41. Il messaggio (P)
L'elicottero atterrò sulla Quinta Strada senza problemi. Ero ancora scioccato: Annabeth sapeva pilotare gli elicotteri -e meno male, perché Alex non sarebbe riuscita a tenerlo su solo con l'Aerocinesi.
Corsi da loro non appena le eliche si fermarono. Rachel aprì lo sportello: aveva i capelli spettinati e la faccia verde per il volo rocambolesco in elicottero. Alex la scansò bruscamente di lato e trascinò fuori il pilota svenuto, livida in volto. Mi lanciò l'ennesima occhiataccia.
Annabeth scese per ultima. La guardai sbigottito. «Non sapevo che sapessi pilotare l'elicottero» le dissi.
«Nemmeno io» replicò lei «mio padre è un fanatico dell'aviazione. E Dedalo aveva qualche appunto sulle macchine volanti. Ho tirato a indovinare»
«Mi avete salvato la vita» disse Rachel.
Alex fece finta di non averla sentita. Aveva tirato fuori un fazzoletto e si stava asciugando il sangue che le colava dalla narice destra. Annabeth le lanciò un'occhiata in tralice. Fletté la spalla ferita. «Già, be'... basta che non diventi un'abitudine. Che accidenti ci fai qui, Dare? Che ti è saltato in mente di volare in una zona di guerra?»
«Io...». Rachel mi lanciò un'occhiata. «Dovevo venire. Sapevo che Percy era nei guai»
La risata beffarda di Alex fu fredda e bassa. Però non disse nulla. «Su questo non ci piove» brontolò Annabeth «be', se volete scusarmi, ho alcuni amici feriti di cui occuparmi. Grazie per la visita, Rachel. Vieni con me, Alex?»
«No» rispose secca lei.
Annabeth le rivolse un cenno e si allontanò impettita. Rachel si accasciò sul marciapiede e si prese la testa fra le mani. «Mi dispiace. Non volevo... faccio sempre un gran casino»
Era difficile smentirla, anche se ero contento che fosse sana e salva. Guardai Alex; stava frugando nella cassetta di pronto soccorso dell'elicottero alla ricerca di chissà cosa. Avevo paura che esplodesse da un momento all'altro; trovarmi lì con lei e Rachel era terribile. Dei, pure io avevo fatto un bel casino. «Non c'è problema» le dissi, anche se le mie parole suonarono un po' a vuoto «allora, qual è questo messaggio che dovevi consegnare?»
Lei aggrottò la fronte. «Come fai a saperlo?»
«Un sogno»
Rachel non sembrò sorpresa. Si aggiustò i pantaloncini. Erano coperti di disegni, il che non era insolito per lei, ma quelli erano simboli che riconoscevo: lettere greche, immagini delle perle del Campo, schizzi di mostri e volti degli dei. Su una delle perle che aveva disegnato c'era il simbolo di Zeus: una saetta dorata. Non riuscivo a capire come facesse a conoscerli. Non era mai stata sull'Olimpo e nemmeno al Campo Mezzosangue, ed ero certo che Alex non le avesse mai mostrato la sua collana. «Anch'io sto vedendo delle cose... da un po' » mormorò «cioè, non solo attraverso la Foschia. Stavolta è diverso. Ho cominciato a fare dei disegni, a scrivere dei versi...»
«In greco antico» dissi «sai che cosa dicono?»
«È proprio di questo che volevo parlarti. Speravo... be', se tu fossi venuto in vacanza con noi, speravo che mi avresti aiutato a capire che cosa mi sta succedendo»
Mi guardò con un'espressione supplichevole. Aveva il viso scottato dal sole. Le si stava spellando il naso. Non riuscivo a riprendermi dallo shock che fosse lì di persona. Aveva costretto la sua famiglia a interrompere la vacanza, accettato di andare in una scuola orribile e portato un elicottero nel bel mezzo di una battaglia mostruosa solo per vedere me.
Ma ciò che le stava succedendo con quelle visioni mi spaventava. Forse capitava a tutti i mortali capaci di vedere attraverso la Foschia. Ma mia madre non mi aveva mai parlato di una cosa del genere. E continuavano a tornarmi in mente le parole che aveva pronunciato Estia a proposito della madre di Luke: "si è spinta troppo oltre... Ha visto troppo".
Alex tossicchiò alle mie spalle. Si stava fasciando il gomito sinistro. Aveva stretto così tanto le labbra che non si vedevano quasi più. Sospirai. Il suo non era un colpo di tosse normale. Era un avvertimento: dovevo stare attento a quello che dicevo. Come se non lo sapessi già. «Rachel» dissi «magari lo sapessi. Forse dovremmo chiederlo a Chirone...»
D'improvviso, Rachel trasalì come per una scossa elettrica. «Percy, sta per succedere qualcosa. Un trucco che finirà in tragedia»
«Che vuoi dire? Un trucco di chi?»
«Non lo so». Si guardò attorno, nervosa. «Non lo senti?»
«È questo il messaggio che volevi darmi?»
«No». Esitò. «Mi dispiace. Dico cose senza senso, ma è un pensiero che mi ha appena attraversato la mente. Il messaggio che ho scritto sulla spiaggia era diverso. C'era il tuo nome»
«Perseus» ricordai «in greco antico»
Rachel annuì. «Non conosco il suo significato. Ma so che è importante. Devi ascoltarlo. Diceva: "Perseus, non sei tu l'eroe". Influenzerà le tue azioni»
Mi sentii come se mi avesse appena infilzato con una spada. Voltai la testa di scatto verso Alex, che si era pietrificata con le dita sospese sopra la fasciatura che stava finendo di sistemare. Fissava l'asfalto con gli occhi vitrei.
"L'anima eroica l'orrida lama strapperà". Se non ero io l'eroe, allora...
«No». La mia voce si incrinò pericolosamente. Il mio cervello si stava rifiutando di accettare l'informazione. «No, non è possibile. Che vuol dire che non sono io l'eroe?»
«Mi... mi dispiace, Percy. Non so altro»
La disperazione mi serrò la gola. «Rachel, ti prego, non posso non essere io...»
«Percy» mi chiamò Alex.
Mi girai a guardarla. Aveva la fronte aggrottata ed era pallida tanto quanto lo era abitualmente Nico. Mi venne voglia di piangere. «Alex...»
Lei scosse la testa. «Va bene così» disse, rivolgendomi un sorriso debole.
«Non è vero» obbiettai debolmente «tu... e la profezia dice...»
Alex si avvicinò e mi posò una mano sulla spalla. «Non ho paura» affermò sicura «se questo è il mio destino, allora-»
«Allora niente» dissi con forza, scuotendo la testa «non permetterò mai che tu... che tu...»
Dei, non riuscivo nemmeno a dirlo. Alex mi accarezzò la guancia. Rachel sospirò, affranta. «Mi dispiace tanto» mormorò.
Prima che potessimo dire qualcosa, Chirone ci raggiunse al piccolo trotto. «Bene! Questa dev'essere la signorina Dare»
Avrei voluto cacciarlo in malo modo, ma naturalmente non potevo. Cercai di tenere a freno le emozioni che rischiavano di soffocarmi. Mi sentivo morire. «Chirone, Rachel Dare» la presentai «Rachel, ti presento Chirone, il mio insegnante»
«Salve» esclamò Rachel in tono cupo. Non sembrava affatto sorpresa che Chirone fosse un centauro.
«Lei non sta dormendo, signorina Dare» notò lui «eppure è mortale?»
«Sono mortale» confermò Rachel, come se fosse un pensiero deprimente «il pilota si è addormentato non appena abbiamo passato il fiume. Non so perché a me non sia successo. Sapevo solo che dovevo venire qui, per avvisare Percy»
«Avvisare Percy?»
«Lei vede le cose» spiegai «scrive versi e disegna»
Chirone inarcò un sopracciglio. «Davvero? Mi dica»
Lei gli ripeté le stesse cose che aveva detto a me. Alla fine, Chirone lanciò un'occhiata ad Alex. Poi si accarezzò la barba. «Signorina Dare... forse dovremmo parlare»
«Chirone, lei... aiuterà Rachel, vero? Cioè, le dirà di andarci piano con questa roba. Di non spingersi troppo oltre»
Chirone muoveva la coda a scatti, come faceva quando era nervoso. «Sì, Percy. Farò del mio meglio per comprendere cosa sta succedendo e consigliare la signorina Dare, ma potrebbe volerci un po'. Nel frattempo, tu e Alexandra dovreste riposare. Abbiamo trasferito la macchina dei tuoi genitori al sicuro. Il nemico sembra essersi fermato, per il momento. Abbiamo allestito delle brande nell'Empire State Building. Cercate di dormire un po' »
«Tutti continuano a dirmi di dormire» brontolai «come se ci riuscissi, poi. Non ne ho bisogno»
Alex sospirò. «Percy, sei bello in maniera assurda e sai benissimo che ti amo con tutto il cuore, ma dovresti proprio darti un'occhiata»
Notai Rachel che trasaliva, spostando lo sguardo rapidamente da me a Alex. Mi sentii arrossire, sia per il fatto che mi avesse detto "ti amo" davanti a Chirone e Rachel, sia perché ero certo che l'avesse fatto apposta. Un modo per "marchiare il territorio", per così dire.
Chirone tossicchiò. «Sì, ehm...» borbottò con leggero imbarazzo «sarai anche invulnerabile in combattimento, ma questo significa che il tuo corpo si stanca più in fretta. Pensa ad Achille. Ogni volta che quel ragazzo non era sul campo di battaglia, dormiva. Si faceva una ventina di sonnellini al giorno. Tu, Percy, hai bisogno di riposare. Potresti essere la nostra unica speranza»
Avrei voluto rispondergli che io non ero la loro unica speranza. Secondo Rachel, non ero nemmeno l'eroe. Era Alex, e il solo pensare a cosa potesse succederle mi faceva stare male come un cane. Ma l'espressione negli occhi del mio insegnante era chiara: non avrebbe accettato un no come risposta. Alex intrecciò le dita con le mie. «Dai, vieni» mi disse «Chirone ha ragione. Dobbiamo riposare un po'».
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