Riavvolgendo il nastro del tempo

«Piacere, sono Justin. Justin Time.» disse il ragazzo, allungando una mano verso la ragazza.

Lei rispose con un sorriso e gliela strinse: «Rebecca Come, ma puoi chiamarmi Becky.»

Fu così che colei che voleva tornare indietro nel tempo per ricominciare daccapo, incontrò colui che era sempre al posto giusto al momento giusto.

Erano seduti alla panchina della metro, in attesa del treno, lui perché era la linea più comoda per tornare a casa, lei perché aveva perso l'autobus e avrebbe dovuto fare due cambi per rincasare.

«E così vorresti resettare questa giornata» le aveva chiesto divertito, anche se non sembrava una vera e propria domanda, quasi la necessità di una conferma.

Becky aveva alzato gli occhi al cielo, ripensando all'ultima cosa che le era successa, poco prima di uscire da lavoro, la conferma che quel giorno il mondo ce l'avesse con lei.

Si era avvicinata alla fotocopiatrice, una macchina grande quanto un comò; doveva fare venti copie del fascicolo Raynolds, ma, appena aveva sistemato il plico sul vassoio, era saltata la corrente. A tutto il piano!

Non poteva sapere che la causa era ubicata giusto cinque stanze più in là, nella sala test dell'azienda, dove proprio Justin stava provando il software che aveva appena finito di sviluppare per un dispositivo di domotica, su cui stava lavorando da mesi, ormai. L'aveva installato, ma... Qualcosa doveva essere andato storto, perché si era creato un sovraccarico di tensione e tutto si era spento, provocando un black out di circa un'ora.

Eppure la ragazza si era sentita sopraffatta, come se si fosse trattato di un piano dell'universo per boicottarle l'esistenza.

Solo poche ore prima infatti era arrivata trafelata nell'atrio del palazzo, in ritardo, di nuovo. Ma l'ascensore era occupato ed era stata costretta a fare sei piani a piedi. Non poteva permettersi di perdere altro tempo prezioso: se il suo capo, il signor Larramee, l'avesse beccata un'altra volta arrivare fuori orario, le avrebbe decurtato lo stipendio.

A ogni piano malediceva quell'ascensore che non ne voleva sapere di liberarsi e che la stava costringendo a un'attività fisica imprevista di prima mattina.

Lo stesso ascensore che Justin stava placidamente occupando, poiché entrato nell'edificio giusto un paio di minuti prima, ma solo dopo aver terminato di bere il suo caffè.

Anzi, nemmeno il suo, perché Sarah, la cameriera del bar all'angolo dove si recava ogni mattina, quel giorno gli aveva servito per errore il caffè destinato a qualcun altro. Non se ne era accorto, se non a un paio di isolati di distanza, quindi ormai sarebbe stato inutile tornare indietro, e poi un macchiato era una piacevole, quanto inaspettata, alternativa al suo solito nero.

Considerando anche il fatto che aveva tra i denti la sua ciambella preferita, con la marmellata di lamponi, la sua giornata gli sembrava sorridere a ogni passo.

Anche quando, per la spiacevole, quanto incontrollata, azione della forza di gravità, una chiazza di marmellata andò a posarsi sul marciapiede, Justin non se ne curò più di tanto, pensando che almeno non si era sporcato la cravatta o la camicia.

Non poteva certo immaginare che quella stessa confettura avrebbe provocato il ritardo di Becky che, almeno per quel giorno non sarebbe stato imputato alla sua pigrizia.

La ragazza infatti era dovuta tornare indietro a cambiarsi le scarpe, visto che, mentre stava facendo il solito slalom tra i passanti per andare a prendere l'autobus, nello scansare un paio di ragazzine che le intralciavano il passo andando a scuola, non si era accorta di mettere il piede in fallo e prendere in pieno proprio quella chiazza di marmellata. Aveva slittato col piede sul lastricato e, nell'intento di mantenere l'equilibrio, il tacco aveva scricchiolato, finché si era rotto completamente.

Era dovuta tornare indietro a cambiarsi le scarpe.

Come se la beffa del caffè sbagliato non fosse stata sufficiente. Il suo macchiato infatti, quello per cui aveva telefonato mentre si affannava sul marciapiede affollato, quello che avrebbero dovuto mettere da parte per lei, era stato servito a un altro tizio solo pochi minuti prima.

Quando le avevano comunicato il disguido, aveva guardato l'orologio sulla parete del locale, ricevendo la conferma che non aveva tempo per aspettare un'altra tazza, così aveva afferrato tutto ed era corsa in strada, diretta verso l'ufficio.

Una mattina impiegata, come tante altre, a rincorrere un tempo che invece sfuggiva inesorabilmente al suo controllo.


*Di questa complicatissima traccia (maledetta me quando l'ho ideata) avevo in mente solo due cose: i nomi dei protagonisti. Il primo, che non è mio, ma di un cartone animato di cui conosco (appunto) solo il nome e che mi ha sempre intrigato per il gioco di parole; il secondo per il suono evocativo che hanno cognome e nome abbreviato. Tutto il resto è particolarmente discutibile.


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