10. Piccioni demoniaci (P)

[21.06.2020 ~ capitolo revisionato ✔]

Nel mio sogno Grover indossava un abito da sposa. 

Non gli stava molto bene. La gonna era troppo lunga e l'orlo era sporco di fango secco. La scollatura continuava a scivolargli sulle spalle. Un velo strappato gli copriva il viso. Si trovava in una caverna umida, illuminata solo da torce; c'era una brandina in un angolo e un vecchio telaio in un altro, con un pezzo di stoffa lavorato a metà. Mi fissava come se fossi un programma tv che aspettava da un sacco di tempo. «Grazie agli dei!» esclamò sollevato «Mi senti?»

Il me stesso del sogno fu lento a rispondere. Mi stavo ancora guardando attorno, registrando nella mente il soffitto di stalattiti, il tanfo di pecore e capre, i brontolii, i borbottii e i belati che sembravano provenire da dietro un grosso masso che bloccava l'unica uscita della stanza. «Percy?» chiamò Grover «Ti prego, non ho la forza di proiettare meglio di così e non riesco a raggiungere Alex, qualcosa mi blocca. Devi sentirmi!»

«Ti sento» confermai «Grover, che succede?»

Da dietro il masso una voce mostruosa gridò: «Tesoruccio! Non hai ancora finito?»

Grover trasalì. Rispose in falsetto: «Non proprio, caro! Ancora qualche giorno!»

«Bah! Ma non sono passate già due settimane?»

«N-no, caro. Solo cinque giorni. Ne mancano ancora dodici»

Il mostro rimase zitto, forse per fare i conti. Doveva cavarsela peggio di me in aritmetica, perché rispose: «Va bene, ma sbrigati! Voglio guardare SOOOTTTO il velo, eh eh eh»

Grover si voltò di nuovo verso di me. «Devi aiutarmi! Non c'è tempo! Sono bloccato in questa caverna, su un'isola nel mare»

«Dove?»

«Non lo so di preciso! Sono andato in Florida e ho girato a sinistra»

«Cosa? Ma come-»

«È una trappola!» continuò Grover, parlando in fretta «È il motivo per cui nessun satiro ha mai fatto ritorno dalla ricerca. È un pastore, Percy! E ce l'ha lui! La sua magia naturale è così potente che profuma tale e quale al grande dio Pan! I satiri arrivano qui pensando di trovarlo, e invece vengono intrappolati e divorati da Polifemo!»

«Poli-che?»

«Il ciclope!» specificò lui esasperato «Ero quasi riuscito a fuggire. Ero arrivato fino a St. Augustine»

«Ma lui ti ha seguito» dissi io, ricordando il mio primo sogno «e ti ha chiuso in trappola in una boutique della sposa»

«Esatto. Il mio primo collegamento empatico deve essersi attivato allora. Guarda, questo vestito da sposa è l'unica cosa che mi tiene in vita. Lui pensa che io abbia un buon odore, ma gli ho detto che è soltanto acqua di colonia all'aroma di capra. Grazie al cielo non ci vede molto bene. È ancora mezzo orbo dall'ultima volta che qualcuno l'ha accecato. Ma presto capirà che cosa sono. Mi sta dando solo due settimane per finire lo strascico da sposa ed è sempre più impaziente!»

«Aspetta un attimo. Questo ciclope ti ha scambiato per-»

«Sì!» gemette Grover «Mi ha scambiato per una ciclope e vuole sposarmi!»

In circostanze diverse sarei scoppiato a ridere, ma la voce del mio amico era troppo seria. Stava tremando dalla paura. «Verrò a salvarti» promisi «dove sei?»

«Nel Mare dei Mostri, naturalmente!»

«Il mare dei cosa?»

«Te l'ho detto! Non so di preciso dove! E senti, Percy... ehm, mi dispiace davvero tanto, ma questo collegamento empatico... be', non avevo scelta. Le nostre emozioni adesso sono legate. Se io muoio...»

«Non dirmelo... morirò anch'io»

«Oh, be', forse no. Potresti vivere per anni in stato vegetativo. Ma, ehm, sarebbe un sacco meglio se tu mi tirassi fuori di qui. Mi dispiace, ho provato a farlo con Alex, ma-»

«No» lo interruppi bruscamente. L'idea che Alex corresse quei rischi mi faceva rabbrividire. «Va bene così, è meglio che sia stato io»

«Tesoruccio!» mugghiò il mostro «È ora di cena! Gnam gnam, carne di pecora!»

Grover piagnucolò. «Devo andare. Sbrigati!»

«Aspetta! Hai detto che lui ha qualcosa. Che cos'è?»

Ma la voce di Grover si stava già affievolendo. «Sogni d'oro. Non lasciarmi morire!»


Il sogno svanì e io mi svegliai di soprassalto. 

Era primo mattino. Tyson mi fissava, il grosso occhio castano pieno di preoccupazione. «Stai bene?» chiese. La sua voce mi provocò un brivido lungo la schiena, perché era quasi identica a quella del mostro che avevo udito nel sogno.

All'esterno la nebbia aleggiava bassa sul terreno come il vapore di una sauna. Faceva un caldo tremendo. Milioni di uccelli si erano appollaiati sugli alberi: dei grassi piccioni grigi e bianchi che non tubavano come piccioni normali. Emettevano un verso stridulo e metallico che mi ricordava il radar di un sottomarino. La pista per la corsa era stata costruita in un prato fra il poligono di tiro con l'arco e il bosco. La casa di Efesto aveva usato i tori di bronzo, diventati docili come agnellini dopo che gli avevamo spaccato la testa, per scavare un circuito ovale in pochi minuti. C'erano file di gradoni di pietra per gli spettatori: Tantalo, i satiri, qualche ninfa, e tutti i ragazzi del Campo che non partecipavano alla corsa, compresa Alex, che fissava gli uccelli con aria sospettosa. Non dovevo essere l'unico che li trovava strambi.

Il signor D non si fece vedere. Non si alzava mai prima delle dieci. «Bene!» annunciò Tantalo, mentre le squadre cominciavano a radunarsi. Una naiade gli aveva portato un grosso vassoio di pasticcini e, mentre parlava, quello inseguiva con la mano destra un bombolone al cioccolato per tutto il tavolo della giuria. «Conoscete le regole. Un circuito di quattrocento metri. Due giri per vincere. Due cavalli per biga. Ogni squadra è composta da un auriga e da un guerriero. Le armi e i colpi bassi sono i benvenuti. Ma cercate di non uccidere nessuno!». Tantalo ci sorrise come se fossimo tutti dei bambini cattivi. «Gli eventuali omicidi saranno puniti severamente. Niente marshmallows per una settimana! Alle bighe!»

Beckendorf accompagnò la squadra di Efesto in pista. Avevano una biga fantastica di bronzo e ferro, cavalli inclusi, che erano degli automi magici come i tori della Colchide. Non dubitavo che l'avessero equipaggiata di ogni genere di diavoleria e che fosse più accessoriata di una Maserati di lusso. Beckendorf si girò e salutò Alex con la mano; lei ricambiò con un sorriso, il primo che le vedevo in volto da quando eravamo tornati al Campo. La cosa mi diede piuttosto fastidio, probabilmente perché ancora non mi rivolgeva la parola.

La biga di Ares era rosso sangue, tirata da due spaventosi cavalli-scheletro. Clarisse salì a bordo con una scorta di giavellotti, mazze ferrate, triboli e un sacco di altri giocattoli pericolosi. 

Quella di Apollo era elegante e graziosa e completamente d'oro, tirata da due splendidi palomini. Il loro guerriero era armato di arco, anche se aveva promesso di non tirare frecce normali contro gli aurighi avversari. 

La biga di Ermes era verde e aveva un'aria vissuta, come se fosse rimasta chiusa in garage per anni. Non sembrava niente di speciale, ma era guidata dai fratelli Stoll e rabbrividii al pensiero dei colpi bassi che avevano senz'altro escogitato.

Restavano due bighe: quella guidata da Annabeth e la nostra. Prima dell'inizio della corsa provai ad avvicinarla per raccontarle del sogno. Lei drizzò le orecchie nel sentirmi nominare Grover, ma quando le riferii quello che aveva detto, sembrò tornare di nuovo distante, sospettosa. «Stai cercando di distrarmi» decise.

«Cosa? No!»

«Oh, sicuro! Come se Grover potesse inciampare per puro caso proprio nell'unica cosa capace di salvare il Campo!»

«Che vuoi dire?»

Alzò gli occhi al cielo. «Tornatene alla tua biga, Percy» mi disse «e non andare a raccontare la stessa storiella di fantasia ad Alex, perchè è la volta buona che ti uccide»

«Non me lo sto inventando. È davvero nei guai, Annabeth. E poi perchè Alex dovrebbe uccidermi se glielo dico?»

Lei esitò. Stava cercando di decidere se poteva fidarsi di me. Nonostante qualche litigio di tanto in tanto ne avevamo passate parecchie insieme, e sapevo che non avrebbe mai voluto che a Grover capitasse qualcosa di male. «Percy, un collegamento empatico è difficile da attivare. Insomma, è più probabile che fosse davvero un sogno»

«L'Oracolo» proposi io «potremmo consultare l'Oracolo»

Annabeth si accigliò. Prima che potesse rispondere, però, la conchiglia suonò. «Aurigaaa!» gridò Tantalo «Alla linea di partenza!»

«Ne parleremo piú tardi» mi disse lei «dopo che avrò vinto»

Mentre tornavo alla mia biga notai quanti altri piccioni ci fossero adesso fra gli alberi. Schiamazzavano a più non posso, facendo stormire tutta la foresta. Nessun altro dei partecipanti sembrava farci molto caso, ma mi innervosivano. I becchi luccicavano in modo strano. Gli occhi sembravano più scintillanti di quelli degli uccelli normali. Istintivamente guardai Alex; anche lei poco prima li stava fissando -e continuava a farlo. La vidi mangiucchiarsi le unghie, come faceva quando era particolarmente nervosa. Mia mamma aveva provato a farla smettere applicandole uno smalto apposito dal sapore fortemente amaro, ma lei era finita per mangiarsi pure quello. 

Tyson stava avendo qualche problema a tenere sotto controllo i nostri cavalli. Dovetti parlargli a lungo per convincerli a calmarsi. "È un mostro, mio signore!" si lamentavano.

"È un figlio di Poseidone" replicai "proprio come... be', proprio come me"

"No!" insistevano loro "Mostro! Mangiatore di cavalli! Infido!"

"Vi darò delle zollette di zucchero alla fine della corsa" 

"Zollette di zucchero?"

"Zollette di zucchero enormi. E mele. Vi avevo parlato delle mele?"

Alla fine accettarono di farsi imbrigliare. Presi le redini e portai la biga sulla linea di partenza. Consegnai a Tyson un palo di tre metri e gli dissi che il suo compito era quello di scansare le altre bighe se si avvicinavano troppo e di deviare qualsiasi cosa cercassero di tirarci addosso. «I pony no, però. Tyson non fa male ai pony» sottolineò lui.

«No, e nemmeno alle persone se puoi evitarlo. Faremo una corsa pulita. Basta che allontani tutte le distrazioni e mi lasci concentrare sulla guida»

«Vinceremo!» esclamò raggiante. Si girò verso Alex e la salutò sventolando la manona e chiamandola a gran voce. Lei gli sorrise e lo salutò di rimando. Nessuno, in tribuna, osò prenderla in giro.

Insomma. Sorrideva a tutti meno che a me, constatai imbronciandomi.

Quando le bighe si allinearono il bosco si riempì di altri piccioni dagli occhi scintillanti. Schiamazzavano così forte che i ragazzi sugli spalti cominciavano a notarli, lanciando occhiate nervose agli alberi che tremavano sotto il peso degli uccelli. Notai Alex che avvicinava una delle figlie di Apollo, lanciando occhiate sospettose all'insolito stormo. Tantalo non sembrava preoccupato, ma dovette lo stesso alzare la voce per farsi sentire in mezzo a quel chiasso. «Aurighi!» gridò «Pronti!». Fece un gesto con la mano e il segnale di partenza scattò.

Le bighe si animarono con un boato. Gli zoccoli tuonarono sulla polvere. Il pubblico esultò. Quasi subito si udì un bruttissimo crac!, e mi voltai appena in tempo per vedere la biga di Apollo che si rovesciava. La biga di Ermes gli era andata a sbattere contro... forse per errore, forse no. La squadra di Apollo era finita a terra, ma i cavalli continuavano ad avanzare di traverso sulla pista, in preda al panico, tirando la biga. Travis e Connor Stoll ridevano per la fortuna avuta, ma non durò per molto: i cavalli di Apollo si scontrarono con i loro, e anche la biga di Ermes si rovesciò, lasciando un mucchio di assi spezzate e quattro cavalli imbizzarriti nella polvere.

Due bighe fuori combattimento nei primi sei metri. Adoravo quello sport. Tornai a concentrarmi sulla strada. Stavamo tenendo un buon tempo ed eravamo davanti ad Ares, ma la biga di Annabeth ci precedeva di parecchio. Stava già svoltando intorno al primo palo, e il suo compagno armato di giavellotto sghignazzò e ci salutò con la mano, gridando: «Ci vediamo!».

Anche la biga di Efesto guadagnava terreno. Beckendorf premette un pulsante e sul fianco della sua biga si aprì un pannello. «Mi dispiace, Percy!» gridò. Tre serie di palle incatenate puntarono dritte verso le nostre ruote. Ci avrebbero distrutto se Tyson non le avesse respinte con una rapida mossa del palo. Poi diede alla biga di Efesto una bella spinta e li fece sbandare di lato, e noi ci allontanammo. «Ottimo lavoro, Tyson!» urlai, cercando di non gongolare troppo.

«Uccelli!» gridò lui di rimando.

«Cosa?»

Sfrecciavamo così forte che era difficile sentire e vedere qualunque cosa, ma Tyson indicò verso il bosco e io vidi cosa lo preoccupava.

I piccioni si erano levati dagli alberi. Roteavano come un grosso tornado, diretti verso la pista. "Niente di che" mi dissi"sono solo piccioni". 

Cercai di concentrarmi sulla corsa. Facemmo la nostra prima svolta, le ruote cigolanti, la biga che minacciava di ribaltarsi... e ormai eravamo solo a tre metri di distanza da Annabeth. Se fossi riuscito ad avvicinarmi ancora un po', Tyson avrebbe potuto usare il palo...

Il guerriero di Annabeth adesso non sorrideva più. Tirò fuori un giavellotto dalla sua collezione e mirò verso di me. Stava per lanciare quando udimmo le grida.

I piccioni ci stavano assalendo: ce n'erano a migliaia e si tuffavano in picchiata sugli spettatori degli spalti, attaccando anche le bighe. 

Aggredirono Beckendorf in massa. Il suo compagno cercò di scacciarli, ma non riusciva a vedere nulla. La biga finì fuori dalla pista e si tuffò nei campi di fragole, con i cavalli meccanici che sbuffavano vapore. Sulla biga di Ares, Clarisse abbaiò un ordine al suo guerriero, che si affrettò a creare un riparo lanciando una rete mimetica sopra la cesta. Gli uccelli lo circondarono, beccandolo e graffiandolo sulle mani mentre cercava di tenere su la rete, ma Clarisse strinse i denti e continuò a guidare. I suoi cavalli-scheletro sembravano immuni alla distrazione. I piccioni li beccarono sulle orbite vuote e gli volarono in mezzo alle costole, ma invano: gli animali continuarono imperterriti a galoppare.

Gli spettatori non furono altrettanto fortunati. Gli uccelli si lanciavano su ogni porzione di pelle visibile, gettando tutti nel panico. Ebbi una fugace visione di Alex in piedi sulla parte alta degli spalti, che lanciava frecce luminescenti -probabilmente caricate di elettricità- con un arco pescato chissà dove, tenendo a distanza quelli che cercavano di beccarla.

Da vicino ormai era evidente che non si trattava di uccelli comuni. Avevano gli occhi piccoli e malvagi. I becchi erano di bronzo, e a giudicare dalle grida acute dei ragazzi del Campo dovevano essere affilatissimi. «Gli uccelli di Stinfalo!» gridò Annabeth. Rallentò e si affiancò alla mia biga. «Ci spolperanno tutti vivi se non li scacciamo in qualche modo!»

«Tyson, torniamo indietro!» ordinai.

«Andiamo dalla parte sbagliata?» chiese lui.

«Sempre» brontolai io, e diressi la biga verso gli spalti. 

Annabeth correva al mio fianco. Urlò: «Eroi, alle armi!». Ma dubitavo che qualcuno riuscisse a sentirla fra i versi striduli degli uccelli e il caos generale. Impugnai le redini con una mano sola e riuscii a estrarre Vortice, mentre un'ondata di volatili si tuffava verso la mia faccia, i becchi di metallo scattanti. Li trafissi a mezz'aria ed esplosero in nuvole di polvere e piume, ma ne rimanevano sempre milioni. Uno mi artigliò il fondoschiena e per poco non saltai fuori dalla biga.

Più ci avvicinavamo agli spalti, più i volatili si facevano numerosi. Alcuni spettatori cercavano di respingerli. I guerrieri di Atena chiamavano a gran voce gli scudi. Gli arcieri della casa di Apollo, incalzati dalle urla di Alex, portarono archi e frecce, pronti a falciare la minaccia alata, ma c'erano troppi ragazzi mescolati agli uccelli, ed era sempre più difficile usarli. «Sono troppi!» gridai ad Annabeth «Come facciamo a liberarcene?»

Lei infilzò un piccione con il coltello. «Ercole usò il rumore! Delle campane di bronzo! Li spaventò con il suono piú orribile che riuscí a...». Sgranò gli occhi. «Percy... la collezione di Chirone!»

Capii all'istante. «Pensi che funzionerà?»

Annabeth passò le redini al compagno e balzò nella mia biga come se fosse la cosa più facile del mondo. «Alla Casa Grande! È la nostra unica possibilità!»

Clarisse aveva appena attraversato il traguardo senza incontrare il minimo ostacolo e sembrò accorgersi per la prima volta di quanto fosse grave il problema degli uccelli. Quando vide che ci allontanavamo gridò: «State scappando? La battaglia è qui, vigliacchi!». Estrasse la spada e partì alla carica verso gli spalti.

Incitai i cavalli al galoppo. La biga attraversò tuonando i campi di fragole e il campetto di pallavolo, infine si fermò sobbalzando davanti alla Casa Grande. Io e Annabeth corremmo dentro, sfrecciammo per il corridoio e arrivammo alle stanze di Chirone. Il suo stereo era ancora sul comodino. E anche i suoi cd preferiti. Afferrai quello più rivoltante che riuscii a trovare; Annabeth agguantò poi lo stereo, e ci precipitammo fuori insieme.

Sulla pista le bighe erano in fiamme. Ragazzi feriti correvano in ogni direzione, con gli uccelli che gli strappavano i vestiti e gli tiravano i capelli mentre Tantalo inseguiva i pasticcini della colazione fra gli spalti, strillando di tanto in tanto: «È tutto sotto controllo! Non vi preoccupate!». Alex era scesa dagli spalti, e brandiva le sue Gemelle. Affettava e fulminava qualsiasi volatile che le capitasse a tiro, dando il tempo agli spettatori di scappare. Aveva la maglietta strappata in più punti e mi parve di vedere anche qualche traccia di rosso sulle sue braccia prima che Annabeth mi tirasse via. Dovevamo muoverci.

Corremmo sulla linea del traguardo. Annabeth mi porse lo stereo. Io pregai che le batterie non fossero scariche. Pigiai PLAY e feci partire il cd preferito di Chirone: Dean Martin: le più grandi hit di tutti i tempi.

A un tratto l'aria si riempì di violini e di un manipolo di tizi che si lamentavano. I piccioni demoniaci impazzirono. Cominciarono a volare in cerchio, scontrandosi gli uni con gli altri come per spaccarsi il cervello a vicenda. Poi abbandonarono la pista e si alzarono verso il cielo in una grossa onda nera. «Ora!» gridò Annabeth «Arcieri!»

Con i bersagli liberi gli arcieri di Apollo avevano una mira eccezionale. La maggior parte di loro era capace di lanciare cinque o sei frecce alla volta. Will Solace passò il suo arco dorato ad Alex: la guardai incoccare una freccia e prendere accuratamente la mira. Un attimo prima di lanciarla, quella brillò di un'intensa luce azzurra. Colpì in pieno uno degli uccelli, creando una fitta rete di fulmini che colpì quasi tutto lo stormo. Nel giro di pochi minuti il terreno fu cosparso di piccioni dal becco di bronzo stecchiti, per la maggioranza ridotti a delle poltiglie indefinite dalla potenza del fulmine, mentre i sopravvissuti si riducevano a una scia di fumo distante sull'orizzonte.

Il Campo era salvo, ma lo sfacelo non era un bello spettacolo.

La maggior parte delle bighe era completamente distrutta. Quasi tutti erano feriti e sanguinavano per le beccate ricevute. I ragazzi della casa di Afrodite strepitavano per le pettinature rovinate e i vestiti macchiati di cacca di piccione. «Stai bene?» chiesi preoccupato ad Alex. Ora che le stavo vicino potevo vedere i danni provocati dallo stormo di uccelli sul suo corpo. Braccia e gambe erano coperte di graffi ancora sanguinanti e di segni di beccate; la maglietta arancione del campo era strappata in più punti, ma miracolosamente le avevano risparmiato il volto. Lei fece una smorfia. «Starei meglio se un gruppo di dannati pennuti assassini non avesse appena cercato di strapparmi la pelle di dosso» replicò cupa.

«Complimenti!» esclamò Tantalo «Abbiamo la nostra prima vincitrice!». Raggiunse la linea del traguardo e consegnò la corona d'alloro della corsa a una sbigottita Clarisse. Poi si voltò e mi sorrise. «E ora, pensiamo a punire i guastafeste che hanno rovinato la corsa».

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