23. L'Olimpo
Io e Percy sbucammo a Central Park. Fermammo un taxi e percorremmo la Quinta Strada con la signora O'Leary alle calcagna. Mi chiesi cosa i mortali vedessero al suo posto. «Forse è meglio se provi di nuovo a chiamare Annabeth» dissi a Percy.
Lui annuì, tirando fuori il cellulare della madre. Appena usciti dagli inferi avevamo provato a chiamare la nostra amica, ma non ci aveva risposto. Pregai che fosse perché si stavano preparando. «Annabeth, dove siete?» lo sentii chiedere. Scostò il cellulare dall'orecchio e mise il vivavoce.
«Stiamo arrivando, come ci avete chiesto» rispose lei «siamo quasi all'altezza del tunnel fra il Queens e Midtown. Mi dite cosa avete in mente? Abbiamo lasciato il Campo praticamente indifeso, e-»
«Devi fidarti di noi. Ci vediamo là» tagliò corto Percy, riattaccando.
Lo osservai con attenzione. Sembrava agitato: le mani gli tremavano. «Ti senti bene?» gli domandai.
Lui sospirò profondamente, poi annuì. «Sono un po' agitato» rispose «spero che il piano funzioni»
«Funzionerà» cercai di rassicurarlo, anche se nemmeno io ero troppo convinta. C'erano troppe cose che potevano andare male, ma era meglio se non glielo dicevo.
Percy non rispose, ma mi prese la mano e non me la lasciò finchè non arrivammo all'Empire State Building, nel tardo pomeriggio.
La signora O'Leary saltellava su e giù per la Quinta Strada, leccando i taxi e annusando le bancarelle degli hot dog. Nessuno sembrava accorgersi di lei, anche se la gente si scostava o faceva un'espressione confusa ogni volta che si avvicinava.
Percy la richiamò con un fischio quando tre furgoni bianchi accostarono al marciapiede. Sulla fiancata avevano tutti scritto SERVIZIO FRAGOLE DI DELFI, ovvero il nome di copertura del Campo Mezzosangue. Alla guida del primo furgone c'era Argo, mentre al volante degli altri due c'erano delle arpie. Gli sportelli si aprirono e scese un gruppetto di ragazzi, alcuni con la faccia verdognola per il viaggio agitato. Ero felice che fossero venuti in tanti: Polluce, Silena, i fratelli Stoll, Michael, Jake, Katie, Mitchell e Annabeth, insieme alla maggior parte dei loro fratelli.
Chirone scese dall'ultimo furgone. La sua metà equina era compressa all'interno della sedia a rotelle magica, perciò usò la rampa per disabili. Prevedibilmente, non c'era nessuno della casa di Ares. Avevo ragione: a Clarisse non sarebbe passata con facilità. Avremmo fatto fatica senza la sua casa, ma contai quaranta ragazzi in tutto: un buon numero. Sembravano tutti nervosi, e li capivo. Probabilmente emanavamo una tale quantità di aura semidivina che tutti i mostri nel Nordest del paese sapevano dove eravamo.
Annabeth ci venne incontro. Indossava una mimetica nera, con il coltello di bronzo celeste legato al braccio e la borsa del computer a tracolla. Mi passò la tuta mimetica che aveva prelevato nella mia Cabina prima di abbracciarmi. «Siamo qui. Allora, che succede?»
Salii sul furgone per cambiarmi più velocemente possibile mentre Percy spiegava agli altri che cosa avremmo dovuto fare. Quando finii, Chirone gli stava stringendo la mano in segno di saluto. Girò il volto verso di me e mi rivolse un sorriso. «Lascio tutto nelle mani tue e di Percy» mi disse.
«Non vieni con noi?»
«No, mia cara. Ho altre questioni da sbrigare, ma sono certo che ve la caverete egregiamente anche senza di me»
«Allora andiamo» annunciò Percy.
Mi sporsi e abbracciai brevemente Chirone prima di seguire gli altri nell'Empire State Building.
Una guardia di sicurezza era seduta dietro il bancone dell'atrio. Stava leggendo un librone nero con un fiore sulla copertina. Sollevò appena lo sguardo quando entrammo tutti insieme, con un gran clangore di armi e armature. «Gita scolastica? Stiamo per chiudere»
«No, seicentesimo piano» rispose Percy.
L'uomo ci squadrò. «Non c'è nessun seicentesimo piano, ragazzo». Lo disse come se fosse una battuta di rito alla quale non credeva. «Circolare!»
Mi sporsi sul bancone. «Una quarantina semidei attirano una bella quantità di mostri. Dubito che tu voglia lasciarci tutti qui nell'atrio a far niente, amico»
La guardia sgranò gli occhi. Poi premette un pulsante sonoro e la porta di sicurezza si aprì. «Sbrigatevi»
«Non vorrà farci passare al metal detector, spero» fece Percy.
«Ehm, no» confermò lui «l'ascensore a destra. Conoscete la strada, immagino»
Percy gli lanciò una dracma d'oro, e marciammo dentro.
Stabilimmo di salire in due viaggi. Percy andò con il primo gruppo, e io con il secondo. Aspettammo pazientemente che l'ascensore tornasse giù e ci infilammo dentro. La musica di sottofondo mandava "Stayin' Alive". «Gli dei devono avere un gran senso dell'umorismo» disse Mitchell.
«Mi gioco la faretra che questa è opera di papà» intervenne Michael.
«Chissà perché non sono stupita» borbottai, alzando gli occhi al cielo.
Le porte dell'ascensore si aprirono con un "ding". Percy e gli altri ci aspettavano lì davanti. Di fronte a noi, un vialetto di pietre fluttuanti avanzava fra le nuvole in direzione del Monte Olimpo, sospeso nell'aria a quasi duemila metri di altezza sopra Manhattan.
Le ville che scintillavano bianche e dorate sui fianchi della montagna. I giardini che fiorivano su un centinaio di terrazze. Il fumo aromatico che saliva dai bracieri lungo il ciglio sinuoso delle strade. E, sulla vetta innevata, c'era la residenza degli dei. Il palazzo sembrava più maestoso che mai. A guardarlo così, l'Olimpo sembrava non aver niente di strano.
Si intuiva che qualcosa non andava dalla totale mancanza di suoni. La montagna era muta: non c'era musica, non c'erano voci, non c'erano risate.
«Sembra un villaggio fantasma» commentò Katie.
«Sì... mette un po' i brividi...» concordò Jake.
Attraversammo il ponte celeste e ci addentrammo nelle strade dell'Olimpo. Le botteghe erano chiuse. I parchi vuoti. Un paio di muse sedevano su una panchina a strimpellare la lira, ma con scarso entusiasmo. Un ciclope solitario spazzava la strada con una quercia divelta. Un dio minore ci vide dal balcone e si ritirò chiudendo subito le persiane. Passammo sotto un grande arco di marmo con le statue di Zeus e di Era ai lati. Annabeth fece una smorfia alla vista della regina degli dei. «La odio» mormorò.
«Altra cacca di mucca?» le domandai.
«Cacca di mucca?» ripetè Percy confuso.
Annabeth sospirò. «Il suo animale sacro è la vacca» gli spiegò «così mi ha messo le vacche contro. Mi lasciano dei regalini dappertutto: in cortile, sul marciapiede, nei corridoi della scuola. Devo stare attenta a dove metto i piedi»
«Guardate!» gridò Polluce, indicando l'orizzonte «Cos'è quello?»
Restammo tutti di sasso. Delle scie di luce azzurra striavano il cielo della sera in direzione dell'Olimpo, come piccole comete. Sembravano provenire da ogni angolo della città, e puntavano senza ombra di dubbio verso la montagna. Avvicinandosi, svanivano sfrigolando nel nulla. Restammo a guardarle per diversi minuti e ci rendemmo conto che non sembravano arrecare danni, però era comunque strano. «Sono come gittate a infrarossi» mormorò Michael «ci stanno prendendo di mira»
«Andiamo a palazzo» propose Percy.
Nessuno faceva la guardia alla residenza degli dei. Le porte d'oro e d'argento erano spalancate. I nostri passi rimbombarono quando entrammo nella sala del trono.
Sopra le nostre teste, altissimo, il soffitto blu scintillava di costellazioni. Dodici troni giganti erano disposti a U attorno a un grande fuoco centrale. In un angolo, una sfera d'acqua grossa quanto una casa era sospesa nell'aria, e al suo interno nuotava l'Ofiotauro. "MUUU!" ci salutò contento, volteggiando in cerchio.
«Ciao, bello» lo salutò Percy «ti trattano bene?»
"MUUU" rispose Bessie.
Mentre ci avvicinavamo ai troni, una voce femminile disse: «E così ci rivediamo. Salve. Tu e i tuoi amici siete i benvenuti»
Estia era in piedi accanto al fuoco, a ravvivare le fiamme. Indossava un semplice abito marrone come la volta prima, solo che adesso era una donna adulta. Io e Percy ci inchinammo. «Divina Estia»
I nostri amici ci imitarono. Estia studiò Percy con lo sguardo. «Vedo che hai messo in atto il tuo piano. Hai assunto il peso della maledizione di Achille»
Gli altri ragazzi cominciarono a mormorare: «Che ha detto? Che c'entra Achille?»
«Sei riuscita a riportarlo a riva, Alexandra. Sei stata molto brava»
Chinai il capo. Ad essere onesta, era una cosa di cui andavo molto fiera. Non avevo idea di come avessi fatto: semplicemente mi ero concentrata su Percy, su ciò che provavo per lui, esattamente come aveva detto Nico. L'avevo trovato che stava annegando nel laghetto delle canoe. Mi ero immersa, l'avevo rimesso in piedi e gli avevo chiesto di tornare con me a riva. Lui aveva accettato. Tutto lì. «Grazie, Divina Estia»
Lei mi sorrise, poi si rivolse a Percy. «Sii prudente» lo avvisò «hai ottenuto molto nel tuo viaggio. Ma sei ancora cieco alla verità più importante. Forse ti conviene dare una sbirciatina»
«Ehm... di cosa sta parlando?» mi domandò Annabeth.
Non feci in tempo a rispondergli. Percy, di fianco a me, barcollò improvvisamente e quasi cadde a terra. Lo afferrai prontamente per un braccio, rimettendolo in piedi. «Ehi, che succede?»
«Per quanto tempo sono rimasto incosciente?» mormorò.
Aggrottai la fronte. «Che cavolo stai dicendo? Hai guardato Estia e sei quasi caduto. Non hai perso conoscenza». Guardai la dea. «E' opera sua?»
Estia si limitò a sorridermi. Percy si raddrizzò e si schiarì la gola, vagamente a disagio. «Ehm... noi siamo venuti qui per una questione urgente, divina Estia. Dobbiamo assolutamente vedere-»
«Lo sappiamo» disse una voce maschile.
Un dio comparve subito dopo, scintillando al fianco di Estia. Indossava una divisa da pilota dell'aeronautica, con delle piccole ali piumate che palpitavano sul casco e sugli stivali di pelle nera. Appoggiato sul braccio portava un lungo bastone con due serpenti vivi intrecciati. E non sembrava molto felice.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top