Ritorno a casa

Ora sono io l'uomo di casa.

Non sono più un bambino ormai, non lo sono da un bel po'.

E non perché abbia undici anni, ma perché l'uomo di casa, quello originale, quello adulto, quello nato prima di me e che poi mi ha generato, non c'è più.

È morto lasciandomi qui, con la mamma, avvinta dalla sofferenza, mentre io non posso far altro che rappresentare una pallida imitazione di quello che era lui, sperando di diventare un giorno ciò che lui avrebbe voluto che fossi.

Così ogni giorno lavoro su me stesso, dimenticando di essere solo un ragazzino.

Per questo motivo oggi ho deciso di rendere felice la mamma.

L'ho portata al giardino botanico, quasi trascinandola per un braccio, sordo alle sue proteste, continuando, come un disco difettoso sottomesso alla pressione della puntina, a ripetere che le avrebbe fatto bene, che si sarebbe rilassata, che le è sempre piaciuto "quindi perché no?".

Non so bene cosa sia la depressione, ma questa parola ormai aleggia in casa nostra come un ospite indesiderato, tanto che a volte vorrei apparecchiare per tre, escludendo comunque mio padre dalle nostre vite.

La giornata è perfetta, il sole è caldo sulle braccia scoperte e, ovunque volgiamo lo sguardo, il verde ci circonda: piante, foglie, alberi e prati tagliati con cura.

Colorate aiuole formano bizzarre figure geometriche, mentre corsi d'acqua artificiali ospitano pesci e anfibi di varie razze.

Corro ancora entusiasta, cercando di coinvolgere mia madre nella mia allegria, ma quando mi giro il suo volto è spento, come sempre.

No, non come sempre. Perché c'è stato un prima. E prima lei era radiosa, come questa giornata.

Mi bastava guardarla per sentire sbocciare la primavera nel mio cuore.

Ora invece ho lastricato tutto, ho posato una pietra dopo l'altra, per preparare il terreno all'adulto che sarò.

Volto un altro tunnel di rampicanti e provo piacere anche nel sentire il fresco dell'ombra.

«Mamma, vieni a sentire come si sta bene qui!» provo a convincerla a seguirmi. Ma quando mi volto lei è sparita e la sua figura, magra e minuta, non c'è più.

Torno indietro a prenderla, ma non la scorgo.

Vedo gli altri visitatori con gli occhi spalancati su alti tronchi maestosi, su piante dai colori sgargianti; è la meraviglia a riempire i loro volti? No, sono i sorrisi.

Stanno sorridendo e la cosa mi irrita, perché è un gesto che mi sembra di non saper più compiere.

È qualcosa che non mi appartiene più.

È qualcosa che non ritrovo più in mia madre.

Ho perso mia madre. Tanto tempo fa.

Ma lo scopo di questa giornata è ritrovarla, giusto? Così continuo a cercarla, nei visi di quegli sconosciuti, nelle loro voci, in un gesto che potrebbe risvegliare un ricordo amorevole del passato, di quando eravamo felici, di quando eravamo.

È l'esistenza ad averci abbandonato? No, siamo noi che stiamo cadendo nell'oblio. E, ancora una volta, mi rifiuto.

Voglio rialzarmi, voglio salire a galla, voglio respirare e sentirmi ancora vivo, perché io lo sono!

E anche lei lo è. Ed è questo che deve capire.

Perciò devo trovarla, per spiegarglielo. Per dirle che, anche se papà è morto, lei è viva e non deve sentirsi in colpa per questo.

Continuo a correre tra i sentieri, sorpassando fontane e oltrepassando ponticelli, il fiato corto, lo sguardo atterrito, l'ansia di fallire; torno sui miei passi e prendo nuove vie, finché non la trovo, seduta su una panchina, all'ombra di un olmo dai rami larghi e bassi.

Sembra di vedere una bambina abbracciata da un gigante.

Vorrei essere quell'olmo. Vorrei avere quella possanza. Vorrei proteggerla a quel modo.

E invece non sono altro che un ragazzino che ha perso la mamma in un giardino botanico.

Le lacrime cominciano a scendere silenziose senza che io riesca a fermarle.

Un uomo non piange.

Ma non sono ancora un uomo, perciò posso permettermelo?

Mia madre alza lo sguardo dal grembo e mi vede: «Tesoro, che succede?» La sua voce è armoniosa, mentre mi tende le braccia in attesa che la raggiunga.

«Io... Io...» I singhiozzi della paura mi fanno balbettare: «Non riuscivo a trovarti.»

«Sono qui, amore. Sarò sempre qui.» E sorride.


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Questo racconto ha vinto il 1° posto per l'undicesima prova settimanale del contest.


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