Notre Dame della musica

Era una capacità acquisita con l'esperienza la sua: isolarsi dal mormorio che la circondava.

Ormai riusciva a farlo in qualsiasi occasione lo ritenesse opportuno, soprattutto quando disegnava.

Léontine era abituata a stare seduta a gambe incrociate sul pavimento di marmo del Museo D'Orsay, con la schiena poggiata al muro e gli occhi che rimbalzavano dal foglio all'opera che cercava di riprodurre.

In quel momento era "La donna morsa da serpente" di Clésinger e stava cercando di riportare su carta l'ombra pronunciata sotto i seni rigonfi; col ventre era stato più semplice, la schiena era inarcata all'indietro ed era anche riuscita a evidenziare le pieghe del fianco, ma i seni... Se marcava il tratto le sembrava di renderla volgare, invece era sensuale nella sua morte così naturale, così sofferente. Le mani intrecciate tra i capelli, quasi a volerli strappare, il collo esposto, come ad aspettare, rassegnata, la lama della Falce.

Un altro visitatore attraversò la sua scena, ma i suoi occhi lo filtrarono e puntarono ancora sul marmo a pochi metri da lei; un altro tratto seguito da un passaggio di gommapane e una smorfia di disappunto.

Se avesse continuato così, avrebbe mandato al diavolo tutto e avrebbe ricominciato da zero.

Poi si accigliò, con un riflesso involontario a chissà quale stimolo, non le era chiaro.

Proseguì il suo studio, ma poi lo percepì ancora e si concentrò sulla sensazione.

Un ricordo improvviso di quando era piccola.

Poi un altro: l'immagine di Olivier che abbandonava il suo appartamento.

Che strano che quei due ricordi si susseguissero a quel modo, come per associazione di idee.

Scosse la testa e tornò a dedicarsi al disegno, ma bloccò di nuovo la matita: sentiva una musica.

Sollevò lo sguardo da una parte all'altra, i turisti erano tanti, troppi come al solito, ma nessuno era così folle da mettesi ad ascoltare musica.

Ascoltò con più attenzione e riconobbe gli archi.

E di nuovo l'immagine di se stessa a dieci anni le invase la mente; avvolta in una nuvola di tulle ascoltava attentamente le istruzioni della maestra e provava ad allungare il collo del piedino.

Mise il broncio come allora, detestava non riuscire nelle cose che faceva, così convinse i suoi genitori a farle abbandonare le lezioni di danza.

Ora però non riusciva a capire da dove provenisse quella musica.

Si alzò, dimentica del blocco da disegno, cercando di individuare la fonte di quei suoni; alzò la testa cercando di individuare eventuali altoparlanti che il Museo avesse potuto installare per intrattenere i visitatori, ma sapeva che era impossibile.

Continuò a camminare circospetta, e pian piano si ritrovò a canticchiare quella musica.

Giselle!

Ecco il motivo per cui le erano tornate in mente le lezioni di danza. Amava il balletto di Adam, le avevano raccontato quella storia, così romantica e struggente allo stesso tempo, e la piccola Léontine sognava di diventare anche lei una bellissima Villi.

Un altro passo e un altro ancora e si rese conto di camminare sulle punte dei piedi, si muoveva leggera e le sue braccia accarezzavano l'aria mentre si faceva largo tra i turisti.

La musica aumentò di intensità, la chiamò, la guidò e lei la seguì finché non la raggiunse: la sala di Degas.

Il Museo D'Orsay aveva dedicato uno spazio alle ballerine del pittore impressionista, raccogliendo temporaneamente anche opere provenienti da altri Paesi, perciò Léontine si ritrovò ad assistere a lezioni di danza alla sbarra, a seguire le pose di preparazione come le protagoniste del dipinto del 1883, a sentire la musica de "L'orchestra dell'Opéra", mentre tulle e rasi rosa e celesti svolazzavano sul fondo della scena.

Possibile che la musica provenisse da quel quadro?

Poi un colpo, sordo, secco, la fece voltare con le mani a mezz'aria.

Jules Perrot la fissava dalla sua sala.

Un altro colpo. Il bastone batté sulle tavole di legno.

E ancora, a darle un tempo che Léontine seguì istintivamente.

L'orchestra suonava, i fiati stridevano, gli archi accompagnavano e le altre bambine si muovevano a loro agio per tutta la stanza: ridacchiavano, si esercitavano, si riposavano, ascoltavano il maestro e provavano. E lei con loro, con lo sguardo di Perrot su di sè.

Giselle, era Giselle e lei doveva essere perfetta.

Sentì male nel petto, sentì la sofferenza della ragazza, sentì la pazzia nella mente, sentì l'abbandono di Olivier come il tradimento di Albrecht. Danzò nella stanza, saltò al cospetto del coreografo, sperando di essere abbastanza, di essere all'altezza.

Raggiunse il centro della sala e si fermò davanti al piedistallo di legno dal quale Marie van Goethem attendeva, le mani dietro la schiena, il petto in fuori, la gamba tesa e il piede a squadra.

Perrot continuava a battere il suo bastone sul pavimento e l'orchestra a incalzare il tema della follia di Giselle.

Léontine saltò, raggiunse Marie, si voltò e si mise in posa: le sue mani presero il posto di quelle della bambina, le gambe entrarono nella cera, il suo corpo si avvolse nel tulle e nel raso del corpetto, il fiocco raccolse i suoi capelli, il suo volto si mischiò con quello di Marie e la posizione di Léontine fu perfetta.

Era diventata una Villi e avrebbe ballato per sempre come Giselle, mentre i visitatori del Museo D'Orsay si muovevano lenti, ignari danzatori del suo corpo di ballo.


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Quando ho letto la traccia ho avuto ben presente questa ragazza che abbandonava il suo blocco da disegno per seguire la musica e diventare un'opera d'arte.

Non so cosa sia scattato in me, ma doveva trattarsi di ballerine. E chi meglio di Degas per rappresentare le ballerine nell'arte?

Uno dei suoi quadri più famosi è "La lezione di danza" (1873-1875), nel quale raffigura, come uno scatto fotografico, una lezione di danza del coreografo Jules Perrot ad alcune bambine.

Perrot, insieme a Jean Coralli curò le coreografie di Giselle, balletto simbolo del Romanticismo.

La storia di Giselle è la storia di un amore infranto: una ragazza semplice, che abita in un villaggio, si innamora del principe Albrecht senza sapere chi sia, che però è promesso a un'altra donna; quando lo scopre, impazzisce e muore di crepacuore. Giselle si trasforma in un fantasma e viene accolta dalle Villi, creature sovrannaturali come le fate; queste vendicano la morte delle giovani donne causata da tradimenti e ingiustizie, costringendo i colpevoli a danzare fino alla morte.

Un altro dettaglio che mi ha incuriosito particolarmente nella storia di Degas e del balletto in generale è che nel quadro della lezione di danza di Perrot la ballerina in alto a sinistra, quella che si gratta la schiena, era una delle modelle preferite dell'artista: Marie van Goethem però, dopo aver iniziato a lavorare per Degas, abbandonò la danza con troppe assenze; non la ammisero più alle lezioni e il suo sogno svanì; diventò alcolizzata, si prostituì e cominciò anche a rubare. Non si sa più nulla di lei e di cosa le sia successo, ma il mondo la ricorderà per sempre grazie alla statua di cera che Degas ha modellato col suo aspetto: "Ballerina di quattordici anni" (1879-1881).

Infine, giusto per completezza, "La donna morsa da serpente" di Clésinger (1847).

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