Tea party
Quando Arianna ed Enrico si conobbero, il mondo era un posto complicato, ma la vita era semplice.
La guerra era un ricordo, non lontano, ma un monito, un modo per spronare la gente a fare meglio di ciò che aveva sempre fatto, a essere meglio di ciò che era sempre stata.
Si vedevano ogni giorno, in quella piccola via del centro del paese, alla mattina presto: lei aveva un negozio di animali e lui, alla saracinesca accanto, gestiva una bottega piena zeppa di mobili.
Enrico era un falegname, amava lavorare il legno, trasformare una semplice asse in qualcosa di utile all'uomo; gli piaceva assemblare, creare e scolpire. Era lui stesso a intagliare i disegni sui fianchi dei comò, per renderli più eleganti, così come sapeva che era importante nutrire e lucidare ogni pezzo, come fosse ancora una pianta viva: giorno dopo giorno, si prendeva cura dei suoi mobili nella sua falegnameria.
La bottega si chiamava "Lo scrittoio".
L'insegna accanto, mentre oscillava al vento che si incanalava nel vicolo, cigolava quasi a voler dar voce all'uccello disegnatovi sopra.
Gli animali all'interno del negozio sonnecchiavano a quell'ora, quando tutto era ancora silenzio, ma il sole, sorgendo, infondeva una nuova voglia di vivere la giornata.
Nel momento in cui Arianna girava la chiave nella toppa, però, i cuccioli di cane sollevavano lo sguardo in direzione della porta, gli uccellini lasciavano sgusciare la testa fuori dall'ala, i mici cominciavano a fare le fusa e lei, la loro temporanea padrona, sorrideva a tutti, dispensando cibo e carezze.
Il negozio si chiamava "Il corvo".
Così, ogni mattina, Enrico e Arianna arrivavano davanti ai loro negozi dai lati opposti della via, si salutavano, si sorridevano; lei apriva la porta a vetri, lui alzava la saracinesca di ferro.
Uno sguardo distolto, una domanda taciuta. Eppure erano lì, uno affianco all'altra, pronti a nutrire le loro passioni a modo loro.
Perché in qualche modo erano simili, in qualche modo si prendevano cura entrambi di qualcun altro, di qualcos'altro. Perché un corvo è come uno scrittoio?
Perché, quando accudiva i suoi animali, Arianna cantava, a volte con voce sommessa, altre alzava il volume della radio e si lasciava andare, azzardando anche qualche giravolta tra le gabbie, e, quando succedeva, Enrico sorrideva, sentiva il petto scaldarsi di un nuovo tepore, dedicava più cura nell'accarezzare i suoi mobili, sognando, senza nemmeno rendersene conto, di poter sfiorare il corpo di lei.
E poi la sera tutto si ripeteva, ma al contrario: quando arrivava l'ora della chiusura, i cinguettii si facevano più rari, le tartarughe si rintanavano nei loro gusci e i serpenti sparivano sotto le rocce; dall'altra parte del muro la sega circolare smetteva di ronzare e la colla sembrava impegnarsi di più per tener ben salde le gambe di una sedia.
Solo allora, quando tutto era di nuovo silenzio, Arianna si avvicinava nuovamente alla porta di vetro, notando Enrico allungare le braccia per abbassare la saracinesca. E così ancora un saluto, un augurio di buona serata sussurrato e il desiderio di passarla insieme, in qualche modo, di nuovo sfumato.
La delicatezza di quella donna si esprimeva in ogni suo gesto e occupava la mente dell'uomo per tutta la giornata e buona parte della notte; l'eleganza dei suoi gesti erano un film al rallentatore, nel quale riusciva a distinguere ogni dettaglio, le dita affusolate, la vita sottile, la schiena diritta.
Fu per questi motivi, per ciò che sentiva nello stomaco ogni volta che la guardava, che Enrico decise di fare qualcosa.
Qualche sera dopo, poco prima dell'orario di chiusura, il falegname varcò la soglia del negozio di animali; la cosa sorprese Arianna, che lo fissò un momento come fosse un'apparizione, qualcosa che aveva sempre desiderato e non credeva potesse mai avverarsi.
Era un uomo buono, onesto, lo sapeva, e avrebbe voluto conoscere quell'animo che la incuriosiva ogni volta che lo incontrava.
L'uomo teneva le braccia dietro la schiena e lo sguardo basso, cercando di nascondere il rossore delle guance; era di poche parole, ma i suoi occhi le avevano parlato tanto in quei giorni.
Enrico portò avanti le mani per mostrarle una scultura in legno: aveva intagliato la figura di un corvo, aggrappato su un ramo, con un'ala sollevata e il capo piegato in quella direzione, immortalato nell'atto di accogliere e proteggere.
Fece un altro passo verso Arianna e glielo porse; la donna prese il corvo tra le mani, quasi fosse una reliquia, accarezzandone le venature del legno, le piume che sembravano vere, fissando gli occhi che parevano brillare. Quell'immagine era amorevole e amore al tempo stesso, perciò desiderò rannicchiarsi sotto quell'ala. Guardò Enrico e gli sorrise, grata e felice.
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