L'informazione scottante (Parte 1)
Salvatore aveva fatto una toccata e fuga, giusto il tempo di consegnare un sacchetto del fastfood e un borsone con dei vestiti puliti per Valentina. Aveva lasciato tutto sull'uscio ed era scappato via, in fretta e furia, perché: «Arturo ha detto che devo andare subito da lui – aveva scosso il capo – me sta mannànno 'o manicomio¹!»
Sì, perché era la terza volta che faceva avanti e indietro tra Napoli e Avellino, senza contare tutto il tempo che il viaggio richiedeva.
Diego per un attimo si sentì fortunato di dover restare lì finché le cose non si fossero risolte. D'altronde lavorare con Arturo Di Domenico non era per nulla facile e forse quella era la prima volta che non aveva granché da fare, se non tenere d'occhio la signorina Piscicell², come aveva iniziato a chiamarla.
Si caricò il borsone in spalla e lasciò il sacchetto di carta col cibo sul tavolo. Sollevò la mano per bussare alla porta della stanza in cui Valentina era chiusa da ore, ma lei lo battè sul tempo.
L'aprì con l'aria di chi aveva qualcosa da dire, con uno sguardo accusatorio e la fronte aggrottata.
«Tu. Proprio da te venivo – cominciò – sono passate ore da quando siamo qui. Voglio parlare con mio padre.»
«Sei sorda per caso? Ho detto che non si può fare», sentenziò Diego col suo forte accento napoletano. Calò il borsone dalla spalla e lo lasciò sul pavimento. «Ci sono dei vestiti puliti – lo indicò – il bagno sai dov'è, se vuoi farti una doccia.» Girò i tacchi e fece per allontanarsi, ma Valentina gli afferrò il braccio. Si voltò e la guardò stranito; quel contatto gli aveva fatto provare una strana sensazione.
«Se io potessi parlare con mio padre, potrei convincerlo a darti più soldi», lo supplicò con lo sguardo.
Forse fingeva, o forse no. Era difficile capire cosa le passasse per la testa, ma Diego era curioso di scoprirlo, di conoscere ogni suo pensiero, così decise di assecondarla.
«E dimmi, come credi di poterlo convincere?» attese a braccia conserte la sua risposta.
Sul volto di Valentina si disegnò un sorriso furbo, soddisfatta per averlo agganciato. Pensò che non ci fosse voluto poi tanto a convincerlo almeno ad ascoltarla, e si sentì fiera di sé. D'altronde chi mai avrebbe potuto resistere al suo fascino? Figurarsi un perdente come lui. Si schiarì la voce e continuò: «Gli dirò che mi tenete a digiuno e senz'acqua, o legata stretta... Insomma, qualunque cosa che detta da me avrebbe più credibilità.» Valentina continuò a parlare e sfornare idee per dieci minuti buoni, ma Diego se ne stava lì, fermo, solo a guardarla. Ma almeno mi sta ascoltando? Pensò. Tagliò corto e afferrò il suo top con entrambe le mani. «D'accordo, visto che nessuna delle mie idee ti convince, almeno permettimi di velocizzare la cosa.» Strappò via il minuscolo lembo di stoffa e, coprendosi il seno con un braccio, usò l'altro per lanciarglielo.
Diego cercò di prenderlo al volo, ma questo gli scivolò tra le dita, preso alla sprovvista dal folle gesto. «Ma che fai?», si tolse la camicia e gliela lanciò. «Copriti.» Evitò di guardare, anche se una sbirciatina l'aveva ormai data. Valentina era prosperosa quel tanto che non guastava, regalando una proporzione perfetta a quel suo corpo sinuoso. Il braccio non copriva abbastanza e quando afferrò al volo la camicia fu anche peggio. Diego volse lo sguardo altrove e deglutì sonoramente. «Che devo farci con questo?» Lasciò penzolare il top da un dito.
«Mi rapisci e non hai neanche pensato a qualcosa che ti potesse aiutare allo scopo? Allora sei un vero dilettante. E comunque, non credevo ti importasse tanto del mio onore.»
Diego la guardò, finalmente di nuovo coperta. Quello che vide, però, non era una donna preoccupata o pudica, né una donna sciatta che non si lavava, né dormiva da ore. Vide solo una donna acqua e sapone, con addosso la sua camicia che le copriva due terzi del corpo e i capelli che scendevano liberi sulle spalle. Sentì qualcosa smuoversi dentro, ma si obbligò a restare concentrato. «Ma di che stai parlando?»
«Ti sei voltato per non guardarmi.» Valentina era invece incuriosita dai suoi tatuaggi, sorpresa di essersi trovata a domandarsi che significato avessero per lui. Ancora pensava che fosse assurdo tatuarsi così tanto, ma un cuoricino sul petto aveva rapito la sua attenzione.
«Sì, e allora? Tu invece non l'hai fatto», la colse in flagrante e Valentina fece guizzare lo sguardo altrove.
«Ero solo... Stavo... Mi chiedevo solo che bisogno c'era di fare uno spogliarello per darmi la tua camicia, quando ho un borsone colmo di vestiti proprio qui.»
Diego accennò un sorriso. «Come dici tu. Non mi hai ancora detto che devo farci con questo», tornò a sollevare il top.
Valentina rimase colpita da quel sorriso che lo faceva sembrare stronzo e sexy allo stesso tempo. Di nuovo il suo sguardo si allungò sui pettorali e le spalle larghe e faticò a riprendere la concentrazione. «Mandalo a mio padre, capirà che sono davvero stata rapita.» Sollevò il borsone dal pavimento e si diresse verso la camera.
«Non mangi?» le chiese, ma lei continuò a camminare.
«Non ho fame.» Chiuse la porta dietro di sé.
«Come vuole, principessa.» Diego si rigirò il top tra le mani, chiedendosi come aveva fatto a tenersi su per tutto quel tempo con quei laccetti sottilissimi. Un soffio d'aria fresca entrò dalla finestra e gli fece venire la pelle d'oca, ricordandogli che era a petto nudo, tra le campagne avellinesi, che già vantavano una temperatura più fresca rispetto alla città. Celere, indossò una felpa e chiuse la finestra. Riprese il top tra le mani e ripensò alle parole di Valentina. Cosa crede di fare? Il profumo sprigionato da quel pezzo di stoffa fermò i suoi pensieri. Lo avvicinò al naso. Sape e buon, però³.
● ○ ●
Arturo era stato invitato dal signor Morimoto a recarsi al suo alloggio, poco fuori Napoli. L'uomo aveva deciso di allontanarsi dalla vita frenetica della città, per condurre i suoi affari con più riservatezza e tranquillità. E Arturo lo aveva presto raggiunto. Divideva con lui una di quelle bevande alcoliche giapponesi di cui non riusciva neanche a pronunciare il nome.
«Salute» disse alzando il bicchiere e inclinandolo appena verso il padrone di casa. Lo imitò e buttò giù tutto d'un fiato, ma nonostante si sforzasse di non offenderlo, non riuscì a nascondere una smorfia di disgusto, che provocò un accenno di sorriso nel vecchio.
Dopo che l'uomo ebbe pronunciato una frase, l'interprete, sempre presente, tradusse: «Il signor Morimoto dice che hai poca tolleranza, ma una gran chiacchiera. Si chiede se tu sia all'altezza di ciò che stai progettando.»
Arturo drizzò le spalle e sollevò il mento, arrogante come sapeva di apparire. «I miei progetti sono ben organizzati. Digli di non preoccuparsi. Piuttosto, ha quello che ho chiesto?»
Il ragazzo si permise di rispondere senza interpellare Morimoto: «Sta arrivando. È curioso che voi che parlate la stessa lingua e vivete nella stessa città, abbiate bisogno di uno straniero per incontrarvi.» Sorrise beffardo, mentre l'uomo seguiva la loro interazione senza capire una parola, ma intuendone perfettamente il significato.
«Sì, è curioso, ma Virzillo cambierà presto atteggiamento, non preoccuparti.» L'angolo della sua bocca si sollevò in un sorriso, poco prima che qualcuno bussasse alla porta. «Finalmente...» disse fra sé.
Davide Virzillo entrò con il suo solito atteggiamento da padrone; la puzza sotto il naso e il suo completo sartoriale elegante gli davano un'aria così saccente che avrebbe indispettito anche il più mite tra gli uomini.
«Hai deciso di farti adottare?» si fece beffe di Arturo, che finse una risata divertita per poi tornare subito serio.
«Te l'avevo detto che non avrei rinunciato all'affare così in fretta.» Fece scivolare un cofanetto di legno sul tavolo, fino a raggiungere le mani di Davide, unite in un intreccio di dita.
Virzillo seguì l'oggetto con gli occhi, poi li alzò di nuovo in quelli di Arturo. «Cos'è?»
«Per poterti parlare sono dovuto venire fin qui, da un perfetto sconosciuto. Ora devo anche spiegarti cosa fare?» fece un cenno del capo e, quando non lo vide reagire, continuò: «Aprilo.» Il suo tono era stato asciutto, fiscale.
Davide intercettò gli sguardi di tutti i presenti, si aggiustò il nodo della cravatta e si schiarì la voce. Erano tutti curiosi, ognuno per un motivo diverso.
Finalmente si decise ad aprire la scatola di legno.
Per un attimo rimase immobile, confuso, ma non ci volle molto affinché i pezzi andassero al loro posto. Quello era di sicuro un indumento appartenente a Valentina, ma cosa ci faceva lì dentro?
«Che significa?»
«Azz⁴, ma allora sei ottuso!» Arturo si avvicinò spavaldo e concluse: «Tua figlia è nelle mie mani e ti conviene pensarci bene, prima di darmi una risposta. Mi farai entrare nell'affare?»
CONTINUA....
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NOTE:
¹mi sta mandando al manicomio
²I Piscicelli sono stati una famiglia nobile molto importante nella storia del Regno di Napoli. Oggi a Napoli si usa apostrofare in tal modo una persona che si atteggia a nobile, ma non lo è, solo per sfottò.
³Sa di buono, però.
⁴Caspita
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