Valentina

Chiusa nella sua camera, in un lussuoso appartamento al quarto piano di un palazzo a Chiaia, uno dei quartieri più chic di Napoli, Valentina era al telefono con la sua migliore amica Teresa.
Presa dalla disperazione, si lasciò cadere sul letto e si posò una mano sulla fronte.
«Terry, conosci mio padre. Non posso semplicemente dirgli di voler andare via e aspettarmi che non faccia opposizione.» Sbuffò l'aria verso il soffitto e continuò: «Poi stiamo parlando dell'Argentina, mica dietro l'angolo?»

Con una voce già assonnata, nonostante fossero solo le nove di sera, e tra uno sbadiglio e l'altro, Teresa rispose: «Scusami, stanotte ho dormito pochissimo. Ho un esame fra due giorni e non credo di essermi preparata a sufficienza» sbadigliò ancora. «Riguardo al discorso di prima: è un padre ed è anche napoletano. Se Simone sarà come lui, con i nostri figli, lo amerò ancora di più. Il mio con me ha fatto schifo.»

Valentina si mise seduta. «Hai ragione, non dovrei lamentarmi, soprattutto con te.»

«Ma no, neanche mi cruccio più per quello. Piuttosto – incalzò con ritrovato entusiasmo – come vanno le lezioni di tango con Miguel?»

Valentina tornò a tuffarsi sul morbido copriletto. «Ultimamente è più insistente del solito. Sarà perché la data della partenza si avvicina.»

«Valentinà?» Si sentì chiamare alla porta.

«Sì, maman¹?» Si mise in piedi e corse ad aprire.

La donna le sorrise con dolcezza. I suoi capelli color miele legati in un morbido chignon e un tubino semplice di cotone, le donavano un tocco di classe d'altri tempi. «Valentinà, tuo padre sta per uscire – disse con il suo accento francese – non volevi parlare con lui?»

«È la tua occasione. Ah! E saluta Céline da parte mia» parlò Teresa all'orecchio al quale teneva appoggiato il cellulare.

Lei strizzò l'occhio in corrispondenza dello stesso e, quando sua madre la guardò interrogativa, sorrise e l'aggiornò: «Terry dice che anche se non può vederti, è sicura che tu sia bellissima. Ti manda un bacio.»

«Oh, Teresa!» Arrotò la erre per marcarla, ma questo fece risaltare ancora di più il suo accento. «Sei sempre un amore, chérie²

«Amo tua madre!» esclamò la ragazza.

Valentina arrossì imbarazzata. «Volete che vi lasci il cellulare?» scosse il capo mentre continuava a sorridere. Poi si rivolse a sua madre: «Maman, stasera non posso. Stavo giusto per uscire.» Le diede un bacio sulla guancia.

Céline annuì comprensiva. «D'accordo, ma se è importante non arrivare à la dernière minute³» concluse prima di restituirle il bacio e andare via.

«Vale – Teresa richiamò la sua attenzione – stai arrivando davvero all'ultimo minuto. Dopodomani Miguel partirà e si aspetterà che tu vada con lui. Sono passati due mesi dal mio addio al nubilato e voi due è da quella sera che vi frequentate. Credo tu gli debba almeno la sincerità.»

Valentina piagnucolò in preda alla confusione. «Lo so, hai ragione. Lui è stato davvero onesto con me.» Ritrovò il sorriso per un attimo. «Non sentirai la mia mancanza?» chiese ridendo.

«Ovvio! Ma mi basta che torni per le nozze. Abbiamo già dovuto posticiparle una volta, non voglio doverlo rifare.» Sbadigliò di nuovo. «Scusa, ma credo sia arrivato il momento di andare a nanna.»

«D'accordo. Ci aggiorniamo domani.»
Valentina mise giù e raccolse la borsa dalla poltroncina accanto alla finestra. Aprì la porta e sfiorò il tasto per spegnere la luce, ma si fermò. Guardò la sua stanza, quella che occupava da sempre, e un velo di malinconia le riempì gli occhi di lacrime. Quella stanza tutta rosa, con le tende ricamate e il letto a baldacchino non la rispecchiava più. Ormai era una donna e della principessina di papi e maman rimaneva solo il ricordo nei loro occhi, che poco si rassegnavano alla nuova Valentina.
Ma crescere era già dura di per sé, non sentiva certo il bisogno di subire la pressione di deludere l'uno o l'altra. Voleva solo poter decidere della propria vita come più desiderava e che loro fossero felici per lei.
Maman capirà, pensò. E sperò che bastasse a convincere anche suo padre: Davide Virzillo.
Spense la luce e chiuse la porta alle sue spalle.

● ○ ●

Miguel aveva abbassato le luci della sala nella quale di solito svolgeva le sue lezioni di tango. Aveva apparecchiato un tavolo per due e lo aveva abbellito con due rose rosse in un piccolo vaso in vetro dalle linee squadrate. Ogni cosa richiamava il ballo argentino.

Quando Valentina fece il suo ingresso, restò senza parole e con una mano si coprì la bocca.
Lasciò scivolare la borsetta dalla spalla e la posò sulla sedia. A passo di danza si avvicinò a Miguel, che l'accolse allo stesso modo. Le afferrò la mano e con uno slancio del braccio la fece ruotare, finché non trovò il suo petto a bloccarla.

«Sei bellissima, mi amor⁴ – la baciò – non vedo l'ora di partire.» Quando Valentina posò le mani sul suo petto ed esitò per un istante, lui capì tutto e la lasciò andare. «Vale, non abbiamo più tempo.»

«Lo so, lo so!» replicò all'istante. «È solo che è così difficile!» Si portò da un lato i lunghi capelli castani dai riflessi ramati. «Mio padre...»

«Ancora tuo padre?» Miguel la interruppe. «Non lo sai come la prenderà, perché non gliel'hai ancora detto.» Prese le sue mani e le strinse fra le sue. «Lo stai usando come scusa. Se non te la senti di venire, dimmelo. Io capirò.»

«Lito, non è come pensi – si sedette – io ho voglia di fare questa esperienza con te, davvero. Quella di mio padre non è una scusa e te lo dimostrerò.»
Tirò fuori il cellulare dalla borsa e sotto lo sguardo interrogativo di Miguel chiamò suo padre. Appoggiò il cellulare sul tavolo e lo mise in vivavoce.
Il suo respiro divenne più veloce e le mani cominciarono a sudare.
Per un attimo pregò che suo padre non rispondesse, che fosse così impegnato al suo incontro di lavoro che non avrebbe potuto neanche prendere il cellulare; quel maledetto cellulare che invece fece un bip e la voce di suo padre risuonò sicura.

«Tesoro, sono a un incontro di lavoro. Che succede?»

Valentina si agitò sulla sedia. Suo padre non era mai stato severo o un padre padrone, né le aveva mai negato qualcosa. Di fatto, non aveva alcun motivo di temere la sua reazione. Eppure qualcosa le diceva che non avrebbe mai accettato che lasciasse gli studi in economia e commercio per andare a fare la tanguera in Argentina, e per giunta con un tizio che conosceva solo da due mesi; ma doveva provarci.

Adesso, davanti a Miguel, aveva l'occasione di dimostrargli quanto davvero desiderasse partire con lui.
Prese un grosso respiro e rispose: «Voglio andare in Argentina per dedicarmi al tango. In fondo lo sai anche tu che mi sono iscritta a economia e commercio solo perché hai insistito. Ma non voglio lavorare nell'attività di famiglia» disse tutto d'un fiato per paura di bloccarsi e fare scena muta.
Miguel strinse le sue mani e accennò un sorriso.

«D'accordo – la sorprese Davide – mi spiegherai meglio domani. Ora devo andare.»

Valentina fece un piccolo balzo dalla sedia, esultante per la risposta ricevuta e, con un enorme sorriso stampato sulla faccia, salutò suo padre e chiuse la telefonata.
«Sei pronto a partire?» chiese al ballerino che, di tutta risposta, la prese tra le braccia e la lasciò sedere a cavalcioni su di sé.

«Non vedo l'ora, mi amor.» La baciò finché non sentirono il bisogno di concedersi un pre-cena.

● ○ ●

Davide Virzillo aveva lasciato la sua casa da un po' e ora si trovava a qualche chilometro di distanza, lontano dal traffico del fine settimana della città partenopea.
Si era recato all'appuntamento con un nuovo fornitore per la sua società di componenti elettroniche per auto: la Virzillo Motors.
Il signor Doi Morimoto era arrivato dal Giappone quel pomeriggio e sarebbe stato suo ospite finché non avessero chiuso l'affare.

Davide gli strinse la mano e lo invitò ad accomodarsi. Di fianco a lui, un interprete pagato profumatamente attendeva che iniziasse la conversazione. Davide riempì tre calici di champagne e ne porse uno al signor Morimoto e, dopo aver preso il suo, indicò l'altro al ragazzo impettito.
«Agli affari» brindò, seguito subito dopo dagli altri due.

Quando misero giù i bicchieri dallo stelo lungo, dopo un cenno dell'uomo più anziano, il ragazzo iniziò: «Il signor Morimoto vuole confessarle che non è il primo a farsi avanti per questo affare.»

Davide si aggiustò la giacca e assunse un'espressione più turbata. Inclinò appena il capo e chiese: «Da dove?»

«Vicino» ribattè il ragazzo.

«Chi?»

Il giovane cercò il permesso al signor Morimoto di procedere e lui glielo accordò. «Abbiamo fatto di meglio.» Fece segno ai due grossi bodyguard che si erano portati dietro di far entrare l'altro ospite.

Un giovane sui trentacinque anni entrò nella saletta privata. L'aria sicura e i capelli ricci e corti tenuti insieme da un importante strato di gel che li bloccava come fossero ghiacciati.

Anche i guardaspalle di Davide Virzillo fecero un passo in avanti, pronti a tutto pur di proteggerlo, ma lui fece loro segno di non muoversi. «Arturo Di Domenico – usò un tono quasi canzonatorio – non dovresti frequentare gente della tua età?»

«E perdermi il vero divertimento?» gli restituì la palla.

«Qui non c'è alcun divertimento, solo affari.» Davide portò il mento in fuori.

«Beh, quando gli affari ti fanno fare un bel po' di soldi, il divertimento lo puoi trovare ovunque.» Si voltò verso Doi Morimoto, che era rimasto a guardare, e aggiunse: «È overo⁵, Tokyo?» finse un'espressione seria per nascondere lo sfottò, ma quando l'uomo fece un cenno d'assenso, Arturo sorrise divertito.

«Perché – lo incalzò Davide – la Di Domenico &Co. non si occupava di altro?»

Arturo si avvicinò. «Saccio⁶ che fai con le auto che sistemi – sussurrò – hai i tuoi guadagni da quello, potresti lasciare qualcosa anche agli altri, non credi?»

Si guardarono in cagnesco, sotto lo sguardo attento dell'uomo con il quale avevano organizzato l'incontro. La tensione era palpabile, tanto che quando squillò il cellulare di Davide, l'interprete ebbe un sussulto.
Virzillo prese l'oggetto dalla tasca interna della giacca e, dopo aver visto la scritta 'Principessa' sul display, rispose: «Tesoro, sono a un incontro di lavoro. Che succede?»
Sentì la voce della sua bambina e riuscì a cogliere solo le parole 'andare' e 'Argentina', distratto dal sorrisetto sardonico di Arturo Di Domenico. Gli sembrò avesse cambiato espressione giusto un attimo dopo che aveva risposto a Valentina e questo lo infastidì enormemente.
«D'accordo» le rispose con l'ansia di chiudere in fretta la conversazione. «Mi spiegherai meglio domani. Ora devo andare.» Chiuse la chiamata e ripose il cellulare in tasca.

«Allora, Virzillo – lo canzonò Arturo – mi lascerai entrare nel giro?»

Davide strinse i pugni. Aveva la sensazione che le cose sarebbero potute solo peggiorare di lì in avanti, ma non gliel'avrebbe data vinta senza lottare. «Il tuo è solo un capriccio» commentò. «Se vuoi entrare, inizia da dove fanno tutti e lascia il lavoro serio agli adulti.»

Arturo scoppiò in una fragorosa risata. «Contrattiamo.» Si sedette al tavolo e bevve dal bicchiere dell'interprete tutto lo champagne.

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NOTE:

¹mamma
²cara
³all'ultimo minuto
⁴amore mio
⁵È vero
⁶So

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