4. Hárma diabolês
[08.06.2020 ~ capitolo revisionato ✔]
Annabeth ci aspettava in un vicolo di Church Street.
Tirò via Percy e Tyson dal marciapiede proprio mentre un camion dei pompieri passava a sirene spiegate, diretto alla Meriwether. Poi si girò verso di me e mi abbracciò. «Sono felice di vederti» mi disse.
«Anche io» replicai prima di sciogliere l'abbraccio.
Poi lei si girò, guardò Tyson e io mi pentii immediatamente di averla abbracciata. «E lui dove l'avete pescato?» domandò, indicandolo e guardandolo male.
«È un nostro amico» rispose Percy sulla difensiva.
«È un senzatetto?»
«E questo che c'entra? Guarda che ti sente. Perché non lo chiedi a lui?»
Annabeth sembrò sorpresa. «Sa parlare?»
«Tyson parla» ammise lui «sei carina»
«Ah! Che schifo!» esclamò lei con una smorfia, scansandosi da lui.
«Annabeth!» la ripresi severa. Ma che le prendeva? Perchè lo trattava così male?
Lei mi guardò, perplessa. «Che c'è? Non dirmi che non ti sei accorta che è un-»
«Tyson, non ti sei nemmeno scottato!» la interruppe Percy, incredulo. Il suo sguardo era fissato sulle mani del nostro amico: in effetti non c'era nemmeno un graffio sulle sue dita.
Aggrottai la fronte. «Ma com'è possibile?»
«Certo che non si è scottato» borbottò Annabeth «mi meraviglio che i Lestrigoni abbiano avuto il fegato di attaccarvi, con lui nei paraggi»
Tyson sembrava affascinato dai capelli biondi di Annabeth. Cercò di toccarli, ma lei gli scansò la mano con uno schiaffo. «A proposito, che diavolo ci facevano al sud?» domandai contrariata. Lasciai che Tyson toccasse i miei, di capelli. Continuava a far saettare lo sguardo dai miei a quelli di Annabeth, probabilmente meravigliato dall'evidente contrasto tra il mio corvino e il suo biondo. Lei mi guardava un po' schifata, ma la ignorai bellamente.
«Di che cosa state parlando? Lestri-che?» fece Percy confuso.
«Lestrigoni. I mostri in palestra» gli spiegai «sono una razza di cannibali giganti. Di solito vivono più su, al Nord»
«Lestri... non riesco neanche a dirlo. Come li chiamereste in parole semplici?»
«Canadesi» fece Annabeth, e a me scappò una mezza risata. «Ora diamoci una mossa, dobbiamo andarcene di qui» aggiunse.
«La polizia ci starà cercando» disse Percy.
«Questo è l'ultimo dei nostri problemi» replicò Annabeth. Strinse le labbra. «Avete fatto anche voi i sogni?»
«Quali-»
«Su Grover?» mi interruppe Percy.
Annabeth impallidì. «Grover? No... che c'entra Grover?»
Percy gli spiegò brevemente il sogno che aveva fatto sul nostro amico satiro. «Perché? Tu che sogni fai?» le chiese alla fine.
Le passò un'espressione burrascosa negli occhi grigi, come se la sua mente stesse viaggiando a un milione di chilometri all'ora. «Sogno il Campo» rispose infine «grossi problemi al Campo»
«Mia madre mi stava dicendo la stessa cosa!»
«Fatemi capire, sono l'unica che non ha sogni di questo tipo?» intervenni, la fronte aggrottata. Non ricordavo di aver sognato il Campo Mezzosangue da quando l'avevo lasciato, nemmeno mezza volta. Sognavo solo Talia, non sapevo bene il perchè.
«Che genere di problemi?» chiese Percy, ignorando la mia domanda.
Annabeth mi lanciò un'occhiata, ma nemmeno lei mi rispose. «Non lo so di preciso. C'è qualcosa che non va. Dobbiamo andarci subito. I mostri mi hanno inseguita per tutta la strada dalla Virginia a qui, cercando di fermarmi. Avete subito molti attacchi?»
Percy scosse la testa. «Neanche uno per tutto l'anno... fino a oggi»
«Nessuno? Ma come...». Si interruppe, posando lo sguardo su Tyson. «Oh»
«Che vuol dire: "Oh"?» domandò Percy, accigliandosi.
Tyson alzò la mano come se fosse ancora in classe. «I canadesi in palestra hanno chiamato Alex... "Principessa"... e Percy... "figlio del dio del mare"?»
Io e Percy ci scambiammo uno sguardo. «Campione» disse lui «hai mai sentito parlare di quelle vecchie storie sugli dei della Grecia? Tipo Zeus, Poseidone, Atena...»
«Sì» rispose Tyson.
«Percy, non so se è una buona idea» lo avvertii.
Lui scosse la testa. «Fidati» mi sussurrò. Poi si rivolse di nuovo a Tyson. «Questi dei sono ancora vivi. È un po' come se seguissero dappertutto la civiltà occidentale, vivendo nei paesi più forti. Perciò adesso, ecco... sono negli Stati Uniti. E qualche volta fanno figli con i mortali. E questi figli si chiamano mezzosangue»
«Sì» ripeté Tyson, come se stesse ancora aspettando che arrivasse al punto.
«Ehm, be', ecco... io, Alex e Annabeth siamo dei mezzosangue. Siamo un po' come degli... eroi in fase di addestramento, ecco. E ogni volta che dei mostri sentono il nostro odore, ci attaccano. Ecco cos'erano quei giganti in palestra»
«Mostri»
«Sì» confermò Percy allibito. Lo fissai. Non sembrava né sorpreso né confuso per quello che gli stava dicendo, il che sorprese e confuse me. «Così mi credi?»
Tyson annuí. «Ma tu sei... figlio del dio del mare?»
«Già» ammise Percy «mio padre è Poseidone»
Tyson si accigliò. Adesso sì che sembrava confuso. «Ma allora-»
Il lamento di una sirena ci fece sobbalzare. Una macchina della polizia sfrecciò davanti al nostro vicolo. «Non abbiamo tempo per questo» esclamò Annabeth «parleremo in taxi»
«Vuoi prendere un taxi fino al campo?» chiese Percy sorpreso «Sai quanti soldi ser-»
«Dimmi, ti prego, che non hai intenzione di prendere quel taxi» lo interruppi, rivolgendomi ad Annabeth.
«E' la via più veloce, Alex. Lo sai anche tu»
«Sì, ma non mi piace» dissi scorbutica. E non mi piaceva sul serio. L'ultima volta che ci avevo messo i piedi avevo dieci anni e avevo passato due giorni a vomitare.
«E Tyson?» chiese Percy «Non possiamo abbandonarlo. Anche lui è nei guai»
«Sì» disse Annabeth cupa «dobbiamo decisamente portarlo con noi. Ora diamoci una mossa»
Non mi piacque il modo in cui lo disse (come se Tyson fosse una specie di morbo che dovevamo portare all'ospedale) ma la seguimmo comunque nel vicolo. Sgattaiolammo per le stradine laterali del centro, mentre dalla palestra della nostra scuola si levava una grossa colonna di fumo. Dei, che casino. Mi chiesi che storiella si fossero inventati i mortali.
«Qui». Annabeth ci fermò all'angolo tra Thomas e Trimble. Frugò nel suo zaino. «Mi sa che ne ho ancora una...»
Guardandola bene mi accorsi che era conciata da schifo. Aveva un taglio sul mento e ramoscelli e fili d'erba impigliati nei capelli biondi, come se avesse passato diverse notti all'aperto. Gli strappi sull'orlo dei jeans somigliavano in modo sospetto ai segni di un artiglio. «Annabeth, che cavolo ti è successo?» le domandai preoccupata.
Lei scosse leggermente la testa. «Te lo spiego dopo» mi rispose «miei dei... ma dove si è cacciata? Eppure ero convinta che fosse qui...»
«Cosa stai cercando?» le domandò Percy.
L'aria era satura di sirene urlanti. Non doveva mancare più molto perché spuntassero altri poliziotti. «Una dracma» grugnì io. Le mie costole stavano senza dubbio guarendo, quindi non ero più assalita da fitte di dolore. In compenso, però, nel sapere di dover salire su quel taxi infernale la nausea mi aveva già preso di mira. Fantastico.
«Trovata, grazie agli dei!» esclamò Annabeth, mostrandoci la dracma.
«Annabeth» disse Percy «i tassisti newyorkesi non l'accetteranno mai»
«Magari stessimo per chiamare un taxi newyorkese, Percy» intervenni cupa.
«Che cosa-»
«Stêthi!» gridò Annabeth in greco antico «Ô hárma diabolês!»
Lanciò la moneta in strada ma, invece di tintinnare a terra, la dracma affondò nell'asfalto e scomparve.
Per un attimo, non successe nulla. Poi, nel punto in cui la moneta era caduta, l'asfalto si scurì, sciogliendosi in una pozza rettangolare grande più o meno quanto un posto auto, e ribollì di un liquido rosso come il sangue. Quella dannatissima macchina infernale, infine, emerse dal liquido melmoso.
Era un taxi, sì, ma a differenza di tutti gli altri taxi di New York non era giallo. Era grigio fumo. Cioè, sembrava proprio fatto di fumo, come se ci si potesse passare attraverso. Il finestrino del lato passeggero si abbassò e una vecchietta mise fuori la testa. Aveva una massa incolta di capelli brizzolati davanti agli occhi e parlava con un borbottio strano. «Un passaggio? Un passaggio?».
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