26. La Dea (P)
[22.09.2021 ~ capitolo revisionato ✔]
Il dio della guerra lanciò un'occhiata ai miei amici. «Calma, gente». E li disarmò con un semplice schiocco delle dita. «Questo è un incontro amichevole». Mi affondò un po' di più la punta della lama sotto il mento. «Naturalmente, mi piacerebbe staccarti la testa e appenderla come un trofeo, ma c'è qui qualcuno che desidera vederti. E non decapito mai i miei nemici di fronte a una signora»
«Quale signora?» chiese Talia.
«Non è ovvio, Lia?» fece Alex scorbutica «Si riferisce a sé stesso»
Ares la guardò. Mi sembrò di vedere un luccichio minaccioso dietro gli occhiali da sole. «Alex...» la chiamai in tono d'avvertimento. Non volevo che anche lei se lo inimicasse.
«Bene, bene. Alexandra. Incantevole come sempre. Finalmente riunita alla sorella, eh? Mi avevano detto che era tornata». Abbassò la spada e mi scansò con una spinta. «Talia, figlia di Zeus» rifletté Ares «non frequenti una bella compagnia»
«Che cosa vuoi, Ares?» replicò lei «Chi c'è nella macchina?»
Ares sorrise, godendosi l'attenzione. «Oh, dubito che voglia incontrare il resto di voi. Soprattutto loro». Indicò Zoe e Bianca con un cenno brusco del mento. «Perché non vi prendete qualche taco nell'attesa? Percy ci metterà solo qualche minuto»
«Se pensi che lo lasceremo solo con te...» ringhiò Alex.
«E poi» balbettò Grover «il ristorante è chiuso»
Ares schioccò di nuovo le dita. Le luci del ristorantino messicano si accesero all'istante. Le assi volarono via dalla porta e il cartello chiuso si voltò sul lato con su scritto aperto. «Stavi dicendo, ragazzo-capra?»
«Andate pure» dissi agli altri «qui me la vedo io»
Cercai di sembrare più sicuro di quanto non fossi. Ma secondo me Ares non ci cascò. «Avete sentito il ragazzo» esclamò «è grande e forte. Ha tutto sotto controllo»
Grover e le ragazze si diressero con riluttanza al ristorante. Alex, però, rimase ferma dov'era. Spostò lo sguardo da Ares a me, e io le feci un cenno. «Va tutto bene» la rassicurai «non preoccuparti. Ci vediamo dopo»
«Sì...» fece Ares con un sorriso di scherno «riavrai indietro il tuo preziosissimo Jackson tutto intero, sorellina»
Alex lo guardò. «Sarà meglio» sibilò. Poi si girò e raggiunse gli altri.
Ares mi squadrò con odio, poi aprì lo sportello della limousine come uno chauffeur. «Sali, pivello» disse «e ricordati le buone maniere. Lei non è comprensiva come me con la maleducazione».
Quando la vidi, rimasi a bocca spalancata.
Dimenticai il mio nome. Dimenticai dove fossi. Soprattutto, dimenticai come si fa a formulare delle frasi di senso compiuto.
Indossava un abito di seta rosso e i capelli erano pettinati in una cascata di riccioli. Aveva il volto più bello che avessi mai visto: trucco perfetto, sguardo abbagliante, un sorriso che avrebbe rischiarato anche la faccia oscura della luna. A pensarci ora, non so dire a chi somigliasse. E nemmeno di che colore fossero i suoi occhi o i suoi capelli.
Prendete l'attrice più bella che vi viene in mente. La dea era dieci volte più bella. Prendete il vostro colore preferito di capelli, o di occhi, o quello che volete voi. La dea ce l'aveva.
Quando mi sorrise, solo per un attimo, somigliò spaventosamente ad Alex. Poi a quell'attrice della tv per cui avevo una cotta in quinta. Poi vagamente ad Annabeth... «Ah, eccoti qui, Percy» esclamò la dea «Io sono Afrodite»
Mi infilai sul sedile accanto a lei e dissi qualcosa tipo: «Uh, ehm, gah»
Lei sorrise. «Che dolce. Tieni questo, per favore»
Mi passò uno specchio grande quanto un vassoio e mi chiese di tenerlo sollevato. Si sporse un poco e si aggiustò il rossetto con un dito, anche se a me sembrava già perfetto. «Sai perché sei qui?» mi chiese.
Avrei voluto rispondere. Come mai non riuscivo a formulare una frase sensata? Era solo una donna. Una donna bellissima... con gli occhi limpidi come acqua di fonte... cavolo. Mi diedi un pizzico sul braccio. Forte. «Non... non lo so» riuscii a dire.
«Oh, misericordia» replicò Afrodite «siamo ancora nella fase della negazione? Eppure mi sembrava che sapessi benissimo che cosa risponderle, l'altro giorno...»
Fuori dall'auto, udii Ares che ridacchiava. Ebbi la sensazione che riuscisse a udire ogni singola parola che dicevamo. Il pensiero di lui là fuori mi fece arrabbiare, e la cosa servì a spannarmi il cervello. «Non so di cosa sta parlando» ripetei.
«E va bene. Allora dimmi: perché sei in questa impresa?»
«Artemide è stata catturata»
Afrodite alzò gli occhi al cielo. «Oh, Artemide. Ti prego. Quando si dice un caso disperato. Insomma, se proprio dovevano rapire una dea, avrebbero dovuto prenderne una di una bellezza mozzafiato, non credi? Compiango i poveri cari che devono tenerla prigioniera. È di una tale noia!»
«Ma lei stava inseguendo un mostro» protestai «un mostro molto, molto pericoloso. Dobbiamo trovarlo!»
Afrodite mi chiese di alzare un poco lo specchio. Aveva scovato una microscopica imperfezione in un angolino dell'occhio e si picchiettò il mascara. «C'è sempre qualche mostro di mezzo. Ma mio caro Percy, questo è il motivo per cui gli altri sono in questa impresa. A me interessi tu»
Il cuore mi martellava nel petto. Non volevo parlare, ma i suoi occhi mi strapparono la risposta di bocca. «Annabeth è nei guai»
Afrodite sorrise raggiante. «Esatto!»
«Devo aiutarla» continuai «ho fatto dei sogni che...»
«Ah, la sogni persino! Ma che carino!»
«No! Cioè... non volevo dire questo! La sogna anche Alex, e-»
Schioccò la lingua un paio di volte in segno di disapprovazione. «Percy, io sto dalla tua parte. Sono io il motivo per cui sei qui, dopotutto! Be', con Alexandra non c'entro un granché, quella è stata la madre di Annabeth...» alzò gli occhi al cielo.
La guardai stupito. «Cosa?»
«Ma sì! La maglietta avvelenata che i fratelli Stoll hanno donato a Phoebe, anche se alla fine non ha funzionato un granché, visto che è stata scelta quell'altra Cacciatrice» mi spiegò, alzando gli occhi al cielo «pensavi che fosse un incidente? Chi ha mandato Blackjack a cercarti? Chi ti ha aiutato a sgattaiolare via dal campo?»
«È stata lei?»
«Naturalmente! Avrei preferito che Alexandra se ne fosse rimasta al campo...» aggrottò la fronte «insomma, capisco perché lei non trovi attraente il figlio di mio marito... chi lo farebbe?» fece una smorfia «Basta guardarti una volta per preferirti a lui. La capisco, davvero. Ma rifiutare mio figlio...»
«Di cosa sta parlando?» chiesi confuso.
Afrodite mi sorrise. Di nuovo mi sembrò di vedere Alex. «Oh, tu non sai. Ti aggiorno. Sono dettagli importanti. Alexandra è molto bella, Percy. Potrebbe quasi passare per una delle mie figlie. Quasi» fece un'altra smorfia «ha dei modi da buzzurra, qualche volta... comunque sia, ha attirato l'attenzione di uno dei miei figli. Oh, sarebbero perfetti insieme! Lui le ha chiesto di uscire, ma lei-»
Spalancai gli occhi. «Che cosa?» dissi debolmente «Chi-»
«-ha detto di no. La poverina è innamorata di te, temo» Afrodite sospirò, ignorando le mie domande «ma tu sei già sulla strada di Annabeth. Per questo volevo che partecipassi all'impresa, perché davvero: che noia queste Cacciatrici! Un'impresa alla ricerca di un mostro... bla bla bla. Salvare Artemide. Che resti pure dov'è, dico io. Ma un'impresa fatta per il vero amore...»
Oddio, troppe informazioni tutte insieme. Alex aveva detto che le piacevo, non che era... insomma... che poi, era diverso? Chi ci capiva qualcosa era veramente bravo... «Aspetti un secondo, io non ho mai detto di-»
«Oh, mio caro. Non ce n'è bisogno. Lo sai, vero, che Annabeth stava quasi per unirsi alle Cacciatrici?»
Arrossii. «Non ne ero sicuro...»
«Stava per gettare via la sua vita! E tu, mio caro, tu puoi salvarla. È così romantico!»
«Ehm...»
«Sì, insomma, voleva unirsi con Alexandra. Lei non voleva... almeno fino a qualche giorno fa»
Mi si seccò la gola all'improvviso. «Che... Alex vuole unirsi alle Cacciatrici?»
«Oh, sì. Ma non temere» mi strizzò l'occhio «sono certa che mio figlio le farà cambiare idea una volta che tu e Annabeth vi ritroverete. Potrai riavere la tua migliore amica indietro. Non è questo che lei è per te, Percy?»
«Sì... voglio dire, anche... ma-»
«Metti pure giù lo specchio» ordinò Afrodite «sto bene così»
Non mi ero neanche accorto di averlo ancora in mano, ma quando lo posai, notai che mi si erano indolenzite le braccia. «Ora ascolta, Percy» continuò la dea «le Cacciatrici sono tue nemiche. Lasciale perdere, insieme ad Artemide e a quel mostro. Non è questo l'importante. Concentrati solo per ritrovare e salvare Annabeth»
«Lei sa dov'è?»
Afrodite fece un gesto irritato con la mano. «No, no. Lascio a te i dettagli. Ma era da secoli che non assistevamo a una bella e tragica storia d'amore»
«Be', prima di tutto, io non ho mai parlato d'amore. Secondo... in che senso, "tragica"?»
«L'amore vince tutto» promise Afrodite «guarda Elena e Paride. Loro hanno forse permesso a una cosa qualsiasi di dividerli?»
«Ma non avevano scatenato la guerra di Troia, causando migliaia di vittime?»
«Bah. Non è questo il punto. Segui il tuo cuore»
«Ma... io non so dove stia andando. Il mio cuore, intendo» dissi sincero.
Lei sorrise con partecipazione. Era davvero bellissima. E non solo per via del viso e del resto. Credeva talmente tanto nell'amore che era impossibile non farsi venire le vertigini quando ne parlava. «Non saperlo è la metà del gusto» replicò Afrodite «una sofferenza squisita, non è vero? Non essere sicuri di chi amiamo e di chi ci ama... oh, voi ragazzi! È una cosa così carina che mi metterò a piangere!»
«No, no» esclamai «non lo faccia!»
«E non ti preoccupare» continuò la dea «non ho intenzione di renderti le cose facili e noiose. No, ho delle sorprese magnifiche in serbo. Angoscia. Indecisione. Oh, aspetta e vedrai...!»
«Va già benissimo così» la rassicurai. Il mio pensiero andò immediatamente ad Alex e alla sua espressione triste. «Non si prenda tanto disturbo»
«Sei così carino. Vorrei che tutte le mie figlie potessero spezzare il cuore di un ragazzo come te» gli occhi di Afrodite si stavano riempiendo di lacrime «ora faresti meglio ad andare. E fa' attenzione nel territorio di mio marito, Percy. Non prendere nulla. Ci tiene così tanto a tutte le sue cianfrusaglie...»
«Cosa?» domandai «Sta parlando di Efesto?». Ma lo sportello dell'auto si aprì e Ares mi agguantò per una spalla, tirandomi fuori dall'auto e riportandomi nella notte deserta.
La mia udienza con la dea dell'amore era finita. «Sei fortunato, pivello». Ares mi allontanò dalla limousine con una spinta. «Mostra un po' di gratitudine»
«Per cosa?»
«Per quanto siamo stati buoni. Fosse stato per me...»
«Allora perché non mi ha ucciso?» sbottai. Era una cosa stupida da dire al dio della guerra, ma avercelo attorno mi faceva sempre sentire arrabbiato e irrequieto.
Ares annuì, come se finalmente avessi detto una cosa intelligente. «Mi piacerebbe molto, davvero» rispose «ma vedi, ho una certa posizione. In Olimpo corre voce che tu potresti dare inizio alla guerra più grossa della storia... non posso rischiare di rovinare tutto. Se fossi stato sicuro che la figlia della Profezia fosse Alexandra, allora sì, ti avrei ucciso. O viceversa»
«Non le avrei mai permesso di toccarla» ringhiai.
Ares sogghignò. «Sì, sì. Tu e questo strano senso di protezione verso Alexandra» gesticolò come per minimizzare la faccenda «se non te ne sei ancora accorto, la mia cara sorellina non ha bisogno che la proteggi, pivello. Sa il fatto suo. Comunque sia, Afrodite ti considera una specie di star da soap opera o roba del genere. Se ti ammazzo, che figura ci faccio? Ma non ti preoccupare. Non ho dimenticato la mia promessa. Un bel giorno, e presto, molto presto, ragazzino, solleverai la spada per combattere, e avrai modo di ricordarti della collera di Ares»
Strinsi i pugni. «Perché aspettare? Ti ho già battuto una volta. Come va la caviglia?»
Il dio sogghignò. «Non male, pivello. Ma non credere di provocarmi. Sono pur sempre io il maestro dello scherno. Comincerò la battaglia quando mi pare e piace. Fino ad allora... Sparisci»
Schioccò le dita. Il mondo ruotò su sé stesso in una nuvola di polvere rossa, e io caddi a terra. Quando mi rialzai, la limousine era svanita. La strada, il ristorante messicano, l'intero villaggio di Gila Claw erano svaniti. Io e i miei amici eravamo in piedi in mezzo alla discarica, con montagne di rottami metallici che si stendevano in ogni direzione.
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