1. Qualcosa puzza

[24.07.2020 ~ capitolo revisionato ✔]

«La pianti, Lexy?» sbottò d'improvviso Talia, lanciandomi un'occhiataccia «Mi stai facendo rizzare tutti i peli del braccio!»

«Scusa, non lo faccio apposta» borbottai. Chiusi gli occhi e sospirai profondamente, cercando di tenere a bada la mia elettricità. Purtroppo non servì a molto, perché ero letteralmente un fascio di nervi.

Ammetto, un po' mi era mancato il mix di adrenalina, ansia e nervosismo che si provava appena prima di partire per un'Impresa. Per mesi non avevo fatto altro che godere della presenza di Talia al mio fianco e cercare di adattarmi al collegio femminile nel quale Chirone aveva costretto me, lei e Annabeth ad andare. Presto, però, la routine aveva iniziato a starmi stretta. Okay, era grandioso riavere lì mia sorella, ma i semidei non erano fatti per stare fermi e buoni –motivo per cui avevo accettato immediatamente di partire per raggiungere il Maine. Grover era in un collegio sotto copertura, il Westover Hall, e aveva mandato un SOS. Chirone aveva avvisato anche Percy.

Non lo vedevo da mesi... e mi mancava, devo essere sincera. E sì, mi avete beccata... il motivo principale del mio nervosismo era proprio lui. «Lo stai facendo di nuovo» brontolò Talia.

«Lasciala stare» s'intromise Annabeth, sistemandosi meglio la cuffia di lana grigia. Faceva un freddo porco lì fuori, e stavamo aspettando che Percy e sua madre Sally ci venissero a prendere. «E' soltanto nervosa»

Talia scosse la testa, accigliandosi. «Deve imparare ad avere più controllo sui suoi poteri»

Alzai gli occhi al cielo. «Ti ho già detto che non lo faccio apposta, Lia!» sbottai «E ti ricordo che anche tu non avevi un gran controllo quando eri nervosa!»

«Non è vero, e lo sai» mi contraddisse «e poi non è la tua prima missione. Non c'è motivo per essere nervosi»

«Oh, sì che c'è» fece Annabeth, lanciandomi un'occhiata eloquente che odiai immediatamente.

«Ah, sì? E quale sarebbe?»

Annabeth fece per aprire bocca nonostante la mia occhiata d'avvertimento, ma l'avvicinarsi della macchina di Sally mi salvò.

La prima cosa che vidi, a parte ovviamente la macchina, fu il sorriso luminoso di Percy. Il mio cuore mancò di un paio di battiti mentre scendeva dalla macchina, e un improvviso, piacevole calore mi irradiò il petto. Tuttavia mi passò in fretta quando abbracciò Annabeth per prima. Mi girai velocemente dall'altra parte sotto l'occhiata sospettosa di Talia, facendo finta di recuperare il borsone. «Siete pronte?» chiese lui. Mi girai e me lo trovai davanti. «Ehi» mi salutò.

Per un lungo attimo ci fissammo interdetti. Per chiunque ci stesse guardando era chiaro che nessuno dei due sapeva bene che cosa fare. Avrei voluto abbracciarlo, ma mi sentivo il corpo il doppio più pesante. Accidenti... cosa faceva una persona normale di solito con le braccia? Cioè, dove le metteva? Era come se mi fossi dimenticata come si usavano...

La mano di Talia mi afferrò bruscamente il gomito e mi strattonò verso l'auto. «Muovetevi, non abbiamo tutto il giorno» disse burbera.

Come non adorare Talia e la sua scarsa, scarsissima pazienza...

Bar Harbor, nel Maine, era a otto ore di macchina da New York. Neve e pioggia ghiacciata battevano l'autostrada. Mano a mano che ci avvicinavamo alla destinazione, la tensione nell'abitacolo cresceva. Nessuno proferiva parola, con l'eccezione di Sally; mi ero già accorta nei dieci mesi che avevo vissuto con lei e Percy che quando era nervosa diventava logorroica. Non sapevo, però, quanto poteva essere divertente: quando finalmente arrivammo a Westover Hall, lei aveva già raccontato a me, Annabeth e Talia ogni imbarazzante aneddoto dell'infanzia di Percy. Il poveretto si era infossato nel sedile, imbarazzato da morire. Talia pulì il finestrino con la mano e sbirciò fuori. «Oh, fantastico! Sarà divertente» disse, scrutando il collegio.

Westover Hall era un castello di pietra nera, con torri, feritoie e un enorme portone di legno. Si ergeva in cima a una collina innevata, tra una grande foresta coperta di ghiaccio da un lato e l'oceano grigio che ribolliva dall'altro. «Sei sicuro che non vi devo aspettare, Percy?» chiese Sally, apprensiva.

«No, grazie, mamma» rispose lui «non so quanto ci vorrà. Ce la caveremo»

«Ma come tornerete a casa? Sono un po' preoccupata, Percy...»

Percy arrossì un po'. «Non c'è problema, Sally» intervenni io «lo teniamo d'occhio noi. Siamo qui apposta»

Sally sospirò profondamente, un po' rassicurata. «Bene, ragazzi» esclamò «avete tutto quello che vi serve?»

«Sì, signora Jackson» rispose Talia «grazie per il passaggio»

«Maglioni di ricambio? Il mio numero di cellulare?»

«Mamma...» brontolò Percy insofferente.

«Il tuo nettare e la tua ambrosia, Percy? E una dracma d'oro per contattare il Campo in caso di bisogno?»

«Mamma, dai! Staremo bene. Andiamo, ragazze» disse in fretta Percy, scendendo dalla macchina.

Sally sembrò restarci un po' male. Annabeth e Talia lo seguirono; appena prima di scendere le misi una mano sulla spalla. «Starà bene, Sally, te lo prometto» le dissi «gli guarderò le spalle, come sempre»

Lei mi rivolse un sorriso talmente contagioso che mi ritrovai a ricambiarlo. Adoravo la mamma di Percy. Non ricordavo molto bene mia madre, ma ogni volta che provavo ad immaginarmela aveva le stesse qualità che possedeva Sally. «Sei un tesoro, Alex. Mi fido di te, ma fai attenzione»

La salutai e raggiunsi i miei tre compagni di viaggio. Le raffiche di vento sul giaccone erano come pugnalate di gelo. Quando la macchina di Sally sparì in lontananza, Talia commentò: «Tua madre è forte, Percy»

«Sì, non è male» ammise lui «e la tua com'era?»

Girai di scatto la testa verso mia sorella, pronta ad intervenire nel caso lo incenerisse con qualcosa d'altro che non era l'occhiataccia che gli stava lanciando. Quello di mamma era un argomento del quale Talia non parlava, punto. Nemmeno con me, mai. Avevo tre anni quando ce ne eravamo andate, e io non la ricordavo molto. Ma Talia sì. E nessuno di quei ricordi era positivo, a quanto pareva. «Se fossero affari tuoi, Percy...» disse secca.

«Calmati, Lia, ha solo fatto una domanda» dissi pensierosa, osservando l'edificio davanti a noi «è meglio se entriamo, comunque. Grover potrebbe essere nei guai»

Talia guardò il castello e rabbrividì. «Hai ragione. Mi chiedo cos'abbia trovato qui che possa averlo spinto a mandarci l'SOS...»

«Niente di buono» borbottò Percy.

Il portone di quercia si aprì con un gemito, e noi ci infilammo dentro.

Cavolo, quel posto era enorme...

Guardando le decorazioni (le pareti erano rivestite di stendardi e vetrine piene di armi: fucili d'antiquariato, asce di guerra e un sacco di altra roba) era chiaro che Westover fosse una scuola militare. Tutto quell'assortimento mi metteva addosso una certa inquietudine; mi sfilai i pesanti guanti di lana per avere una migliore presa sulle Gemelle nel caso avessi dovuto evocarle –e poi perché non volevo distruggere l'ennesimo paio di guanti. Una volta avevo provato ad evocarle avendoli addosso, e... be', erano comparse sotto i guanti, squarciandoli, e toglierli non era stato divertente. Almeno la cosa mi aveva impedito di venire disarmata... l'unico modo che avevo per perdere una delle due Gemelle era perdere anche la mano. E sarebbe stato veramente spiacevole.

Accanto a me, Percy aveva infilato la mano in tasca dove ero certa che tenesse Vortice. Ci scambiammo un'occhiata e un rapido cenno della testa. Sapevamo entrambi che c'era uno scontro in arrivo, probabilmente.

«C'è un odore strano, qui dentro» dissi sovrappensiero, annusando l'aria. Era l'assortimento di odori più strano che avessi mai sentito: verza bollita, dopobarba maschile, olio per armi, crisantemi e altra robaccia che non riuscivo ad identificare.

«Che vuoi dire? Che odore?» mi chiese Talia «Mostri?»

Nel giro di un paio di mesi avevo notato che il mio olfatto era molto migliorato. Ero un po' confusa, perché in tutta onestà non avevo fatto un bel niente per far sì che si sviluppasse più di così... in ogni caso, non mi lamentavo. O almeno, non troppo. «Non ne sono sicura, sono troppi» replicai «e tutti insieme non riesco ad identificarli bene. Ma è meglio se troviamo Grover in fretta»

«Chissà dove...» stava dicendo Annabeth. Il portone si richiuse alle nostre spalle con un tonfo, interrompendola.

«Oookay» borbottò Percy «immagino che ci fermeremo per un po'»

Una musica dance riecheggiava in fondo all'atrio. Nascondemmo i borsoni dietro una colonna e ci avviammo da quella parte. Non avevamo fatto molta strada quando udii dei passi sul pavimento di pietra, e un uomo e una donna ci sbarrarono la strada sbucando dall'ombra.

Entrambi coi capelli grigi e corti, indossavano delle uniformi nere in stile militare, con le guarnizioni rosse. La donna aveva un paio di baffetti sottili, mentre lui era perfettamente sbarbato. Bizzarro. Camminavano entrambi in modo molto rigido, come se avessero una scopa infilata su per il... «Ebbene?» domandò la donna «Che ci fate qui?»

«Ehm...» balbettò Percy «signora, siamo solo...»

«Ah!» scattò l'uomo, facendoci trasalire «Non sono ammessi visitatori al ballo! Jee-ttiamoli fuori!»

Feci una piccola smorfia. La maggior parte degli odori veniva proprio da lui. Perché quel tipo puzzava così tanto? Una specie di misto tra dopobarba, cavolfiore bollito e odore di chiuso... e poi, con che cavolo di accento parlava? Per non parlare del suo aspetto: era alto, con una faccia da falco. Quando parlava, allargava le narici così tanto che dovevi sforzarti per non fissargli il naso, e gli occhi erano di due colori diversi –uno marrone e uno azzurro– come quelli di un gatto randagio.

Talia mi diede una gomitata. Fece un cenno verso i due individui, e io capii che voleva che manipolassi la Foschia. Probabilmente pensava che avessi imparato... mi limitai a scuotere la testa e ad indicarla. Lei alzò gli occhi al cielo e schioccò le dita. Il suono fu nitido e forte; una raffica di vento si sprigionò dalla sua mano e si espanse per la stanza, avvolgendoci e facendo frusciare gli stendardi alle pareti. «Oh, ma noi non siamo visitatori, signore» esclamò poi «noi veniamo a scuola qui, ricorda? Io sono Talia. E questi sono Alexandra, Annabeth e Percy. Siamo al terzo anno»

L'insegnante socchiuse gli occhi bicolore. Sembrò esitare, ma ebbi la sensazione che si trattasse di una recita. C'era qualcosa in lui che mi metteva in guardia. «Signora Jessett, conosce questi studenti?»

Jessett? Sul serio? Era questo il cognome dell'insegnante?

Mi coprii la mano con la bocca, girando la testa verso Percy. Lui mi guardò e scosse la testa, premendo così forte le labbra che divennero bianche. «Io... sì. Credo di sì, signore» rispose la donna. Ci guardò con la fronte aggrottata. «Annabeth. Alexandra. Talia. Percy. Che ci fate fuori dalla palestra?»

Prima che potessimo rispondere, udimmo degli altri passi e Grover comparve, ansimante. «Ce l'avete fatta! Ce...». Si bloccò non appena vide gli insegnanti. «Oh, professoressa Jessett. Dottor Thorn! Io, ehm...»

«Che succede, Underwood?» chiese l'uomo. Dal tono era evidente che detestava Grover. «In che senso, ce l'hanno fatta? Questi studenti vivono qui»

Grover deglutì. «Sì, signore. Certo. Volevo solo dire che sono felice che ce l'abbiano fatta a... preparare il punch per il ballo! È fantastico»

Il dottor Thorn ci scrutò, e io evitai accuratamente il suo sguardo. Il suo odore mi parve intensificarsi, e ci volle uno sforzo immane per non lasciarmi sfuggire un conato di vomito. «Sì, il punch è ottimo. Ora sbrigatevi, tutti quanti. E non uscite più dalla palestra!» disse la Jessett con tono sognante.

Non ce lo facemmo ripetere due volte. Ce ne andammo profondendoci in una serie di «Sì, signora» e «Sì, signore» e un paio di saluti militari, solo perché sembrava la cosa giusta da fare. Grover ci guidò in fretta e furia in fondo all'atrio, in direzione della musica. «Come hai fatto a materializzare quella roba con lo schiocco delle dita?» chiese Percy a Talia.

«Vuoi dire la Foschia? E a proposito...». Mi guardò contrariata. «Non hai ancora imparato, Lexy?»

«No» risposi seccata.

Grover ci incalzò verso una porta con la scritta "palestra" sul vetro prima che mia sorella potesse iniziare a sgridarmi -ancora. «C'è mancato poco!» esclamò «Grazie agli dei siete arrivati!»

Io, Annabeth e Talia lo abbracciammo. Percy gli diede il cinque. Era bello rivederlo dopo così tanti mesi. Era diventato un po' più alto e gli era spuntato qualche pelo in più sulla faccia, ma per il resto aveva il solito aspetto di quando si faceva passare per umano –un berretto rosso sui riccioli castani per nascondere le corna caprine, jeans larghi e scarpe da ginnastica con i piedi finti per nascondere gli zoccoli e le zampe irsute. «Allora, qual è l'emergenza?» chiese Percy.

Grover fece un respiro profondo. «Ne ho trovati due»

«Due mezzosangue?» chiese Talia, stupita «Qui?»

Grover annuì. Trovare un mezzosangue era già un evento raro, figuriamoci due. Quell'anno Chirone aveva costretto i satiri a fare gli straordinari e li aveva sguinzagliati a caccia di possibili reclute per tutto il paese, a setacciare le scuole dalla quarta elementare alle superiori. Erano tempi disperati. Il Campo stava perdendo molti ragazzi. Ci servivano tutti i nuovi guerrieri che potevamo trovare. Solo che non c'erano chissà quanti semidei, in giro per il mondo. «Fratello e sorella» continuò lui «di dieci e dodici anni. Non so chi siano i loro genitori, però sono forti. Ma non abbiamo più molto tempo. Ho bisogno di aiuto»

«Mostri?» domandò Talia.

«Uno» rispose Grover nervoso «e sospetta qualcosa. Non credo che ne sia ancora certo, ma oggi è l'ultimo giorno del trimestre. Sono sicuro che non permetterà loro di lasciare la scuola senza prima accertarsene. Potrebbe essere la nostra ultima occasione! Ogni volta che cerco di avvicinarli, lui me lo impedisce. Non so che fare!»

«Quel tipo» dissi piano. Mi lanciai un'occhiata alle spalle. «Puzzava da morire. E' lui, vero?»

Grover annuì, guardandosi attorno innervosito. «L'hai notato, eh? Il vicepreside, il dottor Thorn. E' proprio lui»

«Va bene» disse Talia «questi mezzosangue sono al ballo?»

Grover annuì. «Allora balliamo» concluse lei. 

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