Le prime ore...
Diego aveva sbraitato al cellulare per almeno mezz'ora.
Arturo gli aveva consegnato quella pillola dicendo di essere solo un potente sonnifero e invece si era ritrovato, tra le braccia, una ragazza priva di sensi, inerme. «Se al mio posto ci fosse stato un altro...» aveva cominciato.
«Ho mandato a te perché ti conosco. So che nun facisse¹ mai una cosa del genere.» Era invece stata la risposta di Arturo.
Ma a Diego non bastava, perché non si trattava di approfittarsi o no di una certa situazione. Valentina poteva restarci, non sapeva se una droga tanto potente potesse farle del male, e lui di certo non voleva peggiorare la propria posizione. Stavano rischiando già tanto così, non servivano altri problemi a metterlo ancora più in crisi.
Arrivati al "rifugio", una casa nell'entroterra avellinese, a più di cinquanta chilometri da Napoli, aveva adagiato il corpo privo di sensi di Valentina sul grande letto della camera.
Le controllò il battito e la fronte, per assicurarsi che non fosse sopraggiunta anche la febbre a causa di una reazione alla sostanza assunta, ma tutto gli sembrò nella norma.
«Oh, ma ch'è stato²?» Una voce arrivò alle sue spalle.
«Niente Salvatò³» rispose con tono infastidito. «Arturo la deve finire di fare di testa sua, quando ci sono io di mezzo.»
Salvatore si grattò la nuca. «La rrobba⁴ era buona. Ho garantito io, non ti preoccupare.»
Diego si avvicinò adirato e lo afferrò per la giacca leggera. «Tu 'o sapive⁵?»
Salvatore accennò un sorriso imbarazzato e confermò con un cenno del capo.
«Ma che cazz'! - Diego lo spinse via - Veramente siete inqualificabili.» Raggiunse di nuovo Valentina e chiese all'uomo di Arturo: «A te pare che sta bene?»
Lui fece spallucce. «Non è abituata, quindi ha avuto una reazione forte. Starà bene. Domani tornerà quella di prima. Non ti preoccupare, Arturo non avrebbe mai rischiato la sua vita.»
Quelle parole suonarono così meschine alle orecchie di Diego, che dovette sforzarsi per non mandare a fanculo tutto. I quindici giorni erano appena iniziati e già non vedeva l'ora che finissero. «Mi vado a fare una doccia» prese il suo giubbotto e uscì dalla stanza.
● ○ ●
Valentina aprì lentamente gli occhi e sentì una tremenda fitta alla testa. Era sicura di aver bevuto un solo drink, troppo poco per avere una sbronza da collasso.
Non ricordava cosa fosse accaduto e nemmeno come fosse tornata a casa.
Casa. Quella però non sembrava la sua casa, anzi, neanche avrebbe mai pensato di arredarla in quel modo. Si alzò dal letto e si guardò in giro. Dove diavolo sono? Si chiese, agitandosi.
Quel posto era troppo umile per essere la casa di qualcuno che le fosse risultato abbastanza interessante da farci sesso, figuriamoci restare a dormirci.
Individuò la porta e corse ad aprirla.
La maniglia si abbassò e ciò che trovò dall'altro lato la lasciò senza parole.
«Tu...» Puntò il dito in direzione di Diego, che s'intratteneva in una partita a carte con Salvatore e fumava una sigaretta. «Chi cazzo sei? E dove cazzo mi hai portata? Cosa mi hai fatto?» Controllò d'istinto la chiusura dei jeans, anche se non sembrava avere sensazioni spiacevoli provenienti dalle sue parti intime.
«Non sono troppe parolacce per così poche parole? Comunque nulla di quello che pensi è giusto» la informò.
«Dove sono e perché sono qui?» si buttò i capelli indietro per toglierli dal viso. «Me ne vado immediatamente.»
Diego e Salvatore si scambiarono uno sguardo complice e quest'ultimo sorrise, così Valentina si precipitò verso quella che sembrava la porta d'ingresso e corse fuori.
Di lì a poco sarebbe sorto il sole e ciò che si ritrovò davanti non era il mare illuminato dalla luce dell'alba, ma una distesa d'erba e campi coltivati. Fece un giro su se stessa e, assalita dalla disperazione, si lasciò cadere sulle ginocchia nel soffice verde. Non si vedeva un'altra casa in lontananza per chilometri e quasi le venne il dubbio che si trovasse ancora nella stessa Regione.
Dopo un lungo momento di sconforto, si rimise in piedi e tornò in casa. A gran passo si avvicinò a Diego e gli tirò via la sigaretta che aveva tra le labbra con un'espressione di disgusto sul viso, per poi buttarla sul pavimento e spegnerla col piede. «Ti ho chiesto dove siamo e perché sono qui» insistette.
Diego si mise in piedi, rendendole difficile sostenere il suo sguardo senza sollevare il mento. «Siamo ad Avellino. Fatti una bella vacanza nella natura, già che ci sei, magari ti calmi un po'.»
«Riportami a casa subito!» esclamò autoritaria.
Diego sorrise. «Eh no, qua le cose funzionano diversamente, principessa.» Si portò un'altra sigaretta tra le labbra.
Valentina annuì appena e incrociò le braccia. «Ho capito, avete intenzione di chiedere il riscatto a mio padre. Mi avete rapita per i miei soldi? Che squallore» commentò schifata.
«Una cosa del genere. Non preoccuparti, non ho mai avuto intenzione di toccarti. Con rispetto parlando, quelle con la puzza sotto il naso non mi piacciono.»
«Se è per questo, sappi che ho standard più elevati io.» Valentina sostenne il suo sguardo.
«Buon per te.»
«Voglio parlare con mio padre.»
«Non si può fare.» Diego accese la sigaretta e ne fece un tiro, sbuffando il fumo verso l'alto.
Valentina sventolò la mano davanti alla faccia. «Che schifo», commentò ancora con il solito tono disgustato e Diego lo fece di nuovo. «Almeno potresti evitare di fumare quando sono nei paraggi?»
«Senti, non è davvero una vacanza, quindi fattene una ragione. Ho già dovuto soffrire un'intera giornata senza fumare, per colpa tua.»
Valentina tornò a sfilargli la sigaretta e a spegnerla col piede.
«Ma che cazz'! Sei proprio una snob di merda.»
Lei sollevò la mano e gli tirò un sonoro ceffone, che però non lo smosse di un centimetro.
Diego serrò la mascella, sotto gli occhi di un divertito Salvatore. Non era di certo famoso per la sua pazienza, ma questo lei non poteva saperlo, così si ritrovò sollevata e caricata in spalla, mentre lui la portava nella camera a lei destinata.
«Mettimi giù, troglodita!» si agitò, ma lui non lo fece finché non giunse a destinazione.
La lasciò cadere sul letto. «Certo che pesi, oh.» Si diresse alla porta e uscì chiudendola a chiave.
«Vaffanculo!» gli urlò lei, finendo per schiantarsi contro il legno massiccio. «Ma come si permette? Papà pagherà qualunque cifra per farmi tornare a casa e io ti troverò e ti annienterò, brutto troglodita!»
Valentina si sedette sul letto, sorpresa dal fatto che non si sentisse minacciata da lui, nonostante la lontananza da casa e il fatto che fosse un ostaggio. Provò a ricordarsi della sera prima, ma i suoi ricordi terminavano contemporaneamente al suo Bellini, solleticati dalle bollicine. Poi una sensazione urgente. Si rimise in piedi e cominciò a battere i pugni contro la porta.
«Devo andare in bagno. Apri la porta!» continuò a battere.
Dal salone che anticipava la camera, Diego alzò gli occhi al cielo e prese un grosso respiro. «E Arturo se la vuole sposare? L'ho vista solo due volte e già mi sta sul cazzo!»
Salvatore sbuffò una risata, poi battè l'ultima carta che aveva in mano sul tavolo e urlò: «Scopa!» scoppiò a ridere divertito. «Tocca a te mostrarle la casa.» Si mise in piedi, con un sorriso che non aveva alcuna intenzione di togliersi dalle labbra, e gli diede una pacca sulla spalla. Ma bastò una sola occhiataccia di Diego per fargli andare di traverso un'altra risatina.
Salvatore alzò le mani in segno di resa e lo informò che sarebbe tornato l'indomani, con la spesa e nuovi vestiti per lei.
Valentina tornò a battere contro la porta e a sbraitare come una matta, richiamando l'attenzione di Diego, già stufo delle sue pretese.
Si mise in piedi e andò ad aprirle la porta.
Restarono l'uno di fronte all'altro per qualche secondo di troppo, perché Diego iniziò a notare dettagli sui quali non si era soffermato prima. Il top, o quel pezzo striminzito e sottile di stoffa che lei spacciava per tale, sembrava essere diventato ancora più piccolo a causa della stropicciatura del tessuto, tanto che iniziava a vedersi un po' troppa pelle.
Una pelle dorata per l'abbronzatura estiva e liscia, senza imperfezioni, senza segni naturali o artificiali, al contrario della sua piena di tatuaggi.
Spostò lo sguardo più in alto, fino ad incontrare quello di Valentina. Due occhi, azzurri come il cielo, erano piazzati sotto una fronte increspata dalla rabbia. Il filo di trucco che portava si era ormai sciolto completamente, lasciando solo un po' di nero nella zona delle ciglia inferiori che evidenziava la chiarezza dell'iride.
Anche Valentina si soffermò più del dovuto sul petto ampio di Diego, che si intravedeva dalla camicia leggermente sbottonata. Si meravigliò dell'interesse che le suscitarono quei disegni neri sulla sua pelle priva di peluria, dal momento che non amava particolarmente i tatuaggi o chi ne avesse. Li aveva sempre trovati "sporchi".
Diego serrò la mascella e si decise a rompere il silenzio e soprattutto i pensieri che iniziavano a ronzargli in testa. «Hai finito di urlare?»
Valentina strinse i pugni e, illudendosi che avrebbe potuto farcela, provò a tirargli un cazzotto.
«Vuoi proprio restare chiusa in questa stanza finché non sarà finita?» le chiese bloccando la sua mano con facilità.
«Perché? Perché io?»
«Non devo darti alcuna spiegazione. Non per ora, almeno. Se ne hai bisogno, ti faccio vedere dov'è il bagno, così puoi andarci da sola, come in qualunque posto tra queste quattro mura. Sempre che tu decida di startene buona e la smetti di fare la pazza.»
La vide finalmente più calma e pensò che non c'era bisogno di rovinarsi le giornate a vicenda. Davide Virzillo avrebbe dato ad Arturo quello che voleva, in cambio di sua figlia, e lui sarebbe tornato alla vita di sempre nel giro di un paio di giorni. Si mostrò gentile e attese una risposta positiva.
Valentina rise. «E passare il mio tempo con te? Molto meglio restare chiusa in camera.» Legò i capelli con l'elastico che portava sempre al polso. «Ora mostrami dov'è il bagno.»
Che stronza. Diego le rivolse uno sguardo truce e fece come gli aveva chiesto. La condusse alla porta del bagno e, quando lei fece per aprirla, lui vi pose sopra la mano per bloccarla, si chinò verso di lei e le sussurrò: «Meglio così, perché potrebbe esserci un po' di movimento da queste parti e non credo che lei, principessa, possa gradire questo genere di cose.»
Non sapeva perché avesse sentito il bisogno di lanciarle quell'ultima provocazione, ma lo sguardo di lei, fisso sulle sue labbra e un poco adirato, gli fece sentire una soddisfazione piacevole.
La lasciò entrare e sorrise compiaciuto.
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NOTE:
¹non faresti
²ma cos'è successo?
³Salvatore
⁴La roba
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