32. L'ho perso
Eravamo in volo da cinque minuti quando mi addormentai come un sasso. Sì, anche io l'avrei ritenuto impossibile se non fossi stata così dannatamente stanca.
Da quando ero partita con Percy dal campo non avevo fatto più di tre ore circa di sonno filate. Adoravo dormire, davvero, tanto che Talia ogni tanto mi prendeva in giro sostenendo che probabilmente c'era stato un errore ed ero figlia di Morfeo invece che di Zeus. La mancanza di sonno aveva brutti effetti sul mio umore e suoi miei poteri –che diventavano un po' instabili-, quindi ogni occasione era buona per recuperare. E poi mi trovavo a mio agio in aria; mi sentivo al sicuro, da Figlia del Cielo quale ero.
Lo stesso non si poteva dire di Talia. Quando Percy mi svegliò stavamo planando verso un molo; mia sorella aveva gli occhi serrati e il colorito verdognolo.
Era mattina presto e la gente in circolazione era poca. All'atterraggio facemmo prendere un colpo a un senzatetto: vide le due statue e corse via urlando qualcosa sugli angeli marziani di metallo. Quando li salutammo, volarono via a divertirsi con quelle statue loro amiche.
Soffocai uno sbadiglio, stiracchiandomi. «Va bene» dissi, con la voce leggermente impastata di sonno «qual è il piano?»
Feci scorrere lo sguardo sui miei compagni. Speravo che avessero escogitato qualche sorta di piano mentre dormivo, ma a giudicare dalla loro espressione non l'avevano fatto. Sospirai, strofinandomi il viso. Il giorno dopo era il solstizio d'inverno: non sapevamo né dove fossero Annabeth e Artemide, né che cavolo fosse il mostro che la dea stava cacciando prima di essere catturata. Teoricamente era lui che avrebbe dovuto trovare noi in quell'impresa, «mostrarci la strada", ma non l'aveva mai fatto. In pratica, eravamo bloccati lì sul molo senza soldi, senza amici e senza fortuna.
Dopo una breve discussione, concordammo che la cosa più importante era capire cosa fosse il mostro misterioso. «Ma come?» chiese Percy.
«Nereo» rispose Grover.
«Chi?» feci io, inarcando le sopracciglia.
Grover si mosse, leggermente a disagio. «Be', Apollo ha suggerito a Percy di trovarlo quando hanno parlato. Vero, amico?»
Percy aggrottò la fronte per un attimo prima di annuire. «Ah, già» confermò «il vecchio del mare. Devo trovarlo e costringerlo a dirci quello che sa. Ma come?»
Zoe fece una smorfia. «Il vecchio Nereo, eh?»
«Lo conosci?» domandò Talia.
«Mia madre era una dea del mare. Sì, lo conosco. Purtroppo, non è mai stato difficile da rintracciare. Basta andare a naso»
«Cosa intendi?» domandò Percy.
«Vieni, lascia che te lo mostri» rispose lei con scarso entusiasmo.
La seguimmo per una manciata di metri, fermandoci davanti a un cassonetto di abiti usati. Zoe ci frugò dentro; cinque minuti dopo aveva infilato addosso a Percy una vecchia camicia di flanella, dei jeans di tre taglie più grandi, un paio di scarpe da ginnastica rosso fiammante e un berretto con i colori dell'arcobaleno.
Io, Grover e Talia ci scambiammo un'occhiata, trattenendo le risate. «Oh, sì» commentò il satiro «adesso passi del tutto inosservato»
«Già» feci io «tipo Tyson alla Meriweather»
«Un tipico vagabondo» disse Zoe soddisfatta.
Nel tentativo di trattenere una risata mi uscì un bruttissimo verso nasale. Percy mi guardò malissimo. «Grazie mille» brontolò «mi spieghi di nuovo perché lo sto facendo, Zoe?»
«Per confonderti in mezzo agli altri, te l'ho detto»
Ci fece strada fino al lungomare e, dopo aver cercato per parecchio tempo, finalmente si fermò. Indicò un pontile dove dei senzatetto avvolti in coperte facevano capannello, in attesa che la mensa dei poveri aprisse per il pranzo. «Sarà lì da qualche parte» disse Zoe «non si allontana mai molto dall'acqua. Ma durante il giorno gli piace stare al sole»
«Come faccio a sapere qual è?»
«Infiltrati tra gli altri» rispose lei «comportati come loro. Lo riconoscerai. Avrà un odore... diverso»
«Fantastico. E dopo che l'ho trovato?»
«Afferralo, e tienilo forte. Le proverà tutte per liberarsi di te. Qualunque cosa faccia, non mollare. Costringilo a parlarti del mostro»
«Noi ti copriamo le spalle» lo rassicurò Talia. Gli tolse qualcosa dalla maglia con una smorfia schifata. «Bleah. A pensarci meglio... non voglio avere nulla a che fare con le tue spalle. Però facciamo il tifo per te»
Percy sospirò prima di lanciarmi un'occhiata. «Non è che verresti con me, vero?» domandò «Senti gli odori meglio di me. Puoi usare l'anello»
Talia trasalì. «Cosa? Quale anello?» sibilò sospettosa.
Alzai gli occhi al cielo. «Quello che Atena mi ha donato» replicai in tono piatto «Percy ha rubato-»
«-preso in prestito» mi corresse lui a denti stretti.
«-il berretto degli Yankees di Annabeth dal mio comodino mentre dormivo. Mi serviva qualcosa per seguirvi senza essere scoperta, quindi mi ha dato un anello dell'invisibilità». Guardai mia sorella con un sopracciglio inarcato. «Perché, che pensavi che fosse?»
Talia si mosse. Sembrava un po' a disagio. «Oh, io... ehm, niente. Figurati»
«Già. Come no» commentai scettica. Infilai la mano nella tasca dei jeans per prenderlo, aspettandomi di avvertire immediatamente la sensazione del metallo al contatto con la mano, ma non sentii niente.
Mi irrigidii, spalancando gli occhi. Dove accidenti... mi frugai nell'altra tasca, ma niente nemmeno lì. Provai anche con le tasche posteriori, ma erano vuote.
Oh, miei dei...
«Che ti prende?» fece Percy «Dai, metti l'anello. Dobbiamo andare»
«Ehm... sì... io vorrei, eh, è solo che...»
Percy mi fissò per una manciata di secondi, sbattendo piano le palpebre. Poi trasalì, sorpreso. «Oh. Oh! L'hai perso?»
«Ah... io...» balbettai imbarazzata.
«Dei... non ci credo!» esclamò «Hai perso il dono di Atena!»
Incrociai le braccia, infastidita. «Deve essermi scivolato dalla tasca dei jeans» brontolai sulla difensiva «insomma, non facciamo altro che correre, saltare, rotolare, scivolare...»
Talia si passò una mano tra i capelli, sospirando. «Bel colpo, Lexy» commentò «responsabile come al solito...»
«Ehi! Mica l'ho fatto apposta!»
«Dovresti avere più cura delle tue cose» continuò a rimproverarmi, portandosi le mani ai fianchi «le lasci continuamente in giro. La tua parte della cabina è un disastro. Disordinata come sei ci credo che perdi le cose, e-»
«Vuoi finirla?!» sbottai infastidita «Cosa c'entra la nostra cabina, adesso?!»
«Nulla, è solo che non perderesti le cose se-»
«Talia, sei mia sorella, non mia madre» la interruppi rabbiosa.
Mi guardò malissimo. «E questo cosa dovrebbe significare?»
«Significa che dovresti fare la sorella! Di immortales! Non ho più tre anni!»
«Va bene, adesso basta» intervenne Percy, agitando le braccia. Si piazzò tra me e Talia, che ci stavamo fissando in cagnesco. «Abbiamo cose più importanti da fare. Dobbiamo rimanere concentrati. Me la caverò da solo, d'accordo? Tu... ehm... rimani qui, e cerca di calmarti»
Non mi piaceva l'idea, ma mi sentivo formicolare fastidiosamente braccia e gambe. Annuii controvoglia, guardandolo mentre si allontanava.
Lanciai un'occhiata a Talia. Il suo sguardo diceva chiaramente "non è finita qui" e cavolo, se era vero. Iniziavo ad averne davvero le scatole piene del suo atteggiamento. Era iperprotettiva e mi trattava continuamente da bambina, come se non avessi imparato a sopravvivere da sola da quando nostro padre l'aveva confinata nel pino. Doveva smetterla di fare così.
Sospirai e mi allontanai, anche se di poco. Percy aveva ragione... dovevo calmarmi, e avevamo cose più importanti da fare.
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