Fuga in silenzio (Parte 1)
Diego era entrato dalla porta e lei non avrebbe saputo che dire nemmeno se fossero stati soli, così si era limitata a tenere lo sguardo fisso su di lui e a godersi quegli occhi con i quali sembrava volerla mangiare. Possessivo e passionale. Rischio di caderci sul serio.
Si concentrò per mandare via quei pensieri, come ormai le capitava sempre più spesso.
Quando vide i due confabulare e poi allontanarsi per non essere sentiti, decise di togliere il disturbo e tornare nella sua stanza.
Neanche un saluto, chiuse la porta alle sue spalle e andò a sedersi sul letto. «Che cazzo mi guarda come se volesse saltarmi addosso, se poi neanche mi saluta – strinse le lenzuola nei pugni – non ha senso.» Si rimise in piedi e fece due passi, inquieta come una leonessa in gabbia. «Ma tanto lui ha Annamaria. Sta solo cercando di tenermi buona.» Intrecciò le dita nei capelli e li sollevò dal collo per sistemarli in una coda alta. «Bene» concluse infervorata e sempre più decisa sul da farsi. Se credeva di avere a che fare con una donna sciocca, figlia di papà e con la puzza sotto il naso, si sbagliava di grosso, anche se una cosa su tre l'aveva azzeccata. Però era il suo orgoglio che lui ignorava e Valentina questo non lo digeriva. Cambiò la magliettina che indossava per una felpa col cappuccio e infilò ai piedi le sue sneakers. Aprì appena la porta e diede un'occhiata fuori.
Diego e Salvatore si erano spostati in un'altra stanza e la casa era immersa in uno strano silenzio. Il buio avvolgeva ogni cosa, tranne l'ingresso che invece era illuminato da una luce da esterno. Non si era nemmeno preso la briga di controllarla. Dà per scontato che io non vada da nessuna parte. Presuntuoso del cazzo! Scosse il capo e, presa da un'ondata di coraggio e rabbia, raccolse poche cose in una sacca di stoffa impermeabile e corse fuori prima che uno dei due bussasse alla sua porta.
Le palpitazioni. Valentina sentiva solo il rumore del suo cuore che pompava un fiume di sangue attraverso il collo, fin sopra la testa. Le gambe sembravano escluse dal gioco, perché nonostante si muovessero veloci, non riusciva a sentirle. I piedi continuavano a posizionarsi uno davanti all'altro per inerzia. Si guardò alle spalle e vide la casa allontanarsi sempre di più, mentre lei s'inoltrava nei campi bui che la circondavano.
Quasi inciampò e dovette focalizzare di nuovo lo sguardo sulla strada davanti a sé. Senza una torcia o un cellulare era davvero complicato arrivare lontana, ma doveva provarci. Prima o poi avrebbe raggiunto quell'unica luce che vedeva in lontananza e forse un'anima pia le avrebbe prestato il suo telefono per una chiamata. Fortuna che l'unico numero che conosceva a memoria fosse proprio quello di suo padre.
Corse ancora per quelle strade non asfaltate dove gli unici suoni che si udivano erano quelli degli animali notturni, tra cicale e civette e qualcos'altro che non sapeva riconoscere. Fu solo la libertà a renderla coraggiosa, perché altrimenti non sarebbe mai riuscita a ignorare la fobia di immergersi nella natura, con la probabilità di ritrovarsi chissà quale grosso insetto attacato addosso. Al solo pensiero un brivido le corse lungo la schiena.
Rallentò, stremata dallo sforzo fatto dopo giorni di quasi inattività e scarsa nutrizione. Nonostante lui non le avesse mai fatto mancare del cibo in casa, proprio non riusciva a mangiare per bene, poiché un groviglio di emozioni contrastanti le aveva scombussolato lo stomaco: prima la paura di non rivedere più i suoi cari, poi solo Diego. Lui la tormentava nei sogni, da sveglia, che fosse presente oppure no; sembrava non avere alcuna possibilità di sfuggirgli.
Fece un grosso respiro e richiamò a sé tutta l'energia di cui ancora disponeva per raggiungere quell'unica luce ormai più vicina.
Un casolare padroneggiava isolato fra due campi di noccioli, poco illuminato all'esterno, ma reso visibile dalla luce accesa che attraversava una finestra dalle inferriate larghe. Valentina si fermò davanti alla porta e, respinto il timore di passare dalla padella alla brace, infine si decise a bussare.
Una donna anziana dalla pelle rugosa, probabilmente bruciata da anni di duro lavoro nei campi, sotto il sole cocente, ridusse gli occhi a due fessure per sforzarsi di mettere a fuoco chi aveva davanti.
«Chi sì tu?¹ A chi appartieni?» chiese subito.
Valentina riflettè veloce su ciò che avrebbe risposto. Non voleva certo allarmare la vecchietta e a ben pensarci non avrebbe nemmeno voluto che Diego si ritrovasse nei guai; era disposta a far finta di nulla a patto che la lasciasse tornare a casa e alla luce di come si era comportato con lei. Nel ripensare ancora a lui, il cuore perse un battito. Maledetto! Perché non riusciva semplicemente a lasciarsi tutto alle spalle? Perché non riusciva a lasciarsi lui alle spalle?
Ancora una volta dovette fare appello a tutta la sua determinazione e rispose: «Ero in vacanza con degli amici, ma mi sono persa. Non ha per caso un cellulare da prestarmi?» Giunse le mani in preghiera, ma la signora sembrava non aver inteso una parola, così riprovò di nuovo: «Ha un cellulare? – chiuse la mano e allargò pollice e mignolo mimando una cornetta – Telefono» ribadì.
La signora finalmente sembrò aver capito e dopo aver risposto con un "ah", continuò: «Nunn'o tengo².»
Valentina abbassò le spalle, delusa e svuotata da ogni speranza, e la donna le chiese: «Vuò trasì?³»
Il tono gentile dietro un aspetto tanto duro la fece riprendere quel tanto che bastava per accettare il suo invito e seguirla all'interno del casolare.
L'abitazione non era tanto grande e, appena entrata, Valentina si ritrovò subito nella spaziosa e rustica cucina, che con molta probabilità ne costituiva l'ottanta percento. Sul fuoco un pentolone nella quale sobbolliva del liquido che lasciava tornare a galla, a rotazione, delle verdure messe lì a cuocere. Il profumo aveva invaso l'intera stanza e lei provò subito una sensazione di tranquillità e familiarità.
«È 'o broro. Aje famme?⁴» la sorprese a fissare il pentolone e Valentina la guardò di scatto. Non ci fu bisogno di rispondere a quella domanda, perché il rumoroso brontolare del suo stomaco lo fece al posto suo. L'anziana donna annuì e le fece segno di accomodarsi al grande tavolo in legno.
Era scappata dai suoi rapitori e aveva corso per un bel tratto di strada, in mezzo al nulla e al buio. Il fresco della sera fra i campi, lontano dall'afa che ancora attanagliava la città, le stava entrando nelle ossa e quel tepore che aveva ritrovato nel casolare della donna era l'unica cosa che le stava dando conforto in quell'ultima settimana della sua vita.
Quando il piatto fondo pieno di brodo fumante fu posato tra le sue mani, né inspirò il buonissimo profumo e si sentì come a casa.
● ○ ●
Diego si dirigeva spedito verso il casolare che sapeva di trovare su quel sentiero malmesso, sicuro di trovarla lì a chiedere aiuto alle uniche persone che abitavano in zona: i coniugi Paolillo, lontani parenti di Arturo. La coppia viveva nel casolare da sempre, così come i genitori di donna Giuseppina prima di lei e i bisnonni ancora prima. I Paolillo erano figli di coltivatori, gente che aveva sudato ogni centesimo che gli appartenesse, gente che aveva cresciuto la famiglia di Di Domenico, prima che questa si spostasse nella città partenopea. Forse era proprio il fatto di aver conosciuto il duro lavoro e quello che poco aveva portato a quelle persone, che Arturo aveva deciso di intraprendere una strada diversa, anche se più pericolosa. Diego ripensò ai racconti del suo amico e di nuovo provò un misto di pena e rabbia. Certo alcune cose non poteva capirle, essendo lui nato e cresciuto in città, così come la sua famiglia, ma non poteva comunque vantare una storia personale più blasonata.
Immerso nei pensieri, con la torcia del cellulare illuminò la strada davanti a sé per non inciampare. Era tutto terriccio e gli animali notturni sfrecciavano via appena venivano colpiti dalla luce. I pensieri verterono su Valentina all'istante; aveva percorso la strada da sola, senza una luce e senza alcuna idea di dove si trovasse o dove si stesse dirigendo. Guardò ancora una volta in direzione del casolare e sperò che avesse avuto abbastanza sale in zucca da sostare lì almeno per un po', perché era impensabile immergersi nelle campagne circostanti nella speranza di trovare un centro abitato. Dubitava che Valentina avesse mai attraversato i quartieri più umili di Napoli, figuriamoci destreggiarsi tra campagne, casolari e un dialetto, che per quanto comprensibile, parlato dai più anziani del paese poteva risultare una lingua a parte. Un po' gli veniva da sorridere, ma la preoccupazione e un accenno di rabbia facevano a braccio di ferro per prevalere l'una sull'altra. Continuava a chiedersi perché fosse scappata. Insomma, l'aveva rapita su richiesta di Arturo, vero, ma non l'aveva mai trattata male, non lo avrebbe neanche mai sfiorato l'idea, in nessun caso. È scappata da te, rimbombò nella sua testa. No, non poteva accettarlo, non dopo quello che era accaduto l'ultima volta. Se proprio voleva andarsene, avrebbe dovuto dirglielo apertamente, affrontarlo. Aggia sape'⁵.
Accelerò il passo e si ritrovò alla porta del casolare; bussò con le nocche delle dita e attese la padrona di casa.
NOTE:
¹Chi sei tu?
²Non ce l'ho
³Vuoi entrare?
⁴È il brodo. Hai fame?
⁵Devo sapere
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