17. Fuggire

[12.07.2020 ~ capitolo revisionato ✔]

Che stupida che ero stata, a pensare che la fortuna per una volta fosse dalla mia parte.

Ovvio che non poteva essere così. Di tutte le navi su cui potevamo imbarcarci, proprio quella su cui si trovava Luke doveva capitarci?

Col senno di poi, però, Ermes potrebbe averci mandato apposta lì sopra. Bei fratellastri che mi ritrovavo. Tra lui e Ares che cercava di ucciderci...

La reazione che avevo avuto sentendo la voce di Luke non era proprio quella che mi sarei aspettata di avere. Non c'era quell'istinto omicida che mi assaliva quando pensavo a lui: c'era solo dolore, e probabilmente la colpa era dell'ultimo sogno che avevo avuto. Avevo avuto voglia di piangere e di allontanarmi il più possibile da lui, ma sapevo che dovevamo restare e cercare di scoprire che diavoleria aveva escogitato.

Annabeth si offrì di andare da sola dal momento che aveva il berretto dell'invisibilità, ma Percy la convinse che era troppo pericoloso. O ci andavamo tutti insieme, o non ci andava nessuno. «Nessuno!» votò Tyson «Per favore!»

Ma alla fine venne anche lui, mangiucchiandosi nervosamente le grosse unghie. Ci fermammo in cabina solo il tempo di prendere i nostri zaini. Qualunque cosa fosse successa, non contavamo di trascorrere un'altra notte a bordo della nave da crociera zombie. Tyson insistette per portarle.

Sgattaiolammo lungo i corridoi, seguendo i cartelli con su scritto "VOI SIETE QUI", fino alla suite ammiraglia. Annabeth andava in avanscoperta, invisibile. Ogni volta che passava qualcuno ci nascondevamo, ma incontrammo per lo più solo passeggeri zombie con gli occhi vitrei. 

Quando arrivammo alle scale del ponte tredici, dove doveva trovarsi la suite ammiraglia, Annabeth sibilò: «Nascondetevi!» e ci spinse dentro un armadio delle scope che, data la mole di Tyson, era decisamente troppo piccolo. Mi ritrovai schiacciata tra lui e Percy. Non avevo idea di dove fosse Annabeth, ma dato il modo in cui si muoveva Percy doveva essersi infilata tra lui e il muro.

Sentii passare un paio di tizi. «Hai visto il drago etiope nella stiva?» disse uno di loro.

L'altro rise. «Sì, è fantastico». Avevo già sentito quella voce. «Ho sentito dire che tra poco ne avremo altri due. Se continuano ad arrivare con questo ritmo, oh, cavolo... non ci sarà gara!»

Le voci si allontanarono in fondo al corridoio e a me venne in mente di chi fosse la voce familiare. «Chris Rodriguez!» esclamai.

Annabeth si tolse il berretto e tornò visibile. «Sì, te lo ricordi? Casa Undici»

Chris era uno dei ragazzi indeterminati del campo, quelli che restavano bloccati nella casa di Ermes perché il divino padre o la divina madre non li aveva mai riconosciuti. «Che ci fa un altro mezzosangue a bordo?» domandò Percy.

«Non è un buon segno» borbottai. Se Luke riusciva a far passare i mezzosangue del Campo dalla sua parte voleva dire che forse aveva un modo per contattarli dall'interno tramite una spia. L'idea era terribile, e mi turbava in particolar modo.

Continuammo a scendere lungo il corridoio. Non avevo più bisogno di mappe per sapere che ci stavamo avvicinando a Luke. Percepivo qualcosa di freddo e sgradevole: la presenza del male.

Annabeth si fermò all'improvviso. «Guardate»

Era davanti a una parete di vetro affacciata sulla voragine che si apriva al centro della nave, scoprendone i vari livelli. In fondo c'era la Promenade –un centro commerciale pieno di negozi– ma non era stato questo ad attirare l'attenzione di Annabeth. Un gruppo di mostri si era riunito davanti al negozio di dolciumi: una dozzina di Lestrigoni come quelli che avevano attaccato me e Percy alla Meriwether, due segugi infernali e qualche femmina umanoide con code di serpenti gemelli al posto delle gambe. «Dracene della Scizia» bisbigliai.

I mostri formavano un semicerchio attorno a un tipo giovane in armatura greca che stava bersagliando di colpi un manichino di paglia, che indossava una maglietta arancione del Campo Mezzosangue. Sotto i nostri occhi il tizio in armatura infilzò il manichino nella pancia ed estrasse la spada con una mossa verso l'alto. La paglia volò dappertutto, e il mio stomaco si rivoltò un paio di volte.

I mostri esultarono e ulularono. Annabeth si allontanò dalla finestra. Era sbiancata. «Muoviamoci» ci esortò Percy determinato «prima troviamo Luke, meglio è»

In fondo al corridoio c'era una grande porta di quercia a due battenti; sembrava proprio l'ingresso di un posto importante. Quando arrivammo a una decina di metri di distanza, Tyson si fermò. «Ci sono delle voci dentro»

«Riesci a sentirle da così lontano?» chiesi.

Tyson chiuse l'occhio, come per concentrarsi al massimo. Poi la sua voce cambiò, diventando una roca approssimazione di quella di Luke. «... la profezia a nostro vantaggio. Quegli sciocchi non sapranno da che parte voltarsi»

Prima che potessimo reagire, la voce di Tyson cambiò di nuovo, diventando più profonda e roca, come quella dell'altro tizio che avevamo sentito parlare con Luke fuori dal bar. «Pensi davvero che il vecchio ronzino se ne sia andato per sempre?»

Tyson rise, imitando Luke. «Non possono fidarsi di lui con gli scheletri che ha nell'armadio. L'avvelenamento dell'albero è stata l'ultima goccia»

«Lo sapevo che era stato lui» ringhiai in un sussurro. Finalmente la rabbia che mi aspettavo di provare incontrandolo mi montò dentro, infiammandomi tutti gli organi.

Annabeth rabbrividì. «Smettila, Tyson! Ma come ci riesci? Mi fai venire i brividi»

Tyson aprì l'occhio e sembrò confuso. «Tyson ascoltava e basta»

«Continua» lo incoraggiò Percy «che altro stanno dicendo?»

Chiuse di nuovo l'occhio. Poi sibilò nella voce roca del tizio: «Silenzio!»

E la voce di Luke che bisbigliava: «Sei sicuro?»

«» rispose Tyson nella voce roca «proprio qui fuori»

Mi resi conto troppo tardi di quello che stava succedendo. Percy esclamò: «Via!», ma la porta della cabina di lusso si spalancò e Luke comparve sulla soglia, fiancheggiato da due giganti irsuti che ci puntarono i giavellotti al petto. «Be', guarda un po' chi si rivede» esclamò con un sorriso maligno «i miei due cugini preferiti. E Alex... l'avevo detto che saresti venuta da me, alla fine. Entrate pure».

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