43. Non siete pronti


Mi rifiutai di accettare l'idea che Silena potesse morire. Non volevo perdere un'altra amica in quella stupida guerra. Scossi la testa, le lacrime che mi riempivano gli occhi e mi offuscavano la vista. Doveva esserci qualcosa che potevamo fare. Qualsiasi cosa.

«Che ti è saltato in mente?!»

Clarisse si posò la testa di Silena in grembo. Lei cercò di deglutire, ma aveva le labbra secche e screpolate. «Non mi avrebbero... ascoltato. I ragazzi avrebbero seguito... solo te»

«Così mi hai rubato l'armatura!» esclamò Clarisse, incredula «Hai aspettato che io e Chris uscissimo in pattuglia, mi hai rubato l'armatura e hai finto di essere me!». Scoccò un'occhiata torva ai suoi fratelli. «E NESSUNO di voi se n'è accorto?»

I ragazzi di Ares mostrarono un improvviso interesse per i propri anfibi. «Non prendertela con loro» disse Silena «volevano... volevano credere che fossi tu»

«Tu, stupida figlia di Afrodite» singhiozzò Clarisse «hai attaccato un dragone! Perché?»

«È tutta colpa mia» rispose Silena, con una lacrima che le scorreva sul viso «il dragone, la morte di Charlie... il Campo in pericolo...»

«Smettila» le dissi «non è vero»

Silena aprì una mano. Nel palmo c'era un braccialetto d'argento con un ciondolo a forma di falce: il simbolo di Crono.

Mi si rivoltò lo stomaco. Chiusi brevemente gli occhi, cercando di levarmi quell'immagine dalla testa. Ecco perché mi aveva rivolto tutte quelle strane domande, l'anno scorso. Perché Silena era la spia. «Allora eri tu» disse piano Percy.

Silena cercò di annuire. «Prima che... prima che mi piacesse Charlie, Luke era stato carino con me. Era così... affascinante. Bello. In seguito avrei voluto smettere di aiutarlo, ma lui minacciò di dirlo. Mi giurò... mi giurò che stavo salvando delle vite. Che meno persone avrebbero corso dei rischi. Mi disse che non avrebbe fatto del male a... a Charlie. Mi ha mentito»

Nessuno parlò o si mosse. Alle nostre spalle infuriava ancora la battaglia. Clarisse redarguì i suoi fratelli. «Via, andate ad aiutare i centauri. Proteggete l'ingresso. FILATE!»

I ragazzi corsero a eseguire l'ordine. Silena esalò un respiro profondo e sofferto. «Perdonatemi, io...». I suoi occhi azzurri mi inchiodarono al terreno. «Avrei voluto essere... un'eroina giusta, come te... mi dispiace tanto... sto avendo quello che mi merito...»

Scossi la testa, asciugandomi le lacrime. «Non dire così, Silena» mormorai «tu non morirai, mettitelo bene in testa»

«Sì! Non morirai!» insisté Clarisse.

«Charlie...» mormorò lei. Aveva lo sguardo vitreo, fissato su qualcosa che non riuscivo a vedere.

«Rimani con noi» la supplicò Clarisse piangendo.

«C'è Charlie...» ripetè Silena con un filo di voce.

«Mi sa che è arrivato il momento» mormorò uno dei fratelli di Clarisse «ha le allucinazioni...»

«Ehm... io non credo...» disse Chris. Indicò qualcosa alle mie spalle.

Mi voltai di scatto. C'era un semidio in armatura greca che correva disperato verso di noi: tra le mani teneva un'ampolla di liquido ambrato. Il cuore mi balzò in gola con un battito così violento da farmi mancare il respiro, e un sorriso mi si aprì sulle labbra.

«Ma quello è...» disse Annabeth con un filo di voce.

«Beckendorf?!» esclamò Clarisse, incredula.

Beck ci raggiunse di corsa. Aveva un aspetto assolutamente fantastico: sembrava estremamente riposato, e non aveva nemmeno un graffio. «Fate spazio» ci disse con una certa urgenza.

Io e Annabeth ci spostammo, e Beck si inginocchiò in mezzo a noi. Silena tese le braccia verso di lui. «Charlie... s-sei... sei...»

«Shhht» mormorò lui. La prese tra le braccia; stappò l'ampolla usando i denti, e sputò lontano il tappo. «Va tutto bene, piccola» la rassicurò. Gliela accostò alla bocca. «Sono qui. Bevi. Vedrai che starai meglio»

Silena obbedì, tracannando la mistura ambrata. «Che cos'è quella roba?» gli chiesi.

«Non ne ho idea» confessò Beck «me l'ha data... ehm... ti spiego dopo»

«Be', sono felice che tu possa farlo» gli dissi «bentornato, Beck. Hai fatto la scelta giusta»

Lui mi guardò. Sembrò spiazzato per una manciata di secondi: probabilmente si chiese come facevo a sapere dove si trovava. Ma poi mi sorrise. Nel frattempo, Silena aveva finito di bere la mistura. Mi sembrò che le ustioni stessero lentamente migliorando. «Qualunque cosa sia, sta funzionando» fece Annabeth meravigliata.

«Portala all'Empire State Building, deve riposarsi» gli disse Percy. Gli battè una mano sulla spalla. «Felice di rivederti, amico»

«E' lo stesso per me» fece lui. Prese Silena in braccio e si alzò in piedi. Lo guardammo montare su una delle bighe e allontanarsi in fretta.

«Va bene, ragazzi» dissi, alzandomi in piedi «è ora di mettersi all'opera. Sei dei nostri, Clarisse?»

Lei raccolse una spada da uno dei suoi fratelli caduti. «Puoi contarci, Parafulmini».

Clarisse fu una vera benedizione, mi toccò ammetterlo. Fu lei ad allontanare i nemici dalle porte dell'Empire State Building: persino senza lancia né armatura era un demonio. Si tuffò con la biga in mezzo all'esercito dei Titani, schiacciando qualunque cosa incontrasse sul suo cammino. Guardando lei, perfino i centauri più terrorizzati cominciarono a rianimarsi. Le Cacciatrici racimolarono le frecce dei caduti e scagliarono una raffica dopo l'altra contro il nemico. La casa di Ares menava colpi e fendenti a più non posso, cosa in cui riuscivano benissimo, visto che era la loro passione.

I mostri si ritirarono verso la Trentacinquesima. Clarisse accostò la biga alla carcassa del dragone e l'agganciò, facendo passare un rampino fra le orbite vuote. Frustò i cavalli e ripartì, trascinandosi dietro le spoglie del mostro come un drago del capodanno cinese. Inseguì il nemico a tutta birra, strillando insulti e sfidandoli a battersi con lei. Mi accorsi che stava letteralmente brillando, circondata da un'aura di fuoco rosso acceso. «La benedizione di Ares» disse Talia «non l'avevo mai vista dal vivo prima d'ora»

Al momento, Clarisse era invincibile quanto Percy. Il nemico scagliava lance e frecce, ma niente la colpiva. «IO SONO CLARISSE, L'AMMAZZA-DRAGONI!» urlava «Vi ucciderò TUTTI! Dov'è Crono? Tiratelo fuori! È un codardo?»

«Clarisse!» gridò Percy «Basta! Torna qui!»

«Che ti prende, Signore dei Titani?» continuò lei «FATTI SOTTO!»

Non ci furono risposte dal nemico. Lentamente, cominciarono a ripiegare protetti da uno scudo di dracene, mentre Clarisse cavalcava in cerchio attorno alla Quinta Strada, sfidando chiunque a battersi. La lunghissima carcassa del dragone produceva un suono cupo e stridulo, come un migliaio di coltelli sul selciato. Nel frattempo noi ci occupammo dei feriti, trasportandoli nell'atrio del palazzo.

Molto dopo che il nemico si fu ritirato oltre la visuale, Clarisse continuava a correre su e giù con il suo raccapricciante trofeo, sfidando Crono a duello. «Baderò io a lei» disse Chris «alla fine si stancherà e la convincerò a entrare»

«E il Campo?» chiesi «C'è rimasto qualcuno?»

Chris scosse la testa. «Solo Argo e gli spiriti della natura. Peleo fa ancora la guardia all'albero»

«Non resisteranno a lungo» commentò Percy «ma siamo contenti che siate venuti»

«Altrochè» confermai io.

Chris annuì mestamente. «Mi dispiace di averci messo così tanto. Ho cercato di far ragionare Clarisse. Le ho detto che non aveva senso difendere il Campo se voi morivate. Tutti i nostri amici sono qui»

«Le mie Cacciatrici vi aiuteranno a fare la guardia» intervenne Talia «Lexy, sali sull'Olimpo con Annabeth e Percy. Ho la sensazione che lassù avranno bisogno di voi... per allestire la difesa finale»

Il portiere era scomparso. Il suo libro era posato a faccia in giù sul bancone e la sedia era vuota. Il resto dell'atrio, tuttavia, era affollato di semidei, Cacciatrici e satiri feriti. Connor e Travis ci vennero incontro agli ascensori. «È vero?» chiese Connor «hanno detto che Beckendorf è tornato»

«Sì, è vero» confermai. Mi guardai in giro: lo individuai in un angolo dell'atrio. «E' là» aggiunsi, indicandoglielo.

«Forte!» esclamò Travis «E... ehm... abbiamo sentito che Silena... be'...»

«Silena si è battuta con grande coraggio» replicai con ferocia «ed è un'eroina. Ci siamo capiti?»

Connor e Travis annuirono, a disagio. «Forte e chiaro» disse il primo.

«Sentite, pensiamo che l'esercito dei Titani avrà dei problemi con l'ascensore» intervenne Percy, cambiando argomento «dovranno salire un po' alla volta. E i giganti non c'entreranno mai»

«È il nostro vantaggio maggiore» concordai «c'è un modo per disattivare l'ascensore?»

«È magico» rispose Travis «di solito serve una tessera magnetica per azionarlo, ma il portiere è svanito. Questo significa che le difese stanno cedendo. Adesso, chiunque può entrare e salire fino in cima»

«Allora dobbiamo tenerli alla larga dall'ingresso» osservò Percy «li bloccheremo nell'atrio»

«Ci servono rinforzi» disse Travis «continueranno ad arrivare. Alla fine saremo sopraffatti»

«Non ci sono rinforzi» gemette Connor.

«Forse sì» esclamò Percy.

Lo guardai uscire, avvicinandosi alla signora O'Leary. Le mise una mano sul muso. Chirone le aveva bendato la zampa, ma zoppicava ancora. Aveva la pelliccia sporca di fango, foglie, fette di pizza e sangue secco di mostri. Percy si sporse verso di lei e le sussurrò all'orecchio. Dopodichè, la signora O'Leary partì per un altro viaggio nell'ombra.

Percy rientrò e ci raggiunse. «Dove l'hai mandata?» gli domandai mentre andavamo verso gli ascensori.

«Te lo dico dopo» mi rispose «ehi, ma quello è Leneo?»

Mi girai per guardare dove stava indicando. Grover era inginocchiato accanto a lui. Il vecchio satiro era in pessimo stato. Aveva le labbra blu. Una lancia spezzata gli spuntava dallo stomaco e le zampe caprine erano piegate in una dolorosa angolatura. Cercò di metterci a fuoco, ma non credo che ci vide. «Grover?» mormorò.

Grover tratteneva a stento le lacrime, nonostante tutte le cose orribili che il vecchio satiro aveva detto sul suo conto. «Sono qui, Leneo»

«Abbiamo... abbiamo vinto?»

«Ehm... sì» mentì Grover «grazie a te, Leneo, abbiamo scacciato il nemico»

«Te l'avevo detto» borbottò il vecchio satiro «un vero leader. Un vero...»

Chiuse gli occhi per l'ultima volta. Grover singhiozzò. Posò una mano sulla fronte di Leneo e pronunciò un'antica benedizione. Il corpo del vecchio satiro si sciolse, finché non rimase altro che un piccolo alberello su un mucchietto di terra fresca. «Un lauro» esclamò Grover sbigottito «oh, quel vecchio caprone fortunato...». Raccolse l'alberello fra le mani. «Do... dovrei piantarlo. Sull'Olimpo, nei giardini»

«Stiamo andando proprio là» disse Percy «vieni»

L'ascensore salì al suono di un motivetto insipido. Mi addossai alla parete, sospirando. «Percy» disse Annabeth sottovoce «avevi ragione sul conto di Luke»

Teneva gli occhi fissi sui piani dell'ascensore, seguendo i numeri magici in salita: 400, 450, 500. Io, Percy e Grover ci scambiammo uno sguardo. «Annabeth» disse piano Percy «mi dispiace...»

«Tu hai provato ad avvertirmi». Le tremava la voce. «Luke è un poco di buono. Non ci credevo finché... finché non ho sentito come ha usato Silena. Ora lo so. Spero che tu sia contento»

«No che non lo sono» borbottò Percy.

Grover si strinse con delicatezza l'arboscello di lauro fra le mani. «Be'... è bello essere di nuovo insieme. Litigare. Rischiare una morte quasi certa. Essere terrorizzati...»

«La solita vecchia pacchia, insomma» feci io.

Grover mi strizzò l'occhio. «Oh, guardate. È il nostro piano. Siamo arrivati».

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