35. Aiuto

 «Non ce la faremo mai» disse Zoe «stiamo andando troppo piano. Ma non possiamo lasciare l'Ofiotauro»

«Muuu» concordò Bessie. Nuotava accanto a Percy mentre correvamo seguendo il lungomare. Ci eravamo lasciati il centro commerciale alle spalle e puntavamo verso il Golden Gate, ma era molto più lontano di quanto pensassimo. Il sole aveva già cominciato a calare all'orizzonte. «Non capisco» esclamò Percy «perché dobbiamo essere là per il tramonto?»

«Le Esperidi sono le ninfe del tramonto» rispose Zoe «possiamo entrare nel loro giardino solo quando il giorno diventa notte»

«Che succede se lo manchiamo?»

«Domani è il solstizio d'inverno, Percy» gli feci notare «se perdiamo il tramonto di stasera dovremo aspettare quello successivo, e a quel punto il Consiglio degli dei sarà finito. Dobbiamo liberare Artemide stanotte. E Annabeth...» deglutii, chiudendo la bocca. Non riuscivo nemmeno a concepire il pensiero.

«Ci serve un'auto» propose Talia.

«E con Bessie come facciamo?» chiese Percy.

Grover si fermò. «Mi è venuta un'idea! L'Ofiotauro può comparire in diversi bacini d'acqua, giusto?»

«Be', sì» fece Percy «cioè, prima era nella Baia di Long Island. Poi è spuntato fuori nell'acqua della diga di Hoover. E adesso è qui»

«Allora forse possiamo convincerlo a tornare nella Baia di Long Island» concluse Grover «e Chirone potrebbe aiutarci a portarlo sull'Olimpo»

«Ma lui stava seguendo me» ribattè Percy «se non ci sono io, saprà dove andare?»

«Muuu» muggì Bessie malinconica.

«Posso... posso mostrarglielo io» si offrì Grover «andrò con lui»

Grover non amava particolarmente l'acqua, gli zoccoli non gli permettevano di nuotare bene. Ce ne aveva dato una prova lampante l'anno scorso, nel Mare dei Mostri. Era una cosa che anche Percy sapeva, perché lo guardava incerto. Il satiro fece un piccolo sospiro. «Io sono l'unico in grado di parlare con lui» insistette «è la cosa più sensata». Si chinò a dire qualcosa a Bessie nell'orecchio. Il serpente-mucca rabbrividì, poi emise un muggito soddisfatto. «La benedizione delle Selve» spiegò Grover «dovrebbe aiutarci a viaggiare sicuri. Percy, anche tu: prega tuo padre. Chiedigli se può garantirci un viaggio sicuro per i mari»

Percy sospirò, poi chiuse gli occhi. «Papà» pregò «aiutaci. Fa' che l'Ofiotauro e Grover arrivino sani e salvi al campo. Proteggili in mare»

«Una preghiera come questa ha bisogno di un sacrificio» intervenne Talia «qualcosa di grosso»

Percy aggrottò la fronte. Poi si tolse il cappotto. «Sei sicuro? La pelle di leone... è parecchio utile. L'ha usata anche Ercole!»

«Se sopravvivrò» dichiarò Percy «non sarà per un mantello di pelle di leone. Io non sono Ercole». Lo gettò nella baia e il cappotto tornò a essere una semplice pelle di leone, che splendeva nella luce. Poi, mentre cominciava ad affondare fra le onde, sembrò sciogliersi come un raggio di sole sull'acqua.

L'inconfondibile profumo della brezza marina mi solleticò il naso. Era quasi l'esatto profumo che Percy si portava dietro; seppi che Poseidone aveva accolto la sua preghiera. Grover trasse un respiro profondo. «Bene, non c'è tempo da perdere». Saltò in acqua e cominciò subito ad affondare. Bessie gli scivolò accanto e si lasciò prendere per il collo.

«Grover, ti prego, fai attenzione» lo pregai.

«Non preoccuparti, saremo prudenti» disse, annuendo sicuro «okay, ehm... Bessie? Si va a Long Island. È a est. Laggiù, da quella parte»

«Muuu!». Bessie si slanciò in avanti. Cominciò a immergersi e Grover disse: «Non so respirare sott'acqua! Tanto perché tu lo sap-» e andarono a fondo.

«Mi auguro che tuo padre abbia pensato anche a quello» borbottai a Percy.

«Sì, lo spero anche io» fece lui con un sospiro.

«Bene, un problema risolto» esclamò Zoe «ma come raggiungiamo il giardino delle mie sorelle?»

«Talia ha ragione, ci serve una macchina. Ma qui nessuno può darci una mano. A meno che, ehm, non la prendiamo in prestito» disse Percy, vagamente a disagio.

«Non ruberemo una macchina» dichiarai «potrei provare a usare l'Aerocinesi, ma non credo di riuscire a trasportarci tutti e quattro, a meno che... Lia?»

«No» replicò brusca «non credo di avere quel potere, e anche se lo avessi...» scosse la testa con forza «ho un'altra idea, piuttosto». Si mise a frugare nel suo zaino. «In realtà c'è qualcuno che ci può aiutare a San Francisco. Ho l'indirizzo qui da qualche parte...»

«Chi?» domandò Percy.

Talia tirò fuori un foglio di quaderno spiegazzato e io capii di chi stava parlando. «Il professor Chase. Il padre di Annabeth» spiegai.

Il padre di Annabeth era un mortale che avrei sicuramente definito un po' strambo. A guardarlo lì, in piedi sotto il portico d'ingresso e con indosso un vecchio cappello da aviatore completo di occhialoni, erano chiare due cose: uno, che alla divina Atena interessava davvero solo il cervello, e due, che Annabeth aveva decisamente preso da sua madre.

«Salve» disse Percy in tono amichevole, sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori.

«Siete qui per consegnarmi gli aeroplani?»

Io, Percy, Zoe e Talia ci scambiammo delle occhiate caute. «Ehm... no, signore» rispose Percy.

«Accidenti» esclamò lui «mi servono altri tre Sopwith Camel»

«Uh... immagino...» borbottai un po' confusa. Che cosa cavolo fossero le Sopwith Camel, non ne avevo proprio idea. «Siamo amici di Annabeth, signore» aggiunsi.

«Annabeth?». Drizzò la schiena come se gli avessi appena passato la scossa. «Sta bene? È successo qualcosa?»

Nessuno di noi ebbe il coraggio di rispondere, ma dalle nostre facce dovette capire che c'era un problema parecchio grosso. Si tolse cappello e occhiali. Aveva i capelli castano chiaro e intensi occhi marroni. Non si radeva da un paio di giorni e si era abbottonato male la camicia, perciò un lato del colletto era più alto dell'altro. «Sarà meglio che entriate» disse infine.

Non somigliava a una casa in cui si fossero appena trasferiti. C'erano robot fatti di Lego sulle scale e due gatti appisolati sul divano del salotto. Il tavolino era pieno di riviste e a terra c'era la giacca a vento di un bambino. Nell'aria aleggiava un profumo di biscotti al cioccolato appena sfornati. Una musica jazz proveniva dalla cucina. Sembrava una casa disordinata e felice, il genere di posto abitato da una vita. «Papà!» gridò un bambino «Mi sta smontando i robot!»

«Bobby» fece distrattamente il dottor Chase «non smontare i robot di tuo fratello»

«Bobby sono io!» protestò il bambino «Lui è Matthew!»

«Matthew» disse il dottor Chase «non smontare i robot di tuo fratello!»

«Va bene, papà!»

Non so perché, ma quella scenetta mi mise addosso una strana sensazione di malinconia. Come se un tempo avessi avuto anche io una casa, dei genitori amorevoli, dei fratelli che mi smontavano i giocattoli... era strano, perché non ricordavo niente della mia vita prima dei tre anni. I miei primi ricordi consistevano nel fienile in cui io e Talia ci eravamo rifugiate poco dopo essere scappate di casa e... una risata. Una risata di un bambino piccolo.

«Stai bene?» mi sussurrò Talia.

Strinsi le labbra e mi limitai ad annuire. Avrei voluto chiederle di più riguardo alla risata del bambino e di quella sensazione malinconica, ma il professor Chase si voltò verso di noi. «Andiamo di sopra, nel mio studio. Da questa parte»

«Tesoro?» chiamò una donna. La matrigna di Annabeth comparve nel salotto, asciugandosi le mani in uno strofinaccio. Era una bella donna asiatica con i capelli sfumati di rosso, raccolti in una crocchia. «Chi sono i nostri ospiti?»

«Oh» esclamò il dottor Chase «questo è...». Ci guardò, un po' interdetto.

«Frederick» lo rimproverò lei «hai dimenticato di chiedere i nomi?»

Ci presentammo da soli, lievemente imbarazzati, ma la signora Chase sembrava davvero simpatica. Ci domandò se avevamo fame. Noi ammettemmo di sì, e lei disse che ci avrebbe portato dei biscotti, e anche dei panini e qualcosa da bere. «Cara, sono venuti per Annabeth» spiegò il dottor Chase.

La signora Chase, sorprendentemente, si limitò a storcere la bocca in un'espressione preoccupata. Stando a come Annabeth parlava di lei, mi sarei aspettata di vederla diventare isterica alla menzione del suo nome. «Va bene. Andate pure su nello studio, vi porterò qualcosa da mangiare». Sorrise a Percy. «Piacere di conoscerti. Ho sentito molto parlare di te»

Cercai di non offendermi. Ci provai, davvero. Annabeth aveva parlato di Percy alla sua famiglia... ma non di me, o di Talia, o di Grover.

Di Percy.

Per un momento ebbi il forte sospetto di non essere l'unica a provare qualcosa per lui. E se anche ad Annabeth piacesse...?

Dei... che schifo. Sperai di sbagliarmi. Ma sì... potevo sbagliarmi. Annabeth era innamorata di Luke. Non me lo aveva mai detto apertamente ma l'avevo capito benissimo. Non provava interesse per Percy in quel senso... o no?

Guardai Percy. Per la prima volta non provai riluttanza all'idea di unirmi alle Cacciatrici pur di sfuggire da quel dannatissimo triangolo. 

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