Valentina

Erano ore che se ne stava chiusa in quella stanza, sdraiata sul letto a guardare il soffitto. Non poteva scrollare il suo Instagram, né farsi una bella chiacchierata con la sua migliore amica, che ne aveva cose da raccontarle. Anche le giornate in giro con sua madre iniziavano a mancarle, comprese le ramanzine.
Si chiese se i rapitori avessero consegnato il top a suo padre, seguendo il "consiglio" che gli aveva dato.

Di sicuro papi sarà andato su tutte le furie. Se gli hanno consegnato il top, manca davvero poco perché io torni a casa.
Un leggero sorriso si disegnò sulle sue labbra, subito cancellato da una smorfia di dolore causata dal brontolio del suo stomaco. Ripensò al profumo del cibo che aveva invaso l'ingresso della casa, lì dove si apriva un ampio spazio che fungeva da salotto con annessa spaziosa cucina. Avrebbe voluto accettare l'offerta, ma era così scazzata che non aveva voluto dare alcuna soddisfazione al tizio che occupava quella parte della grande casa.
Così aveva deciso di declinare la proposta di consumare un pasto insieme e di chiudersi di nuovo in camera.
Ora però non le sembrava più di aver fatto la scelta giusta. Si sedette, con le gambe al lato del letto, e ci mise un po' prima di decidersi a uscire e provare a vedere se era rimasta qualcosina da mettere sotto i denti. Sperò di non dover chiedere nulla a nessuno e di trovare ciò che le serviva a portata di mano. Non che si sentisse minacciata dal tizio, ma neanche riusciva a scambiarci più parole del dovuto.

Non si poteva certo dire che fosse timida con i ragazzi, ma c'era qualcosa in lui che la faceva sentire insicura; forse i suoi occhi scurissimi, talmente rari da sembrare quasi colorati da lenti apposite. Oppure, magari, era solo incuriosita da lui perché tanto diverso dai ragazzi che frequentava di solito.
Era sempre molto selettiva nella scelta degli uomini: dovevano somigliare a suo padre, ma non troppo. Le piacevano le bellezze mediterranee e che avessero uno status importante. Quello lì, invece, sembrava un tipo fin troppo semplice, che conduceva una vita discutibile, aveva amici ancor peggiori e, con molta probabilità, l'unico modo in cui si guadagnava da vivere era illegale.
Ma sì, certo. Non è ovvio? Sarà uno di quelli lì. Sospirò e decise che avrebbe scelto con cura le parole da usare con lui e che, possibilmente, sarebbero state anche poche.
Aprì la porta.

Lui era lì, a qualche passo di distanza, già con lo sguardo rivolto verso di lei.
Ancora una volta Valentina sentì lo stomaco brontolare, ma la sensazione era diversa da quella di pochi istanti prima. Cos'ha da guardare? Sollevò appena le spalle e senza muoversi esordì con un: «Ho fame», sintetica.
Ne seguì un botta e risposta che le fece storcere il naso. Lui ribadì il concetto che non aveva molta scelta, se non fare come le veniva detto e questo la infastidì davvero tanto. Mai nessuno in vita sua, oltre a suo padre, le aveva imposto di fare una cosa o l'altra; e neanche a quest'ultimo era andata così liscia, dal momento che l'unica cosa che era mai riuscito a imporle era il corso di studi da frequentare, che lei comunque snobbava ad ogni discussione.

Diego si era avvicinato un po' di più e le sembrò di avere la gola prosciugata, incapace di emettere qualunque suono. I loro occhi si sfidavano a suon di sguardi penetranti. Incrociò le braccia, nella vana speranza di nascondere l'imbarazzo che sentì bloccarle il respiro.

«Ho lasciato qualcosa da mangiare sul tavolo», le indicò lui con un cenno del capo.

Finalmente poteva interrompere quel momento così strano. Fece per raggiungere il tavolo, ma la mano ferma di Diego le impedì di procedere. Sentì il suo calore passare attraverso il tessuto della maglia e un brivido le corse lungo la schiena.

«Non sarò così gentile la prossima volta. Si mangia quando si mangia.»

Anche il tono della sua voce le provocava una sensazione alla bocca dello stomaco.
Che cazzo mi prende? Sei stupida o cosa, Valentina? Dovrebbe sentirsi lui in imbarazzo, non tu! Fece saettare lo sguardo qua e là sul suo viso. E non guardarlo così, altrimenti chissà cosa si crede. Perché gli guardi la bocca? Smettila!  Si umettò le labbra in cerca di qualcosa da dire, con la salivazione ormai ai minimi termini, e alla fine si liberò con uno strattone. «La tua arroganza è superiore solo alla tua... – bellezza? – al tuo... – fascino? – Lascia stare», concluse infine. Ma che cazzo! Era la prima volta che non riusciva ad avere la risposta pronta e si sentì più vulnerabile che mai. Persino con Miguel aveva agguantato lo slancio per ritrovarsi al di sopra di ogni ragione, mentre adesso faticava anche a trovare una singola, dannata, misera parola.

«Pensala come vuoi, ma la cosa non cambia.» Si fece ancora più vicino e il silenzio piombò su di loro. Diego emise un grosso respiro e il suo petto, più gonfio, attirò lo sguardo di Valentina, che pronto lo rialzò nei suoi occhi, chiedendosi se lui avesse notato quel piccolo incidente di percorso.
Anche lui si umettò le labbra e calò le palpebre di quei pochi millimetri che fanno la differenza tra uno sguardo normale e uno più intenso.

Ancora? Cosa mi prende? Tutt'a un tratto si rese conto di star fantasticando su quelle sue labbra carnose, immaginò le sue mani sul proprio corpo e sentì tutto il sangue fluire verso il viso. Pregò di non essere arrossita e nel tentativo di distrarlo, nell'eventualità che fosse accaduto, aprì la bocca per parlare; ma ci pensò il cellulare di Diego a stemperare la tensione.

Senza staccarle gli occhi di dosso tirò fuori il rumoroso aggeggio, che riproduceva la musica di un pezzo dei Meduza come suoneria, e rispose alla telefonata.
Beh, forse non è tutto da buttare. Pensò, sorpresa dal fatto che anche lui ascoltasse uno dei suoi gruppi musicali preferiti.
Lo guardò allontanarsi, mentre parlava al cellulare col tizio che aveva solo sentito nominare in una chiacchierata fra Diego e il suo amico con la faccia da fesso, probabilmente fatto di una qualche sostanza che gli creava uno stato di allegria perenne.

Si domandò chi fosse questo Arturo e perché aveva rapito proprio lei; cosa voleva da suo padre e, soprattutto, lo aveva mai conosciuto di persona? Ripensò rapidamente agli ultimi avvenimenti che avevano composto le giornate della sua vita, ma ebbe scarsi risultati.
Riuscì a tirare fuori dalla nebbia mentale un solo ricordo: Una carezza le sfiorava la fronte, per poi scendere lungo il collo e, in ultimo, un distacco che le fece sentire un brivido di freddo; con gli occhi a fessura e ancora intontita, aveva visto qualcuno allontanarsi. Diego stava lasciando la stanza.

Ancora una volta, l'affluenza di sangue verso la parte superiore del copro le fece sentire le guance andare a fuoco. Perché l'ha fatto? Non riusciva a spiegarsi tanta premura da parte di uno che neanche la conosceva e che, per giunta, l'aveva rapita senza farsi alcuno scrupolo.

Diede un morso al panino, poi tornò a voltarsi verso la porta che lui si era chiuso dietro.
L'esigenza di avere delle risposte si faceva sempre più pressante, così decise al volo di rischiare e avvicinarsi per origliare la loro conversazione. Purtroppo però, non riuscì a capire granché. Ebbe solo la conferma che volevano qualcosa da suo padre e che lui era stato aggiornato del suo rapimento. L'unica cosa che le fece davvero male constatare fu che nonostante lui sapesse che fosse stata rapita, non era ricorso subito a ogni mezzo per riportarla a casa.

Diego si avvicinava alla porta e lei si fece trovare a curiosare in giro in tutta tranquillità. Fu poi una frenata brusca a destabilizzarla, così si affrettò a raggiungerlo.
«Chi è? Il tuo amico con la faccia da ebete?» chiese riferendosi a Salvatore.
Le labbra di Diego si curvarono in un sorriso appena accennato e lei non poté evitare di fare lo stesso. Perché mi sorride così? Accidenti a lui! Lo guardò di nuovo e si rese conto che non le aveva tolto gli occhi di dosso neanche per un istante. Che stupida. Chissà ora cosa si metterà in testa. Avrebbe voluto fugare subito ogni dubbio, magari dandogli uno spintone o rivolgendogli uno dei suoi sguardi assassini, ma non ne ebbe il tempo, perché un energumeno fece il suo ingresso in casa e lei, spaventata, si nascose dietro di lui, che la guardò disorientato.
Di nuovo i suoi occhi addosso le crearono un subbuglio dentro.

Quando l'uomo palesò l'intenzione di Diego di allontanarsi dalla casa per un po', a Valentina prese il panico. «Tu cosa?» lo tirò per la felpa.
Ne seguì un altro botta e risposta che la lasciò interdetta, ancora una volta.
Certo, che differenza faceva se c'era lui oppure no? D'altronde non era suo amico, ma solo il suo carceriere e, come tale, uno valeva l'altro.
Che se ne vada al diavolo! Girò i tacchi e se ne tornò in camera, lasciando i due a discutere di cose che non capiva e che a questo giro neanche le importavano.

«Se ne va e mi lascia sola con quello lì. Ma sì, chi se ne frega! Vai pure, cosa m'importa.» Fece avanti e indietro per la stanza, nervosa per la situazione, confusa per i sentimenti contrastanti che provava e anche per la rabbia nei confronti di suo padre che la sapeva in mano a quei tizi poco raccomandabili e non aveva ancora fatto nulla. Che vadano tutti al diavolo!
Si tuffò sul letto e quando sentì la macchina di Diego lasciare la casa diede un pugno al materasso. Questa me la pagherai.
Una rabbia inspiegabile le montò dentro, riversando su di lui tutta la sua frustrazione.

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