Prospettiva alternativa
Nel cuore dell'Italia, nel cuore dell'Abruzzo, nel cuore degli Appennini, c'è una città dal nome tanto semplice quanto evocativo: L'Aquila.
Una città che si aggrappa alle rocce delle sue montagne, rimanendo all'ombra della pietra più grande della nazione, il Gran Sasso, e provando comunque a spiccare il volo.
Detta anche "La città dei 99", unica in tutta Italia, con novantanove piazze, novantanove chiese e novantanove fontane, non contenta si è anche costruita la Fontana delle novantanove cannelle.
Nata in tempi antichi, conquistata dai Romani nel III secolo a.C., poi dai Normanni nel XII secolo, ha subìto molte influenze culturali e tante sono le leggende che la vedono coinvolta, prima fra tutte quella che la identificano custode del Santo Graal, nascosto lì dai Cavalieri Templari.
Ma se anche di questo non si ha certezza, di sicuro si sa che Papa Celestino V ebbe una grande influenza sulla città e i suoi abitanti: nel 1294 emanò una bolla papale per concedere l'indulgenza plenaria e universale a tutta l'umanità. Così avviene ancora oggi, durante la Festa della Perdonanza, per chiunque attraversi la porta sul lato settentrionale della Basilica di Santa Maria di Collemaggio, la Porta Santa o Porta di Celestino.
Ma si dice anche che Collemaggio sia stato in passato ricovero di matti, tanto che tra gli aquilani è facile sentire frasi scherzose come "Sembri scappato da Collemaggio", per sottintendere che stai assumendo un comportamento "fuori dalla norma" e che forse sei scappato dalle cure di bravi dottori.
La cosa bella è che questa meravigliosa Basilica del 1300 è circondata da un parco immenso, da un "pratone" in cui i ragazzi giocano a rugby o anche a calcio, un posto in cui la gente va a correre ("Oggi ho fatto quattro giri di Collemaggio", "Andiamo a correre a Collemaggio?",...) e le famiglie a far giocare i bambini, una vastità verde dove far scorrazzare i cani... ah... i cani de L'Aquila. Sì, perché i cani randagi sono una delle comunità più presenti in città: sono i padroni delle strade, rincorrono le auto, fingendo di morderne le ruote, e si assicurano che torni a casa la sera, facendoti da scorta, così che nessuno possa importunarti.
Perché la strada dalla Fontana Luminosa a Piazza Duomo è lunga, devi passare anche i Quattro Cantoni, che è l'incrocio tra Via San Bernardino e Corso Vittorio Emanuele, e ogni volta ti viene voglia di chiamare altri 3 amici e posizionarvi agli angoli per giocare, evitando le macchine che passano.
Ma quando arrivi sulla piazza principale e ti chiedi quale delle due chiese, che a te sembrano identiche e non lo sono, sia il Duomo, non puoi non notare le due fontane poste agli estremi. E le fontane, al contrario delle chiese, sono identiche, quindi quando ti dai appuntamento con gli amici devi per forza specificare se "alla fontana di sopra o di sotto".
Se invece, arrivato ai Quattro Cantoni, giri per Via San Bernardino puoi imbatterti nell'altra enorme e affascinante Basilica, quella di tal Santo, con la sua lunga scalinata sul davanti, che porta dritta dritta su Via Fortebraccio, un'altra grande arteria che, se la percorri tutta, ti fa sbucare su Via Strinella e i suoi negozi e le case "quelle belle e meno costose, ma non sono in centro".
E poi c'è Costa Masciarelli che si trasforma in Via Cimino, perché L'Aquila è così, inizia in un modo e si trasforma in qualcos'altro: sei su una scalinata e all'improvviso calpesti sanpietrini e poi asfalto e poi ancora erba.
Via XX Settembre col Tribunale, Viale Duca degli Abruzzi che sbuca al Castello di Federico II immerso in un altro parco e il giro ricomincia, perché in fondo L'Aquila è una piccola città, a misura d'uomo, dove prendi i mezzi pubblici solo per spostarti nei paesini vicini, molto probabilmente per frequentare le lezioni all'università: Coppito per Scienze e Medicina, Roio per Ingegneria, mentre le materie umanistiche hanno gli edifici belli e antichi nel centro della città.
Sì, perché L'Aquila non è solo una città tranquilla, è anche e soprattutto giovane, pullula di vita, di locali, di ragazzi che festeggiano il giovedì universitario, perché il venerdì devono tornare a casa per il finesettimana, mentre i fuori sede rimangono a fare loro un posto che chiameranno casa per almeno tre anni.
...
No. No. L'Aquila era. L'Aquila era e non è più. E ciò che è, non è ciò che era.
Perché la Terra su cui viviamo vive a prescindere da noi e la vita del pianeta scorre, fregandosene della nostra presenza. Così un giorno ha ben pensato di borbottare tutto il suo disappunto, una volta, due, tre, per settimane e mesi interi.
La terra tremava, un rumore di fondo era diventato compagno inquietante di chi la calpestava.
Ma l'uomo non capiva ancora, o fingeva di non capire, o comunque non faceva niente per mettersi al sicuro, o almeno per ammettere che ci fosse un elefante nella stanza.
Quindi la terra si è stancata.
Il 6 aprile del 2009, alle 3:32, nel cuore della notte, la terra ha tremato più delle altre volte, scuotendo i muri, facendo crollare i ricordi, troncando vite insieme alle linee elettriche e telefoniche, con la stessa facilità.
309 vittime.
1.500 feriti.
65.000 sfollati.
Persone senza case. Persone senza affetti. Persone senza vite.
Da quella notte L'Aquila è la città fantasma.
Eppure sempre fiera, con la voglia di rinascere, di ripartire, di riaprire i locali, di non chiudere l'università, di ricostruire le novantanove chiese, di ripopolare le novantanove piazze. Una città fatta di cantieri e gru che si stagliano al cielo con la promessa di far spiccare ancora il volo ai suoi abitanti.
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