1. Cessi esplosivi


Quella dannata, piccola bomba mi stava mettendo pesantemente a disagio.

Di immortales... perché cavolo Beck aveva mandato me a piazzarla sull'autobus dei mostri? Non riuscivo veramente a capirlo. Sarebbe stato meglio mandarci uno dei figli di Ermes. Erano degli specialisti nelle infiltrazioni tattiche, da buoni figli del dio dei ladri. Oppure poteva mandarci uno dei suoi fratelli, visto che l'avevano aiutato ad assemblare quell'aggeggio infernale.

Fissai il sacchetto che avevo tra le mani con un certo nervosismo. Aaaah, ma chi volevo prendere in giro? Nessuno sano di mente avrebbe accettato quella missione, non dopo aver saputo che il prescelto avrebbe dovuto trasportare una bomba di puro fuoco greco -per quanto piccola. Bastava guardare le ustioni sulle mani e sulle braccia di Beck per decidere di non volersi nemmeno avvicinare a una diavoleria del genere.

Vi starete chiedendo perché avevo accettato. Be', la risposta è semplice: sono una cretina, e Beck non mi aveva detto subito che dovevo piazzare una bomba di fuoco greco su un autobus strapieno di mostri. Me lo aveva comunicato dopo, quando ormai gli avevo già detto che ero disponibile, con la solita delicatezza che lo contraddistingue -mi aveva ficcato in mano il sacchetto e aveva detto: «Piazzala da qualche parte sull'autobus e fai attenzione a non saltare per aria. E' un po' instabile».

Non l'avevo picchiato solo perché avevo in mano la bomba. Col senno di poi, credo che avesse fatto apposta a darmela prima di dirmi che cosa dovevo fare.

Un gruppo di quattro Empuse mi passò vicino, e io mi ritirai un po' di più nell'ombra dietro i cassonetti, aspettando che se ne andassero. Sembravano particolarmente allegre, e non dovetti nemmeno chiedermi il perché: si stavano avvicinando troppo a New York, e non avevano incontrato nessuna resistenza. Erano settimane che l'autobus girava per il paese, e i mostri che trasportava seminavano caos ovunque; strano ma vero, erano riusciti persino a sfuggire alle Cacciatrici di Artemide. Non chiedetemi come avevano fatto, perché non lo sapevo. Talia aveva mandato un Messaggio-Iride a Chirone per dirglielo. Non la vedevo così furiosa da un bel po'.

Le Cacciatrici erano un po' allo sbando senza Artemide. La dea era... uhm, impegnata, come tutti gli altri dei. Il motivo era Tifone; ciò di cui Poseidone aveva avvertito me e Percy un anno prima alla fine si era avverato. Proprio ieri il Monte Sant'Elena era letteralmente esploso. Una scena orribile e terrificante insieme.

Gli dei erano fin da subito scesi in campo. Stavano cercando di rallentarlo per impedirgli di avvicinarsi a New York, e non senza fatica.

Trattenni un sospiro. Non sapevo se Percy aveva saputo della notizia, ed ero pronta a scommettere che se l'aveva fatto di sicuro si sentiva mortalmente in colpa. Non che mi dispiacesse particolarmente il pensiero di lui che si fustigava con certi pensieri -non dopo la nostra ultima, furibonda discussione. Ben gli stava.

Non ci parlavamo da circa quattro mesi, ormai. Forse di più... la verità era che avevo smesso di tenere il conto e pure di pensarci. Non potevo permettermi di lasciarmi distrarre da certi pensieri con tutto quello che stava succedendo e con gli allenamenti intensivi a cui ero sottoposta (e a cui stavo sottoponendo anche altri semidei).

Il fatto era questo: dall'ultima volta che ci eravamo visti, ogni volta che contattavo Percy tramite Messaggio-Iride lui era con Rachel Elizabeth Dare. Non avevo idea se fosse il mio tempismo a fare schifo o se passasse ogni minuto libero disponibile con lei. Oltre questo, aggiungeteci anche che lui non mi aveva contattata una sola, schifosissima volta: ero sempre io a cercarlo. Era venuto al Campo un paio di volte, ma era un po' distante. Si stava allenando con Beck per assaltare la Principessa Andromeda e non me lo aveva nemmeno detto; l'avevo saputo dal primo.

Senza contare che per la prima volta da quando ci conoscevamo non mi aveva fatto gli auguri di buon compleanno, due giorni dopo il suo.

Sorprendentemente ero riuscita a non infuriarmi subito. Stavo facendo dei progressi, ma secondo me era perché ero troppo, troppo impegnata -il che aveva dato a tutti l'impressione che stessi sviluppando un ottimo autocontrollo. Si erano congratulati con me, anche.

Riuscii a smentirli tutti proprio quattro mesi prima, quando persi la pazienza e mi misi a gridare contro Percy in mezzo all'arena del Campo. Ero così imbestialita che gli lanciai addirittura un giavellotto, che lo mancò per un soffio. Non mi ero mai sentita apostrofare "matta" e "scema" così tante volte in vita mia. D'altro canto mi sa che nemmeno Percy era mai stato insultato così tanto e con così tante espressioni colorite, quindi eravamo pari. Credo.

Avevo un paio di sospetti sul perché si stesse comportando in quella maniera, e avevano tutti a che fare con Miss Tre Nomi. Non credete che mi siano sfuggiti i suoi sorrisetti sarcastici mentre parlavo con Percy tramite Messaggio-Iride, come a dire: "sto vincendo".

Stronza.

Comunque, se c'era una persona che era più arrabbiata con Percy di me, questa era probabilmente Annabeth. Non comprendevo nemmeno il suo, di atteggiamento. Sembrava essersi offesa a morte per come Percy mi stava trattando. Lei. Non capivo, davvero, e a quel punto evitavo pure di applicarmi: tanto era inutile.

Volevo solo che tutta quella faccenda della guerra finisse il prima possibile. Non sapevo con precisione che cosa avrei fatto dopo, anche se una parte di me voleva imitare Nico e cercare risposte. Ormai quello in cui il bambino piangeva e la bambina gridava era l'unico sogno che stavo facendo. Era davvero snervante, tanto che dopo un po' avevo iniziato a sospettare che fosse un modo di Era per vendicarsi di come mi ero rivolta a lei l'anno prima. Non sarei rimasta sorpresa. E oltretutto Talia non aveva voluto darmi nemmeno mezza risposta. Ogni volta che provavo ad interrogarla lei interrompeva il Messaggio-Iride. Era una cosa estremamente frustrante.

Un tonfo dalle parti dell'autobus mi strappò dal filo dei miei intricati pensieri. Lanciai un'occhiata in quella direzione e vidi due Lestrigoni che litigavano; si stavano picchiando con due grosse mazze. Be', quello era decisamente il mio momento.

Sfilai il berretto dell'invisibilità di Annabeth dalla tasca dei pantaloni mimetici e me lo ficcai in testa, uscendo allo scoperto. Feci del mio meglio per tenere il mio odore incollato al mio corpo, come mi aveva insegnato Mellie. La ninfa dei venti era stata di grandissimo aiuto: ora riuscivo a padroneggiare meglio le correnti senza che mi sanguinasse il naso due minuti dopo. Mi indeboliva ancora, ma non così tanto.

Passai dietro un gruppo di dracene che assisteva allo scontro tra i due Lestrigoni, infilandomi nella porta posteriore dell'autobus. Grazie al cielo nessuno mi notò.

Salii due gradini e mi affacciai sul corridoio. Alla mia sinistra c'era la porta del bagno; non sapevo quale odore fosse peggio, se il suo o quello dei mostri. Era una bella gara.

Dove cavolo avrei dovuto mettere la bomba? Sotto i sedili non era il caso, perché l'avrebbero vista subito. Forse nel portabagagli? No, avrei dovuto scendere e aprirlo, e mi avrebbero beccata...

«Tra quanto partiamo? Mi sono stufata di aspettare...»

Sobbalzai violentemente, girandomi di scatto. Due Empuse si erano posizionate proprio alle mie spalle, davanti all'entrata dell'autobus. Mi infilai nel minuscolo bagno mentre salivano, il cuore che batteva all'impazzata. Dannazione, c'era mancato poco... e perché quel cesso puzzava così tanto? Di immortales...

«Porta pazienza, Gretchen» disse una delle due.

«Ho voglia di squarciare qualche gola» sospirò l'Empusa di nome Gretchen con una voce sognante che peggiorò la mia nausea. Si fermarono in corridoio, appena sopra di me. «Quelle due zucche vuote dovevano mettersi a litigare proprio adesso... dovevamo fermarci solo cinque minuti!»

Un tonfo fece tremare l'intero autobus. Dovetti appoggiarmi alle pareti per non cadere. L'Empusa di cui non sapevo il nome sbuffò sonoramente. «Forse è meglio se andiamo a separarli... non voglio che questo trabiccolo si ribalti. Siamo così vicini al nostro obbiettivo...»

«Sei matta, Lisa? Mai mettersi tra due Lestrigoni. E' meglio se prendiamo posto prima che salgano, piuttosto. Sai che uno di loro occupa almeno quattro sedili...»

«Già, hai ragione...». Vidi le orrende gambe dell'Empusa comparire davanti agli scalini. «Ehi, tu!»

Mi pietrificai. Per un attimo pensai che mi avesse beccata, e invece sentii una dracena rispondere: «Che vuoi?»

«Tra quanto partiamo?»

«Che ne sssso» sibilò la dracena.

«Un paio di minuti, Lisa» replicò un altro mostro che non riuscivo a vedere «sono riusciti a separare i Lestrigoni»

Miei dei. Dovevo darmi una mossa.

Mi guardai in giro, scannerizzando il piccolo bagno. Avrei potuto nascondere la bomba proprio lì, ma dove? Il lavandino era minuscolo ed era incastonato in una rientranza sulla parete. Il cestino era aperto ed era strapieno di carta macchiata di liquidi di colore strano -non ci avrei infilato le mani nemmeno pagata. Nella tazza del water c'era l'acqua, e Beck mi aveva sconsigliato di immergere la bomba. L'unica alternativa che avevo era piazzarcela proprio dietro, sperando che non si vedesse.

Mi accucciai vicino al lurido oggetto, sopprimendo a fatica un conato di vomito. Dei, che tanfo pestilenziale... certo che potevano pulire, una volta ogni tanto...

Tirai fuori la bomba dal sacchetto. Era una piccola ampolla sigillata; al suo interno, il liquido verde era talmente denso che si muoveva appena. Era avvolta in dei cavi bluastri. Vicino al tappo c'era un timer con tre bottoni: quello verde la accendeva, quello nero settava il timer, e quello giallo la faceva esplodere immediatamente.

Evitai come la peste quello giallo. Accesi la bomba e gli diedi un conto alla rovescia di dieci minuti, come mi aveva fatto vedere Beck. Poi mi frugai in tasca e tirai fuori il nastro isolante che mi aveva dato, incollando la bomba al retro della tazza del water.

La tensione stava rischiando di farmi soffocare -per non parlare di quell'olezzo insopportabile. Mi alzai in e cacciai con cautela la testa fuori dal bagno; per fortuna la via era libera. Mi fiondai fuori dall'autobus e mi allontanai a passo rapido, mettendomi a correre alla massima velocità quando raggiunsi una certa distanza.

Perth Amboy era una piccola cittadina poco trafficata del New Jersey. Bastava attraversare l'Outerbridge Crossing per arrivare a Staten Island, New York. Secondo i miei calcoli, l'autobus dei mostri sarebbe esploso giusto un paio di minuti prima di trovarcisi sopra. Almeno, quella era la mia speranza.

Per un attimo contemplai la possibilità di raggiungere Beck e Percy; si stavano allenando lì vicino. Sinceramente Percy mi mancava tantissimo, ma non avevo molta voglia di vederlo. Decisi quindi di appostarmi nei pressi dell'Outerbridge Crossing per assistere all'esplosione. Ero certa che avrei visto qualcosa a riguardo nelle TV locali, ma volevo godermi lo spettacolo in prima linea -cioè, a debita distanza di sicurezza. Stando a Beck, le bruciature da fuoco greco erano le peggiori in assoluto.

Non dovetti aspettare molto. Appena un centinaio di metri prima del ponte ci fu un boato assordante: guardai con una certa soddisfazione la colonna di fuoco e fumo che si sollevava verso l'alto. Dei, a Beck sarebbe piaciuto vederlo. «Missione compiuta» borbottai con un sorriso. Era tempo di ritornare al Campo.

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