29. Michael (P)
Uscii da dietro il riparo dello scuolabus e mi avviai sul ponte, in piena vista, dritto verso il nemico.
Quando il Minotauro mi vide, i suoi occhi si accesero di odio. Mugghiò, producendo un suono che era un po' un urlo, un po' un muggito e un po' un rutto fortissimo. «Ehi, vitellino» gli gridai in tutta risposta «non ti avevo già fatto fuori?»
Lui picchiò il pugno sul cofano di una Lexus, che si accartocciò come un foglio di alluminio. Un gruppetto di dracene mi bersagliò di giavellotti. Li schivai con i pugni. Un segugio infernale mi assalì e mi scansai per evitarlo. Avrei potuto infilzarlo con la lama, ma esitai. "Questa non è la signora O'Leary" rammentai a me stesso "questo è un mostro feroce. Ucciderà me, la mia ragazza e i miei amici". Non ebbi il tempo di fare nulla, però: una freccia elettrificata lo centrò in mezzo agli occhi, e il mostro si dissolse in una nuvola di polvere e pelliccia. Lanciai un'occhiata verso lo scuolabus dove avevo lasciato gli altri e vidi Alex con l'arco teso tra le mani, accovacciata sul cofano. Aveva già la freccia incoccata. Mi rivolse un cenno, come a dirmi "vai, ti copro" e io mi voltai verso l'armata di mostri con un po' più di sicurezza.
Altri iniziarono a farsi avanti –serpenti, giganti e telchini– ma il Minotauro li richiamò con un ruggito e si fecero da parte. «Ce la vediamo a tu per tu?» domandai «Proprio come ai vecchi tempi?»
Le narici del mostro fremettero. Aveva davvero bisogno di portarsi un bel pacchetto di fazzoletti nella tasca dell'armatura, perché quel naso era fradicio e rosso e faceva parecchio schifo. Sguainò l'ascia e cominciò a farla roteare. Era un'arma bellissima nel suo genere, anche se il genere in questione si intitolava: "ti sventrerò come un pesce". Ciascuna delle due lame gemelle era a forma di omega, l'ultima lettera dell'alfabeto greco. Forse perché era l'ultima cosa che le sue vittime vedevano. L'asta di bronzo era alta più o meno quanto il Minotauro stesso ed era rivestita di cuoio. Attorcigliate sulla base delle due lame c'erano parecchie collane di perle. Mi accorsi che erano tutte perle del Campo Mezzosangue. Erano le collane sottratte ai semidei sconfitti.
Mi infuriai a tal punto che probabilmente i miei occhi brillarono quanto quelli del Minotauro. Sollevai la spada. L'esercito mostruoso esultò per il suo comandante, ma il chiasso si spense quando schivai il primo colpo e spezzai la sua ascia in due, sotto l'impugnatura. «Muuu?» muggì il mostro.
«AAAH!». Ruotai su me stesso e lo colpii con un calcio sul muso. Il Minotauro barcollò all'indietro, cercò di ritrovare l'equilibrio, quindi abbassò la testa per caricare. Non ne ebbe mai l'occasione. Feci sfrecciare Vortice, mozzando prima un corno, poi l'altro. Tentò di afferrarmi, ma rotolai via, raccogliendo metà della sua ascia spezzata. Gli altri mostri arretrarono in un silenzio sbigottito, disponendosi in cerchio attorno a noi.
Il Minotauro mugghiò imbestialito. Non era mai stato molto sveglio, ma ora la rabbia lo stava rendendo avventato. Mi caricò e io corsi verso il bordo del ponte, aprendomi la strada in una fila di dracene. Il mostro probabilmente sentì odore di vittoria, convinto che stessi cercando di scappare. I suoi scagnozzi esultarono. Arrivato al bordo, mi voltai e infilai la sua ascia nel parapetto, pronta a ricevere l'attacco.
Il Minotauro non rallentò nemmeno.
CRUNCH!
Abbassò lo sguardo stupito e vide il manico della sua stessa arma che gli sbucava dal petto dell'armatura. «Grazie di aver partecipato» gli dissi. Lo sollevai per le gambe e lo scaraventai giù dal ponte. Cominciò a disintegrarsi già durante la caduta, il corpo ridotto in polvere, l'essenza rispedita nel Tartaro.
Mi voltai a guardare la sua armata. Eravamo più o meno centonovantanove contro uno.
Feci la cosa più naturale di tutte. Attaccai.
Ora vorrete sapere come funzionava la faccenda dell' "invincibilità", se schivavo magicamente ogni colpo o se le armi mi colpissero senza farmi del male. In tutta onestà, non me lo ricordo. Sapevo solo che non avevo nessuna intenzione di permettere a quei mostri di invadere la mia città. Sventravo armature come se fossero di carta. Le dracene esplodevano. I segugi infernali si dileguavano nelle tenebre. Menai colpi e fendenti e roteai la spada, e forse risi perfino un paio di volte, una risata folle, che spaventò me quanto i miei avversari.
Ero consapevole della presenza di Alex, Annabeth e dei ragazzi di Apollo alle mie spalle, che scagliavano frecce e vanificavano ogni tentativo del nemico di riorganizzarsi. Alla fine, i mostri si voltarono e fuggirono. Di duecento che erano, ne erano rimasti una ventina. Li inseguii, con gli altri alle calcagna. «Sì!» gridò Michael «Questo sì che si chiama combattere!»
Li rispedimmo verso il lato di Brooklyn del ponte. A oriente, il cielo si stava schiarendo. Riuscivo a scorgere i caselli poco lontano. «Percy!» gridò Annabeth «Li avete già cacciati. Ritiratevi! Ci stiamo allontanando troppo!»
Una parte di me sapeva che aveva ragione, ma me la stavo cavando così bene che volevo distruggerli fino all'ultimo. Poi vidi la folla alla base del ponte. I mostri in fuga stavano correndo dritti verso i rinforzi. Si trattava di un piccolo gruppo, una quarantina di semidei al massimo, tutti in armatura e in groppa a cavalli-scheletro. Uno di loro sosteneva uno stendardo con lo stemma della falce nera. Il cavaliere in testa al gruppo avanzò al trotto. Si tolse l'elmo, e riconobbi Crono in persona, gli occhi come oro fuso. Alex, Annabeth e i ragazzi di Apollo esitarono. I mostri che stavamo inseguendo raggiunsero la linea del Titano e furono assorbiti nella nuova forza.
Crono scrutò verso di noi. Era a qualche centinaio di metri di distanza, ma giuro che vidi il suo sorriso. «Percy, dobbiamo ritirarci» mi disse Alex.
Gli uomini del Signore dei Titani sguainarono le spade e caricarono. Gli zoccoli dei loro cavalli-scheletro tuonarono sul selciato. I nostri arcieri scagliarono una raffica di frecce, abbattendo diversi nemici, ma gli altri continuarono ad avanzare. «Ritiratevi!» ordinai ai miei amici «Li trattengo io!»
Mi furono addosso nel giro di pochi secondi. Michael e i suoi arcieri cercarono di ritirarsi, ma Alex e Annabeth restarono al mio fianco. La prima era alla mia destra e aveva le Gemelle sguainate, e a giudicare dal loro bagliore le aveva caricate di elettricità. La seconda era alla mia sinistra, e combatteva con coltello e scudo. Arretravamo a poco a poco verso il ponte. La cavalleria di Crono ci girava attorno, menando colpi e urlando insulti. Il Titano invece avanzava con calma, come se avesse tutto il tempo del mondo. E, dato che era il Signore del Tempo, immaginavo fosse vero.
Io cercavo di ferire i suoi uomini senza ammazzarli. Era una scelta che mi rallentava, ma non si trattava più di mostri. Quelli erano semidei caduti sotto l'incantesimo di Crono. Non riuscivo a vedere i volti sotto gli elmi da guerra, ma alcuni di loro un tempo probabilmente erano miei amici. Colpivo le gambe dei cavalli e li disintegravo.
Dopo i primi capitomboli, gli altri semidei capirono che era meglio smontare di sella e battersi a piedi. Io, Alex e Annabeth formavamo una sorta di triangolo; le nostre spalle si toccavano, e coprivamo l'uno la schiena dell'altro. Una sagoma scura ci oltrepassò in volo e mi arrischiai a guardare verso l'alto: Blackjack e Timballo piombavano in picchiata sul nemico, li riempivano di calci e ripartivano, come dei grossi piccioni kamikaze.
Eravamo quasi giunti a metà del ponte quando successe una cosa strana. Mi sentii percorrere la schiena da un brivido, come se mi fosse passata la morte accanto. Alle mie spalle, Annabeth gridò di dolore.
«NO!» sentii Alex ruggire.
Mi voltai in tempo per vedere Annabeth cadere, con una mano stretta sul braccio. Di fronte a lei si stagliava un semidio con un coltello insanguinato. Compresi immediatamente cos'era successo. Aveva cercato di pugnalarmi. A giudicare dalla posizione della lama, mi avrebbe colpito (forse solo per un colpo di fortuna) proprio sulla base della schiena, nel mio unico punto vulnerabile. Annabeth mi aveva fatto da scudo, intercettando la lama con il suo corpo. Ma perché? Lei non sapeva del mio tallone d'Achille. Solo Alex ne era a conoscenza, e non avevo nemmeno avuto bisogno di dirglielo: al ritorno dagli Inferi mi aveva detto che lo sapeva già, indicandomi il punto esatto.
Incrociai lo sguardo del mezzosangue nemico: sotto l'elmo da guerra, un occhio era coperto da una benda. Era Ethan Nakamura, il figlio di Nemesi. Era sopravvissuto all'esplosione della Principessa Andromeda.
Aveva cercato di uccidere la mia ragazza due volte. Ci aveva appena provato con me. E aveva appena ferito la mia migliore amica.
Questo idiota vuole morire.
Feci per colpirlo, ma Alex fu più veloce di me: con un ringhio terrificante gli si avventò addosso come una furia. Nakamura venne preso in contropiede e non ebbe nemmeno il tempo di difendersi: la lama di Sinistra lo ferì al polso, costringendolo a mollare il pugnale che teneva in mano. In un battito di ciglia Sinistra era già sparita, rimpiazzata da un pugno. Alex lo scagliò con tutte le sue forze verso la faccia di Nakamura; appena prima dell'impatto la sua mano venne avvolta da dei fulmini. Lo colpì talmente forte da intaccargli l'elmo e da farlo volare ad almeno due o tre metri di distanza, addosso ad un gruppo di dracene.
Alex non perse un minuto: raggiunse subito Annabeth, si inginocchiò di fianco a lei e le controllò il braccio. Toccava a me proteggerle. «Indietro!» gridai, disegnando un ampio arco nell'aria con la spada. Allontanai tutti gli altri semidei da loro. «Che nessuno le tocchi!»
«Interessante» esclamò Crono. Incombeva su di me, sovrastandomi in sella al suo cavallo-scheletro, la falce in una mano. Studiò la scena con gli occhi socchiusi. Sembrò quasi che riuscisse a percepire che ero stato a un passo dalla morte, come un lupo che fiuta l'odore della paura. «Hai combattuto con coraggio, Percy Jackson» disse «ma è il momento di arrendersi... o la ragazza morirà»
«Percy, no...» gemette Annabeth.
Mi girai a guardarla. Aveva la maglietta macchiata di sangue; Alex stava premendo qualcosa sulla ferita, e anche le sue mani si erano inzuppate. Alzò lo sguardo e incrociò il mio. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Ci scambiammo un cenno d'assenso; se c'era qualcuno in grado di portarla via era lei.
Un secondo dopo Alex si alzò rapidamente volo, tenendo Annabeth per le cinghie dell'armatura.
«Fermate la figlia di Zeus!» comandò Crono.
Sul mio cadavere! «Blackjack!» gridai.
Alla velocità della luce, il pegaso intercettò le ragazze. Alex si issò sul suo dorso, a mezz'aria, tenendo stretta Annabeth. Volarono via verso il fiume prima che il nemico avesse modo di reagire.
Il sollievo mi investì in pieno. Crono ringhiò. «Presto, molto presto, mangerò zuppa di pegaso. Ma nel frattempo...». Scese da cavallo, la falce che scintillava al chiarore dell'alba. «Mi accontenterò di un altro semidio morto»
Parai il suo primo colpo con Vortice. L'impatto fece tremare il ponte, ma mantenni la posizione. Il sorriso di Crono vacillò. Lanciando un urlo, lo colpii con un calcio alle gambe, scaraventandolo a terra. La falce schizzò via sul ponte. Cercai di colpirlo, ma mi schivò rotolando di lato e si rimise in piedi. La falce volò subito fra le sue mani. «E così...». Mi studiò con un'aria appena un po' seccata. «Hai avuto il coraggio di tuffarti nello Stige. Ho dovuto insistere con Luke in molti modi per convincerlo. Ah, se fossi stato tu a ospitarmi nel tuo corpo... ma non ha importanza. Sono comunque più potente. Io sono un TITANO!». Colpì il ponte con l'asta della falce e un'ondata di forza pura mi scagliò all'indietro.
Le auto sbandarono. I semidei –perfino gli stessi uomini di Luke– volarono giù dal ponte. I cavi di sospensione si strapparono e io scivolai verso Manhattan. Vacillando, mi rimisi in piedi. Gli ultimi ragazzi di Apollo erano quasi arrivati in fondo al ponte, tranne Michael, appollaiato su uno dei cavi di sospensione a pochi metri da me. Aveva l'ultima freccia in cocca. «Michael, vattene!» urlai.
«Percy, il ponte!» gridò «È già vacillante!»
All'inizio non capii. Poi abbassai lo sguardo e vidi le crepe nell'asfalto. Grosse porzioni di strada erano state in parte disciolte dal fuoco greco. Il ponte era rimasto molto danneggiato dal colpo di Crono, dai poteri di Alex e dalle frecce esplosive. «Spezzalo!» urlò Michael «Usa i tuoi poteri!»
Era un'idea disperata –non avrebbe mai funzionato, era impossibile– ma conficcai Vortice nel ponte. La lama magica sprofondò fino all'elsa nell'asfalto. L'acqua salata si sprigionò dalla fessura come un geyser. Estrassi la spada e lo squarcio si allargò.
L'intera struttura tremò e cominciò a disfarsi. Pezzi grandi come case precipitarono nell'East River. I semidei di Crono gridarono impauriti e arretrarono. Alcuni persero l'equilibrio e caddero. Nel giro di pochi secondi, un baratro di quindici metri si era aperto nel ponte di Williamsburg, separando me e Crono.
Le vibrazioni cessarono. Gli uomini del Titano si avvicinarono cautamente al bordo e scrutarono giù. Erano più di trecento metri di caduta libera verso il fiume. Io però non mi sentivo in salvo. I cavi di sospensione reggevano ancora. I nemici potevano usarli per attraversare il ponte. O forse Crono conosceva un modo magico per oltrepassare il vuoto.
Il signore dei Titani studiò il problema. Guardò il sole che nasceva alle sue spalle, poi, dall'altra parte del baratro, sorrise. Sollevò la falce in un saluto di scherno. «A stasera, Jackson». Montò a cavallo, si girò e partì al galoppo verso Brooklyn, seguito dai suoi guerrieri.
Mi voltai a guardare Michael, ma le parole mi morirono in gola. A pochi metri di distanza, un arco giaceva in strada. Il suo proprietario non si vedeva da nessuna parte. «No!». Perlustrai le macerie sul mio lato del ponte. Scrutai giù nel fiume. Niente.
Urlai per la rabbia e la frustrazione. Il mio grido durò un'eternità nel silenzio del mattino. Stavo per richiamare Blackjack e farmi aiutare nelle ricerche, quando il telefono di mia madre squillò. Il display LCD annunciava una chiamata da un numero sconosciuto, probabilmente un semidio che mi chiamava da un cellulare in prestito. Risposi, sperando in una buona notizia. Naturalmente mi sbagliavo. «Percy?». Silena Beauregard sembrava in lacrime. «Alex mi ha detto di chiamarti. Dice di prendere Will Solace e di venire subito all'Hotel Plaza. È... è Annabeth».
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