37. Alitosi

Quando la nebbia si dileguò eravamo ancora sul fianco della montagna, ma la strada era sterrata. L'erba era più fitta. Il tramonto disegnava una fascia rosso sangue sul mare. La cima della montagna adesso sembrava più vicina, circondata da un turbine di nuvole temporalesche e di potere allo stato puro. C'era un solo sentiero, proprio davanti a noi, e si snodava attraverso un prato rigoglioso di ombre e fiori: il giardino del crepuscolo.

Se non fosse stato per quel drago enorme, il giardino sarebbe stato il posto più bello che avessi mai visto. L'erba risplendeva della luce argentea della sera e i colori dei fiori erano così brillanti che quasi luccicavano nella notte. Un sentiero di ghiaia di marmo nero conduceva ai due lati di un melo immenso, i cui rami scintillavano di pomi d'oro. «I pomi dell'immortalità» spiegò Talia «il dono di nozze di Zeus a Era».

Attorcigliato intorno all'albero c'era un drago. Il corpo di serpente era grosso quanto un razzo spaziale e luccicava di scaglie ramate. Aveva più teste di quante riuscissi a contarne, come se qualcuno avesse fuso insieme un centinaio di pitoni micidiali. Sembrava addormentato. Le teste riposavano nell'erba, arrotolate come un grosso cumulo di spaghetti giganti, con tutti gli occhi chiusi.

Poi le ombre di fronte a noi cominciarono a muoversi. Si udì un canto bellissimo, innaturale, come di voci dal fondo di un pozzo. Percy fece per sguainare Vortice, ma Zoe gli bloccò la mano. Delle figure si materializzarono, scintillando: erano quattro giovani donne che somigliavano molto a Zoe. Indossavano tutte un candido chitone greco. Avevano la pelle color caramello e lucidi capelli neri sciolti sulle spalle. «Sorelle» esordì Zoe.

«Non vediamo alcuna sorella» rispose gelida una delle ragazze «vediamo tre mezzosangue e una Cacciatrice. E ciascuno di essi morirà presto»

«Vi sbagliate». Percy fece un passo avanti. «Nessuno di noi morirà»

Le ragazze lo studiarono. I loro occhi erano come rocce vulcaniche: lucidi e completamente neri. «Perseus Jackson» disse una. Poi mi guardò. «Alexandra Grace»

«Sì» rifletté un'altra «non vedo come possano essere una minaccia»

«Chi ha detto che lo siamo?» fece Percy.

La prima Esperide si lanciò un'occhiata alle spalle, verso la cima della montagna. «Essi vi temono. Sono scontenti che lei non vi abbia ancora ucciso» e indicò Talia.

«Sono stata tentata, alle volte» borbottò Talia. Le lanciai un'occhiataccia e lei si mosse, a disagio. «Ma no, grazie. Alexandra è mia sorella, e Percy è un amico»

«Qui non ci sono amici, figlia di Zeus» replicò la ragazza «solo nemici. Tornate indietro»

«Scordatevelo» intervenni «non senza Annabeth»

«E Artemide» aggiunse Zoe «dobbiamo salire sulla montagna»

«Ti ucciderà, lo sai» disse la ragazza «non puoi competere con lui»

«Artemide dev'essere liberata» insistette Zoe «lasciateci passare»

La ragazza scosse la testa. «Tu non detieni più alcun diritto in questo luogo. Non dobbiamo fare altro che levare le nostre voci e svegliare Ladone»

«Non mi farà alcun male» replicò Zoe.

«No? E che ne sarà dei tuoi cosiddetti amici?»

Zoe gridò l'ultima cosa che mi sarei mai aspettata di sentirla gridare: «Ladone! Svegliati!»

Il drago si mosse, luccicando come una montagna di monetine. Talia mi prese per un braccio e mi costrinse ad arretrare, borbottando un'imprecazione in greco antico. Le Esperidi strillarono e si sparpagliarono. Quella che sembrava il capo disse: «Sei pazza?»

«Non hai mai avuto coraggio, sorella» ribatté Zoe «è questo il tuo problema»

Il drago Ladone adesso si contorceva, dibattendo le sue innumerevoli teste, con le lingue che saggiavano l'aria. Zoe fece un passo avanti, le braccia alzate. «Zoe, no!» esclamò Talia «non sei più una Esperide. Ti ucciderà!»

«Ladone è addestrato per proteggere l'albero» spiegò Zoe «costeggiate il bordo del giardino. Salite sulla montagna. Fintanto che io rappresento la minaccia maggiore, dovrebbe ignorare voi»

«Dovrebbe» osservò Percy «non è molto rassicurante»

«Appunto. Deve esserci un altro modo, Zoe» intervenni.

«Non c'è» replicò lei «anche unendo le nostre forze, non riusciremmo a sconfiggerlo»

Ladone aprì le sue bocche. Il suono di un centinaio di teste che sibilavano all'unisono mi provocò un brivido lungo la schiena, e questo successe prima che il suo alito mi investisse. L'odore era come un acido, e si mescolava all'odore dell'eucalipto masticato. Mi fece bruciare gli occhi, accapponare la pelle, drizzare i capelli.

Talia si lanciò a sinistra, tirandomi con sé. Percy andò a destra. Zoe andò dritta verso il mostro. «Sono io, piccolo mio» esclamò «Zoe è tornata»

Ladone scattò in avanti, poi subito indietro. Alcune bocche si chiusero. Altre continuarono a sibilare. Il drago era confuso. Nel frattempo, le Esperidi si dileguarono con uno scintillio fra le ombre. La voce della più anziana bisbigliò: "Sciocca". «Un tempo mangiavi dalla mia mano» continuò Zoe, parlando con voce suadente e continuando ad avanzare verso l'albero d'oro «ti piace ancora la carne d'agnello?»

Gli occhi del drago luccicarono. Io, Percy e Talia avevamo percorso circa la metà del giardino. Davanti a noi scorgevo un unico sentiero roccioso che saliva fino alla vetta nera della montagna. La tempesta turbinava e roteava attorno alla cima come se questa fosse l'asse del mondo.

Eravamo quasi riusciti a lasciarci il prato alle spalle quando qualcosa andò storto. Percy si bloccò d'improvviso e si girò; lo imitai, appena in tempo per vedere Ladone che si scagliava su di Zoe.

Duemila anni di addestramento le permisero di restare in vita. Schivò una serie di fauci pronte ad azzannarla e rotolò sotto un'altra, districandosi fra le teste del drago e correndo verso di noi, trattenendo i conati di vomito per l'orribile fiato del mostro. Percy sguainò Vortice per correre in suo aiuto, e io evocai le Gemelle per fare lo stesso. «No!» gridò lei con il fiato corto «Scappate!»

Il drago la azzannò su un fianco e Zoe gridò. Talia scoprì l'egida, e Ladone sibilò. Sfruttando quell'attimo di indecisione, Zoe ci superò di slancio e corse su verso la montagna, con noi dietro.

Il drago non cercò di inseguirci. Soffiò e pestò le zampe a terra, ma immagino che fosse bene addestrato a sorvegliare l'albero. Non si sarebbe mai allontanato, nemmeno per l'appetitosa prospettiva di sbranare degli eroi.

Mentre correvamo su per la montagna, le Esperidi ripresero il loro canto del crepuscolo. La musica, però, somigliava più alla colonna sonora di un funerale.

Sulla cima della montagna c'erano delle macerie: blocchi di marmo e di granito nero grossi come case. Colonne spezzate. Statue di bronzo mezzo disciolte. «Le rovine del Monte Otri» bisbigliò Talia sgomenta.

«Sì» confermò Zoe «non erano qui, prima. Brutto segno»

«Cos'è il Monte Otri?» domandò Percy imbarazzato.

«Il monte-fortezza dei Titani» gli risposi.

Zoe annuì. «Nella Prima guerra, Olimpo e Otri erano le due capitali rivali del mondo. Otri era...» trasalì, stringendosi un fianco.

«Sei ferita» disse Percy «fa' vedere»

«No! Non è niente. Stavo dicendo... nella Prima guerra, Otri fu rasa al suolo»

«Ma... come fa a essere qui?»

Talia si guardò attorno con circospezione mentre avanzavamo fra le macerie, superando blocchi di marmo e architravi spezzati. «Si sposta nello stesso modo dell'Olimpo. Esiste sempre ai margini della civiltà. Ma il fatto che sia qui, su questa montagna, è un pessimo segno»

«Perché?»

«Questa è la montagna di Atlante» rispose Zoe «il luogo dove sorregge...» si bloccò. La sua voce era rotta dalla disperazione.

Il cuore mi fece uno sgradevole balzo nel petto, arrivando in gola. I sogni che avevo fatto finalmente acquistarono un senso. «Il luogo in cui sorregge la volta del cielo» completai debolmente.

Eravamo arrivati sulla vetta. A pochi metri di distanza, le nuvole grigie roteavano in un denso vortice, creando un imbuto che quasi toccava terra –quasi, perché invece poggiavano sulle spalle di una ragazzina di dodici anni con i capelli ramati e una veste argentata a brandelli: Artemide, le gambe incatenate alla roccia. «Mia signora!». Zoe fece per correre da lei, ma Artemide disse: «Fermi! È una trappola! Dovete andarvene subito!»

Aveva la voce tirata ed era zuppa di sudore. Non avevo mai visto soffrire una dea prima di allora, ma il peso del cielo era evidentemente troppo per Artemide. Zoe stava piangendo. Corse da lei, nonostante le sue proteste, e cercò di strappare le catene. Una voce tonante parlò alle nostre spalle: «Ah, che scena toccante».

Ci voltammo. Il Generale era lì, nel suo completo di seta marrone. Al suo fianco c'erano Luke e una decina di donne-drago con il sarcofago d'oro di Crono. Annabeth era in piedi accanto a Luke. Aveva le mani legate dietro la schiena e un bavaglio sulla bocca, Luke le puntava la spada alla gola. Ignorai il chiaro messaggio negli occhi di Annabeth -"SCAPPA"-. La rabbia mi fece vedere rosso. Feci per fare un passo verso di loro, inferocita, ma Talia mi trattenne per un braccio. «Luke» ringhiò «lasciala andare»

Il sorriso di Luke era debole e pallido. Aveva un aspetto perfino peggiore di tre giorni prima, a Washington. «Questa è una decisione che spetta al Generale, Talia. Ma è bello rivederti»

Lei gli rispose con uno sputo. Il Generale ridacchiò. «Alla faccia dei vecchi amici. E tu, Zoe. Ne è passato di tempo. Come sta la mia piccola traditrice? Mi divertirò a ucciderti»

«Non rispondere» gemette Artemide «non lo sfidare»

«Aspettate un secondo» esclamò Percy «lei è Atlante?»

Il Generale lo guardò. «E così anche il più stupido degli eroi riesce finalmente a capire qualcosa. Sì, sono Atlante, il Generale dei Titani e il terrore degli dei. Congratulazioni. Ti ucciderò fra un momento, quando avrò finito con questa spregevole ragazzina»

«Non farà del male a Zoe» gridò Percy «non glielo permetterò!»

Il Generale fece un verso di scherno. «Non hai alcun diritto di interferire, piccolo eroe. È una questione di famiglia»

«Una questione di famiglia?»

«Sì» confermò Zoe cupa «Atlante è mio padre, Percy».

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