Faccia a faccia
Napoli era uno spettacolo come sempre e in attesa di Davide Virzillo Diego se ne stava seduto in terrazzo, all'ultimo piano di una bellissima villa a Posillipo, ad ammirare il cielo cambiare colore grazie alle sfumature che regalava il tramonto di quella serata; si partiva dal giallo caldo, per finire nel rosso, fino a perdersi nella parte già più scura che assumeva una colorazione livida e un po' più fredda. Quella bellezza da togliere il fiato gli fece pensare a Valentina, per poi chiedersi se avesse gradito condividere un momento così spettacolare con lui.
Quel pensiero improvviso gli scaldò il petto e lo agitò. Cercò una posizione più comoda sulla sedia, poi guardò l'ora sul display del cellulare.
Dopo un breve momento d'incertezza a inizio serata, si era tranquillizzato, ma ora il ritardo di Virzillo iniziava a mettergli agitazione.
Le dita picchiettarono un motivetto nervoso sul tavolino con un bellissimo mosaico composto da pezzetti di marmo colorati e brillanti.
Diego non era solito farsi prendere dall'ansia, anzi, la norma era fregarsene di tutto e tutti quelli di cui non gli importava realmente, e Virzillo non aveva mai goduto della sua considerazione. Fra i due, era Arturo quello ossessionato dalla presenza ingombrante di un uomo i cui affari oscuravano quelli di altri più "piccoli", come poteva essere Di Domenico. Ancora una volta si chiese perché il suo vecchio amico aveva dovuto mettere sù tutta quella scena per un qualcosa di superfluo e che riguardava anche Valentina.
Pensò che se solo l'avesse conosciuta prima, avrebbe potuto evitare il rapimento semplicemente chiedendole aiuto; perché ora stranamente aveva la convinzione che lei gli avrebbe dato ascolto. Forse era una cosa presuntuosa o arrogante da pensare, ma ne era sicuro, ora anche di più.
E fu seguendo la scia di quei pensieri che venne colto da un improvviso bisogno di chiamare Salvatore.
«Oh – cominciò – tutto bene?»
«Pascola. Ma tu pensa a te» rispose Salvatore.
«Tienila d'occhio. È un attimo...»
«E per chi ti preoccupi? Per Arturo o p'a principessa¹?»
Diego restò in silenzio. Un uomo alto un po' più di lui, in completo elegante, e un altro più grosso e muscoloso fecero la loro comparsa in terrazzo. Fu solo guardando gli occhi del primo che ne riconobbe il colore profondo: era lo stesso che caratterizzava i bellissimi occhi di Valentina. Non ebbe alcun dubbio, quell'uomo era Davide Virzillo.
«Cià Salvatò²» chiuse la telefonata e si mise in piedi.
Davide tirò indietro la sedia e si mise seduto. Si sistemò la giacca in completo silenzio, controllò l'ora sul suo orologio da polso e dopo aver fatto un cenno all'uomo che lo accompagnava, finalmente alzò gli occhi su Diego.
«Ancora non ho avuto notizie di mia figlia – allargò le braccia – e ora lui manda te. Mi state prendendo per il culo?»
Il tono serio e duro che aveva usato fece subito capire a Diego su quale piano avrebbe messo quella conversazione, così si rimise seduto e assunse l'espressione più seria che avesse mai avuto. «Ancora non abbiamo avuto una risposta per la proposta che abbiamo messo sul tavolo.»
Virzillo allentò il nodo della cravatta e se la sfilò dal collo. «Il problema di voi giovani d'oggi è che pretendete tutto e subito, non capite che sulle cose bisogna lavorarci.»
«Perché, noi non ci stiamo lavorando?» Diego sollevò un sopracciglio e curvò l'angolo della bocca in un accenno di sorriso, beffardo e provocatorio.
Virzillo battè la mano aperta sul tavolo, uno scatto nervoso che avrebbe dovuto tenere a bada, perché non fece che rafforzare la posizione di Diego, e di conseguenza quella di Arturo. «Tua figlia sta bene. Saprai solo questo fino a quando non ci darai una risposta. Affermativa, s'intende.»
L'uomo venuto con Davide si avvicinò al tavolo e sfilò la cravatta dalla sua mano; con un agile scatto la strinse al collo di Diego, che fece subito fatica a respirare. Nonostante cercasse con tutto se stesso di liberarsi, non riusciva nell'intento e ben presto fu costretto a smettere, perché il vano tentativo rischiava solo di fargli perdere i sensi. Così si limitò a seguire con lo sguardo Davide, che si era messo in piedi e guardava verso l'orizzonte.
«Credevo di essere stato chiaro, ma a quanto pare mi sbagliavo. Di Domenico capirà con chi ha a che fare.»
Diego si sforzò ancora di parlare, mentre con le mani cercava di afferrare l'energumeno alle sue spalle per potersi liberare. «Valentina...» disse tra i denti, in un suono quasi incomprensibile. Richiamò a sé tutta la determinazione che lo aveva sempre distinto e riprovò a parlare: «Mi... occupo io... di Valentina.»
Davide si voltò di scatto a guardarlo, sollevò una mano e il suo uomo lasciò la presa. «Dov'è?»
Diego si massaggiò la gola e riprese finalmente fiato. «Solo Arturo lo sa. Io le porto da mangiare e da bere e mi occupo di lei. È sempre rinchiusa. Se non vuoi che muoia di stenti, ti conviene lasciarmi andare», mentì senza pudore. Aveva capito bene che diversamente non sarebbe tornato indietro intero. Davide Virzillo si stava dimostrando un vero osso duro, al punto che iniziava a domandarsi se la posta in gioco non fosse troppo alta.
«Allora, l'affare?» si mise in piedi, pronto a lasciare quel luogo appena avesse avuto la sua risposta.
L'altro serrò la mascella, troppo orgoglioso per cedere. Se ne stette in silenzio per un lungo momento, poi gli diede le spalle e rispose: «Prenderò la mia decisione solo dopo che avrò sentito mia figlia. Voglio che sia lei a dirmi che sta bene. Di voi non mi fido.»
Diego, ancora una volta, dovette armarsi di pazienza. Non capiva perché quell'uomo continuasse a rimandare la decisione pur sapendo che sua figlia era in mano loro. Al posto suo avrebbe già ceduto pur di riavere tra le sue braccia la persona per lui più importante del mondo.
Si massaggiò ancora il collo indolenzito.
«Riferirò quanto mi hai detto, ma per ora le cose restano come sono. Tua figlia vuole solo tornare a casa e, sapere che non hai ancora mosso un dito per riaverla, non le farà piacere, non credi?» Virzillo si voltò di scatto e lui continuò: «Forse siamo noi il male minore per lei.»
Sul viso di Davide si notò una contrazione nervosa, segno di un controllo che stava per perdere. Per la prima volta iniziava a guardare la situazione da quel punto di vista. Che Valentina potesse pensare che era indifferente alla sua condizione? No, sua figlia non poteva crederlo davvero. Però la sua esitazione lo stava mettendo sotto quella luce. Si chiese, per la prima volta, se non gli convenisse cedere e condividere con Di Domenico tutto il proprio sudato lavoro, ma ancora il suo orgoglio ebbe la meglio e restò in silenzio. Tornò a guardare l'orizzonte e con un gesto della mano ordinò al suo accompagnatore di mettere Diego fuori la porta.
● ○ ●
Erano trascorse ore dal tramonto e soprattutto da quando Diego era andato via. Salvatore continuava a ripetere lo stesso solitario con le carte, come in un loop, mentre Valentina cambiava i canali alla tv, seduta sul divano e assonnata dalla noia. Continuava a pensare alle parole di quello sciroccato con il quale al momento condivideva la casa in mezzo al nulla, le stesse l'avevano condotta a una decisione: sarebbe scappata appena si fosse presentata l'occasione. Le sarebbe bastato approfittare del primo momento di distrazione che li avrebbe coinvolti e via, più veloce della luce. Tanto prima o poi avrebbe incontrato un'anima pia che si fosse proposta di aiutarla a raggiungere la città, no?
Pigiò ancora una volta il tasto sul telecomando, quando una brusca frenata sul terreno la ridestò dalla luce ipnotica della tv, nella penombra della stanza. Diego era tornato e il suo cuore aveva subìto un'improvvisa accelerata. Mandò giù il groppo che sentì in gola e quando lo vide entrare dalla porta s'immaginò di corrergli incontro.
Come se già sapesse dove trovarla, Diego le posò addosso lo sguardo ancor prima di chiudersi la porta alle spalle e notò all'istante che aveva cambiato il suo abbigliamento; non lo avrebbe mai ammesso, ma questo lo fece sentire sollevato. Con l'ampia camicia corta che aveva indossato quella mattina era così provocante che pensarla in casa con un altro gli aveva messo addosso un'agitazione inusuale per lui. Non che Salvatore fosse un tipo pericoloso in quel senso, ma Valentina era davvero una bella ragazza e anche solo sapere che un altro avesse potuto guardarla con un certo interesse gli provocava un moto di gelosia. Quindi mo' sei pure geloso? Si domandò.
Valentina intercettò il suo sguardo e abbassò gli occhi sulle proprie gambe. Le sembrava sollevato dal fatto che avesse indossato un pantalone lungo. Ma perché? Si chiese. Era vero, aveva voluto provocarlo quella mattina, oppure non avrebbe mai indossato qualcosa che la lasciava così scoperta, ma era tutto lì. Aveva capito di piacergli e voleva che sapesse che non le era indifferente nemmeno lui. Ora però quel sollievo nel suo sguardo la faceva sentire forte, desiderata. Forse aveva ottenuto molto di più che la sua attenzione in un momento di forte attrazione fisica. Ma in fondo non era lo stesso anche per lei? Perché non poteva certo ignorare il fastidio che aveva provato nel sapere di Annamaria.
«Eccolo qua!» Salvatore gli andò incontro e spezzò l'interminabile scambio di sguardi fra i due. Con un cenno del capo lo interrogò sul segno che si andava sempre più evidenziando sul collo.
Diego scosse la testa e andò a prendersi da bere. Subito dopo sfilò una sigaretta dal pacchetto e se la mise tra le labbra.
Fece un tiro e soffiò il fumo verso l'alto, quando Salvatore si avvicinò. «A che stai pensando?» gli domandò.
Si spostarono nell'altra stanza e Valentina, accortasi del modo in cui i due provavano a nascondersi per non farsi sentire, decise di tornare nella sua camera.
Solo dopo aver sentito la porta chiudersi, Diego rispose alla domanda. «Le faccio registrare un videomessaggio per il padre.»
«Arturo lo sa?»
Diego scosse il capo e finì la sigaretta. «Per una volta voglio fare a modo mio. Puoi organizzare la mia stanza così che non si capisca dove ci troviamo? Copri le finestre, elimina ogni traccia del nostro passaggio. Poi mi serve un quotidiano nazionale, con numero di serie oscurato, perché non si sappia dove è stato comprato.» Spense la sigaretta nel posacenere.
«E quando Arturo lo verrà a sapere?»
Diego gli posò una mano sulla spalla: «Tu non eri qui. Ho fatto tutto da solo, dalla decisione all'organizzazione, per finire col video. Stai sereno.»
Salvatore sospirò rassegnato e aggiunse: «Lo sai che non è quello, che mi preoccupa. Stai correndo troppi rischi inutili» concluse.
«Arturo non dirà nulla. Anzi, vedrai che le acque si smuoveranno e alla fine ne resterà anche contento.» Gli diede una pacca sulla spalla. «Vado a parlarle.»
«Spero che tu lo faccia solo per risolvere le questione il prima possibile.»
Diego gli rivolse un'ultima occhiata e dopo un minuto di silenzio lasciò la stanza per andare da Valentina.
Con passo deciso, ma a capo chino, si avvicinò alla porta della sua camera. Vi posò sopra un palmo e solo sotto la pressione della sua mano si accorse che era socchiusa. «Posso?» chiese, ma non ebbe risposta. «Devo parlarti – continuò – sto entrando.» Spinse appena la porta e questa si aprì senza resistenza. Gli occhi si posarono subito sul letto sfatto, poi fecero un giro veloce della stanza.
Di Valentina non c'era traccia e quello che sentì fu una frustrazione profonda. «Cazzo!» Veloce scattò da un lato all'altro della casa, controllandone ogni angolo, da dentro a fuori.
«Sarracì, ch'è succieso?³» Salvatore lo raggiunse preoccupato.
«Se n'è juta, Salvatò⁴» imprecò a denti stretti e prese il giubbotto dalla sedia.
«Vuoi le chiavi della moto?»
«No, non può essere andata lontano.» Di corsa uscì di casa, mentre indossava il giubbotto e continuava a mormorare innervosito.
Un momento, un solo momento di distrazione e se l'erano fatta scappare da sotto il naso, come dei fessi.
Ma a Diego non importava di cosa avrebbe detto Arturo. Valentina era fuori da sola in mezzo al nulla e non sapeva dove andare, era di questo che si preoccupava, solo di questo.
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NOTE:
¹per la principessa
²Ciao Salvatore
³Sarracino cos'è successo?
⁴Se n'è andata, Salvatore
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