7. Chirone (P)
[08.06.2020 ~ capitolo revisionato ✔]
Vi è mai capitato di tornare a casa e di trovare la vostra stanza in disordine? Come quando una persona premurosa (ciao, mamma) ha cercato di "pulire" e voi non riuscite più a trovare un cavolo di niente? Anche se non manca nulla, non avete l'inquietante sensazione che qualcuno abbia frugato tra le vostre cose spolverando tutto con lo spray al limone?
Ecco, più o meno è così che mi sentii quando rividi il Campo Mezzosangue.
All'apparenza le cose non sembravano affatto diverse. La Casa Grande era ancora lì, con i suoi quattro piani dipinti di celeste, gli abbaini e il portico attorno. I campi di fragole si beavano ancora al sole. Gli stessi edifici greci con le colonne bianche erano sparpagliati nella valle: l'anfiteatro, l'arena del combattimento, il padiglione della mensa affacciato sullo stretto di Long Island. E annidate fra il bosco e il lago c'erano le stesse capanne: un assortimento di dodici edifici, ognuno dedicato a un dio dell'Olimpo diverso.
Ma adesso si respirava un'atmosfera di pericolo. Si capiva che c'era qualcosa che non andava. Anziché giocare a pallavolo nel campetto, i capigruppo e i satiri ammucchiavano armi nel capanno degli attrezzi. Ninfe armate di archi e frecce parlottavano nervose ai margini del bosco. La foresta era in pessimo stato, l'erba del prato era ingiallita e le tracce lasciate dal fuoco sulla Collina Mezzosangue spiccavano come brutte cicatrici.
Qualcuno aveva buttato all'aria il posto che preferivo di più al mondo, e io... be', non ero affatto contento.
Mentre andavamo alla Casa Grande, riconobbi un sacco di ragazzi dell'estate precedente. Nessuno si fermò a parlare con noi. Nessuno disse "Bentornati". Alcuni si voltarono due volte quando notarono Tyson, ma la maggior parte tirò dritto e continuò a fare quello che faceva (consegnare messaggi, affilare le spade alla mola e cose così). Il Campo somigliava a una scuola militare. E, credetemi, so di cosa parlo. Sono stato espulso anche da un paio di quelle.
Tyson non ci badava neanche un po'. Era incantato da tutto quello che vedeva e cercava di non far cadere Alex, di cui trasportava l'esile figura. Non appena aveva visto l'albero della sorella era scoppiata a piangere ed era svenuta. Grazie agli dei c'era Tyson a prenderla, perché nello slanciarmi in avanti a cercare di afferrarla prima che cadesse mi sa che avevo peggiorato lo stato della mia caviglia, che adesso picchiava un po' di più.
Non immaginavo neanche che colpo doveva essere stato per lei vedere l'albero di Talia ridotto in quelle condizioni. Mi sentivo abbattuto io, che non conoscevo sua sorella, figuriamoci lei... pregai solo che non si chiudesse in sé stessa come aveva fatto nelle prime settimane che era venuta a stare da me, con tutta la faccenda di Luke. Ci avevo messo una vita a far sì che me ne parlasse.
«Quellocosè?» disse di nuovo tutto d'un fiato Tyson. Ormai non ripeteva altro da cinque minuti.
«La stalla dei pegasi» risposi io, sostenendo Alex per la testa per evitare che la lasciasse cadere «i cavalli alati»
«Quellocosè?»
«Ehm... i gabinetti»
«Quellocosè?»
«Le case dei ragazzi del Campo. Se non sai chi è il tuo genitore sull'Olimpo, ti mettono nella casa di Ermes, quella marrone laggiù, finché non sei determinato. Poi, quando l'hai saputo, finisci nel gruppo di tuo padre o di tua madre»
Lui mi guardò sbigottito. «Tu... hai una casa?»
«La numero tre». Indicai un lungo edificio grigio fatto di rocce estratte dal fondo del mare.
«Ci abiti con Alex?»
«No. Lei vive da sola nella uno». Gliela indicai. «Sono da solo anche io»
Non avevo voglia di dargli spiegazioni, ma l'imbarazzante verità era questa: io e Alex eravamo gli unici ad abitare nelle nostre rispettive case perché non saremmo dovuti esistere.
Quando arrivammo alla Casa Grande, trovammo Chirone nelle sue stanze. Ascoltava la sua musica lounge preferita degli anni Sessanta e preparava le bisacce. Tyson rimase di stucco quando lo vide. «Pony!» gridò, in estasi totale. Quasi fece cadere Alex. Gli sostenni le mani e lui mi scaricò la ragazza dritta in braccio.
Grugnii, cercando di bilanciarmi; Alex si mosse con un gemito, rannicchiandosi contro di me e poggiando la testa nell'incavo tra la mia spalla e il mio collo. Il dolce profumo delle pesche mature mi arrivò al naso, e io cercai di non morire per l'imbarazzo. Mi sentivo la faccia andare a fuoco. Quella era la seconda volta che mi trovavo così vicino a lei... e dovevo ammettere che non è che mi dispiacesse.
Chirone si voltò con l'aria offesa. «Come, prego?»
Annabeth corse ad abbracciarlo. «Chirone, che succede? Non se ne starà mica andando?»
Le tremava la voce. Per lei era come un secondo padre. Chirone le arruffò i capelli e le sorrise con gentilezza. «Ciao, bambina. E Percy, santi numi. Come sei cresciuto!». Il suo sguardo si posò su Alex, tra le mie braccia. Corrugò la fronte. «Deve aver visto il pino, non è così?» domandò cupo. Fece un gesto verso il suo letto. «Mettila pure lì» mi disse.
Adagiai piano Alex sul letto. Fui sorpreso di scoprire che una parte di me lo faceva controvoglia, specialmente quando dovetti staccarmi da intorno al collo le sue mani. Sembrava non volesse che la lasciassi. Mi rivolsi a Chirone, ma non mi mossi da di fianco al letto, ignorando l'occhiata di Annabeth. Deglutii. «Clarisse ha detto che lei... che lei è stato...»
«Licenziato». Gli occhi di Chirone scintillarono di amara ironia. «Ah be', si doveva pur incolpare qualcuno. Il divino Zeus era alquanto in collera. L'albero che aveva creato dallo spirito di sua figlia... avvelenato! Il signor D doveva punire qualcuno»
«Al posto suo, vuole dire» ringhiai. Il solo pensiero del direttore del campo, il signor D, mi faceva montare la rabbia.
«Ma è assurdo!» gridò Annabeth «Chirone, lei non può avere niente a che fare con l'avvelenamento dell'albero di Talia! Non lo farebbe mai, e sono certa che anche Alex lo sa!»
«Ciononostante» sospirò lui «su nell'Olimpo c'è qualcuno che non si fida di me, date le circostanze»
«Quali circostanze?» chiesi.
Il volto di Chirone si rabbuiò. Ficcò un dizionario di latino nella bisaccia, mentre Frank Sinatra cantava nel suo stereo portatile. Tyson lo fissava ancora sbigottito. Piagnucolava come se morisse dalla voglia di accarezzare il fianco di Chirone, ma aveva chiaramente paura di avvicinarsi. «Pony?»
Chirone tirò su col naso. «Mio caro, giovane ciclope! Io sono un centauro!»
«Chirone» dissi «che è successo all'albero?»
Lui scosse la testa, abbattuto. «Il veleno usato per il pino di Talia proviene dagli Inferi, Percy. E nemmeno io lo avevo mai visto. Deve averlo prodotto un mostro rintanato nelle profondità del Tartaro»
«Allora sappiamo di chi è la colpa. Cro-»
«Non invocare il nome del re dei Titani, Percy. Soprattutto qui, e in un momento come questo»
«Ma l'estate scorsa ha tentato di provocare una guerra civile sull'Olimpo! Dev'essere per forza una sua idea. L'avrà ordinato a Luke, quel traditore» dissi, digrignando i denti. Guardai Alex. Quando sarebbe venuta a sapere che Luke aveva cercato di uccidere quello che le rimaneva della sorella, in aggiunta al fatto che l'aveva tradita, avrebbe fulminato l'intero mondo pur di trovare Luke e decapitarlo.
«Forse» replicò Chirone, anche lui con lo sguardo fisso su Alex. Probabilmente pensava la stessa cosa che avevo pensato io. «Ma temo che mi ritengano responsabile perché non l'ho evitato, né so come curarlo. L'albero ha solo poche settimane di vita, a meno che...»
«A meno che?» lo incalzò Annabeth.
«No» disse Chirone «un pensiero sciocco. Il trauma del veleno si sta ripercuotendo su tutta la valle. I confini magici si stanno indebolendo. Il Campo stesso sta morendo. C'è una sola fonte di magia abbastanza forte da invertire l'effetto del veleno, ma è andata perduta secoli fa»
«Che cos'è?» chiesi «La troveremo!»
Chirone chiuse la bisaccia. Spense lo stereo. Poi si voltò e mi posò una mano sulla spalla, guardandomi dritto negli occhi. «Percy, devi promettermi di non agire in modo precipitoso. Ho detto a tua madre che quest'estate non volevo che né tu né Alexandra tornaste qui. È troppo pericoloso. Ma ora ci siete, quindi... restateci. Addestratevi più che potete. Ma non andatevene»
«Perché? Voglio fare qualcosa! E non appena Alex sentirà di questa storia non c'è dio che la tenga qui, non se può fare qualcosa per salvare il Campo e sua sorella! E poi non posso permettere che i confini cedano senza reagire. Tutto il Campo sarà-»
«-invaso dai mostri» concluse Chirone «sì, temo di sì. Ma tu non devi farti trascinare a compiere gesti affrettati e non devi permettere che Alexandra faccia lo stesso! Potrebbe essere una trappola del re dei Titani. Ricordati la scorsa estate! Ti ha quasi ucciso!»
Era vero. Ma volevo aiutare lo stesso, con tutte le mie forze. Non solo il campo, ma anche Alex. Talia era sua sorella maggiore, e l'albero era l'unica traccia che le era rimasta di lei. Non potevo permettere che le portassero via anche quella.
E poi volevo farla pagare a Crono. Insomma, uno penserebbe che il re dei Titani avesse imparato la lezione millenni prima, quando gli dei l'avevano spodestato. E che essere fatto in milioni di pezzi e poi scaraventato nella parte più oscura degli Inferi fosse bastato a fargli intuire che nessuno lo volesse in circolazione.
E invece no. Siccome era immortale, era ancora vivo e vegeto laggiù nel Tartaro, a soffrire in eterno e a bramare il ritorno e la vendetta contro l'Olimpo. Non poteva agire da solo, ma era bravissimo a ingannare la mente dei mortali, e perfino degli dei, per compiere il lavoro sporco. L'avvelenamento era opera sua. Chi altri sarebbe stato così vile da attaccare l'albero di Talia, l'unica cosa rimasta di un'eroina che aveva dato la vita per salvare i propri amici?
Annabeth si stava chiaramente sforzando di non piangere. Chirone le asciugò una lacrima sulla guancia. «Resta con Percy e Alexandra, bambina» le ordinò «tienili al sicuro. La profezia... ricorda!»
«Lo... lo farò»
«Ehm...» intervenni io «per caso state parlando di quella pericolosissima profezia in cui ci sono io, ma che gli dei vi hanno proibito di raccontarmi?». Nessuno rispose. «Bene. Volevo solo controllare»
«Chirone» disse Annabeth «lei mi ha detto che gli dei l'hanno resa immortale solo finché fosse stato necessario ad addestrare gli eroi. Se la licenziano dal Campo-»
«Giura che farai del tuo meglio per tenere Percy e Alexandra lontani dal pericolo» insistette lui «giuralo sullo Stige»
«Lo... lo giuro sullo Stige» rispose Annabeth.
Fuori si udì il rombo di un tuono. «Molto bene» disse Chirone. Sembrò rilassarsi un poco. «Forse il mio nome verrà riabilitato e io ritornerò. Fino ad allora, andrò a trovare i miei parenti che vivono allo stato brado nelle Everglades. Forse loro conoscono una cura per l'albero avvelenato che io non rammento più. In ogni caso, resterò in esilio finché questa faccenda non si risolverà... in un modo o nell'altro»
Annabeth soffocò un singhiozzo. Chirone la consolò con dei goffi colpetti sulle spalle. «Su, su. Devo affidare la vostra sicurezza al signor D e al nuovo direttore delle attività. Dobbiamo sperare... be', forse non distruggeranno il Campo in fretta come temo»
«Chi è questo Tantalo, a proposito?» domandai «Da dov'è spuntato fuori per venire a fregarle il posto?»
Il richiamo di una conchiglia risuonò nella valle. Non mi ero reso conto di quanto fosse tardi. I ragazzi del Campo dovevano radunarsi per la cena. «Andate» ordinò Chirone «lo conoscerete nel padiglione. Mi metterò in contatto con tua madre, Percy, e le farò sapere che tu e Alex state bene. Sarà preoccupatissima. Ricordati il mio avvertimento! Siete in grave pericolo. Non pensare nemmeno per un secondo che il re dei Titani abbia dimenticato te o Alexandra. E a proposito di lei...». La guardò. Si sporse e le scostò con delicatezza una ciocca di capelli corvini dalla fronte. Lei tremò appena, e una lacrima le scivolò giù per la guancia. Mi chiesi che cosa stesse sognando. «Portatele i miei saluti, e ditele che deve essere forte come le ho sempre detto che è. Proteggetela, perché se c'è qualcuno che tenterà di fare qualcosa di avventato, è sicuramente lei»
Lasciò le sue stanze e scese nell'atrio, mentre Tyson gli gridava dietro: «Pony! No!»
Mi resi conto che mi ero scordato di raccontare a Chirone il mio sogno su Grover. Ora era troppo tardi. L'insegnante migliore che avessi mai conosciuto se n'era andato, forse per sempre. Tyson cominciò a piagnucolare forte quasi quanto Annabeth. Cercai di convincerli che sarebbe finito tutto bene, ma non ci credevo.
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