28. Linee difensive (P)
Mentre volavamo verso il ponte di Williamsburg mi si formò un nodo alla bocca dello stomaco.
No, non era per Alex. Il ciondolo a forma di saetta che portavo appeso alla collana di perle non era diventato freddo nemmeno una volta -anzi, se proprio era diventato incandescente ad un certo punto. Sapevo che stava bene, ma non sapevo per quanto ancora: Michael Yew aveva chiamato per avvisarci che c'era un mio vecchio "amico" al comando dell'armata sul ponte.
Il Minotauro era in assoluto uno dei primi mostri che avevo sconfitto. Quattro anni prima aveva quasi ucciso mia madre sulla Collina Mezzosangue. Una storia che mi dava ancora gli incubi. Avevo sperato che sarebbe rimasto fuori combattimento per qualche secolo, ma avrei dovuto immaginare che la mia fortuna non sarebbe durata così a lungo.
Scorgemmo la battaglia prima di distinguere i singoli guerrieri. Era mezzanotte passata, ma il ponte fiammeggiava di luci: c'erano delle auto incendiate, e archi di fuoco saettavano in entrambe le direzioni. Frecce e lance infuocate solcavano l'aria; in testa ai nostri c'era un familiare bagliore bianco/azzurrognolo che si muoveva rapidamente. «Quella è Alex!» gridò Annabeth «Scendiamo! Dobbiamo aiutarla!»
Ci accostammo rasoterra e vidi i ragazzi di Apollo che si ritiravano. Si nascondevano dietro le macchine e da lì sparavano triboli a quattro punte sulla strada, costruendo barricate di fuoco e trascinando fuori dalle auto i mortali addormentati per metterli in salvo. Alex e Will cercavano di rallentare l'avanzata dei mostri, ma a fatica: continuavano ad incalzarli.
Un'intera falange di dracene marciava in testa, gli scudi serrati, la punta delle lance che sbucava minacciosa. Ogni tanto una freccia infuocata o un fulmine di Alex colpiva un tronco serpentino, un collo o una piastra dell'armatura, e la sfortunata donna rettile si disintegrava, ma la maggior parte dei dardi di Apollo rimbalzava sulla parete di scudi senza colpo ferire. Mi resi conto che le saette di Alex erano un po' fiacche: doveva essere parecchio stanca.
Un centinaio di altri mostri marciava alle spalle delle dracene. Ogni tanto i segugi infernali balzavano in testa al fronte. La maggior parte veniva distrutta dalle frecce o da Alex e Will, ma uno riuscì a prendere uno dei ragazzi di Apollo e lo trascinò via. Non vidi cosa successe dopo. Non volevo saperlo. «Laggiù!» gridò Annabeth sulla groppa del pegaso.
Aveva visto giusto. Al centro della legione di invasori c'era il Vecchio Testa di Manzo in persona. L'ultima volta che avevo visto il Minotauro, indossava soltanto le mutande. Non so perché. Forse l'avevano buttato giù dal letto per mandarlo a scovare me. Stavolta, era in assetto da battaglia. Dalla vita in giù indossava gli indumenti da guerra standard dell'antica Grecia: una sorta di gonnellino di cuoio con dei lembi di metallo, schinieri per proteggere le gambe e sandali di cuoio allacciati stretti. La parte superiore invece era tutta taurina, una massa di peli e vello e muscoli che sostenevano una testa talmente grande che il suo proprietario avrebbe dovuto capovolgersi solo per il peso delle corna. Sembrava più grosso dell'ultima volta: era alto almeno tre metri. Portava un'ascia a doppio taglio sulla schiena e non vedeva l'ora di usarla. Notai che il suo pelo fumava leggermente in alcuni punti. Dovevano averlo colpito un paio di volte.
Non appena mi scorse sorvolare il campo di battaglia (o non appena mi fiutò, dato che aveva una vista pessima), mugghiò con forza e sollevò una limousine bianca. «Blackjack, in picchiata!» urlai.
"Cosa?" domandò il pegaso "Non vorrai mica... per la biada divina!"
Eravamo ad almeno trecento metri di altezza, ma la limousine ci volò incontro roteando come un boomerang.
Stavamo per scartare, quando misteriosamente la limousine si fermò a mezz'aria appena prima di colpirci. Guardai in basso e vidi Alex con una mano protesa verso di noi. "VAI, BELLA!" nitrì Blackjack tutto contento.
Alex ruotò il polso, e rispedì la limousine addosso al Minotauro. Quest'ultimo evitò di venire colpito, mollando un pugno all'autovettura. Questa volò via, travolse alcune dracene e spezzò alcuni cavi di sostegno; alla fine precipitò nell'East River. I mostri esultarono a gran voce -non so bene per quale motivo- e il Minotauro raccolse un'altra macchina. «Lasciaci dietro le linee della casa di Apollo» dissi a Blackjack «rimani a portata d'orecchio, ma fuori pericolo!»
"Contaci, capo!". Blackjack si calò con un volteggio dietro uno scuolabus rovesciato, dove si nascondevano un paio di nostri compagni. Io e Annabeth balzammo giù non appena gli zoccoli dei nostri pegasi toccarono terra. Poi Blackjack e Timballo si librarono nel cielo notturno.
Alex non perse tempo a correrci incontro. Il suo braccio destro era coperto da fasciature, quasi il doppio del sinistro; aveva due brutti tagli sul viso -uno sul sopracciglio e uno sulla guancia-, i capelli scompigliati e perdeva sangue dalla narice destra. «Stai-»
«Sto bene» tagliò corto stancamente, interrompendomi «le barche?»
«Tutto sistemato» fece Annabeth.
«Felice di sentirlo» replicò lei «ci siete solo voi?»
«Per ora sì»
«Allora siamo morti». Michael Yew ci raggiunse. Era decisamente il comandante più basso che avessi mai visto. Aveva il braccio fasciato. La faccia da furetto era sporca di fuliggine e la sua faretra era quasi vuota, ma sorrideva come se si stesse divertendo un mondo. «Felice di vedervi» esclamò.
«Avete ancora il carro volante?» chiese Annabeth.
«Ma no» rispose Michael «l'abbiamo lasciato al Campo. Ho detto a Clarisse che se lo poteva tenere. Sapete una cosa? Chi se ne importa! Non vale più la pena litigare. Ma lei ha detto che era troppo tardi. Avevamo insultato il suo onore per l'ultima volta o non so che altra stupidaggine»
«Almeno ci hai provato» commentai.
Michael si strinse nelle spalle. «Già, be'. Quando ha detto che non avrebbe combattuto lo stesso, gliele ho cantate. Dubito che sia servito a qualcosa... Scocciatori in arrivo!». Sfilò un dardo e lo scagliò contro il nemico. La freccia produsse una sorta di grido durante il volo. Atterrando liberò un boato, come un potente accordo di chitarra elettrica amplificato dalle casse più grandi del mondo. Le auto più vicine esplosero. I mostri abbandonarono le armi e si tapparono le orecchie dal dolore. Alcuni scapparono. Altri si disintegrarono all'istante. «Era la mia ultima freccia sonica» annunciò Michael.
«Non so se esserne felice o meno» borbottò Alex. Mostrò l'orecchio destro a me e a Annabeth; una sottile scia di sangue rappreso partiva dalla parte interna e le imbrattava il collo.
«Ma che cavolo!» esclamai furioso «Non potevate fare attenzione?!»
«E' stata colpa mia» si affrettò a dire Alex «Michael aveva lanciato l'avvertimento, ma sono stata troppo lenta. Non preoccuparti, si è scusato. Will mi ha dato dell'ambrosia e ora ci sento benissimo. Be', più o meno... meno male che quelle frecce non causano la morte...»
Michael fece un sorriso ironico. «Già, infatti. Fa male ascoltare la musica ad alto volume, ma non sempre uccide». E infatti alcuni dei mostri colpiti si stavano ricompattando di nuovo, riscuotendosi dallo stordimento.
«Dobbiamo ripiegare» disse Alex «Michael, di a Kayla e Austin di sistemare delle trappole in fondo al ponte»
«No» dissi io «fai avanzare tutti fin qui e aspettate il mio segnale. Rispediremo il nemico a Brooklyn»
Michael lanciò un'occhiata ad Alex. «Cos'hai in mente, Percy? Perché credo di averne avuto abbastanza di idee folli per oggi...»
«In che senso? Cosa...». Guardai Alex. Stava facendo finta di niente, sistemandosi la fasciatura all'avambraccio sinistro. «Che cosa hai fatto?» le domandai sospettoso.
Michael rise. «Vedi tutti quei mostri?»
«Sì, e allora?»
«E allora... prima erano più del doppio. Lascia che te lo dica, amico... ti sei perso uno spettacolo magnifico. Alex è stata grande! Ha creato un tornado e l'ha riempito di fulmini. Ha spazzato via tutta la prima legione di mostri mentre noi salvavamo i mortali addormentati. Da sola!»
Gli occhi mi uscirono quasi dalle orbite. Annabeth battè una mano sulla spalla di Alex. «Adesso ho capito il messaggio di mia madre» le disse «mi sarebbe piaciuto vederlo. E guardati, non sei nemmeno svenuta! Sono fiera di te»
Alex le rivolse un sorriso un po' imbarazzato. «Ora non è il momento per discuterne» disse. Poi mi guardò. «Sgridami dopo. Abbiamo un lavoro da fare»
Oh, l'avrei sgridata, eccome. «D'accordo» dissi con riluttanza. Sguainai la spada. «Hai ragione, abbiamo da fare. Restate qui»
«Fammi venire con te» si propose subito Alex.
«Ah, no, signorina. Tu rimani qui con Annabeth e Michael» le dissi, guardandola torvo «aiutali a coordinare la difesa mentre distraggo i mostri»
Alex si accigliò. «La maledizione di Achille non ti ha reso meno idiota, comunque» brontolò.
Le sorrisi. Se c'era una cosa che la maledizione aveva fatto era anche rendermi... non lo so, più audace. Il pensiero di dirle certe cose o di baciarla davanti a tutti non mi imbarazzava più, ormai. Ero più sicuro che mai: la amavo come lei amava me, anche se non glielo avevo ancora confessato. Un motivo in più per voler vincere la guerra. «Sì, ma sono il tuo idiota» le dissi.
Lei sbuffò, arrossendo. «Sì, va bene. Ora vai, prima che decida di colpirti proprio dove non devo. Ti ricordo che conosco il tuo punto debole» brontolò «e cerca di tornare tutto intero»
La afferrai delicatamente per la mascella e le diedi un bacio a stampo. «Promesso».
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