||1945|| (parte 1)

Intro: Henry Smith.

Henry Smith era un tenero bambino dagli occhi azzurri. Quando nacque, sua madre lo prese in braccio e vide subito che quel piccolo angioletto, avrebbe fatto grandi cose in futuro.
Era nato in una calda e piacevole giornata di inizio Agosto e forse era per quello che era uno dei ragazzi più dolci di Londra.
Alle elementari, tutti volevano essere suoi amici e lui cercava di aiutare chiunque avesse bisogno. Era abbastanza bravo in matematica ed eccelleva in tutti gli sport. Crescendo, le ragazze avevano iniziato ad amarlo e i ragazzi ad invidiare la sua fama tra le donne. Eppure nessuno riusciva realmente ad odiarlo, perché era praticamente perfetto agli occhi degli altri.
Molti avevano provato a scavare nel suo passato, per trovare qualche difetto, ma sembrava non esserci niente di sbagliato in quel ragazzo dallo sguardo innocente.

La sua vita scorreva serena, insieme ai suoi genitori. Sua madre aveva ricominciato a sorridere, perché suo padre era finalmente tornato a casa, dopo la prima grande guerra. Vivevano in una bella casa a due piani, con un bel giardino e la vita sembrava davvero un paradiso. La prima guerra mondiale aveva lasciato delle cicatrici indelebili nei cuori della gente, ma nonostante ciò tutti erano riusciti ad andare avanti.

Tutto era perfetto, forse fin troppo. Era una giornata di metà Settembre, Henry stava giocando con il suo cagnolino, in giardino.

"Phill, corri a prendere la palla!" esclamò il ragazzino, entusiasta.

Aveva solo undici anni, ma era un ragazzino davvero energico.
Il cane fece come gli era stato ordinato dal padrone e corse, sparendo dietro ad un cespuglio.
Quando il cucciolo tornò, iniziando a correre e a saltellare intorno ad Henry, però, l'attenzione del ragazzino era stata colta da altro: una macchina con la bandiera inglese dipinta su un lato, si era appena fermata davanti a casa sua.
Dalla vettura scesero due uomini in divisa, che iniziarono a camminare lungo il vialetto che conduceva all'abitazione, provocando la reazione di Phill, che iniziò ad abbaiare.

"Ehi ragazzo, sei il figlio di Benjamin Smith?" chiese uno degli sconosciuti.

Nonostante sua madre gli avesse sempre ripetuto di non parlare con gli sconosciuti, Henry rispose.

"Sì, sono io, perché?"

I due lo guardarono quasi con tristezza.

"È in casa?"

"Henry Smith, quante volte ti ho detto che non devi parlare con le persone che non conosci?" lo riprese sua madre, che era appena uscita dalla porta d'ingresso.

Phill corse verso la donna, facendole le feste e riprendendo ad abbagliare, stavolta per la felicità, però.

"Sta buono, Phill!" lo riprese la signora Smith, facendo calmare il cagnolino.

"Mamma, questi uomini cercano papà."

La donna guardò la macchina che era parcheggiata a pochi metri da loro, poi i due sconosciuti. La sua espressione mutò di colpo e si bloccò qualche istante a fissare il vuoto.

"Henry, vai a giocare con Phill in camera tua." riuscì a dire, con un filo di voce.

"Ma mamma..."

"Henry!" esclamò la donna, cambiando improvvisamente tono di voce.

Bastò quello a farlo zittire. Iniziò a camminare, strascicando i piedi a terra, fino ad arrivare in camera sua, seguito da Phill.
Andò verso la finestra e scostò un po' le tende, per vedere cosa stesse accadendo: suo padre era appena arrivato ed era sceso dalla sua macchina. Sua madre lo aveva abbracciato e uno dei due uomini aveva iniziato a parlare, mentre l'altro porse un foglio a suo padre, che lo prese ed abbassò lo sguardo.
I due uomini se ne andarono e sua madre scoppiò a piangere in modo disperato, mentre suo padre cercava di calmarla.
Henry sentì una morsa al cuore nel vedere quella scena e prese Phill in braccio, in cerca di conforto.
Era consapevole e inconsapevole, allo stesso tempo. Sapeva che quello era l'inizio di un qualcosa di brutto, ma non immaginava ancora cosa fosse.
Non sapeva della tempesta che lo aspettava. Non sapeva della nuova guerra che avrebbe dovuto affrontare.

~

Intro: Friedrich Meyer.

Friedrich Meyer era nato in una delle giornate più fredde dell'anno: il primo Gennaio.
Molti pensavano che fosse per quello che i suoi occhi fossero dei diamanti azzurri e che il suo carattere fosse così forte.
Friedrich non aveva mai avuto amici, non che non ne volesse. Il problema era suo padre e le sue rigide regole. Per il signor Meyer, gli amici erano persone false ed inutili, anzi per lui l'amicizia non esisteva affatto, proprio come l'amore.
Il signor Meyer aveva sposato Katharina proprio per quel sentimento, ma alla fine il matrimonio andò sgretolandosi anno per anno.
Quando ebbero due figli maschi, il signor Meyer ne fu felice perché voleva portare avanti il suo nome ed era fermamente convinto che una figlia femmina sarebbe stata solo uno spreco.
Friedrich era il più piccolo, mentre Timo il più grande. I due fratelli erano sempre cresciuti tra le rigide regole del padre, senza nemmeno godersi un pizzico della loro infanzia.
Seguirono un'istruzione privata e forse fu anche per quello che i due non ebbero mai amici con cui giocare.

Friedrich era sempre stato la seconda scelta, la pecora nera della famiglia, mentre Timo il preferito del padre. Friedrich non sopportava tutto ciò, odiava essere il secondo e si ripromise che un giorno gliel'avrebbe fatta pagare a suo fratello, ma soprattutto a suo padre che gli aveva negato di vivere la sua infanzia come tutti i bambini normali.

Quando il signor Meyer tornò dalla prima grande guerra, non era più lo stesso: ormai non aveva più nemmeno quel briciolo di umanità che gli era rimasto.
Iniziò a picchiare sua moglie e a bere fino al vomito. La guerra aveva lasciato rancore e rabbia dentro di lui, i quali stavano uscendo a poco a poco.
Con la scusa di voler far diventare Friedrich un vero uomo, lo costringeva a subire maltrattamenti disumani: corse fino a svenire, frustrate che lasciavano lividi scuri e dolorosi, torture come tenere in mano secchi pesanti pieni d'acqua, per ore. Friedrich odiava particolarmente quest'ultima tortura, perché bastava una piccola goccia d'acqua per terra per far si che suo padre si accanisse su di lui come un animale fa con la sua preda.

Così Friedrich compì tredic'anni e Timo quindici. Ormai i due fratelli non si parlavano più e la famiglia era divisa in due: da una parte Friedrich e Katharina, dall'altra Timo e il signor Meyer.
Fu l'inizio della seconda grande guerra che diede il colpo di grazia a quella famiglia ormai già a pezzi.
Il signor Meyer diventò un forte nazista e un importante generale, mentre Timo si arruolò nell'esercito a soli sedic'anni.

Così Katharina e Friedrich rimasero da soli in quella grande casa di un piccolo quartiere di Berlino.
Friedrich non aveva amici, ma continuava ad eccellere in tutte le materie scolastiche. Era solo, ma nonostante ciò continuava a cucinare per la madre, a consolarla quando piangeva senza un apparente motivo e a prendersi cura di lei. Non chiedeva mai niente in cambio, stava solo in silenzio e soffriva senza dire un parola.

Friedrich odiava quando Timo e suo padre tornavano a casa per le festività. Odiava quella falsità, quei sorrisi finti e quella finta atmosfera felice.
Quando Friedrich compì quindici anni ormai il suo cuore era più freddo dei lunghi inverni di Berlino. Non sorrideva mai, non parlava quasi mai, ma nonostante ciò continuava a prendersi cura di sua madre che si stava sgretolando lentamente sotto il peso della propria depressione.

Quell'Aprile suo padre e Timo tornarono per fare una pausa ed entrambi rimasero stupiti dal radicale cambiamento del ragazzo. Però a suo padre non bastava, lui voleva di più. Friedrich presto avrebbe dovuto arruolarsi nell'esercito, quindi doveva capire cosa significasse uccidere. Non poteva entrare in un qualcosa così grande come la guerra, senza aver avuto nemmeno una volta un contatto con la morte.
Così, in una giornata di metà Aprile, il signor Meyer chiamò suo figlio nella sala da pranzo in cui aveva passato l'intera mattinata a fumare. Friedrich non aveva idea di cosa lo aspettava e se ne stava semplicemente lì, davanti a suo padre, con un'espressione neutra.

"Figliolo mio, sei quasi un uomo ormai, lo sai questo, vero?"

Il ragazzo rimase perplesso a causa di quelle parole e dal fatto che suo padre lo avesse chiamato 'figliolo'.
Annuì appena ed iniziò a torturarsi le mani. Suo padre ghignò e prese due bicchierini, insieme ad una bottiglia di whisky, dalla dispensa accanto al caminetto. Appoggiò il tutto sul tavolino in mezzo alla stanza ed iniziò a versare il liquido nei bicchierini.
Friedrich storse leggermente il naso per il forte odore che quella bevanda emanava e si chiese cosa avesse in mente suo padre.

"Tuttavia, prima che tu ti arruoli, devi assolutamente fare una cosa."

"A-Arruolarmi?"

Friedrich sentì una paura improvvisa impossessarsi di tutto il suo corpo e strinse i pugni. Non aveva mai pensato alla possibilità di arruolarsi, lui in realtà non voleva averci niente a che fare con la guerra. Eppure sapeva che suo padre lo avrebbe costretto in ogni caso, quindi si arrese e rilassò le mani senza fare altre domande.

"Sì, il giorno stesso del tuo prossimo compleanno, partirai e ti arruolerai nell'esercito, per servire il tuo Paese ed il tuo Führer (*capo, cioè Hitler)." disse l'uomo, porgendo un bicchierino al ragazzo. "Ma prima di iniziare a vivere con la morte al tuo fianco, devi conoscerla."

Friedrich prese il bicchiere e lo guardò, deglutendo.

"Morte al mio fianco?"

Il signor Meyer sbuffò e buttò giù il whisky, come fosse acqua.

"Sì, un soldato vive con la morte al proprio fianco, ogni giorno. E tu, figlio mio, devi capire cosa si prova ad uccidere. Io e Timo andremò a caccia, oggi e tu verrai con noi."

Friedrich non voleva assolutamente andarci, né tanto meno con loro. Si sentì improvvisamente insicuro: non era affatto pronto ad uccidere delle povere bestioline, figuriamoci delle persone vere.

"Ora bevi, ti aiuterà a rilassarti. Ti aspetto fuori casa, fai presto."

L'uomo uscì e Friedrich guardò fuori dalla finestra: suo padre stava mettendo i fucili in macchina, aiutato da Timo.
Pensò che gli sarebbe piaciuto ucciderli con quelle stesse armi, ma poi si sentì un po' in colpa per quel pensiero crudele. Bevve un piccolo sorso del liquido e fece una smorfia di disgusto, per poi correre fuori.

"Ehi fratellino, oggi diventerai un uomo, è!"

Friedrich forzò un sorriso e salì in macchina. Guardò la facciata della casa sparire lentamente, mentre si allontanavano.
Quando arrivarono fuori città e gli alberi iniziarono a riempire il paesaggio, Friedrich iniziò a sentirsi sempre più impotente ed angosciato.

"Siamo arrivati." disse suo padre, spegnendo il motore della macchina.

Scesero e iniziarono a prendere i fucili, con le munizioni di riserva.

"I boschi di Oranienburg sono i migliori per la caccia. Se siamo fortunati domani mangeremo cervo, a cena." disse il signor Meyer, iniziando a camminare.

Friedrich seguiva i due, tenendo in mano il freddo fucile nero e cercando di mantenere il passo. Quel piccolo sorso di whisky iniziava a provocargli un piccolo fastidio alla testa e ciò non gli piaceva affatto. Si chiese che razza di padre gli era capitato, che lo faceva bere a soli quindic'anni e lo costringeva a fare cose che lui non voleva.

"Ecco." sussurrò Timo, bloccandosi di colpo.

Il signor Meyer ghignò e caricò il fucile: un cervo si trovava a pochi metri da loro e non si era nemmeno accorto della loro presenza.
Friedrich scosse la testa e deglutì rumorosamente, consapevole di ciò che stava per accadere a quel povero animale.
Fu un attimo, il cervo cadde a terra a causa di un proiettile proveniente dal fucile di Timo. Eppure l'animale era ancora vivo e stava agonizzando per il dolore del pezzo di metallo conficcato nella sua zampa.

"Friedrich, gli darai il colpo finale." disse il signor Meyer, dando un coltellino a suo figlio.

I tre si avvicinarono al corpo del cervo, ormai preso dagli spasmi.
Friedrich trattenne le lacrime e strinse il manico del coltello nella mano destra.

"Avanti fratellino, se non lo uccidi ora, continuerà a soffrire." disse Timo, ridacchiando appena.

"No, i-io non me la sento..."

"Ammazza quel cervo, ora!" esclamò suo padre, evidentemente alterato.

Eppure il ragazzo non riusciva proprio a mettere fine alla vita di quel povero animale. Rimase immobile e ciò non fece altro che far accrescere la rabbia di suo padre, che afferrò il coltello dalle sue mani e pugnalò il cervo al cuore, più e più volte, macchiando i propri vestiti di sangue.
Timo distolse semplicemente lo sguardo, mentre Friedrich rimase a guardare quella scena agghiacciante, a bocca aperta. L'odore pungente del sangue aveva iniziato a riempire l'aria e il corpo dell'animale, ormai era fermo. Morto.
Il signor Meyer guardò Friedrich con uno sguardo freddo e si avvicinò con fare minaccioso.

"Sei solo un essere inutile! Sei una femminuccia! Come pensi di poter uccidere quegli schifosi nemici se non riesci nemmeno ad ammazzare un inutile cervo?!"

Il signor Meyer lo guardò con odio e Friedrich ebbe paura per un istante, paura che quel coltello si sarebbe conficcato nel suo petto in pochi istanti. Invece fu preso alla sprovvista e fu spinto a terra, violentemente.

"Papà!" esclamò Timo, afferrandolo per le spalle.

Friedrich giaceva a terra, il collo aperto su un lato da una profonda ferita causata da un masso su cui era andato a sbattere. Il terreno si sporcò del sangue del ragazzo, che continuava a stare a terra, immobile. Aveva paura di muoversi, sentiva solo un grande bruciore al collo e il respiro farsi pesante.

Quel giorno Friedrich Meyer decise che non avrebbe mai più mangiato carne in vita sua, per la scena agghiacciante a cui aveva assistito.
Quel giorno Friedrich Meyer fu ferito nel profondo, sia emotivamente che fisicamente.
Quel giorno Friedrich Meyer decise che sarebbe diventato un uomo forte.

|| fine intro ||

Dicembre 1944, Londra.

Henry Smith aveva compiuto diciassette anni da tre mesi, ormai e si era arruolato nell'esercito inglese da un anno. Sua madre era contraria alla sua scelta, ma Henry voleva seguire le orme di suo padre e servire il proprio Paese. Il signor Smith era stato chiamato in America, la sua madre patria, per fare da generale ad uno squadrone, quindi la famiglia era completamente divisa.

Henry era conosciuto e amato da tutti, nel suo campo. Infondo era sempre stato così, anche da bambino. Il suo migliore amico era Jonathan, un diciassettenne che veniva da Liverpool. I due avevano legato da subito e avevano finito per considerarsi fratelli. Passavano la maggior parte del tempo insieme e si aiutavano nelle situazioni difficili. Perché sì, la guerra era dura e se eri solo, lo era ancora di più.

La vigilia di Natale il capo del campo chiamò tutti al rapporto. Li radunò nella 'piazza' principale e guardò tutti quei giovani e quegli uomini, prima di iniziare a parlare.

"Domani sarà Natale e alcuni di voi torneranno dalle loro famiglie per una vacanza." l'uomo fece una pausa, prima di continuare. "Mi hanno appena chiamato da Londra, dicendomi che hanno bisogno di una squadra 'speciale' per una missione pericolosa. Non vi sarà alcuna selezione, ma solo volontari. Lo scopo dell'operazione, inoltre, verrà rivelata solo una volta che vi sarete offerti volontari. Ora andrò nel mio ufficio e lascerò la porta aperta per la prossima mezz'ora, per chi ha intenzione di offrirsi volontario." detto questo, il comandante se ne andò.

Henry ruppé la posizione e guardò Jonathan, che stava accanto a lui.

"No Henry Smith, non guardarmi con quella faccia. È già tanto che non mi hanno dato il permesso per andare a passare il Natale con la mia famiglia, ora devo anche offrirmi volontario per una missione suicida?"

"Jo, non è una missione suicida... E poi ci siamo arruolati per servire il nostro Paese, a qualunque costo."

Jonathan alzò gli occhi al cielo ed iniziò a camminare, seguito da Henry.

"Certo che è una missione suicida, o ci avrebbero detto perlomeno di che si tratta."

"Che?"

"Avanti Henry, usa la testa. Chi pensi che si sarebbe offerto volontario se ci avessero detto subito che era una missione senza ritorno?"

Henry si bloccò un attimo, riflettendoci, per poi fare una corsetta per ragiungere il suo amico.

"Bé, io comunque ho deciso: vado."

Jonathan scosse la testa e si fermò ai piedi di un albero vicino alla loro tenda. Henry tremò appena e si sfregò le mani per riscaldarsi, dato che la neve aveva imbiancato tutto il paesaggio e la temperatura era scesa negli ultimi giorni.

"Henry, devi capire che la guerra non è un gioco. Se fai l'eroe, muori. Se pensi a salvarti il culo, sopravvivi, forse. Quindi, per l'amor di Dio, non fare cose di cui poi ti pentirai."

"Io non mi guardo mai indietro. Ho preso la mia decisione ormai."

Jonathan sospirò frustrato, perché sapeva che non avrebbe mai potuto lasciare il suo migliore amico da solo.
Infatti, dieci minuti dopo erano nell'ufficio del comandante, insieme ad altri cinque giovani che si erano offerti volontari.
Il comandante guardò i ragazzi davanti a sé e controllò l'orologio, per poi andare a chiudere la porta.

"Riposo, soldati."

I sette ruppero la posizione e rimasero in silenzio, in attesa che l'uomo dicesse qualcosa.

"Allora, andrò dritto al punto: questa spedizione probabilmente sarà senza ritorno, per alcuni di voi."

Jonathan guardò Henry con un'espressione da 'te l'avevo detto', poi tornò a dare la sua attenzione al comandante.

"La Germania sta perdendo e questo lo sanno tutti, ormai. Eppure Berlino è ancora intatta e c'è una piccola cittadina là vicino, Oranienburg. Ci sono state segnalate attività sospette e probabilmente i cittadini ne sanno qualcosa, ma non parleranno mai, naturalmente. Dovete andare lì e scoprire cosa nascondo i tedeschi. Una volta scoperto qualcosa, manderete un telegramma a Londra. Non mettetevi in situazioni pericolose. Domande?"

Henry fece un passo in avanti.

"Come torneremo in Inghilterra?"

Il comandante lo guardò, poi abbassò lo sguardo. Henry annuì e fece un passo indietro, tornando in riga.

||

2 Gennaio 1945, Oranienburg

Era il secondo giorno di un nuovo anno e Friedrich Meyer se ne stava nella sua stanza a guardare fuori dalla finestra. Aveva ancora la divisa addosso dal giorno prima. Non aveva nemmeno festeggiato il suo compleanno. Anzi, lo aveva quasi dimenticato.
La guerra non si decideva a finire, ma lui sapeva che la Germania era in difficoltà. E quando tutto sarebbe finito? Cosa ne sarebbe stato di lui? Era arruolato nell'esercito da tre anni e ora ne aveva diciannove, ma era già vice capo del suo campo. Forse era stato scelto per la sua durezza e la sua capacità di non avere pietà per niente e nessuno.
Non vedeva sua madre da mesi, la sua famiglia ora erano Justus Wolf (*si legge "Gliustus"), uno dei soldati del campo ed Annalena Weber, infermiera e fidanzata di Justus.
Friedrich era stanco di quella insicurezza, di quel non poter progettare un futuro. Suo padre gli diceva sempre che un soldato vive con la morte al proprio fianco, ma Friedrich non teneva più alla sua vita. Aveva visto morire persone in modo atroce, compagni non tornare e aveva ucciso lui stesso. Ormai si sentiva un mostro senza cuore. Forse era ora di farla finita.

Guardò la sua pistola appoggiata sul tavolo, ma prima che potesse afferrarla, bussarono alla porta della sua camera.

"Signore!" era la voce di Caspar, il suo "segretario".

Guardò la pistola e ritrasse la mano, andando ad aprire la porta. Il giovane sembrava agitato e i suoi ricci castani erano più spettinati del solito.

"Signore." ripeté, facendo il segno di saluto.

"Spero sia importante, perché stavo per andare a dormire."

Un bel sonno profondo... pensò Friedrich, aspettando che l'altro parlasse.

"Hanno appena catturato due inglesi."

A quel punto Friedrich sgranò appena gli occhi.

"Cosa?! Che diavolo ci fanno due inglesi qua? E dov'è il capo?"

"Il signor Kraus è ancora a Berlino dalla sua famiglia per le festiv-..."

"Fanculo quelle festività di merda! Siamo in guerra, non stiamo giocando! Portami da qegli inglesi, ora!"

Caspar si irrigidì appena per la sfuriata di Friedrich, ma eseguì subito l'ordine. Uscirono dalla struttura e andarono in una delle tende in cui vi erano casse piene di munizioni. Quando entrarono, Caspar rimase dietro Friedrich, mentre quest'ultimo guardò i due ragazzi inginocchiati davanti a sé: avevano le mani legate dietro alla schiena e gli occhi bendati.
Due soldati stavano accanto a loro, con due fucili in mano.

"Allora, chi siete? Spie? Traditori?" chiese Friedrich, quasi in tono scherzoso.

Eppure la sua espessione non prometteva niente di buono.

"Sto parlando con voi! Ma almeno capiscono qualcosa di quello che sto dicendo?!"

"No signore, non parlano tedesco." disse Caspar.

"E che aspettavi a dirmelo?!" Friedrich iniziò a parlare in inglese. "Sanno solo quella lingua di merda... l'inglese, non è vero?" ghignò.

"Con tutto il rispetto, ma se qui c'è una lingua che fa schifo è il tedesco, signore." intervenne uno dei ragazzi inginocchiati a terra, quello moro.

Friedrich iniziò a ridere, coinvolgendo anche i due soldati accanto ai prigionieri, poi si bloccò di colpo.

"Scoprite gli occhi di quel piccolo bastardo, voglio guardarlo in faccia mentre gli ficco una bella pallottola in testa. Magari gli passa la voglia di parlare."

Friedrich iniziò a caricare la sua pistola, mentre uno dei soldati toglieva la benda al ragazzo.
Quando Friedrich incrociò il suo sguardo, sentì una strana sensazione allo stomaco. Era bello, non poteva negarlo: gli occhi azzurri, i capelli mori un po' spettinati e le guance rosse, probabilmente per il freddo.

"Signore, non penso che il capo approverebbe... Dovremmo prima interrogarli, magari hanno informazioni importanti."

"Bene." disse semplicemente, mentre l'altro soldato toglieva la benda all'altro ragazzo dai capelli neri. "In quanti siete e perché siete qua?"

Nessuna risposta. Friedrich ridacchiò.

"Va bene, iniziamo con qualcosa di più semplice: come vi chiamate?"

Non vedendo alcuna reazione da parte dei due, si avvicinò al ragazzo moro e appoggiò l'estremità della pistola sulla sua tempia sinistra.

"Allora?"

"Sparami se vuoi, non ho paura di morire." rispose il ragazzo, continuando a guardare davanti a sé.

"Henry..." lo riprese Jonathan, dandogli una leggera spallata.

Friedrich si allontanò nuovamente e ghignò.

"Henry, quindi non hai paura di morire, è?" chiese il biondo, guardandolo dritto negli occhi.

Henry deglutì e scosse la testa.

"Bene, allora penso proprio che dovrò usare le maniere forti."

Friedrich prese Jonathan per una spalla e lo fece alzare, per poi puntargli la pistola in testa.

"No!" urlò Henry, facendo per alzarsi.

Le sue azioni furono bloccate dai due soldati al suo fianco, che lo fecero rimanere in ginocchio.

"Allora, ripeto la domanda: quanti siete e perché siete qui?"

Henry guardò Jonathan negli occhi: aveva paura. Cazzo, non poteva lasciarlo morire in quel modo. Così prese la sua decisione.

"Sette. Siamo qui per..."

"Per?"

"Informazioni."

"Sii più preciso, Henry."

Henry odiava già quel tipo, nonostante lo conoscesse da soli cinque minuti. Era bello, sì, ma anche stronzo.

"Avanti, siamo in guerra. Sai di cosa parlo. Bisogna spiare il proprio nemico per prevederne le mosse."

"Da quanto siete qua?"

"Dal ventisei dello scorso mese."

Friedrich guardò Caspar e scosse la testa, cercando di calmarsi. Tutto inutile.

"Sette inglesi sono ad Oranienburg da una fottuta settimana! Mi spieghi a che cazzo servono le pattuglie di sorveglianza?!"

Caspar abbassò il capo, mentre Friedrich spinse Jonathan a terra, facendolo tossire per la botta.

"Portate via questo verme e lasciatemi solo con lui."

I due soldati annuirono, mentre Caspar si accigliò.

"Ma signore, abbiamo ottenuto le informazioni necessarie..."

"Sì, ma dato che non possiamo ucciderli fino all'arrivo del capo, potrei...farli soffrire un po'." disse, guardando Henry negli occhi. "Questo lurido inglese ha insultato il tedesco e così facendo ha insultato anche me. Deve pagare."

Caspar lanciò un'occhiata dispiaciuta ad Henry, poi uscì dalla tenda.
Henry guardò Friedrich e deglutì, nonostante avesse la bocca asciutta.
Quel ragazzo lo inquietava: così bello eppure così crudele.

"Preparati Henry, ti farò soffrire come non hai mai sofferto in vita tua."

||

3 Gennaio 1945, Oranienburg

Henry aprì gli occhi e la prima cosa che sentì, fu un forte dolore alla schiena. Si guardò intorno: era buio. Era legato al tronco di un albero ed al suo fianco c'era Jonathan.

"A-Amico..." lo richiamò Henry, con voce roca.

"Henry, moriremo."

Quella frase lo colpì dritto in faccia, per poi arrivare al cuore come una fitta. Morire. Henry non ci aveva mai realmente pensato fino al giorno prima, quando quel tipo dai capelli biondi gli aveva chiesto se avesse paura della morte. Ed ora era lì, in un campo nemico, legato ad un tronco di un albero e gravemente ferito.
Provò a muoversi, ma dovette bloccarsi subito. Gemette per il dolore alla schiena e chiuse gli occhi.

"Che ti ha fatto quel bastardo del tedesco?"

"Ha iniziato con gli schiaffi, poi mi hai frustato la schiena con la sua cintura fino a farmi perdere i sensi. I tedeschi sono degli sporchi sadici, il nostro capo aveva ragione."

Jonathan rise appena per quell'ultima frase, poi tossì.

"Senti freddo, Jo?"

"Tanto... È da ore che siamo qua."

Henry si guardò intorno: la neve ricopriva gran parte del terreno. Dietro di loro c'era il muro che divideva il campo dall'esterno.

"Jonathan, andiamocene da qui." mormorò Henry, il ragazzo non aveva più forza.

"Smettila di sparare cazzate. Rimani dove sei e forse questi ci risparmieranno la vita."

"Ma l'hai sentito quello? Ci vogliono fare fuori, stanno solo aspettando il via libera dal loro capo. Dobbiamo andarcene!"

Ci fu qualche minuto di silenzio, poi Jonathan annuì, sospirando.

"Come?"

"Nella mia scarpa sinistra c'è un coltellino. Mi hanno tolto tutte le armi, ma non quello. Io non ci arrivo, provaci tu."

Jonathan cercò di allungare un braccio ed arrivò alla scarpa. Si sforzò un po' per toglierla, dato che aveva dolore in tutto il corpo. La tolse ed afferrò il coltellino. Dopo molti tentativi riuscì a tagliare le forti corde. I due si alzarono e Jonathan prese l'amico sotto braccio, perché non si reggeva in piedi.

"Vai prima tu." disse Henry.

"Ne sei sicuro?"

Henry annuì e Jonathan lo fece sedere a terra, per poi iniziare ad arrampicarsi sul muro grazie ad alcuni mattoni sporgenti. Improvvisamente i due sentirono dei cani abbaiare e delle voci avvicinarsi.

"Cazzo Henry, sali!"

Il ragazzo lo guardò e fece un sorriso triste, toccandosi le gambe. Scosse la testa e Jonathan capì.

"No! Cazzo, no! Non pensarci nemmeno! Io non ti lascio qui!"

"Jonathan, non ce la faccio, non mi reggo in piedi." disse Henry, con voce fin troppo calma.

Le voci si avvicinavano sempre di più.

"Henry..."

"Jonathan, vattene cazzo!"

Il ragazzo dai capelli neri lo guardò per un'ultima volta con le lacrime agli occhi, prima di scavalcare completamente il muro e correre finalmente verso la libertà. Henry guardò alla sua sinistra e vide delle luci sfocate avvicinarsi, così come i rumori e le voci confuse. Guardò il cielo scuro, dato che quella notte non si vedevano stelle. Peccato, gli sarebbe piaciuto rivederle per l'ultima volta.

||

4 Gennaio 1945, Oranienburg

Henry tentò di muoversi, senza però riuscirci. I suoi occhi erano coperti da una benda e ciò non era un buon segno. Bé, almeno era ancora vivo...
Sentì una porta aprirsi e una folata di vento colpirlo, poi essa si richiuse violentemente.

"Ma non posso crederci, ancora l'inglese. Pensavo che il freddo l'avrebbe ammazzato."

Quella voce gli era familiare: roca e profonda, con un accento marcato.

"No signore, il ragazzo stava tentando di scappare con il suo amichetto, così l'abbiamo portato qui nella casetta di isolamento."

Ci fu un lungo momeno di silenzio, poi un colpo, probabilmente sferrato al muro di legno.

"L'altro dov'è?"

"S-Signore...l-l'altro è scappato."

Friedrich si passò una mano tra i capelli e scosse la testa. Sembrava calmo, ma ormai tutti sapevano che proprio quando sembrava tranquillo, in realtà aveva una tempesta dentro di sé.

"Gehe raus, du Arschloch! [Vattene, stronzo!]"

Il soldato annuì e lasciò la piccola casetta di legno, quasi di corsa.
Friedrich sospirò e chiuse gli occhi, per poi riaprirli e avvicinarsi al ragazzo seduto a terra e con le mani legate dietro alla schiena.
Gli girò intorno, per poi fermarsi nuovamente davanti a lui. Appoggiò una mano sulla sua nuca e gli accarezzò i capelli mori. Henry sobbalzò appena per quel gesto così delicato.
Friedrich li tirò improvvisamente, facendolo mugulare per il dolore e gli strappò via la benda. Gli occhi di Henry incontrarono quelli di ghiaccio del biondo.

"Perché?" mormorò il tedesco, frustrato.

"C-Cosa...?" sussurrò Henry.

"Tu non sei come gli altri, tu non hai paura."

"Friedrich!" lo richiamò un ragazzo che era appena entrato.

Il biondo si allontanò improvvisamente dalla sua preda e guardò Justus, il suo migliore amico.

"Che vuoi?"

Justus scosse la testa e ridacchiò.

"Siamo di buon umore, è? Dai muovi il culo, il capo ti vuole vedere. È appena tornato."

Il biondo non aggiunse altro e se ne andò senza nemmeno guardare il prigioniero. Henry finalmente aveva scoperto il nome del misterioso ragazzo. Friedrich.

"Tu devi essere l'inglese." disse il soldato, che era ancora sulla soglia della porta.

Henry annuì e ne sostenne lo sguardo. Il tipo era alto, capelli color nocciola e ricci, occhi dello stesso colore dei capelli. Un bel ragazzo, doveva ammettere.

"Io sono Justus Wolf, piacere di conoscerti. Bé, mi dispiace per questo trattamento, ma sai com'è..."

Henry si sentì normale, per la prima volta dopo tanto.

"È da molto che non parlo con una persona." disse l'inglese.

L'altro si accigliò.

"Qui sembrano tutti bestie. Tu sei quello che mi è sembrato più umano."

Justus sorrise e si avvicinò, sedendosi davanti a lui. Ci fu un po' di silenzio, poi Henry parlò.

"Il mio amico... Sai per caso se-..."

"Non l'hanno preso."

Henry sospirò di sollievo e si rilassò visibilmente: Jonathan era salvo.
In quel momento entrò un altro soldato che richiamò Justus, dicendogli di portare Henry dal capo.
Gli occhi del ragazzo vennero bendati di nuovo. Appena furono fuori, Henry venne colpito in pieno volto da un folata gelida di vento, che lo fece rabbrividire.

"Senti freddo?" chiese Justus, che lo teneva dai polsi legati dietro alla schiena.

"No, è okay."

"Non preoccuparti, tra poco saremo al chiuso."

Entrarono in un edificio e salirono un paio di rampe di scale. Fu estremamente difficile, dato che Henry era bendato e legato.
Quando entrarono in una stanza, Justus chiuse la porta alle loro spalle e rimase dietro di lui. Cosa stava succedendo?

"E quindi questo bel giovanotto ha tentato di scappare." disse una voce profonda. "Wolf, togligli quella benda dagli occhi."

Il riccio eseguì l'ordine. Henry poté finalmente vedere: un signore di mezza età era seduto dietro ad una scrivania in legno, mentre Friedrich si trovava in piedi accanto all'uomo. La stanza era molto vintage: le pareti tinte di verde pistacchio e il pavimento in legno, consumato. Alle pareti dei quadri del romanticismo e dei mobili antichi pieni di libri. Quella stanza diede ad Henry un senso di nostalgia: era quasi identico al vecchio studio di suo padre. Già, suo padre. Non lo vedeva da anni, ormai.

"Perdonami per questa brutta accoglienza, signor..." iniziò l'uomo.

"Henry Smith." rispose il ragazzo, con un filo di voce.

"Mmh. Smith, tipico inglese." bofonchiò Friedrich.

Sembrava davvero scocciato, ma da cosa? Che problemi aveva quel tipo?

"Oh Friedrich, cosa sono queste battutine?" lo riprese l'uomo.

"Herr Kraus, er ist nur ein nutzloser englische Junge. [Signor Kraus, è solo un inutile ragazzino inglese]." disse, guardando Henry dritto negli occhi.

Il signor Kraus non intervenne questa volta: voleva vedere che reazione avrebbe avuto il piccoletto.

"Ehm, scusa, potresti ripetere? In una lingua comprensibile."

"Sei inutile."

"Cosa hai detto?"

Henry improvvisamente decise che se ne fregava di dov'era e chi lo circondava. Quell'arrogante doveva imparare un po' di buone maniere.

"Arschloch. [Stronzo]."

"Bastardo..."

"Ora basta." li interruppe il signor Kraus, alzandosi dalla sua sedia.

Si avvicinò ad Henry e lo guardò dall'alto al basso, dato che l'inglese era più piccolo di statura. Henry si aspettava il peggio e invece, l'uomo sorprese tutti, scoppiando in una calda risata.

"Hai fegato, ragazzo. Forse anche più fegato di alcune femminucce di questo campo."

Friedrich scosse la testa, mentre Justus sorrise.

"Dovrei ucciderti, ma hai qualcosa che... Non lo so nemmeno io, ecco. So solo che ho deciso di risparmiarti la vita."

"Cosa?! È uno sporco inglese!" intervenne Friedrich, pieno di rabbia.

"Alt die Klappe! [Chiudi la bocca!]" esclamò il signor Kraus, rivolto al biondo, per poi tornare ad Henry. "Lavorerai qui al campo. Non sarai un uomo libero, ma almeno sarai vivo." e detto questo fece un segno a Justus.

Il riccio annuì e portò Henry fuori dalla stanza. I due iniziarono a cammirare, ma le voci di Friedrich e il signor Kraus coinvolte in un'accesa discussione in tedesco li accompagnarono fino alla fine del lungo corridoio.

"Dove mi stai portando?"

"Avrai una camera tutta tua. Piccola, ma tua."

"Oh..."

Henry era davvero sorpreso. Per tutto il tempo che era stato rinchiuso in quel campo, si era sempre preparato mentalmente a morire.
E invece ora si ritrovava sdraiato su un letto abbastanza comodo, in una piccola stanza all'interno di un edificio che si trovava al centro di quel campo.
Tirò fuori una piccola foto dal taschino interno della sua giacca della divisa militare inglese e la guardò. La foto era vecchia: i suoi genitori e lui al centro con Phill al suo fianco.

"Mamma, papà, aspettatemi. Tornerò."

||

8 Gennaio 1945, Oranienburg

Era da quattro giorni che Henry lavorava in quel campo ed era già al limite. Veniva praticamente sfruttato da tutti quegli uomini, così come alcuni degli altri prigionieri. La sera aveva il turno in cucina. Era lì che aveva incontrato Lucia Filosofi, una diciassettenne italiana. Era stata portata lì da uno dei soldati tedeschi, che si era infatuato di lei. Il ventenne era morto da qualche settimana, così Lucia era rimasta sola in un Paese straniero, prigioniera e vittima di quegli animali di soldati.

"Ehi Henry, mi passi il sale?"

Henry sorrise e lo fece. Adorava l'accento di Lucia, anche se lei affermava sempre di non averne uno. Il ragazzo lo trovava davvero esilarante e adorabile.

"Ah, senti, quella troia di Marie è malata. È sempre lei che porta la cena al quel Friedrich Meyer. Il signorino si sente troppo importante per poter muovere il culo e mangiare qui nella mensa. Puoi andare tu a portargliela? È il vassoio su quel ripiano."

Henry rise per il commento su Marie, ma poi tornò serio e sospirò. Avrebbe dovuto vedere di nuovo quel tipo. A volte lo intravedeva in giro, ma i due cercavano di ignorarsi. Infondo cosa avevano da dirsi? Friedrich lo voleva morto.

"Tutto okay?"

"Sì, Lucia. Allora vado."

"Grazie mille! Il numero della stanza è scritto sul bigliettino attaccato al vassoio."

Henry annuì e si diresse verso l'ala del dormitorio, destinata solo a pochi soldati. Si riteneva davvero fortunato ad avere una stanza in quell'ala.
Trovò la camera di Friedrich e rimase per un po' a fissare la porta. Diede un paio di calci alla porta per bussare, dato che aveva le mani impegnate. Essa si spalancò poco dopo, rivelando Friedrich senza maglietta e con i capelli un po' spettinati.

"E tu che cazzo ci fai qui? Dov'è Marie?"

Henry entrò e appoggiò il vassoglio sul comodino accanto al letto.

"Riuscirai a stare una sera senza scopartela, non preoccuparti." detto ciò, fece per andarsene, ma venne bloccato per un polso e sbattuto violentemente al muro adiacente alla porta ormai chiusa.

"Non ti permetto di parlarmi così."

"Non ti permetto di parlarmi così!" bofonchiò Henry, sostenendone lo sguardo.

Friedrich sbatté i pugni al muro, accanto al volto di Henry e contrasse la mascella. I suoi occhi gelidi urlavano solo una cosa: rabbia.

"Du kleiner Arschloch... [Tu, piccolo stronzo...]."

"Smettila di insultarmi in tedesco, coglione! E levati!" lo spinse, ma nella foga del momento inciampò, finendo sopra Friedrich, a terra.

I due si guardarono in modo strano. I respiri erano affannati a causa dell'adrenalina per la lite di pochi istanti fa e forse per qualcos'altro.
Senza nemmeno accorgersene, Henry si ritrovò a baciarlo. Friedrich si irrigidì di colpo, ma dopo qualche istante di indecisione, andò ad accarezzargli la schiena. Scese ancora di più, andando ad afferrargli le natiche ed Henry gemette nella sua bocca. Le loro erezioni entrarono in contatto attraverso il tessuto dei pantaloni, facendo fremere e sospirare entrambi.
Friedrich appoggiò una mano sulla sua nuca, gli tirò leggermente i capelli e si staccò dalle sue labbra, andando a mordergli il collo.
Dio, quel ragazzo non era umano, ma un vero e proprio animale. Henry urlò per il dolore e chiuse gli occhi.
Subito dopo, Friedrich leccò il segno rosso e ci soffiò sopra, facendolo rabbrividire.
Quella situazione, anche se assurda, era terribilmente eccitante ed Henry si odiava per quello. Lui non era una puttanella come Marie. No, non si sarebbe fatto scopare da quello stronzo!
Si alzò velocemente e si diede una sistemata, per poi lasciare la stanza in fretta e furia.
Friedrich rimase sdraiato a terra, il pavimento freddo a contatto con la sua schiena nuda lo faceva rabbrividire, ma era abituato. Il freddo faceva parte di lui ormai.
Si leccò le labbra e sentì un sapore tutto nuovo, dolce. Cazzo, lui non era gay, cos'era quel bacio e perché lo aveva assecondato?! Se suo padre fosse venuto a saperlo lo avrebbe ucciso con le proprie mani.
Eppure non poteva farci niente. Quel bacio gli era piaciuto, forse anche un po' troppo.

||

10 Gennaio 1945, Oranienburg

Henry si era preso una bella influenza a causa di quel continuo freddo. Lucia gli aveva consigliato di andare in infermeria e così aveva fatto. Erano le sei di sera e faceva molto freddo, come sempre. Henry uscì dalla sua stanza e senza nemmeno guardare dove andasse, iniziò a camminare, avvolto dalla sua giacca che era stata lavata qualche giorno prima. Improvvisamente, andò sbattere contro qualcosa, anzi, contro qualcuno. Alzò il volto e quei due occhi di ghiaccio trafissero la sua anima. Perché gli faceva quell'effetto? Friedrich era uno stronzo, egocentrico, testardo,... Friedrich era insopportabile, ecco.

"Dovresti guardare dove metti i piedi, piccoletto." disse il più grande, tenendolo per le spalle.

Henry rimase a bocca socchiusa, senza dire una sola parola.

"Bé, ora devo andare." e detto questo, Friedrich se ne andò.

Henry si sentiva uno stupido in quel momento. Cosa cazzo gli prendeva? Doveva smetterla di comportarsi come una tredicenne!
Quando arrivò in infermeria, ad accoglierlo venne una ragazza di media statura, con dei boccoli mori e corti che risaltavano i lineamenti morbidi del suo volto e gli occhi color cioccolato.

"Name, bitte? [Nome, prego?]"

"Henry."

La ragazza si accigliò e si alzò di scatto dalla sedia, guardandosi intorno: le altre infermiere erano tutte occupate, dato che molti soldati erano appena tornati da una spedizione.

"Sei inglese." sussurrò, appoggiando le mani sul tavolo che li divideva e chinandosi appena.

"S-Sì..."

"Che ci fa un inglese in un campo tedesco?"

"Il signor Kraus ha detto che posso lavorare qui. Sono un prigioniero, comunque..." terminò la frase con un po' di angoscia.

"Oh...c-capisco. Bé io sono Annalena Weber." disse, con un sorriso dolce.

Dopo aver finito di visitare Henry, Annalena gli diede una scatolina con delle piccole pillole.

"Sono vitamine. Prendine due al giorno e mangia pasti caldi. Inoltre, cerca di coprirti per bene."

Henry annuì e si alzò dal lettino bianco.

"E un'altra cosa... Non mettere più quell'uniforme inglese: le persone ti guardano in modo strano e non va bene, credimi..."

"Ma non ho nient'altro da mettermi."

"Allora chiederò a Justus o a Friedrich se hanno qualcosa da darti."

Henry si morse il labbro inferiore.

"S-Sei loro amica?"

"Oh, Justus è il mio ragazzo, mentre Friedrich un amico. Li conosci?"

Henry annuì e sospirò.

"Bé, so già che se hai incontrato Friedrich allora sai che non sembra una delle persone più amichevoli del mondo, ma è solo una maschera. Okay, sì, spesso è freddo, ma non devi farci caso. Non lo fa apposta..."

E invece ad Henry sembrava proprio ci provasse gusto ad essere stronzo, soprattutto con lui. Perché quella ragazza lo difendeva?

"Okay, grazie mille Annalena."

"Di niente! Rimettiti presto."

Henry uscì dall'infermeria e fu subito travolto dal freddo. Dio, ma come facevano i tedeschi a vivere con quel gelo per tutto l'inverno? Mentre camminava, un paio di soldati che stavano fumando accanto ad un albero, lo richiamarono.

"Ehi tesoro, che ci fai qui tutto solo?"

"Non hai paura? Un inglese in mezzo ai tedeschi!" rise l'altro.

Henry li ignorò e continuò a camminare. Eppure dentro di sé stava bruciando e la rabbia lo stava per far esplodere.

"Bravo, scappa! Puttanella!"

A quel punto Henry si mise a correre come un pazzo, finché non fu nella sua piccola camera. Si sdraiò a terra ed iniziò a singhiozzare, lasciando cadere la scatolina di pillole. Si sentiva piccolo e fragile. Si sentiva solo e voleva tornare a casa. Casa...

Henry fu svegliato qualche ora dopo da un forte rumore: la porta della sua stanza era appena stata sbattuta violentemente. Aprì gli occhi lentamente, ma tutto ciò che vide fu oscurità. Si alzò di scatto e si ritrovò davanti una figura alta.

"Chi cazzo sei?!"

"Chiudi quella boccaccia, piccolo moccioso. Chi vuoi che sia?"

Henry accese la lampada appoggiata sul tavolo e la stanza si illuminò leggermente.

"Che diavolo ci fai in camera mia, nel cuore della notte?"

"Non ti sei presentato in cucina stasera. È il tuo lavoro, non puoi fare ciò che ti pare solo perché stai simpatico al signor Kraus."

Henry si accigliò e scosse la testa. Era fuori di sé, di nuovo. Sarebbe bastato un altro po' per farlo esplodere.

"Bé perdonami capo, ma ho l'influenza!"

"Certo che ti ammali se dormi per terra!"

"I-Io...non...Ah! Fanculo, esci da questa stanza!"

Henry lo spinse per il petto, facendolo indietreggiare fino alla porta, ma Friedrich non si sarebbe fatto cacciare così. Lo afferrò per i fianchi e lo attirò bruscamente a sé, facendo congiungere il loro bacini. I due si guardarono negli occhi ed Henry si sentì perso.

"Perché mi hai baciato l'altra volta?" chiese il biondo, andando ad accarezzare la parte inferiore della sua schiena da sotto la maglietta.

"Non lo so, ma me ne sono pentito. Sei solo un grandissimo arrogan-..."

La sua frase fu interrotta dalle labbra fredde, ma morbide di Friedrich sulle sue. Henry si dimenò appena, appoggiando le mani sul petto dell'altro, ma quando il biondo gli infilò prepotentemente la lingua in bocca, per lui fu la fine. Strinse il tessuto della divisa di Friedrich e mugolò di piacere, rispondendo al bacio. Improvvisamente Friedrich spinse Henry sul letto e lo sovrastò col suo corpo, appoggiandosi sugli avambracci.

"Mi fai impazzire e ti odio per questo." mormorò il biondo, con voce roca, strisciando il suo bacino contro quello dell'altro.

Henry ansimò appena ed inclinò la testa all'indietro. Friedrich andò a baciargli il collo, per poi succhiarglielo e morderlo come fosse stato uno dei suoi piatti preferiti. Henry portò le mani tra i capelli dell'altro e li tirò appena, chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare da tutte quelle sensazioni ed emozioni contrastanti.

"Ti scoperò così forte da farti passare la voglia di rispondere male."

Quella frase fece eccitare terribilmente Henry, che si sporse un po' in avanti e lo coinvolse in un bacio bagnato e passionale.
I vestiti iniziarono ad essere un intralciò per i due, che non aspettavano altro che aversi.
Friedrich si tolse la giacca ed i pantaloni ed Henry seguì il suo esempio. Ma non era ancora abbastanza, così il biondo si tolse la camicia e la lanciò a terra. Henry sospirò e si morse il labbro inferiore: quello era il corpo più sexy e perfetto che avesse mai visto in vita sua. Era stato con un paio di ragazzi, ma non erano nulla in confronto a Friedrich.

"Oh mio Dio, Friedrich..." sussurrò, accarezzandogli gli addominali scolpiti.

Il biondo si chinò ed iniziò a sbottonare la camicia dell'altro, mentre gli mordicchiava il lobo dell'orecchio destro.

"Ti piace?" mormorò.

In risposta Henry mugolò ed alzò involontariamente i fianchi verso l'alto. Dio, si sentiva in imbarazzo, ma quel ragazzo gli mandava in tilt il cervello.

"Con calma piccoletto, abbiamo tempo." sussurrò con voce scandalosamente sexy, mentre finiva di sbottonargli la camicia.

Quando i due furono finalmente nudi, Friedrich andò ad afferrare l'erezione del moro, iniziando a massaggiarla. Dalla bocca di Henry iniziarono ad uscire piccoli sospiri e gemiti soffocati, mentre le sue mani andavano ad aggrapparsi alle spalle larghe di Friedrich.

"Con te bisogna usare le maniere forti."

E dopo quella frase Henry non ci capì più niente, perché Friedrich lo aveva appena penetrato senza alcuna preparazione.

"A-Ah!"

"Shh..."

Friedrich lo baciò per distrarlo dal dolore ed uscì lentamente, per poi rientrare con una spinta quasi violenta. Henry sussultò e si dimenò appena, graffiandogli la schiena. Faceva un male cane, lo voleva fuori e subito.

"S-Stronzo! Lasciam-..."

Un'altra spinta potente che gli tolse il respiro e un gemito di dolore. Friedrich iniziò a muoversi e bloccò i polsi del moro sul materasso, impedendogli di muoversi.

"Ah! Cosa...F-Friedrich!"

Dio, era difficile da ammettere, ma iniziava a piacergli ed ora si ritrovava a gemere per il piacere. Quel bastardo lo stava prendendo con forza, ma a lui piaceva. Si feceva schifo per quello, ma non poteva farci niente. In fondo, poi, all'inizio anche lui l'aveva assecondato. Stupido Henry, guarda dove ti ritrovi: a letto con il più stronzo degli stronzi. E ti sta piacendo cazz-...
Vennero tutti e due contemporaneamente. Quando l'orgasmo stava per finire, Friedrich si impossessò delle labbra di Henry, ancora rosse e turgide per i baci di prima. Poi si staccò e si sdraiò accanto a lui. Nessuno disse una parola ed il silenzio era come un grosso macigno che li stava schiacciando a poco a poco.

"Stronzo..." sussurrò infine Henry, dandogli le spalle e guardando fuori dalla finestra: nevicava.

Friedrich tirò su la coperta e coprì entrambi, per poi andare ad abbracciare Henry da dietro. Il moro sentiva il respiro caldo contro il proprio collo che gli provocava brividi di piacere.

"So che ti è piaciuto." sussurrò il biondo, lasciandogli un bacio sul collo.

Sì, era la dura verità, ma non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce. Era un tipo testardo, quando voleva.

"Senti freddo?" sussurrò Friedrich, dopo un po'.

"Sì cazzo, qui fa sempre fredd-..."

E per l'ennesima volta fu interrotto dalle labbra dell'altro sulle proprie. Non si oppose, gli lasciò fare.
Quella notte lo fecero ancora e ancora. Henry non sapeva cosa fosse, ma sentiva una strana sensazione ogni volta che Friedrich gemeva il suo nome o lo baciava.
E il corpo di Friedrich sopra al suo, lo riscaldò al tal punto da fargli dimenticare che fossero in inverno. A tal punto da fargli dimenticare che fossero in guerra.

||

13 Gennaio 1945, Oranienburg

Alla fine Friedrich si era preso l'influenza dopo la notte passata con Henry. Quando il signor Kraus gli fece delle domande, lui si giustificò dando la colpa al clima rigido.

E intanto Friedrich ed Henry si erano ignorati per tutti quei giorni. Eppure Henry non riusciva a dimenticare quella notte. Ogni volta che ci pensava qualcosa dentro di sé si smuoveva e cazzo, odiava il fatto di esserci caduto così facilmente. Perché Friedrich era uno senza sentimenti e avrebbe scommesso tutto l'oro del mondo che si scopava ancora quella puttanella di Marie, una delle cuoche del campo.

"Henry, sei venuto con me per aiutarmi o no?"

La voce di Annalena lo riscosse dai suoi pensieri. La ragazza doveva andare in paese per comprare delle medicine, così Henry si era offerto di aiutarla, perché era da giorni che era rinchiuso in quel campo e aveva bisogno di respirare aria nuova.
Mentre passavano, la gente li guardava in modo strano e ciò infastidì il ragazzo.

"Perché ci stanno guardando?"

Annalena sospirò e si guardò intorno, per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando.

"La gente qui è diffidente, nascondono un segreto più grande di loro." disse, con voce triste.

"Che intendi dire?"

"Lascia stare, Henry..."

"Anna, voglio sapere."

"Henry, ti prego!"

Annalena aumentò il passo, per poi entrare in una piccola farmacia. Henry rimase fuori e si guardò intorno: le case erano davvero graziose, sul lato opposto della strada c'erano un paio di ragazzini che giocavano con un pallone consumato e delle signore che parlottavano in tedesco, lanciandogli delle occhiate di tanto in tanto.
Poi Henry vide qualcosa di strano: c'era del fumo in cielo, alla sua destra.
Annalena uscì e gli porse due scatole. Henry le prese, senza però smettere di guardare quel denso fumo. L'odore nell'aria si fece strano e pesante, quasi insopportabile. I bambini che prima giocavano se ne andarono, così come il gruppetto di signore. Ora la strada era deserta ed era calato il silenzio.

"Annalena, cos'è quel fumo?" chiese, spaventato dalla risposta.

La ragazza si coprì la bocca e scosse la testa, iniziando a camminare nella direzione opposta a quella da cui proveniva il fumo. Henry la seguì con le due pesanti scatole in mano.

"Anna!"

"Henry a volte è meglio non sapere, ti prego non fare domande."

Ma il ragazzo non si sarebbe arreso così. Era stanco di tutte quelle domande senza risposta. Come quando da piccolo chiedeva a sua madre quando sarebbe tornato suo padre e la donna scoppiava a piangere senza parlare. O come quando domandava a sé stesso il perché di quella guerra e di quell'odio, senza però trovare alcuna risposta.

"Annalena cosa cazzo è quel fumo?! Cosa diavolo succede in questo paesino e perché tutti sembrano spaventati a morte?!"

La ragazza si bloccò di scatto e un singhiozzo uscì dalle sue labbra. Henry rischiò di andarle addosso, ma si fermò in tempo.

"Li chiamano Konzentrationslager, ovvero 'Campi di concentramento'. Uomini, donne, bambini..." un altro singhiozzo. "Li fanno lavorare, li trattano come animali e...li uccidono in modo atroce. Muoiono come mosche. Ogni giorno. Vuoi davvero sapere cos'è quel fumo?"

Henry era sconvolto e delle lacrime avevano iniziato a rigargli le guance.

"Li bruciano." disse Annalena, con voce spezzata. "Non esiste pietà in questo mondo, Henry. Ricorda che se vuoi sopravvivere devi essere forte, perché ormai siamo circondati da bestie senza cuore." e detto questo continuò a camminare.

Non ci furono altre parole fino al campo, ma solo silenziose lacrime da parte di Henry. Non poteva credere a ciò che aveva sentito, era assurdo.
Appena furono al campo, dopo aver messo le scatole in infermeria, Henry si chiuse in camera sua a piangere. Se prima era triste, ora era completamente al limite. Voleva tornare a casa ed andare lontano da quella gente senza cuore.

La sera si presentò in cucina per il suo turno e Lucia si accorse dei suoi occhi rossi e gonfi, ma non riuscì ad ottenere alcuna spiegazione da Henry, che era più silenzioso del solito. Il ragazzo mandò in frantumi anche qualche piatto, procurandosi le sgridate di Marie.

"Ma guarda tu questo ragazzino! Smettila di distruggere tutto. Non capisco ancora perché non ti abbiano ucciso."

Henry a quel punto chiuse gli occhi e trattenne le lacrime.

"Senti piccola stronzetta, ti fai mezzo campo e sei più piccola di me. Non permetterti di parlarmi così!"

Marie ghignò ed incrociò le braccia al petto. Dio, ma quanto poteva essere odiosa quella ragazza?

"Sei solo uno sporco inglese. Non parlarmi così."

"Io sarei lo sporco inglese? Voi tedeschi avete proprio una bella faccia tosta, lo sai? Siete senza cuore."

Marie rise e si avvicinò al ragazzo, guardandolo dritto negli occhi.

"Ed è per questo che vinceremo la guerra. La pietà è per i perdenti."

Henry non ce la faceva più: ma era circondato da umani o da animali? Non ne era più sicuro, ormai. Corse fuori dall'edificio ed andò a nascondersi dietro al tronco di un grande albero. Si guardò intorno per essere sicuro che nessuno l'avesse visto, poi sospirò.

"Che ci fai qui?"

Allora il destino aveva proprio deciso di tormentarlo. Alzò lo sguardo ed incontrò quelle iridi di ghiaccio che però riuscivano a riscaldargli il cuore.
Friedrich si sedette accanto a lui e fece un sorso dalla bottiglia di whisky che teneva in mano.

"Scappo."

"Da cosa?"

"Dalla tristezza. È troppo forte, sopratutto oggi."

Friedrich gli porse la bottiglia e fece un mezzo sorriso. Il sole stava calando e nonostante non nevicasse da un po', faceva freddo.

"Benvenuto nella realtà." disse il biondo.

"Stai offrendo dell'alcool ad un minorenne."

"Scherzi? Siamo in guerra. Ci sono sedicenni che uccidono."

Henry lo guardò negli occhi.

"Io non ho mai ucciso, né bevuto."

"C'è una prima volta per tutto."

Il moro sospirò e prese la bottiglia in mano, per poi fare un sorso. Fece una smorfia di disgusto e tossì un paio di volte, provocando una risata divertita di Friedrich.

"Odio questa merda."

"A nessuno piace, ma sai com'è: la felicità non è gratis."

"L'alcool non porta felicità."

"Ti aiuta a dimenticare."

Ci fu un po' di silenzio, poi Friedrich riprese la bottiglia e fece un altro sorso, ripensando alla prima volta in cui aveva bevuto. Ripensò a quell'orribile giornata di metà Aprile. Quello fu il giorno che segnò la morte della sua anima, ma poi era arrivato Henry con i suoi occhi azzurri, lo sguardo innocente e la sua testardaggine. Con le sue labbra morbide e la pelle liscia. Aveva paura. Iniziava a provare qualcosa per una persona per la prima volta nei suoi diciannove anni di vita e quella persona era un ragazzo. Questo lo spaventava a morte, ma nonostante ciò il suo cuore gli stava dicendo di baciarlo, proprio in quel momento. E così fece, nonostante la sua mente gli urlasse quanto fosse sbagliato.
Henry appoggiò una mano sul suo petto e lo spinse appena, per poi toccarsi le labbra.

"Perché lo fai? Non capisco, davvero. Perché non torni a scoparti Marie? Perché mi tormenti?"

"Io non lo so Henry, okay? Se mi scoprissero mi ucciderebbero, ma nonostante ciò non posso controllare le emozioni che provo quando sto con te."

"Ci insultiamo la maggior parte delle volte."

"Lo so, ma...tu sei diverso, te l'ho già detto. Non hai paura."

Henry rise in modo triste e si passò le mani tra i capelli, mentre le immagini di quel pomeriggio tornavano a tormentarlo.

"Mio padre mi ha insegnato a non aver paura. La paura ti uccide, se hai coraggio sopravvivi. Però oggi ho visto qualcosa che mi ha fatto riflettere, Friedrich."

Il biondo lo guardò per incitarlo a continuare.

"Sapevi di questi campi di concentramento?"

Friedrich rimase a bocca aperta e non parlò. Poi sospirò ed annuì.

"È così fottutamente orribile ciò che fate alla gente. E per cosa? Bisogna essere sadici per farlo. Cazzo, come fate ad uccidere dei poveri bambini?! E le donne e tutti quei poveri uomini..."

"Henry non appoggio ciò che fanno là dentro, ma non posso nemmeno fare niente per fermarlo."

Il moro si alzò ed iniziò a singhiozzare, coprendosi il volto con le mani. Aveva pianto per tutto il giorno ed ora era stanco. Molto stanco. Stanco di tutto ciò.

"Oggi ho avuto davvero paura per la prima volta da quando mi sono arruolato. Ho avuto paura delle persone e di ciò che possono fare..."

Friedrich gli afferrò i polsi e lo scosse un paio di volte, ma Henry non aprì gli occhi e continuò a piangere.

"Cosa ti aspettavi, me lo spieghi? Siamo in guerra, non stiamo giocando. Quando ti sei arruolato pensavi che avresti avuto a che fare con persone felici e sorridenti?!"

Henry si liberò dalla sua presa e gli diede le spalle, guardando il cielo. Per un momento gli sembrò di vedere di nuovo quel fumo.

"La guerra non è rose e fiori, ma un vero e proprio campo di spine." disse Friedrich, dopo un po'.

Non c'era frase più vera.

||

20 Gennaio 1945, Oranienburg

Il signor Kraus guardò Henry entrare nel suo ufficio.
Il ragazzo non aveva idea del motivo per il quale era stato chiamato, ma non poteva negare di avere un po' d'ansia.

"Siediti, ragazzo."

Henry fece come gli era stato detto ed iniziò a torturarsi le mani.

"Hai paura?" chiese l'uomo, notandolo.

Il ragazzo alzò lo sguardo e scosse la testa.

"Perché ha chiesto di me?"

Il sogno Kraus fece un piccolo sospiro, quasi impercettibile e si alzò dalla sua sedia. Si voltò e guardò fuori dalla finestra il paesaggio nuovamente innevato.

"Non ti sei mai chiesto perché io ti abbia risparmiato la vita?"

"In realtà sì, ma non ho mai avuto il coraggio di chiederlo." rispose sinceramente.

L'uomo annuì, continuando a dargli le spalle.

"Avevo un figlio, si chiamava Roman. Un bel ragazzo moro, con gli occhi azzurri e sempre il sorriso stampato in faccia, proprio come te. Non volevo che la guerra gli strappasse quel bel sorriso, ma non potei far niente quando a sedic'anni fu obbligato ad arruolarsi." fece un pausa. "Mi diceva sempre che dopo la guerra saremo andati a pesca al lago che si trovava vicino casa nostra. Amava pescare. Ma la guerra è spietata, non guarda in faccia nessuno. Prende ogni giorno anime innocenti, lasciando il vuoto nei cuori delle persone."

Henry si sentì improvvisamente triste per quelle parole, vere e forti.

"Una pallottola in testa. Ucciso a sangue freddo. Un povero ragazzo di diciassette anni che aveva ancora tutta una vita davanti a sé. Triste, no?"

Il signor Kraus a quel punto si voltò, guardando Henry dritto negli occhi.

"Non ti sto dicendo queste cose per sfogarmi o perché non ho niente di meglio da fare. Lo sto dicendo perché tu hai qualcosa che mi ricorda Roman. Quella luce nei tuoi occhi che è sempre presente, nonostante il dolore. Tu non hai paura, Henry Smith e ti ammiro per questo. Ma anche Roman non temeva nulla, eppure ora si ritrova in una fottuta bara tre metri sotto terra."

Il tono di voce dell'uomo stava lentamente cambiando. Henry era quasi sicuro che stesse per cedere.

"La Germania sta perdendo ragazzo mio. L'arroganza e l'odio la porterà alla rovina. Non ti posso liberare, perché là fuori verresti ucciso, ma posso proteggerti. Se il campo venisse attaccato, corri nel lato ovest. Là troverai un muro. Su uno dei mattoni c'è un segno rosso. Devi toglierlo, sarà facile perché non è un mattone stabile. Una volta tolto troverai una chiave. Essa serve per aprire la porta dell'uscita nascosta dietro al campo."

Henry si accigliò.

"Perché mi dice tutto questo?"

"Hai ascoltato ciò che ti ho detto fino ad ora?"

"Sì, ma... Sta dicendo che dovrei scappare, proprio come farebbe un codardo?"

L'uomo sospirò e si passò una mano tra i capelli.

"Ragazzo, a volte bisogna avere paura per potersi salvare il culo. È l'adrenalina che dà la spinta per correre dai pericoli, no? La paura produce adrenalina, quindi ci salva il culo dal pericolo."

"Ma-..."

"Niente obiezioni. Voglio che tu sopravviva, sei troppo giovane per morire."

"Non riesco ancora a capire, signore."

"Non c'è bisogno che tu capisca. Un giorno lo farai."

||

22 Gennaio 1945, Oranienburg

Friedrich fu svegliato da delle urla provenienti dall'esterno. Si alzò dal letto e si vestì velocemente, precipitandosi fuori. Nella piazza centrale del campo c'era Henry bendato e inginocchiato a terra, mentre suo padre e suo fratello Timo stavano in piedi dietro di lui.
Friedrich si accigliò e corse verso il padre, che aveva una pistola in mano.

"Oh, Friedrich, come va figliolo mio?"
Il ragazzo scosse la testa e lo guardò con rabbia. Intanto erano arrivati altri soldati, tra cui Justus.

"Cosa cazzo ci fai qui?! Perché hai quella pistola in mano?"

Il padre ghignò ed indicò Henry, che se ne stava a testa bassa: non sembrava affatto turbato da quella situazione, se ne stava lì bendato ed inginocchiato a terra. Non una parola di supplica, non un lamento. Semplicemente se ne stava lì tranquillamente ad aspettare la sua morte. E ciò fece incazzare ancora di più Friedrich, perché a volte sembrava che Henry volesse davvero morire.

"Io e Timo siamo venuti qui a farti visita, ma mentre stavamo entrando nel dormitorio una certa Marie mi ha informato di un prigioniero inglese un po' speciale." suo padre caricò la pistola e sorrise. "Ma noi siamo in guerra e questo non è un fottuto ostello."

"Non sei il capo di questo campo, non hai il dirit-..."

"Oh ma taci, idiota! Non hai nemmeno avuto le palle di uccidere un inutile ragazzino! Non permetterti di parlarmi così." il signor Meyer rise. "Ma che mi aspettavo? Non hai nemmeno avuto il coraggio di uccidere un cervo!" un'altra risata.

"Papà, smettila." intervenne Timo, cercando di calmare gli animi.

Il ragazzo venne bellamente ignorato. Friedrich avvertì una rabbia profonda e mai sentita prima, assalirlo. Pensò che se suo padre voleva ferire lui andava bene, ma se voleva far del male ad Henry allora le cose cambiavano. Doveva proteggerlo.

"Tu non toccherai quel ragazzo, non ha fatto niente di male! Dammi quella pistola!" urlò, fuori di sé.

Suo padre lo guardò negli occhi e i soldati là vicino iniziarono a parlottare tra di loro. Alla fine il signor Meyer sospirò e mise via la pistola.

"Vedo che sei cambiato, Friedrich. Non hai più paura di me." disse, per poi ridere. "Bravo il mio ragazzo. Dai, andiamo a berci qualcosa di forte. E voi, liberate quel ragazzino. Non voglio torni nel dormitorio."

"E dove starà? Si gela..."

Suo padre e Timo lo guardarono accigliati, come se avesse detto la cosa più assurda del mondo.

"Andiamo, Friedrich. Non deve interessarti." disse Tino, per poi seguire il padre che era già entrato.

Due soldati liberarono Henry e lo spinsero a terra, facendolo sporcare di fango, dato che aveva iniziato a piovere. Il ragazzo era confuso, era successo tutto in fretta: era stato portato là fuori, legato, bendato e poi aveva sentito una lunga e accesa conversazione in tedesco, prima di essere liberato.
Friedrich si voltò ed incrociò lo sguardò implorante di Henry, che sembrava essersi fatto male ad una caviglia durante la caduta. Il biondo abbassò lo sguardo e si voltò, per poi rientrare.
Henry si lasciò completamente andare sulla terra fangosa, sporcandosi anche una guancia.

"Henry, vieni, fa freddo qua fuori. Ti porto da Annalena." era la voce di Justus.

"N-Non posso."

"Come non puoi?"

Justus si inginocchiò a terra e accarezzò i capelli del più piccolo. La pioggia continuava a scendere dal cielo ed Henry trovò bellissimo il suono che produceva. Eppure si sentiva vuoto.

"Lasciami morire..." mormorò, prima di perdere i sensi.

Quando Henry si risvegliò, era in una stanza che non conosceva. Qualcuno l'aveva pulito e gli aveva messo un pigiama bianco e profumato. Non riusciva a vedere bene, ma notò una persona seduta su una sedia accanto al letto e che aveva la testa appoggiata sulle sue gambe. Accarezzò i capelli della persona, che si svegliò drizzando la schiena. Friedrich... No, deve essere un sogno.

"Henry, mi hai fatto preoccupare..."

Il ragazzo lo guardò con rancore e strinse i pugni. Aveva una bella faccia tosta.

"Non sembravi così preoccupato quando mi hai lasciato là per terra come il peggiore dei vermi." disse, acido.

Friedrich appoggiò le mani sui pugni chiusi di Henry e sospirò.

"Grazie a me mio padre ti ha risparmiato la vita, ma se ti avessi aiutato lui si sarebbe insospettito. Non potevo correre il rischio di perderti..."

Henry sgranò gli occhi e rilassò le mani.

"Tuo padre voleva uccidermi?"

"S-Sì, lui non conosce la pietà."

Henry strinse con forza il labbro inferiore tra i denti e fissò il vuoto per un po'.

"Sarebbe stato meglio morire. I-Io non posso più vivere con questa angoscia addosso. Voglio solo tornare a casa da mia madre, mio padre e Phill..."

"Phill?"

"Il mio cane. Ma tanto non li vedrò mai più, prima o poi ci rimetterò la pell-..."

La sua frase fu interrotta da un sonoro schiaffo, che lo sorprese. Guardò Friedrich perplesso e si toccò la guancia un po' arrossata.

"Smettila di parlare in questo modo! Se parti con questa mentalità, allora stai certo che non riuscirai mai a tornare a casa. Io ti amo, cazzo e vederti in questo stato mi distrugge! Ce la faremo, insieme, devi solo fidarti di me!"

Henry socchiuse la bocca, completamente scioccato da quel discorso.

"C-Cosa hai detto?"

"Che ce la faremo."

"Prima di quello."

"Che ti amo..."

Henry lo abbracciò, per poi baciarlo. Era felice.

"Anch'io ti amo." sussurrò, prima di baciarlo nuovamente.

I due giovani amanti si ritrovarono a fare l'amore su quello scomodo letto e in quella fredda stanzetta dell'infermeria, ma non aveva importanza. Avevano il loro amore ed i loro corpi avvighiati l'uno all'altro, si scaldavano a vicenda.
Henry era felice per la prima volta dopo anni. E non gli interessava se la gente non avesse capito, nessuno poteva capire quell'amore. Forse nemmeno Henry e Friedrich stessi potevano. Ma a loro bastava averlo e ora che si erano trovati, non si sarebbero mai più lasciati.

||

23 Gennaio 1945, Oranienburg

Friedrich si era svegliato all'alba per risolvere una faccenda che lo stava facendo logorare per la rabbia, dal giorno prima.
Dopo aver attraversato tutto il campo, arrivò ad un piccolo edificio ed entrò. Quella era la struttura dove alloggiavano le donne del campo. Quando arrivò a destinazione, bussò con forza alla porta. Alcune ragazze che passavano là vicino lo guardarono confuse: in effetti lui non doveva essere lì.
L

a porta venne aperta dopo un po' e Marie trascinò subito Friedrich all'interno della stanza, per poi chiuderla.

"Non toccarmi." disse il biondo, respingedola prontamente.

Marie smise di sorridere e lo guardò interrogativa.

"Non vuoi scopare?"

"Perché l'hai fatto? Cos'hai contro Henry?"

La ragazza ghignò e prese una sigaretta dal comodino, per poi accenderla ed iniziare a fumare. Si sedette sul letto e guardò Friedrich dritto negli occhi.

"Perché ti interessa tanto di quell'inglese?" chiese, per poi buttare fuori il fumo.

Il biondo strinse i pugni, ma cercò di non far vedere che era nervoso.

"Non lo so." rispose, con tono freddo.

"Te lo dico io il perché: te ne sei innamorato perdutamente."

Quelle parole fluttuarono nell'aria e furono seguite da un lungo silenzio.
Marie si alzò dal letto e si avvicinò a Friedrich.

"Allora è davvero così!" esclamò la ragazza, per poi scoppiare a ridere. "Scopavi con me solo per la frustrazione di non poterlo fare con un ragazzo, ma poi le cose sono cambiate. È arrivato Henry e hai smesso di scoparti me, perché c'era il suo bel culetto! E bravo Friedrich."

"Chiudi quella bocca! Vuoi che ti sentino?"

Marie sembrò pensarci, poi sorrise con malizia.

"Se tuo padre lo scoprisse ti ucciderebbe con le sue mani." ridacchiò, per poi accarezzare la cicatrice sul collo di Friedrich. "Perché lui? Perché non me? Il vostro amore è proibito e doloroso."

Friedrich le afferrò i polsi e la guardò con rabbia.

"Tu non sai niente di noi."

"Friedrich, fai l'amore con me. Ti prego, lascia stare quel ragazzino e resta con me." mormorò Marie, mentre delle lacrime iniziavano a rigarle il volto.

Friedrich sospirò e lasciò i suoi polsi.

"Non posso, perché tu non sei lui e sarebbe solo dello sporco sesso. Un giorno troverai quello giusto, Marie." sussurrò, per poi darle un bacio sulla fronte e uscire dalla camera.

Quella stessa mattina Marie si tolse la vita, ingerendo delle pillole rubate dall'infermeria accompagnate da una bottiglia di vodka. Lasciò un bigliettino sul suo cuscino, prima di fare la sua drastica scelta.

"Volevo solo sentirmi libera e leggera come un usignolo in primavera, ma in questo mondo non esiste più pace."

M.

||

24 Gennaio 1945, Oranienburg

Successe tutto troppo in fretta. Quando Henry uscì dall'infermeria in cui era stato per un paio di giorni, capì che era arrivato ciò che tutti aspettavano silenziosamente, ma che comunque speravano non arrivasse mai: stavano attaccando il campo. Dei soldati inglesi e americani si stavano scontrando con quelli tedeschi del campo. Molti scappavano, altri cercavano di aiutare i feriti e molti altri venivano uccisi a sangue freddo da proiettili volanti.
Henry per un momento pensò di scappare ed identificarsi per essere salvato dai suoi compatrioti. Poi, però, pensò a Friedrich. Si diede dello stupido mille volte, mentre si voltava e tornava indietro per cercarlo. Ma non poteva farci niente, lo amava e non si sarebbe dato pace se se ne fosse andato così.
Lo trovò seduto a terra, nascosto dietro ad un albero. Si teneva la coscia destra con una mano, che era sporca di sangue.

"Cazzo, Friedrich!"

Henry si inginocchiò a terra ed appoggiò la mano su quella insanguinata dell'amante.
Il biondo gli sorrise, per poi fare una smorfia di dolore.

"Pensavo non ti avrei mai più rivisto, Henry..."

"S-Sei ferito, hai bisogno d'aiuto!"

Henry fece per alzarsi, ma Friedrich lo trattenne per un polso.

"Rimani, ti prego."

"Frie-..."

"Ho paura."

"Di cosa?"

"Di morire."

Henry lo baciò con passione, per poi staccarsi. Lo guardò negli occhi e strinse le sue spalle.

"Non provare nemmeno a pensarci, tu non mi lascerai qui da solo. Ho bisogno di te."

"Henry, non penso di potercela fare..."

"Sei stato tu stesso a dirmi che ce la faremo insieme, due giorni fa. Conosco un modo per uscire da qui."

Friedrich non fece altre domande e strinse i denti, facendosi aiutare da Henry. Il moro aveva ancora dolore alla caviglia, ma decise di ignorarlo. Doveva, ignorarlo.
Insieme, raggiunsero il luogo che il signor Kraus gli aveva indicato qualche giorno prima. Seguì le sue indicazioni e riuscì ad aprire il cancello, che dava su un bosco.

"Come facevi a..."

"Il signor Kraus. Ora risparmia il fiato per camminare."

Friedrich lo guardò e sorrise appena, stringendosi ancora di più la gamba ferita.

"Ti amo." sussurrò, dopo un po'.

Henry sorrise.

"Anch'io ti amo."

I due camminarono per mezz'ora circa, prima di raggiungere un campo inglese situato fuori Oranienburg.

"Se gli inglesi sono qui, significa che presto raggiungeranno Berlino."

"Quindi la guerra sta per finire." disse Henry, felice.

I due ragazzi arrivarono fino all'entrata del campo, dove due soldati gli puntarono subito dei fucili addosso.

"Fermi! Sono uno di voi, sono inglese!" urlò Henry, mostrandogli un documento che teneva sempre con sé.

I due annuirono.

"Ragazzo, che ci fai qui? E perché stai aiutandoun tedesco?"

Henry guardò Friedrich, poi tornò ai due soldati.

"Perché siamo tutti essere umani."

Friedrich fu curato nel campo ed Henry rimase accanto a lui per tutto il tempo.
Una settimana dopo, Henry decise che era arrivato il momento di tornare a casa. Si sentiva turbato e aveva bisogno di tornare respirare. Andò nella tenda di Friedrich e si sdraiò sul lettino, accanto a lui. I due si guardarono negli occhi per un po', prima che Friedrich interrompesse quel silenzio.

"Te ne stai andando, non è così?"

"Come fai a saperlo?"

"Lo leggo nei tuoi occhi, Henry. Sei stanco, molto stanco."

Henry lo baciò e Friedrich lo strinse a sé. Quando si staccarono, il moro gli diede un foglietto, per poi accarezzargli i capelli.

"È il mio indirizzo di Londra. Promettimi che mi scriverai."

"Lo farò."

Friedrich si impossessò delle sue labbra ed iniziò a baciarlo e ad accarezzarlo, come se avesse voluto fargli ricordare per sempre di quel bacio e di quel loro amore segreto.
Henry si staccò lentamente e con fatica, per poi guardarlo negli occhi: gli sarebbero mancate quelle bellissime iridi azzure.

"Non dimenticarti di me, Henry."

"Non lo farò, Friedrich. Ora devo andare..."

Si alzò e si voltò, andando verso l'uscita della tenda. Si bloccò e strinse i pugni: non doveva piangere o sarebbe stato più doloroso.

"Ricordi quando mi hai detto che la guerra è un campo di spine?"

"Sì..."

"Se non fosse stato per te ci sarei morto dentro a quel campo di spine, ma tu mi hai salvato."

|Fine parte 1|


*Perdonatemi per eventuali errori, ma questa storia è così lunga che me ne saranno sfuggiti alcuni. Farò un'altra revisione, ma non ora.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top