Mele e torsoli

E luce fu!

La fate facile voi! Ma che ne volete sapere di che cosa significhi essere luce?

L'unica cosa di cui siete certi è che non esiste niente, e dico niente, che sia più veloce di me.

È inutile che adesso vi mettiate a pensare a Superman, perché tanto non esiste veramente, rientrando perciò nella categoria del "niente".

Diciamo che tutto l'alone di mistero che aleggia su di me si è creato quando Newton nel XVII secolo si è comprato un prisma, giusto per poter fare le scarpe a Cartesio: il nostro Sir, giocando col prisma, affermò che, visto che tornavo indietro quando lo colpivo, ero fatta di piccoli corpuscoli che rimbalzano, proprio come quando lanciate una pallina contro il muro e rimbalza.

Un corpuscolo si può muovere in linea retta, mica un'onda!

Quindi a quel punto tutti erano contenti, si erano pure convinti che ogni colore visibile era dovuto a corpuscoli differenti.

E invece nel 1669 un danese ― non il dolce ―, certo Bartholin, se ne uscì dicendo che ero un'onda: la sua brillante teoria seguiva la diffusa idea che "se cammina come un'oca e fa rumore come un'oca, allora è un'oca".

Io mi propagavo come un'onda, mi comportavo come un'onda, ero un'onda!

Ma qualcuno ha fatto il San Tommaso della situazione e ha voluto toccare con mano, perché così era troppo campata in aria la cosa: qualche anno dopo un olandese ― no, non lo zoccolo! La finite di divagare? ― di nome Huygens, che non si pronuncia Iugins o Uigens, ma Oighens, ha fatto un sacco di esperimenti su di me. Esatto, proprio stile Area 51, da film dell'orrore!

Mi ha torturato, vivisezionato, mi ha ricucito... Certo, lui le chiamava "riflessione" o "rifrazione", "diffusione", o ― la mia preferita ― "diffrazione"... Sentite anche voi la crudeltà di tale parola, vero? Huygens disse anche che facevo interferenza... Te lo faccio vedere io che succede se interferisco con la tua faccia! Ti illumino di immenso!

Allora tutti gli scienziati dell'epoca si misero lì, a dare addosso al povero fascio di luce. Come Fresnel, per esempio, un altro genio che si mise a giocare con gli specchi per vedere che succedeva... E che vuoi che succeda, caro Fresnel? Se mi spingi contro uno specchio io torno indietro, mica sono Alice!

Però devo dire che il mio preferito rimane il dottor Young, perché mi ha fatto cose che voi umani... Avete presente quelle spiagge con i frangiflutti ravvicinati tra loro? Li avete mai visti in quelle giornate in cui la brezza marina è tale che dalla parte della riva l'acqua è cheta, mentre dall'altra si individuano semicerchi concentrici? Ma sì, che avete presente! Quelli che si formano tra un pezzo di scogli e l'altro, e partono piano piano e tendono ad allontanarsi, verso il largo, e le linee a un certo punto si incrociano ed è una visione così romantica... No? Non è romantica? Se porti una donna a vedere i frangiflutti a un primo appuntamento, secondo me, è fatta!

Ecco, io so fare quello! Sì, proprio quello che fanno le onde del mare coi frangiflutti!

Young è stato così romantico e... audace... Mi ha messo in relazione con fenditure, teta... Ha saputo trovare i miei picchi così come i minimi... Ah, che uomo...

Ops, scusate, credo di stare irraggiando... Non fa un po' caldo qui? No?

Dunque, dicevo... A quel punto era un macello! Chi diceva che ero un'onda, chi diceva che ero una particella, e ognuno portava fatti e numeri a dimostrazione delle proprie affermazioni.

E io non sapevo come comportarmi, perché, lo ammetto, non volevo fare torto a nessuno. Ma mi veniva spontaneo rimbalzare così come propagarmi.

Allora cominciai un po' a spaventarmi, perché forse non sapevo nemmeno più io chi fossi in realtà. Pallina o mare? Onda o particella?

Insomma, passai così un altro centinaio d'anni... Non so se avete capito bene quanti anni, mesi, giorni, secondi a farsi continuamente la stessa domanda: onda o particella?

Avevo bisogno di aiuto: mi dovevo far vedere da qualcuno, ma da uno bravo!

Trovai un tizio tedesco ― no, Freud era austriaco ―, nell'ufficio brevetti di Berna, tale Einstein, un po' fissato coi conti, un tipo curioso, che si interessava di tutto... Un po' mi ricordava Newton, ma con i mezzi giusti.

Einstein capì subito il mio problema e si ricordò che cinque anni prima il dottor Marx Karl Ernst Ludwig Planck, per gli amici Max, si era inventato tutto quanto, o meglio, il quanto, una pallina infinitesima, un puntino elementare, un pixel microscopico, che si trova in ogni cosa; più esattamente, ogni cosa è fatta di quanti ― e no, non sono una droga e non fanno male! ―

Anche voi siete fatti di quanti, tutto l'universo è fatto di quanti.

Quindi Einstein, giustamente, disse che anche io, la luce, ero fatta di quanti, e mi fece fare un gioco divertentissimo: allora, c'era un metallo, fatto di atomi, protoni ed elettroni, e io ci finivo sopra, gli andavo addosso proprio come un'onda; poi successe che andai a sbattere contro uno di questi elettroni e lo cacciai via, gli diedi una schicchera e quello schizzò fuori con un'energia che era giusto giusto quella che ci avevo messo io nello scontro! Pazzesco, no?

Ecco, quello era il mio quanto, quella schicchera di energia.

Vent'anni dopo il signor Lewis lo battezzò fotone, che ― indovinate un po'? ― in greco significa luce.

Capito la genialata? È vero che sono un'onda, che pervade tutto, avvolge qualsiasi cosa tocchi, ma sono fatta anche di questi piccoli pacchettini di energia, di queste goccioline minuscole, di questi fotoni, che rimbalzano e sbattono, distruggono e creano, e quando sono tutti insieme sono una forza della natura, e corrono, corrono come matti e ancora una volta si propagano, come un flusso continuo, un fascio luminoso, qualcosa di unico, che allo stesso tempo esalta l'individualità del singolo quanto.

Sapete che vi dico? Sono proprio felice di questa mia doppia condizione, perché io sono onda e particella.

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