non aprirlo» mi disse.
«Promesso» replicai. Mi porse il vaso e io lo presi. Era freddo come il ghiaccio.
«Grover» borbottò Annabeth «esploriamo i dintorni del palazzo. Forse possiamo trovare del fuoco greco o qualche trappola di Efesto avanzata»
«Ma...». Annabeth gli diede una gomitata. «Giusto!» guaì lui «Adoro le trappole!»
Lo trascinò via dalla sala del trono. Davanti al fuoco, Estia si stringeva nelle sue vesti, dondolandosi avanti e indietro. Ci sedemmo accanto a lei. «Divina Estia» esordii.
«Salve, Percy Jackson» mormorò lei «si sta facendo freddo. È più difficile tenere acceso il fuoco»
«Lo so» disse Alex «i Titani sono vicini»
«Hai detto bene, Alexandra». Estia inquadrò Rachel. «Salve, mia cara. Finalmente sei venuta al nostro fuoco»
Rachel strizzò le palpebre, sorpresa. «Mi aspettava?»
Estia tese le mani e le braci mandarono un bagliore. Vidi delle immagini nel fuoco: mia madre, Paul e io durante la cena del Ringraziamento, seduti al tavolo della cucina; i miei amici e io attorno al falò del Campo Mezzosangue, a cantare e arrostire marshmallows; Rachel e io nella Prius di Paul sulla spiaggia; e infine, io e Alex abbracciati sul letto dell'hotel Plaza. «Per prendere il posto che ti spetta» le disse Estia «devi abbandonare ogni distrazione. È l'unico modo in cui potrai sopravvivere»
Rachel annuì. «Io... capisco»
«Aspetta» intervenni io «di cosa sta parlando?»
Rachel trasse un respiro tremante. Lanciò una lunga occhiata ad Alex, che la fissò perplessa. «Percy, quando sono venuta qui... pensavo di farlo per te. Ma mi sbagliavo. Io e te...». Scosse la testa. «Non ci potrà mai essere niente. Il tuo cuore appartiene ad Alex. E' sempre appartenuto a lei. Mi dispiace di averti baciato...»
«CHE COSA?!» ruggì Alex.
Estia le battè un paio di colpetti sulla schiena. «Calma, mia giovane nipote» le disse «quel che è stato è stato»
Alex aveva tutta l'aria di voler uccidere la mia amica. Era paonazza. Un paio di fulmini le crepitarono tra le dita. Il tocco di Estia, però, sembrava calmarla un po'. «Mi dispiace tanto» disse Rachel mortificata «avevo frainteso tutto. Ero attratta da Percy perché mi ha aperto la porta a tutto questo». Indicò con un ampio gesto la sala del trono. «Avevo bisogno di comprendere la mia capacità di vedere. Ma... io e lui non eravamo previsti. I nostri destini non sono intrecciati. I vostri, invece, lo sono sempre stati. Ora lo so, riesco a vederlo. Di nuovo, mi dispiace molto. Non volevo causarti sofferenza, Alex. Ti prego di credermi»
Alex strinse le mani a pugno. Un muscolo sulla sua mascella guizzò. Capivo la sua rabbia, perché era la stessa che avevo provato io quando mi aveva detto che lei e Mitchell si erano baciati. Avrei dovuto dirglielo prima, ma sinceramente non ne avevo avuto il coraggio. Guardai Estia, che continuava ad accarezzarle la schiena. Mi rivolse un sorriso. «Percy Jackson» disse «Rachel ti ha detto tutto ciò che può. Il suo momento sta arrivando, ma la tua decisione si avvicina ancora più rapidamente. Sei pronto?»
Guardai il vaso di Pandora e di nuovo avvertii il bisogno di aprirlo. La speranza mi sembrava piuttosto inutile in quel momento. Tanti miei amici erano morti. Rachel mi stava tagliando fuori. I miei genitori dormivano da qualche parte giù in strada, mentre un esercito di mostri circondava l'edificio. Alex rischiava di morire. L'Olimpo era prossimo alla caduta e avevo visto troppe crudeltà per mano degli dei: Zeus che distruggeva Maria Di Angelo, Ade che malediva l'ultimo Oracolo, Ermes che voltava le spalle a Luke pur sapendo che sarebbe diventato malvagio.
"Arrenditi" mi sussurrò la voce di Prometeo all'orecchio "o la tua casa sarà distrutta. Alexandra morirà. Il tuo prezioso Campo brucerà, e tu perderai tutto".
Guardai Estia. I suoi occhi rossi brillavano con calore. Ricordai le immagini che avevo visto nel suo fuoco, gli amici e la mia famiglia, tutti coloro a cui volevo bene. Ricordai qualcosa che aveva detto Chris Rodriguez: "Non aveva senso difendere il Campo se voi morivate. Tutti i nostri amici sono qui". E Nico, che si opponeva al padre, Ade: "Se l'Olimpo cade, la salvezza del tuo palazzo non avrà importanza".
Udii dei passi. Annabeth e Grover erano tornati nella sala del trono. Si fermarono non appena ci videro. Probabilmente avevo una faccia strana, e Alex... be', stava ancora cercando di controllare la rabbia. Aveva gli occhi chiusi e respirava profondamente.
A un tratto, mentre la guardavo, mi sentii come se qualcuno mi avesse fatto un'iniezione di acciaio. Capii quello che dovevo fare. Guardai Rachel. «Non farai niente di stupido, vero? Cioè... hai parlato con Chirone, giusto?»
Lei riuscì a farmi un debole sorriso. «Sei preoccupato che io faccia qualcosa di stupido?»
«Sì, insomma... starai bene?»
«Non lo so» ammise lei «diciamo che dipende da te e da Alex... se salverete il mondo o meno, eroi»
Raccolsi il vaso di Pandora. Lo spirito della speranza frullò al suo interno, cercando di scaldare il contenitore freddo. «Estia» dissi «le consegno questo come mia offerta»
La dea piegò la testa di lato. «Sono l'ultima degli dei. Perché lo affideresti a me?»
«Lei è l'ultima dea» replicai «e la più importante»
«E come mai, Percy Jackson?»
«Perché la speranza sopravvive meglio accanto al focolare» risposi «la custodisca per me e io non sarò più tentato di arrendermi»
La dea sorrise. Prese il vaso dalle mie mani e il contenitore emise un timido bagliore. Il fuoco arse con un po' più di luce. «Ben fatto, Percy Jackson» disse «che gli dei possano benedirti»
«È quello che scopriremo». Guardai Alex. Aveva aperto gli occhi e mi fissava con un'espressione ferita che mi spezzò il cuore. Non sembrava arrabbiata, ma avevo comunque un certo timore ad avvicinarmi; tuttavia, lo feci ugualmente. Mi inginocchiai di fianco a lei. «Mi dispiace. Avrei dovuto dirtelo» le dissi «avevo paura di farti più male di quanto non te ne stessi già facendo, e-»
«Mi ami?» mi interruppe lei con un filo di voce, guardandomi dritto in faccia.
La guardai sorpreso per una manciata di secondi. Poi mi ripresi. «Sì, Alex» confermai. Le portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Non sai quanto»
Lei annuì. La sua espressione si fece repentinamente minacciosa, e a me venne un brivido. Mi afferrò per il bavero della maglietta e mi tirò a cinque centimetri dal suo volto. Sentii Grover e Annabeth trattenere il fiato. «Se mi fai di nuovo una cosa del genere ti gonfio talmente tanto di botte che i mortali ti scambieranno per una mongolfiera» ringhiò, scandendo bene le parole «non m'importa un accidente della maledizione di Achille. Ti uccido, Perseus Jackson. Dico sul serio»
Deglutii. Dei, Alex era terrificante quando ci si metteva. «Ti prometto che non lo rifarò» borbottai in risposta.
«Bravo». La sua espressione tornò serena. Mi mollò la maglietta e me la sistemò come se nulla fosse, alzandosi in piedi. La imitai, un po' scosso, e mi rivolsi ad Annabeth e Grover. «Ehm... okay. Andiamo, devo fare una cosa».
Mi avviai sicuro verso il trono di mio padre. Il seggio di Poseidone si ergeva alla destra di quello di Zeus, ma non aveva nulla del suo fasto. Il sedile sagomato di pelle nera era applicato a un piedistallo girevole, con un paio di anelli di ferro su un fianco per agganciare una canna da pesca (o un tridente). In pratica, somigliava a un sedile da pesca, di quelli usati per la caccia agli squali, ai pesci spada o ai mostri. In condizioni naturali, gli dei sono alti più o meno sei metri, perciò riuscivo a toccare il bordo del trono solo allungando le braccia. «Aiutatemi a salire» dissi ad Annabeth, Alex e Grover.
«Percy, sei impazzito?!» disse brusca Alex.
«È probabile» ammisi.
«Percy» intervenne Grover «agli dei non piace per niente che qualcuno si sieda sui loro troni. Nel senso che se ci provi ti inceneriscono»
«Devo attirare la sua attenzione» spiegai «è l'unico modo»
Si scambiarono uno sguardo imbarazzato. «Be', così ci riesci di sicuro» commentò Annabeth.
«Ci penso io» intervenne Alex. Senza preavviso mi sentii sospingere in aria, ed atterrai direttamente sul trono.
Mi sembrò di essere un bambino, con i piedi esageratamente lontani da terra. Guardai i troni vuoti e minacciosi, e immaginai come ci si sentisse a sedere nel Consiglio degli Dei –tanto potere ma anche tante liti; undici altri dei, ognuno dei quali voleva sempre fare a modo suo. Sarebbe stato facile diventare paranoici e pensare solo ai propri interessi, soprattutto se fossi stato in Poseidone. Seduto sul suo trono, mi sentivo come se avessi il mare intero al mio comando, l'intera immensità dell'oceano, gravida di potere e di mistero. Perché Poseidone avrebbe dovuto dare ascolto a chiunque? Perché non poteva essere il più grande dei dodici? Poi scossi la testa. "Concentrati".
Il trono tuonò. Un'ondata impetuosa di rabbia irruppe nella mia mente: "CHI OSA...". La voce si bloccò bruscamente. La rabbia si ritrasse, e fu un bene, perché erano quasi bastate quelle due parole a farmi esplodere il cervello. "Percy". Il tono di mio padre era ancora arrabbiato ma più controllato. "Cosa credi di fare sul mio trono... esattamente?"
«Mi dispiace, Padre» dissi «dovevo attirare la tua attenzione»
"È stato un gesto molto avventato. Persino per te. Se non avessi guardato prima di colpire, ora saresti una pozzanghera d'acqua salata"
«Mi dispiace» ripetei «ascolta, le cose sono messe male, quassù». Gli raccontai cosa stava succedendo. Poi gli spiegai il mio piano.
La sua voce rimase muta a lungo. "Percy, quello che mi chiedi è impossibile. Il mio palazzo..."
"Papà, Crono ha mandato un esercito contro di te di proposito. Vuole dividerti dagli altri dei perché sa che sbilanceresti il conflitto a vostro vantaggio»
"Sia come sia, sta attaccando la mia casa"
«La tua casa è dove sono io adesso» replicai «l'Olimpo»
Il pavimento tremò. Un'onda di rabbia mi investì la mente. Pensai di essermi spinto troppo oltre, ma poi il terremoto scemò. In sottofondo, attraverso il mio collegamento mentale, udii delle esplosioni e il chiasso delle grida di battaglia: ciclopi che mugghiavano, tritoni che urlavano. «Tyson sta bene?» chiesi.
La domanda sembrò cogliere mio padre di sorpresa. "Sì. Se la sta cavando molto meglio di quanto mi aspettassi. Anche se 'Poppoppodone' è uno strano grido di battaglia"
«Gli hai permesso di combattere?»
"Smetti di cambiare argomento! Ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo di fare? Il mio palazzo sarà distrutto!"
«Ma l'Olimpo potrebbe salvarsi»
"Hai la più pallida idea di quanto tempo ci abbia messo a rimodellare questo palazzo? Solo per la sala ricreativa ci sono voluti seicento anni!"
«Papà...»
"E va bene! Come vuoi. Ma, figlio mio, prega che funzioni"
«Sto pregando. Sto parlando con te, giusto?»
"Ah... già. Non hai tutti i torti. Anfitrite.... ne arriva uno!"
Il boato di un'esplosione interruppe il collegamento. Scivolai giù dal trono. Alex mi studiò, preoccupata a morte. «Stai bene? Sei diventato pallido e hai cominciato a fumare» mi disse.
«Ma no!». Poi mi guardai le braccia. Dalle maniche della maglietta si levava del vapore. Avevo i peli delle braccia bruciacchiati.
«Se fossi rimasto seduto ancora un po' » disse Annabeth «ti saresti incenerito per combustione spontanea. Spero che la conversazione ne sia valsa la pena... o no?»
"Muuu!" esclamò l'Ofiotauro nella sua bolla d'acqua.
«Lo scopriremo presto» risposi.
In quello stesso istante la porta della sala del trono si spalancò. Era Talia, con l'arco spezzato e la faretra vuota. «Dovete scendere» ci disse «il nemico avanza. E Crono è alla testa dell'esercito».
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top