26. Porcellino (P)
[14.07.2020 ~ capitolo revisionato ✔]
C.C. mi prese per il braccio e mi guidò verso la parete di specchi. «Vedi, Percy... per liberare il tuo potenziale ti servirà un aiuto serio. Il primo passo è ammettere che non sei felice così come sei»
Rimasi imbarazzato davanti allo specchio. Odiavo pensare al mio aspetto... come al primo brufolo che mi era comparso sul naso all'inizio dell'anno scolastico, o al fatto che i miei denti davanti non erano perfettamente allineati, o al modo in cui i miei capelli non cadevano mai giù diritti. La voce di C.C. evocò tutte queste cose, come se mi passasse al microscopio. E i miei vestiti non erano alla moda. Lo sapevo. "Chi se ne importa?" pensava una parte di me. Ma davanti allo specchio di C.C. era difficile trovare qualcosa di buono nel mio aspetto.
«Su, su» mi consolò lei «e se provassimo... questo?». Schioccò le dita e una tenda celeste calò sopra lo specchio. Scintillava come il tessuto del suo telaio. «Che cosa vedi?» chiese C.C.
Guardai la stoffa celeste, non capendo bene cosa volesse dire. «Io non...». Poi la stoffa cambiò colore. Vidi me stesso, un riflesso, ma non proprio un riflesso. Lì sulla stoffa luccicava una versione più forte di Percy Jackson, con i vestiti giusti e un sorriso sicuro stampato in faccia. Avevo i denti dritti e neanche l'ombra di un brufolo. Un'abbronzatura perfetta. Ero più atletico. Forse pure un paio di centimetri più alto.
Ero io, ma senza difetti. «Cavolo» riuscii a dire.
«Ti va bene cosí?» chiese C.C. «O devo provare una versione dive-»
«No» la interruppi «così è... è stupefacente. Può davvero-»
«Posso garantirti un rifacimento totale»
«Dov'è la fregatura?» chiesi sospettosa «Devo, che so... seguire una dieta speciale?»
«Oh, è molto facile» rispose lei «tanta frutta fresca, un po' di esercizio fisico, e naturalmente... questo». Si avvicinò al bar e riempì un bicchiere d'acqua. Poi strappò una bustina e ci versò dentro una polvere rossa. Il miscuglio cominciò a scintillare. Quando il luccichio si spense, la bevanda sembrava solo un frullato alla fragola. «Uno di questi sostituisce un pasto regolare. Ti garantisco che i risultati sono immediati»
«Com'è possibile?»
Lei rise. «Perché questi dubbi? Non vuoi essere subito perfetto?»
Qualcosa si agitò in un angolino del mio cervello. «Perché non ci sono uomini nel centro?»
«Oh, ma ci sono» mi assicurò C.C. «li incontrerai presto. Magari prima di una delle tue amiche». Mi strizzò l'occhio. «Magari di Annabeth?»
Pensai ad Annabeth. In effetti, l'idea che potesse incontrare un ragazzo più bello di me mi dava leggermente fastidio. Ma poi pensai ad Alex, e non è che mi dette fastidio... mi fece proprio infuriare.
«O Alexandra, perchè no» fece C.C. «quella ragazza è straordinaria, non è vero?»
«Sì, lo è» ammisi imbarazzato. Strinsi le labbra. «Insomma... lo sono entrambe» mi corressi incerto.
Mi sembrò di vedere C.C. fare una smorfia disgustata. Pensai di essermelo immaginato, perchè guardandola meglio aveva un sorriso incantevole sul volto. «Prova il nostro integratore. Vedrai». Guardai il riflesso nell'arazzo celeste, quella versione di me che non ero io. «Su, Percy» mi rimproverò «la parte più difficile del processo di rifacimento è lasciarsi andare. Io so che cosa piace alle tue amiche. Devi decidere: vuoi fidarti del tuo giudizio per capire chi devi essere, o del mio?»
Avevo la gola secca. Mi sentii rispondere: «Del suo».
C.C. sorrise e mi passò il bicchiere. Me lo portai alle labbra. Sapeva esattamente di quello che sembrava: frullato alla fragola.
Una sensazione di calore si diffuse dentro il mio stomaco quasi all'istante: all'inizio piacevole, ma poi dolorosamente calda, cocente, come se l'integratore si fosse messo a bollire nel mio corpo. Mi piegai in due e lasciai cadere il bicchiere. «Che cosa mi ha... che succede?»
«Non ti preoccupare, Percy» mi rassicurò C.C. «il dolore passerà. Guarda! Come promesso. Risultati immediati»
Qualcosa stava andando proprio storto. La tenda cadde e nello specchio vidi le mie mani che si accartocciavano e si incurvavano, sviluppando lunghi e delicati artigli. Mi spuntò del pelo sulla faccia, sotto la maglietta... insomma, in ogni posto scomodo che riuscite ad immaginare. Mi sentii i denti troppo pesanti nella bocca. I miei vestiti stavano diventando enormi, o forse C.C. stava diventando troppo alta...
No, ero io che mi restringevo. In un unico, orribile lampo, affondai in una caverna di stoffa buia. Ero sepolto nella mia maglietta.
Provai a scappare, ma delle mani mi afferrarono: mani grandi quanto me. Provai a gridare aiuto, ma tutto quello che mi uscì di bocca fu: ''Squiiit, squiiit, squiiit''.
Le mani giganti mi stritolarono nel mezzo, sollevandomi in aria. Mi divincolai e tirai colpi con le gambe e con le braccia, che a dire il vero sembravano un po' troppo tozze, e poi mi ritrovai a fissare, inorridito, la faccia gigantesca di C.C. «Perfetto!» tuonò la sua voce. Mi agitai allarmato, ma lei si limitò a stringere la presa sulla mia pancia pelosa. «Vedi, Percy? Hai liberato la tua vera essenza!»
Mi portò davanti allo specchio, e quello che vidi mi fece gridare dal terrore: ''Squiiit, squiiit, squiiiiiit!''
C'era C.C., bellissima e sorridente, che stringeva in mano una soffice creaturina dai denti sporgenti, con gli artigli minuscoli e la pelliccia bianca e arancione. Quando mi divincolai, anche la bestiola nello specchio si divincolò. Ero... ero... «Un porcellino d'India» specificò C.C. «adorabile, vero? Gli uomini sono dei maiali, Percy. Insomma, guardati... in che razza di triangolo perverso hai cacciato quelle due povere ragazze? Comunque, una volta li trasformavo in maiali veri e propri, ma puzzavano così tanto... e poi erano ingombranti e difficili da tenere. Non troppo diversi da prima, in fondo. I porcellini d'India sono molto più comodi! Ora vieni a incontrare gli altri»
«Squiiit!» protestai, cercando di graffiarla, ma C.C. mi strinse così forte che per poco non svenni. «Non ci provare, piccolino» mi avvisò «o ti do in pasto ai gufi. Vai nella gabbia e fai il bravo animaletto. Domani, se ti comporti bene, te ne andrai per la tua strada. C'è sempre una scolaresca che ha bisogno di un nuovo porcellino d'India»
La mia mente galoppava rapida come il mio minuscolo cuore. Dovevo tornare ai miei vestiti, che giacevano ammucchiati sul pavimento. Così avrei potuto estrarre Vortice dalla tasca e... e cosa? Non potevo togliere il cappuccio alla penna. E ammesso che ci riuscissi, non potevo reggere la spada.
Mi contorsi inerme mentre C.C. mi portava alla gabbia dei porcellini e apriva la porticina di fil di ferro. «Ti presento i miei animaletti più indisciplinati, Percy. Non diventeranno mai dei bravi porcellini scolastici, ma potrebbero insegnarti un po' di buone maniere. La maggior parte di loro è in questa gabbia da trecento anni. Se non vuoi restare con loro per sempre, ti suggerirei-»
La voce di Alex chiamò: «Signorina C.C.?»
C.C. imprecò in greco antico. Mi mollò nella gabbia e chiuse la porticina. Io squittii e agitai le zampette sulle sbarre, ma era inutile. Osservai C.C. che con un calcio mandava i miei vestiti sotto il telaio proprio mentre arrivava Alex.
Non riuscii quasi a riconoscerla. Indossava una veste di seta senza maniche come quella di C.C., con la differenza che la sua era bianca. I suoi capelli corvini erano stati appena lavati e intrecciati con fili d'argento, che si sposavano benissimo con le pagliuzze grigie dei suoi occhi blu. Era pure truccata, una cosa che non avrei mai pensato che potesse fare. Cioè... era bellissima anche al naturale, ma così stava benissimo. Davvero. Probabilmente mi avrebbe tolto il fiato anche se avessi potuto dire qualcosa di diverso da "squiiit, squiiit, squiiit". Ma c'era qualcosa che non tornava assolutamente. Quella non era la vera Alex. «Non trovo più Annabeth» disse, guardandosi in giro «e... scusi, dov'è Percy?»
Squittii come un matto sperando che riuscisse a capirmi, ma lei sembrava non sentirmi. C.C. sorrise. «Sta facendo uno dei miei trattamenti, mia cara. Non ti preoccupare. Sei splendida! Come ti è sembrato il tour?»
«Bello» fece lei disinteressata, guardandosi in giro «ma-»
Si zittì all'improvviso. Illa rientrò nella sala, trasportando una grossa gabbia. Al suo interno c'era un gufo con delle candide piume beige e bianche. Gli enormi occhi arancioni dell'animale erano fissi su Alex, che lo fissò di rimando finchè Illa non appese la gabbia proprio sopra a quella dove ero intrappolato. Poi riportò repentinamente l'attenzione su C.C. Le rivolse un sorriso ampio che però non le raggiunse gli occhi. «Mi è piaciuta moltissimo la biblioteca» riprese con un tono un po' più entusiasta di prima «volevo giusto farla vedere anche ad Annabeth. Ci hanno separate prima che la vedesse. L'adorerebbe di sicuro. Vuole fare l'architetto da grande»
«E tu, Alexandra?» le chiese C.C. «Che cosa vuoi fare, da grande?»
Alex si strinse nelle spalle. «Non ci ho mai pensato, devo ammetterlo» disse, portando le mani dietro la schiena. Vidi che rigirava nervosamente Freccia intorno al dito medio. Non era un tic nervoso, quello, perchè non glielo avevo mai visto fare. Doveva aver intuito qualcosa. Sperai di non sbagliarmi.
«Sai» disse C.C. «non appena ti ho visto ho capito che hai la stoffa della maga, mia cara»
«Della maga?» ripetè Alex.
«Certo». C.C. sollevò una mano, e nel palmo comparve una fiammella che danzò sulle sue dita. «Mia madre è Ecate, la dea della magia. Forse Annabeth sarebbe stata più predisposta di te, essendo figlia di Atena... ma tu hai qualcosa che a lei manca»
«E che cosa sarebbe?» chiese. Notai la sua calma, come se sapesse già che cosa diamine stava succedendo. E conoscendo Alex, probabilmente era così.
Sopra la mia gabbia, il gufo soffiava piano. C.C. le sorrise. «L'appeal naturale, dolcezza» rispose. Allungò una mano e accarezzò la guancia ad Alex. Volevo urlarle di non toccarla, ma mi uscivano solo squittii. «Sei portata per il comando. Come tutti i figli di Zeus, sei destinata alla grandezza»
«Come fa a sapere che Zeus è mio padre?»
«Oh, ma si intuisce» spiegò lei con una piccola risata «hai un'aura molto potente, Alexandra. Ti avvolge come una coperta. Proprio come me, non hai bisogno di stare nell'ombra di nessun uomo, mia cara. Tantomeno in quella di Percy Jackson»
Squittii più che potei, cercando di attirare l'attenzione di Alex, ma lei non mi sentiva oppure non pensava che quei rumori fossero importanti. Nel frattempo gli altri porcellini stavano sbucando dalle tane per venirmi a studiare. Non pensavo che i porcellini d'India potessero avere un'aria minacciosa, ma quelli ce l'avevano. Erano una mezza dozzina, con la pelliccia sporca, i denti spezzati e gli occhi rossi e luccicanti. Erano coperti di trucioli e puzzavano come se stessero davvero lì da trecento anni, senza che la gabbia venisse mai pulita. «Percy è mio amico» stava dicendo Alex.
«Oh, ed è solo quello?» chiese maliziosa C.C. «Non credere che non mi sia accorta di come si bea dell'affetto tuo e di Annabeth. Percy sa che provate entrambe qualcosa per lui»
Lo sapevo?
«Mi dispiace dirtelo, dolcezza, ma Annabeth ti batte su tutti i fronti. Sei più bella, sì, ma poi?» C.C. prese a girare intorno ad Alex come uno squalo con la sua preda. Alex era impallidita e teneva lo sguardo fisso in avanti. Il gufo emetteva versi sempre più forti. Squittii come un indemoniato per cercare di attirare la sua attenzione, per dirle di non ascoltarla, per dirle... «E' più intelligente di te. Più furba, più carismatica» continuò C.C. «più infida, e tu lo sai, non è vero? Ho notato una certa tensione, non sono mica cieca. Lui l'ha già scelta, la preferisce a te. Ma questo può cambiare»
Alex deglutì. Sembrava sull'orlo delle lacrime. Ormai squittivo come se ne andasse della mia vita. Non doveva ascoltarla. Non era vero niente di quello che diceva. Non avevo scelto nessuno, cavolo, non sapevo nemmeno di dover fare una scelta. «Come?» chiese con voce bassa e tremante.
«Resta con me» le disse «studia con me. Puoi unirti al nostro staff, diventare una maga, imparare a piegare gli altri al tuo volere, ad iniziare da Percy. Diventerai immortale!»
«Ma-»
«Sei troppo intelligente, mia cara, anche se non come Annabeth» continuò C.C. «e lei capirebbe che questa è un'opportunità unica. Puoi fare di meglio che contare su quello stupido campo per eroi. Quante grandi donne mezzosangue riesci a nominare?»
«Atalanta, Amelia Earhart...»
«Bah! Gli uomini si prendono tutta la gloria» C.C. serrò il pugno «l'unico accesso al potere per le donne è la stregoneria. Medea, Calipso... loro sì, che erano donne potenti! E poi ci sono io, naturalmente. La più grande di tutte»
«Circe» disse piano Alex.
«Proprio così»
«Che cos'ha fatto a Percy e Annabeth?»
«Li ho soltanto aiutati a realizzare la loro vera forma»
Che cosa aveva fatto ad Annabeth, quella dannata megera?
Un suono metallico provenne dalla gabbia in alto. Il gufo doveva aver beccato le sbarre. Alex si girò a guardarla, poi il suo sguardo si spostò finalmente in basso. Vide la gabbia, vide me che agitavo le zampette sulle sbarre e gli altri porcellini d'India che mi si affollavano intorno. «Dimenticali» le disse Circe «è meglio così. Puoi avere uomini migliori di Percy Jackson. Unisciti a me e apprendi le arti della stregoneria. Qualcuno si prenderà cura di lui e della tua amica. Lei verrà liberata in natura, e lui verrà spedito in una magnifica nuova casa sul continente. I bambini della scuola materna lo adoreranno. Nel frattempo, tu sarai potente. Avrai tutto ciò che hai sempre desiderato»
Alex mi stava ancora fissando. Squittii e agitai le zampette, cercando di metterla in guardia, di spezzare l'incantesimo, ma ero totalmente inerme. «D'accordo» disse alla fine, e il mio povero cuoricino minuscolo parve esplodere. Girò la testa e guardò Circe. «Ma vorrei un minuto da sola. Per pensarci meglio, sa. E vorrei comunque salutare i miei amici»
«Ma certo, mia cara» tubò Circe «un minuto. Oh... e così avrai la riservatezza più assoluta...». Fece un gesto con la mano e delle sbarre di ferro piombarono davanti alle finestre. Poi uscì con passo leggero dalla stanza, chiudendo la porta a chiave.
Alex corse verso il telaio. Mi accorsi che l'orlo dei miei jeans sporgeva da lì sotto. Che cosa stava facendo? Non aveva bisogno di Vortice, aveva le Gemelle, e Freccia! Provai a richiamarla squittendo, e il gufo nella gabbia sopra di me bubolò più forte. «Ci sto provando!» sibilò Alex a non so bene chi «Ma dove... ah, eccole». Nelle mani stringeva la bottiglietta multi vitamine di Ermes. Svitò il tappo e corse verso le gabbie. Gettò qualcosa in quella del gufo e poi si inginocchiò davanti alla mia. «Quale sei?» chiese disperata. Squittii, ma così fecero anche tutti gli altri porcellini. «Di immortales... va bene... mi toccherà-»
Ma non fece in tempo a finire la frase, perchè la porta si spalancò e Circe tornò dentro, fiancheggiata da due delle sue assistenti in tailleur. Alex si alzò, dando la schiena alle gabbie. Nascose le vitamine dietro la schiena. «Bene» sospirò Circe «come passa in fretta un minuto. Qual è la tua risposta, mia cara?»
«Questa» disse. Freccia comparve nella sua mano destra.
La maga fece un passo indietro, ma la sorpresa svanì in fretta. Fece un verso di scherno. «Davvero, ragazzina, un coltello contro la mia magia? Ti sembra saggio?»
Circe si voltò a guardare le sue assistenti, che sorrisero e sollevarono le mani, come per prepararsi a lanciare un incantesimo. "Scappa!" avrei voluto urlare ad Alex, ma riuscivo soltanto a emettere versi da roditore. Gli altri porcellini d'India squittivano terrorizzati e zampettavano per la gabbia. Ebbi anch'io l'istinto di scappare a nascondermi, ma dovevo pensare a qualcosa! Non sopportavo di perdere Alex come avevo perso Tyson. «Quale sarà il nuovo look di Alexandra?» rifletté Circe «Qualcosa di piccolo e di scorbutico. Ci sono... un topo ragno!»
Delle fiamme azzurre rotearono fuori dalle sue dita e si avvilupparono come serpenti attorno ad Alex. Rimasi a guardare, paralizzato dal terrore, ma non accadde nulla.
Alex era ancora Alex, solo che l'espressione sul suo viso era molto più feroce. Fece un balzo in avanti e afferrò Circe per i capelli, costringendola a girarsi di spalle. Le puntò il coltello alla gola. «Oh, io credo proprio che rimarrò così» ringhiò all'orecchio della maga.
«Impossibile!» strillò Circe.
Alex mostrò alla maga la mia bottiglietta di vitamine. Circe emise un lungo gemito di frustrazione. «Maledetto Ermes e le sue vitamine! Sono un enorme bluff! Non fanno affatto bene!»
«Se pensi che siano per me ti sbagli di grosso, Circe!» tuonò Alex imperiosa «Sono figlia di Zeus, il padre di tutti gli dei! La tua magia da quattro soldi non ha effetto su di me, con o senza vitamine! Cosa credi, che non mi sia accorta che la tua leccapiedi ha cercato di trasformarmi in un cavallo, quando mi ha portata via? Sarebbe già sufficiente per fulminarvi tutte, e se non ritrasformi Percy e Annabeth esattamente com'erano, ti assicuro che avverrà molto, molto prima di quanto pensi!»
Non potevo negare che quel piccolo discorso, abbinato alla fredda determinazione di Alex, spaventò persino me. Non l'avevo mai vista così. Mi ricordava molto Zeus. «Non posso!» strillò Circe.
«Mi costringi a pensarci da sola, allora» sibilò lei, premendole un po' di più il coltello alla gola. Le assistenti di Circe fecero qualche passo avanti, ma la loro padrona ordinò: «Indietro!»
Alex trascinò Circe fino alla gabbia dei porcellini d'India. «Ora!» esclamò, e versò il resto delle vitamine all'interno.
«No!» gridò Circe.
Io fui il primo a prenderne una, ma anche tutti gli altri porcellini corsero ad assaggiare quel cibo nuovo. Un morso e mi sentii infuocare dentro. Rosicchiai la vitamina finché non smise di sembrarmi enorme. La gabbia cominciò a rimpicciolire, e all'improvviso, bang!, esplose.
Ero seduto sul pavimento, di nuovo in forma umana –e in qualche modo dentro i miei vestiti, grazie agli dei– insieme ad altri sei tizi che sbattevano le palpebre disorientati e si scrollavano trucioli dai capelli. Fra di loro c'era anche Annabeth. Alzai lo sguardo e notai che la gabbia del gufo non c'era più, così capii che l'animale era lei. «No!» gridò di nuovo Circe «Tu non capisci! Questi sono i peggiori!»
Uno degli uomini si alzò: un tizio grande e grosso con una lunga barba nera sbrindellata e i denti dello stesso colore. Indossava dei vestiti scombinati di lana e pelle, degli stivali alti fino al ginocchio e un cappello di feltro floscio. Gli altri uomini erano vestiti in modo più semplice, con dei calzoni corti e delle sudice camicie bianche. Erano tutti a piedi nudi. «Argggh!» ululò l'omaccione «Cosa mi ha fatto la strega!»
«No!» gemette Circe.
«Io ti conosco! Edward Teach, figlio di Ares?» esclamò Annabeth.
«Per tutti i mari, sì, ragazzina» ringhiò l'omaccione «ma tutti mi chiamano Barbanera! Ed ecco le streghe che ci hanno catturati, uomini. Date loro una lezione e poi vedete di trovarmi una scodella di sedano! Arggggh!»
Alex spinse via Circe, disgustata. Quella strillò e fuggì con le sue assistenti dalla stanza, inseguita dai pirati. La figlia di Zeus fece ritrasformare Freccia in un anello, evitando come la peste il mio sguardo e quello di Annabeth. «Diamoci una mossa» disse brusca «dobbiamo scappare finché Circe è distratta»
«Aspetta» le disse Annabeth «Alex-»
«Qualunque cosa sia puoi dirmela dopo» la interruppe «non abbiamo tempo!»
Corremmo giù per la collina, superando terrazze, inservienti urlanti e pirati che saccheggiavano il centro benessere. Gli uomini di Barbanera spezzarono le torce di bambù per il party hawaiano, gettarono i bendaggi alle erbe in piscina e rovesciarono a calci i tavoli dei teli da sauna. «Quale nave prendiamo?» chiese Annabeth mentre raggiungevamo il porto.
Mi guardai attorno disperato. Non potevamo di certo prendere la nostra scialuppa. Dovevamo allontanarci in fretta dall'isola, ma che altro potevamo usare? Un sottomarino? Un caccia? Non sapevo pilotare niente del genere. E poi la vidi. «Quella» dissi.
Annabeth sbatté le palpebre. «Ma-»
«Posso farla funzionare»
«Come?»
«E ha importanza?!» sbottò Alex «Se dice che può vuol dire che può! Andiamo!»
Corremmo verso la trealberi. Dipinto sulla prua c'era il nome che avrei decifrato solo più tardi: Vendetta della Regina Anna.
«Argggh!» ringhiò Barbanera da qualche parte alle nostre spalle «Quei marrani stanno abbordando il mio vascello! Prendeteli, uomini!»
«Non faremo mai in tempo!» gridò Annabeth mentre salivamo a bordo.
Scrutai disperatamente quel labirinto di vele e cime. La nave era in ottimo stato per essere un veliero di trecento anni, ma ci sarebbero voluti lo stesso un equipaggio e parecchie ore di tempo per rimetterla in mare. E noi non avevamo di certo parecchie ore. Vedevo i pirati che scendevano di corsa le scale, agitando torce di bambù e gambi di sedano.
«Percy, o fai qualcosa o li fulmino tutti quanti!» gridò Alex «E sono troppo arrabbiata per assicurarmi che non li uccida!»
Chiusi gli occhi e mi concentrai sulle onde che lambivano lo scafo, sulle correnti dell'oceano e sui venti che mi circondavano. All'improvviso, le parole giuste comparvero nella mia mente. «Albero di mezzana!» gridai. Un secondo dopo, l'aria si riempì dei fischi delle cime tirate, delle tele che si spiegavano e dei paranchi di legno che cigolavano. Annabeth si abbassò quando una cima le volò sopra la testa, avvolgendosi sul bompresso. «Percy, come-»
«Figlio del Mare» disse Alex.
Non sapevo cosa dire, ma sentivo che la nave rispondeva ai miei comandi, come se facesse parte del mio corpo. Quando ordinai alle vele di issarsi, fu facile come piegare un braccio. Poi dissi al timone di ruotare. La Vendetta della Regina Anna si allontanò a poco a poco dal molo, e quando i pirati raggiunsero la riva, eravamo già salpati nel Mare dei Mostri.
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