Un giorno all'ora X (Parte 1)
«Ma tu hê perz 'a capa, Artù?¹» Diego si alzò di botto dalla sedia. Non riusciva a crede a quello che le sue orecchie avevano appena sentito. «E d'accordo che non siamo due santi, ma rapire la figlia di uno? Uno così ricco poi, e che fa parte di certi ambienti. Quanto ci mette a tagliarci le palle?»
Anche Arturo si mise in piedi e gli posò una mano sulla spalla. Lo guardò negli occhi e con un mezzo sorriso rispose: «Però hai visto? Già ci stai pensando.»
Diego si scrollò di dosso la mano e si sistemò la camicia. «No, Arturo, sto cercando di farti capire che è 'na strunzat²» gli puntò il dito. «Ma pecché? Questa cosa è veramente accussì importante pe tte?³ Al punto da commettere un atto così estremo?»
Arturo gli diede le spalle e andò a prendersi da bere. «Non puoi capire», disse solamente.
Diego corrugò la fronte. «Hai ragione, non posso capire. Non riuscirò mai a capire perché è chi ha di più a non saziarsi mai.»
«Mi stai recriminando privilegi che non ho mai avuto, attento» lo guardò con aria minacciosa.
Diego annuì con un finto sorriso. «Certo, e lo stai dimostrando bene.» Era risentito, quanto e più di lui, perché tra i due era quest'ultimo a godere di più benefici; ma non intendeva scatenare la solita "guerra" tra poveri. Conosceva il passato del suo amico e le difficoltà che aveva dovuto affrontare. Arturo Di Domenico era un orfano cresciuto dalla gente del quartiere, non era stato 'fortunato' come lui ad avere almeno una madre che la sera lo abbracciasse prima di andare a letto.
Però Diego era stato per lui un amico, un fratello e poi anche un socio; ma ora gli chiedeva di essere un complice, e non per le solite cose. Quello che aveva in mente era un crimine molto serio, troppo per le conseguenze che ci sarebbero state.
Si ritrovò a fare pensieri che andavano e venivano da scenari che mai avrebbe voluto trovarsi a vivere. Si portò una Merit, rigorosamente di contrabbando, tra le labbra e l'accese, aspirò a fondo e poi soffiò via quello che era rimasto del fumo.
«Stammi a sentire – si avvicinò – non fare cazzate, non ne vale la pena. Se vuoi più soldi ci inventiamo qualcosa.» Lo afferrò per le spalle e lo scosse appena.
La cenere che cadde dalla sua sigaretta non fece in tempo a toccare terra che fu Arturo, stavolta, a scrollarselo di dosso.
«Ho già deciso. Mi aiuterai oppure no?» lo sguardo ostile di chi è pronto a tutto pur di non fare passi indietro.
Diego fece penzolare le braccia lungo i fianchi, sconfitto da quella risposta che tanto temeva arrivasse.
Arturo era sempre stato poco ragionevole ed era toccato a lui sistemare le cose ogni volta, anche quando sembrava non esserci soluzione.
Lasciò cadere la sigaretta nel bicchiere che aveva preparato con un poco d'acqua e prese il pacchetto dal tavolo. «Non lo so. Penso che rischiamo di finire in guai seri stavolta.» Infilò il pacchetto nel taschino della camicia, prese il cellulare dalla tasca e dopo aver controllato l'orario lo rimise dentro. «Devo andare, ci sentiamo più tardi. Ho bisogno di pensarci.»
Arturo annuì e concluse: «Aspetto a te. Diversamente, credo non ci vedremo per un po'.»
Diego serrò la mascella e mandò giù il boccone amaro. Era la prima volta, dopo anni, che lui e Arturo si trovavano in due punti opposti.
Uscì di casa e salì sullo scooter. Partì a tutta velocità, percorrendo in lungo e largo tutto il quartiere, ma era il mare ciò di cui aveva bisogno. L'aria che si respirava lì vicino portava chiarezza tra i pensieri e distendeva i nervi. Accelerò ancora; l'odore di cibo che proveniva dai ristoranti gli stuzzicò l'appetito, ma desistette. Percorse via Costantinopoli, fino a incrociare via Benedetto Croce. Costeggiò il Museo di Santa Chiara e scese lungo l'omonima via. Quelle strade gli erano tanto familiari quanto le proprie tasche e il pensiero di cacciarsi in un grosso guaio per il quale non avrebbe più potuto percorrerle, gli fece sentire un vuoto allo stomaco. Arturo era così accecato dall'ambizione, che proprio non si rendeva conto di quanto gli stesse chiedendo, di quanto stesse chiedendo a entrambi.
In men che non si dica, si era ritrovato a via Acton, per passare sotto il Tunnel della Vittoria e da lì tutto il percorso fino ad arrivare a via Caracciolo, sul lungomare di Napoli.
Ancora pochi metri e accostò un momento per scendere a comprare una birra ghiacciata da Pasquale e la sua bancarella sempre presente.
«Amico mio!» questi lo salutò. «Oggi sei venuto da solo? E la morettina dell'altra sera?» gli dedicò un sorriso a trentadue denti.
Diego sorrise e prese la birra che Pasquale gli stava porgendo. «Di giorno non può farsi vedere in giro con me» prese un sorso di birra.
L'uomo venne raggiunto dalla moglie, Caterina, e si ammutolì all'istante.
«Guarda che non ci sta bisogno che ti nascondi, lo so benissimo che stai sempre a guardare le femmine – con un cenno del capo indicò Diego – e tu pecché non ti trovi na bona guagliona⁴, invece di uscire con le mogli degli altri?»
«Caterì e lascialo stare. Più che altro dovrebbero essere loro a preoccuparsi di essere fedeli» la richiamò il marito.
Caterina posò una mano sul fianco e rispose con tono aspro: «Tu pensa a preoccuparti delle cose tue, altrimenti va a finire che me lo trovo io un altro.»
Mentre i due continuavano a battibeccare, a Diego scappò una risata e si rese conto di quanto bastasse davvero poco per ritrovarsi in una discussione all'apparenza seria e nella sostanza divertente. Questo era uno dei motivi per cui amava la sua città. Ma se avesse voluto elencarli, non gli sarebbe bastato un solo anno.
Continuò a bere la sua birra, mentre con un saluto velato si allontanava dalla bancarella di Pasquale e raggiungeva il suo scooter.
Si voltò appena in tempo, prima di finire per sbattere contro una ragazza. Le loro braccia si sfiorarono appena, quel tanto da farli voltare l'uno verso l'altra.
Uno sguardo tagliente dagli occhi del colore del mare e un cipiglio sul volto. Diego stava per scusarsi, ma questa tornò a voltarsi verso l'altra ragazza che era con lei e a chiacchierare animatamente.
La seguì con lo sguardo, attratto dalla sua camminata decisa e dalle curve generose, ma allo stesso tempo infastidito dall'occhiataccia che gli aveva rivolto. Prese l'ultimo sorso di birra, improvvisamente assetato, e gettò la bottiglia vuota nella spazzatura. «Ntz» proferì incredulo, poi risalì sullo scooter e andò via.
● ○ ●
Aveva girato per ore, si era goduto la città come ogni volta che gli andava di fare un giro senza una meta precisa, e subito dopo aver preso la sua decisione si era presentato alla porta di Annamaria. Se proprio quella stronzata si doveva fare, tanto valeva che si facesse una scopata come si deve. Nuova energia lo aveva pervaso e non aveva perso tempo. Annamaria si era lasciata trasportare dalla sua irruenza che l'aveva condotta al culmine più di una volta.
«Due volte in un solo giorno? Così va a finire che mi abituo», disse Annamaria mentre si vestiva per andare a lavoro e iniziare il suo turno al bar.
Diego aveva indossato i jeans e stava fumando una sigaretta, appoggiato alla finestra che dava sull'interno del palazzo. «Non lo fare.» Soffiò fuori il fumo e spense la cicca nel posacenere sul davanzale.
Annamaria si avvicinò con passo felino e fece scivolare le mani sul suo ampio petto tatuato. Con l'indice disegnò un cerchio immaginario intorno a un cuoricino tatuato proprio dove anatomicamente si trovava quello vero. «Le tue parole dicono cose, lasciano ferite... ma sono solo i gesti che parlano con sincerità», disse quasi sussurrando tra sé. Lo guardò negli occhi e, dopo un attimo di silenzio assoluto, aggiunse: «Perché non l'hai fatto coprire?»
Diego prese le mani tra le sue e se le tolse dal petto. Afferrò la camicia e la infilò, chiudendo in fretta i bottoni. «Devo andare.»
Annamaria abbozzò un sorriso nervoso, scosse il capo e sbottò: «Me la dici una cosa? Una che sia sincera? Non ti neghi mai a me, eppure quando finiamo te ne vai. Non torni, no, non lo fai, mai. Allora che siamo noi?»
«Annamarì...»
«No, Diego, 'o voglio sape'!⁵» lo afferrò per il braccio e lo fece voltare verso di sé. «Voglio sape' se c'è una speranza per noi.» Gli occhi si fecero liquidi.
Diego prese il suo viso tra le mani. «Annamarì, io te voglio bene assaje⁶. Sei stata 'o primmo ammore⁷, ma lo sai pure tu che non siamo fatti per stare insieme. Ci abbiamo provato e questo non lo coprirò mai – indicò il cuoricino tatuato – come tu non hai coperto questo – le sfiorò la clavicola con le dita, dove lei aveva tatuato lo stesso cuoricino – ma non ci resta altro che questo. Il ricordo e la presenza. Spero che prima o poi troverai chi ti amerà nel modo che vuoi tu, perché io non ne sono stato capace. Questo è tutto ciò che posso offrirti, mi dispiace.» Si sforzò di sorridere, ma non evitò che una lacrima scendesse dagli angoli degli occhi di Annamaria.
Mandò giù il nodo che sentì stringergli la gola e le diede un bacio sulla fronte, mentre con una mano la carezzava dietro la nuca.
L'abbracciò e poco dopo uscì, lasciandola sola con la sua tristezza.
● ○ ●
Aveva bussato mezza volta alla sua porta, ma Arturo era già lì ad attenderlo. Gli aprì e, con un grosso sorriso sulla faccia, lo fece accomodare.
«Non ridere Artù. Sono ancora convinto che stiamo per fare una cazzata.» Diego si lasciò cadere sulla poltrona, con svogliatezza. Proprio non gli piaceva l'idea e stava lottando contro se stesso, tra l'andarsene e il restare a sentire Arturo. La sua pazzia stava per superare i limiti e lo avrebbe tirato giù con sé.
«Ascoltami, devi solo tenerla nascosta per un po', il tempo di chiudere la trattativa. Non ho intenzione di farle del male.»
«Anche perché sennò ti avrei detto di no subito.»
Arturo gli diede delle pacche sulla gamba, in preda all'eccitazione. «Dai dai, che facciamo il salto di qualità.» Prese carta e penna e si fece più vicino per spiegargli il piano.
In una sola giornata, aveva studiato tutto nei minimi dettagli. Diego non sapeva se esserne sbalordito o terrorizzato. Ascoltò con attenzione ogni passaggio, ogni soluzione agli imprevisti. Sembrava davvero una cosa fatta bene, sempre che Virzillo non si fosse rivolto a qualche pezzo grosso. In quel caso neanche un piano perfetto avrebbe potuto evitare loro di finire male.
Dopo circa quarantanove minuti, Arturo concluse la spiegazione e chiese entusiasta: «Che ne pensi?»
Diego guardò lo schema tutto storto che il suo amico aveva disegnato sul foglio e lo rilesse in modo superficiale. Era tutto chiaro, nulla da ridire. «Mi pare che hai fatto un buon lavoro. Spero vada tutto bene. Solo una domanda: Ma questa Valentina com'è?» sorrise malizioso.
Arturo, al contrario, si rabbuiò. «A proposito di lei, c'è una cosa che voglio dirti. Valentina non si tocca.»
Diego lo guardò interrogativo e lui continuò: «La voglio da quando l'ho vista per la prima volta fuori all'università che frequenta.»
«Artù, non stai facendo tutto questo per lei, vero?»
Arturo sollevò il mento e con aria di sfida confessò: «Io voglio tutto, amico mio. È il mio momento.»
Ancora una volta Diego restò senza parole, faticando a riconoscere il proprio amico. Cosa gli stava succedendo? Tutte le domande che gli ronzavano in testa sarebbero rimaste senza risposta, lo sapeva, ma sperava ancora che non facesse dei danni troppo complicati da sanare.
Ma tanto ormai aveva deciso; avrebbero rapito Valentina Virzillo per un affare da svariati milioni di euro e forse per un matrimonio combinato.
Cosa poteva andare storto?
Diego si accese l'ennesima sigaretta della giornata e provò a non pensarci troppo.
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NOTE:
¹Ma tu hai perso la testa, Arturo?/Ti sei ammattito, Arturo?
²una stronzata
³Ma perché? Questa cosa è davvero così importante per te?
⁴e tu perché non ti trovi una brava ragazza
⁵lo voglio sapere
⁶Annamaria, io ti voglio bene tanto
⁷il mio primo amore
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