6. Fuoco e fulmini

[08.06.2020 ~ capitolo revisionato ✔]

Tori. Tori dappertutto.

Non dei tori normali, ma di bronzo e grossi quanto elefanti, e pure sputafuoco da quello che i miei occhi vedevano. Li riconobbi immediatamente come i tori della Colchide di Efesto. Ma che cavolo ci facevano lì?

Non appena scendemmo dal taxi le Sorelle Grigie ripartirono a razzo verso New York, dove la vita era più sicura. Non aspettarono nemmeno il pagamento delle tre dracme extra; ci scaricarono sul ciglio della strada, Annabeth armata soltanto di zainetto e coltello, e io, Percy e Tyson ancora con la tenuta da ginnastica bruciacchiata. 

La cosa che mi preoccupava di più non erano i tori in sé e per sé. Né i nostri dieci eroi in armatura da guerra che stavano finendo con le chiappe a terra, no: era che i tori scorrazzassero per tutta la collina, anche sull'altro fianco, oltre il pino. Non avrebbe dovuto essere possibile. I confini magici del campo non Consentivano ai mostri di oltrepassare l'albero di Talia, ma quelle bestie metalliche lo stavano facendo lo stesso. 

Uno degli eroi gridò: «Pattuglia di confine, a me!»

«È Clarisse» disse Annabeth «Muoviamoci, dobbiamo aiutarla!»

Evocai le Gemelle e non esitai a correre verso di loro.

I compagni di Clarisse fuggivano sparpagliati, in preda al panico, cercando di sottrarsi alla carica dei tori. L'erba bruciava a chiazze attorno al pino. Un eroe strillava e gesticolava correndo in tondo, con il pennacchio di crine in fiamme come una cresta infuocata. Anche l'armatura della figlia di Ares era bruciacchiata. Combatteva con una lancia spezzata –l'altra metà spuntava inutile dalla giuntura metallica della spalla di uno dei tori.

Mi diedi una poderosa spinta e saltai in groppa ad uno dei tori. Prima che si rendesse conto di quello che avevo fatto alzai Sinistra e evocai un fulmine prima di conficcargli la lama proprio in mezzo alla testa. L'intera figura taurina venne avvolta da archi azzurrognoli mentre saltavo giù, lanciando Destra verso un altro toro che mi stava per caricare. Lo colpii in mezzo agli occhi, facendolo stramazzare a terra mentre il primo collassava, l'energia elettrica che lo scioglieva parzialmente.

Tesi entrambe le braccia e richiamai a me le Gemelle, che mi volarono prontamente in mano. «Che cavolo sta succedendo?!» chiesi a Clarisse, che per la prima volta da quando la conoscevo sembrava sollevata di vedermi.

«Dove diavolo sei stata?!» sbraitò in risposta, fuori di sé «FALANGE!» comandò immediatamente dopo. 

Era una buona idea. I pochi che la ascoltavano si allinearono spalla a spalla, unendo gli scudi per formare un muro di bronzo e cuoio, le lance che spuntavano in cima come gli aculei di un porcospino. Purtroppo Clarisse riuscì a radunare solo sei ragazzi in tutto. Gli altri quattro stavano ancora correndo senza meta con l'elmo in fiamme. Lanciando Freccia riuscii ad abbattere un toro, ma dovetti schivare il getto infuocato di un altro.

Annabeth attirò l'attenzione di un toro e lo convinse a inseguirla, poi diventò invisibile, confondendo totalmente il mostro. Un altro caricò la linea di Clarisse; quei dannatissimi cosi, accidenti ad Efesto, si muovevano ad una velocità micidiale per essere così grossi.

Il toro aprì la bocca azionata da cardini, sputò una fiammata incandescente. «Tenete la posizione!» ordinò Clarisse ai suoi guerrieri.

«Dietro di te!» urlò Percy a non so bene chi «Attenta!»

Clarisse, forse per lo spavento, si voltò di scatto e perse la concentrazione. Il Toro si schiantò contro gli scudi e la falange si ruppe. Io e Clarisse volammo all'indietro e atterrammo in uno spiazzo d'erba carbonizzato con due tonfi gemelli. Il toro ci oltrepassò, ma non prima di aver investito gli altri eroi con il suo fiato infuocato. Gli scudi si sciolsero sulle braccia dei guerrieri, che gettarono le armi e se la diedero a gambe, mentre un altro toro avanzava verso di noi.

Rotolai di lato, evitando per un soffio che mi investisse. Percy, che aveva afferrato Clarisse per le cinghie dell'armatura per tirarla via, tirò un fendente con Vortice, procurandogli un grosso squarcio su un fianco. Il mostro si limitò a cigolare e a gemere e continuò la sua corsa. «Lasciami!» strillò Clarisse «Percy maledetto!»

Mi alzai e lo raggiunsi proprio mentre mollava Clarisse sotto al pino. Eravamo sul pendio interno della collina, adesso, con la valle del Campo Mezzosangue direttamente ai nostri piedi. Le capanne, le strutture di addestramento, la Casa Grande: era tutto a rischio se i tori riuscivano a superarci.

Annabeth gridava agli altri eroi, ordinando loro di sparpagliarsi e distrarli. Un toro disegnò un ampio arco e tornò nella nostra direzione. Quando attraversò il centro della collina, nel punto in cui la linea di confine invisibile avrebbe dovuto trattenerlo, rallentò un poco, come contro un vento forte, ma poi riuscì a passare e continuò la sua corsa. Quello che mi aveva quasi investito si voltò per affrontarci, il fuoco che si riversava fuori dallo squarcio che Percy gli aveva inferto sul fianco.

Lui tentò un affondo, ma il secondo toro rispose sputando fuoco. Rotolammo su un fianco, mentre l'aria si trasformava in calore puro. Percy cadde, ma riuscì lo stesso a menare un fendente, mozzando parte del muso del mostro. Il toro cercò di fuggire al galoppo, furioso e disorientato, ma il suo testone incontrò la lama carica di elettricità di Sinistra e finì a terra, ruzzolando lontano.

Mi appoggiai all'albero, sfinita. L'adrenalina che mi scorreva in corpo aveva finito il suo effetto, e iniziavo ad avvertire dolore dappertutto. Le Gemelle iniziavano a pesare un po' troppo. Gambe e braccia mi bruciavano; dovevo essermi scottata.

Percy cercò di alzarsi, ma la gamba sinistra cedette sotto il suo peso. «Stai bene?» gli chiesi preoccupata.

«No, devo essermi slogato la caviglia» rispose a denti stretti.

Mi girai verso il toro rimasto. Lo vidi partire alla carica, diretto verso di noi. Avremmo dovuto toglierci di mezzo, ma con Percy con la caviglia in quella condizione non sarei mai riuscita a trascinarlo via. Di lasciarlo indietro non avevo nessuna intenzione. Quindi tanto valeva provarci.

Strinsi i denti e mi passai un braccio di Percy intorno alle spalle. La mia pelle protestò vivamente al contatto. «Non ce la fai ad aiutarmi, guarda come sei conciata!» protestò lui «Lasciami qui!»

«Io non ti lascio indietro» dissi determinata. Cercai di tirarlo in piedi, sostenendo il suo peso, ma ero troppo debole.

Sentii Annabeth gridare «Tyson, aiutali!» da qualche parte nelle vicinanze, verso la cima della collina.

Tyson gemette: «Non... posso... entrare!»

«Io, Annabeth Chase, ti do il permesso di entrare nel Campo!»

Un tuono scosse il fianco della collina. Tyson era lì che si precipitava verso di noi, urlando: «Tyson aiuta Percy e Alex!»

«NO! TYSON!» gridai, cercando di fermarlo, ma era troppo tardi. Si tuffò fra noi e il toro nell'istante stesso in cui il mostro sputava la sua tempesta di fuoco. 

«TYSON!» gridammo io e Percy all'unisono.

L'esplosione gli roteò attorno come un tornado rosso. Riuscivo a distinguere solo la sagoma nera del suo corpo. Ebbi l'orribile certezza che il mio ragazzone fosse stato appena trasformato in una colonna di cenere. 

Ma quando il fuoco si spense, Tyson era ancora là, illeso. Nemmeno gli stracci che indossava erano anneriti.

Probabilmente il toro era sorpreso quanto noi, perché prima che riuscisse a sputare un'altra fiammata Tyson strinse i pugni e lo picchiò sul muso. «MUCCA CATTIVA!»

I pugni aprirono un cratere sulla faccia del mostro. Due piccole colonne di fiamme gli sprizzavano dalle orecchie. Tyson colpì di nuovo e il bronzo si accartocciò sotto le sue mani come pellicola di alluminio. La faccia del mostro metallico ormai somigliava a un calzino rivoltato. «Giù!» gridò Tyson. 

Il toro vacillò e cadde sulla groppa. Le zampe si mossero debolmente nell'aria, mentre il vapore gli fuoriusciva qua e là dalla testa.

Annabeth corse subito a vedere come stavamo, e ci fece bere un po' di nettare dalla sua borraccia. Mi sentii subito meglio. C'era una puzza assurda di bruciato. Probabilmente ero io.

Clarisse si tolse l'elmo e ci venne incontro tutta impettita. Un ciuffo dei suoi capelli era in fiamme, ma lei non sembrava farci caso. «Tu rovini sempre tutto!» urlò a Percy «Avevo la situazione sotto controllo!»

«Ho visto» commentai sarcastica io.

Clarisse mi puntò addosso gli occhi, carichi di rabbia. «Tu!» ringhiò, indicandomi con l'indice della mano destra «Proprio quest'anno dovevi decidere di andartene?! Dove diavolo ti sei cacciata?!». Feci per aprire bocca e rispondere, ma lei mi interruppe, strillando: «Non provate MAI PIÙ a salvarmi!»

«Clarisse» le disse Annabeth «hai dei feriti»

Questo la fece rinsavire. Perfino lei ci teneva ai soldati al suo comando. «Torno subito» ringhiò, e si allontanò arrancando per controllare i danni.

«Non sei morto» disse Percy a Tyson, meravigliato.

Lui abbassò lo sguardo come se fosse imbarazzato. «Scusa. Tyson voleva aiutare. Non ha ubbidito»

«È colpa mia» intervenne Annabeth «non avevo scelta. Dovevo permettergli di varcare il confine per salvarvi. Altrimenti sareste morti»

Alzai lo sguardo su Tyson e rimasi a bocca aperta. Finalmente riuscivo a vederlo con più chiarezza sopra i denti, oltre il grosso naso bitorzoluto. Finalmente gli vedevo gli occhi.

No, pardon. L'occhio.

Un solo, unico occhio castano, proprio al centro della fronte, con le ciglia folte e delle grosse lacrime che gli scorrevano lungo le guance. «Di immortales...» farfugliai, a corto di parole. Come cavolo avevo fatto a non capire prima che Tyson era un Ciclope? Insomma, gli indizi c'erano tutti... mi ero lasciata fregare dalla Foschia come una mortale qualunque.

«Permettergli di varcare il confine?» chiese Percy «Ma-»

«Percy» lo chiamai «guardalo in faccia. Intendo, fallo per bene»

Percy obbedì. Tutto il suo sgomento gli si leggeva sul volto. «Tyson» balbettò «tu sei un-»

«Ciclope» concluse Annabeth «e ancora molto piccolo, a giudicare dall'aspetto. Ecco perché non è riuscito a varcare il confine come i tori. Tyson è uno degli orfani senzatetto»

«Uno dei che?»

«Ce ne sono in quasi tutte le grandi città» spiegò Annabeth sprezzante «sono... errori. Figli di spiriti della natura e dei... be', di un dio in particolare, di solito... e non sempre vengono bene. Non li vuole nessuno. Vengono allontanati. Crescono allo stato brado per le strade. Non so come questo qui abbia fatto a trovarvi, ma mi pare evidente che gli piacete. Dovremmo portarlo da Chirone, lui deciderà che cosa fare»

«Puoi anche dirlo in un tono un po' meno disgustato» la ripresi accigliata. Non mi piaceva che avesse definito Tyson "un errore", e non mi piaceva come parlava degli orfani senzatetto. Specialmente perché, per anni, mi ero sentita come loro.

«Be', è la verità» fece lei noncurante, stringendosi nelle spalle.

«Senti, lo vuoi un pugno?» sbottai aggressiva.

Percy mi mise una mano sulla spalla e strinse appena. Nei primi mesi in cui vivevo con lui era un gesto che mi stizziva. Col passare del tempo, invece, era diventato una delle pochissime cose che riusciva a calmare la mia indole irascibile. «Ma il fuoco» disse Percy, cercando di stemperare la tensione nell'aria «come-»

«È un ciclope...». Annabeth fece una pausa, come se le fosse tornato in mente qualcosa di spiacevole. «Di solito lavorano nelle fucine degli dei. Devono essere immuni al fuoco. Ecco cosa stavo cercando di dirvi»

Nel tentativo di ignorare il tono sgradevole di Annabeth mi girai, concentrandomi sulla collina. L'intero fianco era in fiamme. Gli eroi feriti avevano bisogno di cure. E c'erano ancora due malconci tori di bronzo da sistemare -dubitavo che sarebbero entrati nei nostri normali cassonetti del riciclaggio, ma ero piuttosto certa che la Casa di Efesto ci avrebbe combinato qualcosa di utile. Clarisse tornò da noi e si ripulì la fuliggine dalla fronte. «Jackson, se riesci a stare in piedi alzati. Dobbiamo trasportare i feriti alla Casa Grande e raccontare a Tantalo cos'è successo»

«Tantalo?» chiesi confusa.

«Il direttore delle attività» specificò Clarisse con impazienza.

«Il direttore delle attività è Chirone. E dov'è Argo? È lui il capo della sicurezza. Dovrebbe essere qui» disse Percy.

Clarisse fece una smorfia amareggiata. «Chirone è stato licenziato. Voi tre siete stati via per troppo tempo. Le cose stanno cambiando»

«Ma Chirone addestra i ragazzi a combattere i mostri da più di tremila anni!» esclamò Percy «Non può essersene andato così! Che cos'è successo?»

Clarisse mi guardò per un lungo momento con uno sguardo che non riuscivo a decifrare. Poi indicò l'albero di Talia. «Questo» sbottò.

Mi girai e mi mancò improvvisamente l'aria. «No...» mi uscì dalla bocca in un lamento strozzato.

Gli aghi del pino erano gialli. Al centro del tronco, a un metro circa da terra, c'era il segno di una puntura delle dimensioni di una pallottola, da cui colava una linfa verde. Allungai una mano e toccai la sua corteccia ruvida e familiare, gli occhi che mi si riempivano di lacrime.

Ora capivo perché il Campo era in pericolo. I confini magici stavano cedendo perché l'albero di Talia stava morendo. Qualcuno lo aveva avvelenato.

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