9. Mostro (P)

[14.06.2020 ~ capitolo revisionato ✔]

I giorni successivi furono un supplizio, proprio come voleva Tantalo.

Cominciarono con Tyson che si trasferiva nella casa di Poseidone, ridacchiando da solo ogni quindici secondi e ripetendo: «Percy è mio fratello?» come se avesse appena vinto alla lotteria. 

«Uffa, Tyson» dicevo io «non è così semplice»

Ma non c'era verso di spiegarglielo. Era al settimo cielo. E io... be', per quanto il mio "campione" mi piacesse, non riuscivo a non sentirmi in imbarazzo.

Mi vergognavo. Ecco, l'ho detto.

Mio padre, l'onnipotente Poseidone, aveva fatto gli occhi dolci a non so quale spirito della natura e Tyson era il risultato. Sì, avevo letto i miti che riguardavano i ciclopi. Anch'io mi ricordavo che spesso erano figli di Poseidone. Ma non mi ero mai reso conto che questo ne faceva la mia... famiglia. Fino a quando Tyson non era venuto a vivere nel letto accanto al mio, almeno.

E poi c'erano i commenti degli altri ragazzi del Campo. All'improvviso non ero più Percy Jackson, il tipo forte che aveva recuperato la folgore di Zeus l'estate prima. Adesso ero Percy Jackson, il poveraccio che aveva un mostro per fratello. «Non è il mio vero fratello!» protestavo ogni volta che Tyson non era nei paraggi «È piú una specie di fratellastro del ramo mostruoso della famiglia. Come un... un fratellastro di terzo grado, o roba del genere!»

Non ci cascava nessuno. Lo ammetto, ce l'avevo con mio padre. Mi sentivo come se adesso essere suo figlio fosse uno scherzo.

E, giusto per peggiorare la situazione, Alex ce l'aveva con me. Mi aveva già dato la scossa un bel po' di volte, specialmente quando sentiva la risposta che davo agli altri quando chiamavano Tyson "mio fratello". Bisticciavamo in continuazione, e quando non lo facevamo lei non mi rivolgeva la parola. Come se i dieci mesi passati a vivere sotto lo stesso tetto non fossero mai esistiti. 

Era costantemente di malumore, anche se il signor D non l'aveva punita per aver stordito Tantalo con un fulmine -il che aveva fatto sì che quest'ultimo le girasse alla larga. Passava tutto il suo tempo ad allenarsi o a rinchiudersi nella sua Casa, rifiutando di far entrare me o Annabeth, che cercava in tutti i modi di tirarci su. Ci propose di far squadra insieme per la corsa delle bighe per distrarci dai nostri problemi, ma Alex aveva detto di no, a differenza mia. Non fraintendetemi –odiavamo Tantalo ed eravamo preoccupati da morire per il Campo– ma non sapevamo cosa farci. Finché non fossimo riusciti a escogitare un piano brillante per salvare l'albero di Talia tanto valeva che partecipassimo alla corsa. Dopotutto la madre di Annabeth aveva inventato il cocchio, e mio padre aveva creato i cavalli. Insieme avremmo conquistato quella pista.

Una mattina, mentre Annabeth, Alex e io eravamo seduti in riva al lago delle canoe ad abbozzare progetti per la biga, passarono dei simpaticoni della casa di Afrodite e mi chiesero se mi servisse un po' di eyeliner per il mio occhio. «Oh, scusa... occhi». Un fulmine cadde d'improvviso ai piedi della ragazza che aveva parlato, spaventando a morte anche me e Annabeth. Purtroppo per loro quelli di Afrodite non erano intelligenti come gli altri, che avevano smesso di prendere in giro me e Tyson davanti ad Alex proprio per evitare di farsi male. Mentre si allontanavano strillando impauriti, Annabeth borbottò: «Ignorali, Percy. Non è colpa tua se hai un mostro per fratello»

«Non è mio fratello!» sbottai, prima che Alex aprisse bocca e la fulminasse «E non è nemmeno un mostro!» aggiunsi in fretta, prima che fulminasse me.

Annabeth inarcò le sopracciglia. «Ehi, non prendertela con me! E, tecnicamente, è un mostro»

Alex borbottò qualcosa stizzita e si alzò in piedi, allontanandosi velocemente e pestando furiosa i piedi. Le sue braccia erano, di tanto in tanto, percorse da qualche archetto azzurrognolo. «Dovevi proprio ribadirlo» dissi infastidito.

«Non è colpa mia se è diventata così suscettibile» commentò Annabeth, gli occhi grigi puntati sulla nostra amica che si allontanava.

«Il pino-»

«Lo so, Percy» mi interruppe bruscamente lei «ma ciò non toglie che quello che ho detto è la verità: Tyson è un mostro»

«Be', sei stata tu a dargli il permesso di entrare al Campo»

«Perché era l'unico modo per salvarvi la vita! Cioè... mi dispiace, Percy, non mi aspettavo che Poseidone lo riconoscesse. I ciclopi sono i più infidi, sleali-»

«Lui no! E tu perché ce l'hai tanto con i ciclopi, a proposito?»

Le orecchie di Annabeth si tinsero di rosa. Avevo la sensazione che mi stesse nascondendo qualcosa... qualcosa di brutto. «Lascia perdere» rispose «ora, l'asse di questa biga...»

«Lo tratti come se fosse un essere orribile» continuai «ha salvato la vita a me e ad Alex»

Annabeth buttò la matita e si alzò in piedi. «Allora forse dovresti progettare la biga con lui!»

«Forse dovrei»

«Bene!»

«Bene!»

Mi mollò lì su due piedi e si allontanò come una furia, e io mi sentii persino peggio di prima.

I giorni seguenti cercai di non pensare troppo ai miei problemi. Silena Beauregard, una delle ragazze più carine della casa di Afrodite, mi diede la mia prima lezione di equitazione su un pegaso. Mi spiegò che esisteva un solo cavallo alato immortale di nome Pegaso, che vagava ancora libero nei cieli, ma nel corso dei millenni aveva generato molti figli, e anche se nessuno di loro era altrettanto veloce o eroico portavano tutti il nome del primo e impareggiabile esemplare. 

Essendo il figlio del dio del mare non mi era mai piaciuto volare. C'era una certa rivalità tra mio padre e Zeus, perciò cercavo di tenermi alla larga dal regno di quest'ultimo il più possibile. Era più una cosa per Alex. Ma cavalcare un cavallo alato sembrava un'altra cosa. Non mi innervosivo come quando mi trovavo su un aereo. Forse perché mio padre aveva creato i cavalli dalla schiuma del mare, perciò i pegasi erano una specie di... terreno neutrale. Riuscivo a capire i loro pensieri. 

Il problema era che anche Tyson voleva cavalcare i "polli pony", ma i pegasi si innervosivano ogni volta che lui si avvicinava. Gli spiegai telepaticamente che Tyson non voleva fargli del male, ma non mi credettero. E Tyson scoppiò a piangere. 

L'unica persona del Campo che non aveva nessun problema con Tyson, oltre ad Alex, era Beckendorf. Il dio fabbro aveva sempre lavorato con i ciclopi nelle sue fucine, così Beckendorf portò Tyson in armeria per insegnargli a forgiare il metallo. Disse che nel giro di pochissimo tempo avrebbe fatto di lui un maestro nella fabbricazione di oggetti magici.

Dopo pranzo mi allenai nell'arena con la casa di Apollo. La scherma era sempre stata il mio forte. Dicevano che ero il miglior spadaccino del campo degli ultimi cento anni, a parte forse Luke e Alex.

Sconfissi i ragazzi di Apollo senza problemi. Mi sarei dovuto mettere alla prova contro le case di Ares e di Atena dal momento che avevano gli spadaccini migliori, ma non andavo d'accordo con Clarisse e i suoi fratelli, e dopo il litigio con Annabeth non avevo voglia di vederla. Alex... be', si teneva alla larga, ma non solo da me: dall'intero Campo. L'unica persona con cui passava volentieri il suo tempo era Tyson e, di riflesso, Beckendorf. Vederla ridere e scherzare con lui quando a me nemmeno guardava non mi fece per niente piacere, mi toccò ammetterlo. Mi ritrovai ad essere piuttosto incavolato con lei, non capivo bene il perché.

Andai a lezione di tiro con l'arco, anche se ero una schiappa, e non fu la stessa cosa senza Chirone. A lezione di arte cominciai un busto di Poseidone, ma quando iniziò a somigliare a Sylvester Stallone lo buttai. Scalai la parete per le arrampicate in modalità lava-terremoto al massimo. E la sera feci un po' di pattugliamento al confine. Anche se secondo Tantalo dovevamo smettere di cercare di proteggere il Campo alcuni di noi avevano continuato a farlo in silenzio, organizzando i turni durante il tempo libero.

La notte sognai di nuovo Grover. Udivo solo degli stralci della sua voce. Una volta lo sentii dire: "è qui". Un'altra: "gli piacciono le pecore". Pensai di raccontare ad Annabeth e Alex i miei sogni, ma mi sarei sentito stupido. Voglio dire... "gli piacciono le pecore"? Mi avrebbero preso per matto.

La notte prima della corsa io e Tyson finimmo la nostra biga. Era una roba pazzesca. Tyson aveva fabbricato le parti di metallo nelle fucine. Io avevo levigato il legno e montato i pezzi. Era blu e bianca, con dei disegni di onde sui fianchi e un tridente dipinto sul davanti. Dopo tutto quel lavoro era più che giusto che Tyson gareggiasse insieme a me, anche se sapevo che ai cavalli non sarebbe piaciuto e che il suo peso ci avrebbe rallentati. Mentre andavamo a letto, Tyson mi chiese: «Sei arrabbiato?»

Mi accorsi di avere la faccia scura. «Ma no. Non sono arrabbiato»

Si distese sulla branda e rimase zitto nel buio. Il suo corpo era troppo lungo per il letto. Quando si tirava su le coperte, i piedi gli sbucavano in fondo. «Tyson è un mostro»

«Non dire così»

«No, va bene. Tyson sarà un mostro buono. L'ha detto anche ad Alex. Così tu non ti dovrai arrabbiare»

Non sapevo cosa dire. Fissai il soffitto e mi sentii morire lentamente, proprio come l'albero di Talia. «È solo che... non avevo mai avuto un fratellastro» confessai. Cercai di impedire alla mia voce di incrinarsi. «E' una cosa nuova per me»

«Alex l'ha detto» replicò Tyson «ha detto che tu vuoi bene a Tyson, ma che hai la testa piena di alghe e non capisci niente»

Scossi la testa con un mezzo sorriso. Suonava proprio da lei. «Sì... ha ragione» mi ritrovai ad ammettere.

«Perchè è triste?» mi domandò Tyson.

«Chi? Alex?»

«Sì. A Tyson non piace vedere Alex triste. Piange sempre. Tyson la abbraccia, ma lei piange più forte. A Tyson non piace». Sospirai. Il cuore mi si strinse un po'. Nonostante tutto Alex mi mancava, e sapere che piangeva in continuazione non piaceva nemmeno a me. «Non sei più suo amico?» domandò.

«Certo che lo sono ancora» risposi.

«Non sei preoccupato? Non vai più a trovarla»

«Ma certo che lo sono!» protestai «è che... sono preoccupato anche per il Campo. E un mio altro amico, Grover... potrebbe essere nei guai. Continuo ad avere la sensazione che dovrei fare qualcosa, ma non so cosa... e non voglio che Alex si faccia male. Vorrei che rimanesse al sicuro, ma so che non posso impedirle di seguirmi». Tyson non parlò. «Mi dispiace» continuai «non è colpa tua. Sono arrabbiato con Poseidone. Mi sembra quasi che stia cercando di mettermi in imbarazzo, che voglia fare un confronto tra noi o roba del genere, e non capisco perché». Sentii un brontolio cupo. Tyson stava russando. Sospirai. «Buonanotte, amico». E chiusi gli occhi anch'io. 

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