Tum-ta
Valentina aveva ritrovato tutte le sue cose: dai vestiti alle scarpe, i suoi bracciali e le borse; persino i libri dell'università, di quella facoltà che ora odiava ancora di più perché era stato suo padre a imporgliela, le erano mancati. Aveva finalmente fatto la doccia nel suo bagno personale e massaggiato tutto il corpo con litri di crema profumata al Monoi, come se questo le avesse fatto recuperare tutti i giorni in cui non le era stato possibile.
Ancora solo in intimo, vuotó il borsone sul letto per capire quante cose avrebbe potuto recuperare tra quelle che si era portata a casa, e nel farlo saltò fuori la maglia azzurra che Diego si era cambiato prima di ritornare dal centro termale. La prese tra le mani e con un gesto istintivo vi posò sopra il naso: il suo profumo era ancora tutto lì.
La maglia che sfiora il petto sodo (tum-ta*), le braccia toniche (tum-ta), la catenina d'oro (tum-ta), le parole sussurrate a fior di labbra (tum-ta).
Valentina lasciò cadere la maglia come se fosse ardente. Che diavolo sto facendo?
«Tesoro...» l'accento francese di sua madre la riportò alla realtà. Céline bussò alla porta della sua stanza e chiese di poter entrare.
Appallottolò veloce la maglia di Diego per lasciarla cadere nel cestino accanto alla scrivania, ma all'ultimo secondo la lanciò nell'armadio e chiuse l'anta. «Sì, maman¹», le aprì.
Céline non riusciva a mettere a tacere i suoi sensi di colpa, anche se non era lei la diretta responsabile di quanto accaduto a sua figlia. Ancora si domandava come avesse potuto Davide arrivare a tanto, e non aveva ancora trovato una spiegazione plausibile, o accettabile. I pensieri che le giravano per la testa facevano un gran rumore, ma appena incrociò i due zaffiri che Valentina aveva al posto degli occhi, si sentì meglio. Finalmente sua figlia era a casa e, anche se non del tutto libera, almeno poteva abbracciarla, stringerle le mani.
«Mi dispiace, mon coeur²», gli occhi di Céline si fecero liquidi.
«Maman, non è colpa tua», Valentina l'abbracciò, poi se ne allontanò per finire di sistemare le sue cose. «Scusa, ma ho bisogno di tenermi impegnata. Siediti pure, se vuoi» le indicò la sedia e iniziò a separare gli indumenti che avrebbe tenuto, da quelli che avrebbe gettato.
«Tuo padre è andato via. Non lo lascerò entrare, se tu non vorrai. È ora che capisca il grave errore che ha commesso.»
Valentina scosse il capo e stizzita lanciò un cappello nel cestino. «A che serve? Tanto non capirà mai», fece spallucce e tornò a rovistare nella montagna di stoffa che si ritrovava davanti.
Un perizoma catturò l'attenzione di Céline, che sconvolta lo prese con un dito e lo sollevò fra di loro. «Valentinà, dimmi che non indossi questa robaccia!» la mano sul fianco sottolineò il suo disappunto.
Senza agitarsi inutilmente, Valentina lo recuperò e gli fece fare lo stesso volo del cappello. «Non è robaccia, ma non preoccuparti, non è una cosa che mi piace indossare.»
«Oh, grazie al cielo!» si portò la mano sul petto e riprese fiato.
Valentina scosse il capo e finalmente fece il suo primo sorriso da quando era tornata. «Grazie, mamma» disse con tono sincero.
«Pourquoi?³»
«Perché sei come sei», le sorrise ancora.
Anche sua madre le sorrise, ma dopo un intenso scambio di sguardi, tornò seria e le prese le mani: «Non devi sentirti obbligata a farlo. Che se li risolva da solo i suoi casini, tuo padre! Non puoi prendere in seria considerazione la corte di un tizio del genere.»
«Non ho intenzione di farlo, e credo che lo sappia anche lui; per questo devo fare in modo che creda di essere in vantaggio. Tanto sarò io ad avere l'ultima parola.»
Céline sentì l'agitazione crescere dentro di sé. «Non scherzare con il fuoco, mon coeur, o finirai per bruciarti.»
Il cellulare di Valentina cominciò a squillare. Arturo le stava facendo la sua prima telefonata. Lei guardò il display, poi sua madre.
Per un attimo ripensò alla maglia di Diego e sentì il cuore in gola. È quello che si merita per avermi lasciata così. Afferrò il cellulare e prima di rispondere, disse a sua madre: «Capiranno cosa vuol dire perdere.»
Céline non era sicura di cosa volesse dire sua figlia, ma la determinazione che riconobbe nei suoi occhi la fece preoccupare ancora di più. «Forse tuo padre... Ma questo Arturo?»
Non è a lui che mi riferivo. «Andrà tutto bene, maman. Ora, se non ti dispiace, devo rispondere», le mostrò il cellulare e indicò la porta con un cenno del capo.
Céline annuì rassegnata e la lasciò sola.
● ○ ●
Diego bussò alla porta di Arturo e quest'ultimo non lo lasciò in attesa.
«Finalmente! Scumpare⁴, devo chiamarti tre volte prima ca rispunne⁵ e poi vieni dopo due ore?»
Diego si portò una sigaretta tra le labbra, l'accense e ne fece un tiro. «Tenevo delle cose da fare» esalò il fumo lentamente, mentre lui e Arturo continuavano a guardarsi dritto negli occhi.
«Comme rice tu...⁶» si allontanò di qualche passo per prendere il giacchetto, poi tornò da lui: «Andiamo?»
Diego annuì e lo seguì fuori dal basso⁷ nel quale abitava Arturo. «Dove stiamo andando? Per telefono non hai voluto dirmelo», fece un altro tiro e salì in auto. Si mise seduto comodo sul sedile e mise in moto. Si bloccò quando vide il suo amico sedersi sui posti dietro. Il suo sguardo perplesso incrociò il ghigno malizioso di Arturo.
«Oggi tu sarai il mio autista – sorrise – andiamo a prendere Valentina.»
Per un attimo la vista di Diego si appannò e il respiro divenne più veloce. «Cher'è sta sceneggiata?⁸ Potevi andarla a prendere con la tua macchina, senza disturbare me pe chesta strunzata⁹.»
«Non ho capito, è un problema?» si avvicinò al sedile del guidatore, continuando a guardare Diego dallo specchietto.
I loro sguardi sembravano infuocarsi ogni attimo di più e Diego capì che non era il caso di scoprire le sue carte proprio in quel momento. «No, nessun problema» concluse infine. Serrò la mascella e strinse il volante nei pugni. Inserì la prima e le sue dita sfiorarono l'elastico rosa che teneva infilato al cambio (Tum-ta).
I capelli che ondeggiano col vento (tum-ta), il profumo che sprigionano riempie l'abitacolo (tum-ta), il sorriso imbarazzato (tum-ta), due occhi blu (tum-ta).
«Sarracì, hê sentuto?¹⁰» chiese Arturo a voce più alta.
Diego tornò coi piedi per terra e scosse appena il capo. «Devo svoltare a sinistra?»
«Seh vabbuò¹¹... A destra!» accompagnò la risposta con la mano tesa accanto alla bocca. «Ma dove tieni la testa?» chiese sogghignando.
«Sulle spalle, come sempre.»
«Se lo dici tu...» Arturo tornò a mettersi comodo.
Dopo circa una ventina di minuti raggiunsero l'università Federico II, a pochi metri da loro, con il suo piccolo mondo interno. Valentina l'avrebbe aspettato alla fermata dell'autobus, in mezzo a tanti altri studenti che a quell'ora lasciavano le loro facoltà.
Diego sentiva l'agitazione crescere e non riusciva più a tenere ferma la gamba, che quasi con una volontà propria cominciò a fare su e giù, mentre lui continuava a guardare l'ora sul display dello stereo.
«Qualcosa non va?» lo incalzò ancora Arturo.
Si disse che se non avesse smesso di fare domande così istiganti, gli avrebbe dato la risposta che si meritava prima o poi. Artù perché non mi lasci in pace? Scosse di nuovo il capo e rispose: «Anche io ho degli impegni, non posso stare qua fermo ad aspettare la princ...» le parole gli morirono in gola quando scorse Valentina nel piccolo gruppo di universitari. Sorrideva divertita e stringeva dei libri tra le braccia. (Tum-ta). Diego mandò giù un altro bel rospo. Sentì il cuore pesante contrapporsi a un vuoto allo stomaco.
Tutt'intorno il tempo sembrava aver rallentato il suo passo. La portiera posteriore dell'auto si aprì e Arturo le fece segno di attraversare la strada per raggiungerlo. Lei smise di sorridere e, salutati tutti, corse verso l'auto.
«Ciao, cara» Arturo la salutò con due baci sulle guance e la invitò a salire a bordo.
«Mi piacerebbe, ma dovrei tornare a casa per studiare», finse un altro sorriso.
«Come promesso, faremo solo un giro.» Con un cenno del capo la invitò di nuovo a salire in auto.
Valentina sospirò rassegnata. Quell'uomo le aveva ripetuto più volte, durante la cena, che sarebbe stata solo sua la decisione finale, eppure ora sembrava non averle dato alcuna scelta. Si stava solo fingendo comprensivo e aperto a qualunque risposta, ma in definitiva non le aveva lasciato tutto questo libero arbitrio. Alla fine fece un segno d'assenso e si accomodò. Arturo le aveva ceduto il suo posto, proprio alle spalle di Diego, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio e non aveva lasciato la sua seduta.
I loro sguardi si incrociarono nello specchietto retrovisore. Quel momento sembrò interminabile, almeno finché Arturo non spezzò l'incantesimo entrando in auto dal lato opposto.
«Ci mettiamo in marcia?» incitò Diego, poi guardò lei e aggiunse: «Oggi mi fa lui da autista, così noi possiamo chiacchierare in tranquillità.» Le prese la mano e sorrise soddisfatto ancora una volta.
Diego inserì la prima e partì di colpo, dividendo i due e prendendosi anch'egli una piccola soddisfazione. Valentina rivolse ancora lo sguardo allo specchietto retrovisore, ma era confusa da ciò che provava: da un lato avrebbe voluto ringraziarlo, dall'altro sentiva un'irresistibile voglia di fargliela pagare. Gli occhi neri di lui si assottigliarono appena, mentre continuavano a fissarla di riflesso (tum-ta).
«Tutto bene?» Arturo si fece più vicino.
«Sì, tutto normale.»
Diego si schiarì la voce: «Devi indicarmi la strada per portarla a casa.»
Valentina accennò un sorriso nervoso; al contrario, Arturo sembrava rilassato e infine, dopo aver guardato lei negli occhi, rispose: «Non ce n'è bisogno. Lasciaci da me, la porterò a fare un giro sulla mia sportiva.»
«Io non voglio intaccare gli impegni di nessuno, e poi devo studiare...» provò a liberarsi Valentina.
Diego scosse il capo: «Che impegni, io oggi ho solo questo da fare. Non mi costa nulla accompagnare tutti a casa.»
«Non vorrei mai che vi perdeste un giorno intorno a me», continuò lei.
Diego fece per ribattere, ma Arturo intervenne: «Basta così – rivolse a lei un sorriso di circostanza – Accompagnaci da me e torna alle tue cose. Stasera avevi un impegno importante, o sbaglio?» disse a Diego.
Ancora una volta, questi incrociò lo sguardo di Valentina nello specchietto e dovette mordersi la lingua. Lei sembrava tutt'altro che sorpresa e questo gli fece venire i nervi a fior di pelle. Avrebbe dato qualunque cosa per sapere cosa le stava passando per la testa, ma ancora una volta non ebbe il tempo di ragionarci su, che erano già arrivati e Arturo sembrava avere fretta di liberarsi di lui. Ovviamente.
Aveva guardato Valentina scendere e allontanarsi dalla sua macchina, che solo ora lei sembrava aver riconosciuto davvero. Era palese che aveva pensato a quel giorno, che qualcosa le era riaffiorato dai ricordi. Ora però, pareva ancora più ostile nei suoi confronti.
Diego ingranó la prima e strinse i pugni intorno al volante quando vide avvicinarsi a lei Arturo. Riconosceva quell'atteggiamento, ma per un attimo sperò di sbagliarsi. Stava già andando via, ma riuscì ugualmente a vedere tutta la scena dallo specchietto: Arturo si era avvicinato a Valentina e dopo averle sussurrato qualcosa, l'aveva baciata.
Sentì la rabbia montargli dentro. L'aveva portata via dall'uomo sbagliato, invece ora sarebbe stato più che giusto rapirla. O forse nessuno degli uomini nella sua vita la meritava e sarebbe stato meglio per lei che fosse stata libera da chiunque le avesse voluto tarpare le ali.
Sterzó in uno dei vicoletti e fermò l'auto. La rabbia che sentiva dentro gli stringeva le viscere, quasi non lo faceva respirare. Ripensò a lei e a quello che aveva fatto Arturo per tutto il giorno. Aveva sperato di sbagliarsi fino alla fine, ma non c'era alcun errore nella sua analisi.
Battè il pugno sul volante, e sfogò una piccola parte della sua ira, prima di prendere il cellulare tra le mani e chiamare Salvatore.
◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇◇
NOTE:
*è il modo in cui vengono scritti, in italiano, i battiti del cuore
¹mamma
²cuore mio
³Perché?
⁴sparisci
⁵prima che rispondi
⁶Come dici tu...
⁷in napoletano "vascio": abitazione a piano terra in uno dei palazzi storici di Napoli
⁸Cos'è questa sceneggiata?
⁹per questa stronzata
¹⁰Sarracino, hai sentito?
¹¹Seh, vabbè
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