La paura del cuoco
Domenico scriveva, da sempre.
Aveva cominciato da bambino, da quando suo nonno una volta gli aveva detto: «Quando scrivi, l'impossibile diventa possibile.»
Così aveva cominciato a scrivere di gatti che giocavano con le nuvole come gomitoli di lana, di cavalli che parlavano lingue inventate, di tutto quello che gli sembrava impossibile, sperando prima o poi di vederlo accadere.
Poi un giorno suo nonno gli mostrò una penna, una di quelle stilografiche cicciottelle ed eleganti allo stesso tempo: «Mimino,» così lo chiamava il nonno: «Prendi questa penna. È magica! Se scriverai con questa, non solo l'impossibile diventerà possibile, ma sarà anche reale.» Sembrava una promessa, o una minaccia.
Il ragazzino prese la penna, scettico e diffidente, ma non la usò mai, più che altro perché proprio non gli piaceva tenerla tra le mani e gli sembrava avesse una punta troppo fragile per la sua calligrafia, che invece tendeva a incidere il foglio.
Eppure Domenico crebbe con quelle parole insinuate nella testa, portando la sua fantasia oltre confini che nemmeno immaginava.
Si aggirava per le strade della città con un quadernetto e una biro, per appuntare qualsiasi idea gli passasse per la testa: un sogno, una fantasia, una paura.
E più cresceva e più dava sfogo al lato più oscuro di sé, come a licenziare le sue paure, come a volerle esorcizzare con l'uso della scrittura: pagliacci inquietanti, ragni pelosi e giganteschi, serial killer squartatori, acque profonde, soffocamenti... divennero tutti protagonisti delle sue storie, puntando quasi a trasformarli in qualcosa di grottesco, che mai più gli avrebbe fatto temere qualcosa.
Domenico infatti non temeva nulla, perché nel momento in cui la paura si affacciava nel suo cuore, prendeva il quaderno e la penna e scriveva le sue sensazioni, sentendosi immediatamente meglio, più forte.
Un giorno era a casa, seduto alla scrivania, intento a buttare giù un'idea improvvisa, ma la penna lo abbandonò sul più bello. Gettò quindi le mani oltre i fogli in cerca di una matita, di qualcosa che lo aiutasse, senza trovarlo; aprì il cassetto con dita tremanti, per paura ― ancora quella ― che potesse dimenticare dettagli dell'immagine che gli era balenata nella mente; scansò vecchie pile e fogli sgualciti, post-it e graffette, finendo per toccare la stilografica di suo nonno.
La afferrò trionfante, sperando che l'inchiostro non si fosse rovinato, e ricominciò a scrivere: "La camera era immersa nella penombra, le candide lenzuola erano sgualcite dal corpo della donna che vi si era accasciata sopra, contro il suo volere. Era infatti abbandonata di traverso, in una posa innaturale, con le braccia riverse oltre la testa e gli occhi roteati all'indietro, il capo sporgente dal bordo del letto, una gamba piegata in una curva che non sembrava seguire la piega del ginocchio. E c'era sangue. Sangue dappertutto, che sgorgava, denso come cioccolato fuso, dal taglio profondo che le circondava la gola come un filo di perle..."
Un suono sommesso lo distrasse un momento: sembrava un lento strappo in un pezzo di seta e poi una specie di zampillio. Non se lo stava immaginando, lo sentiva, alle sue spalle. Ma la cucina e il bagno erano dall'altra parte della casa rispetto alla camera da letto.
Si voltò lentamente, la fronte imperlata di sudore, le mani tremanti. Riuscì ad andare oltre la spalla solo con la coda dell'occhio, ormai sbarrato: sul suo letto giaceva, riversa ed esanime, una donna con la gamba rotta, gli occhi spalancati e la gola squarciata da parte a parte.
Schizzò in piedi, facendo ribaltare la seggiola di legno con gran fracasso, si accostò alla scrivania, quasi arrampicandocisi sopra.
Doveva ― voleva ― fuggire da quell'orrore.
Come avrebbe giustificato una donna morta nel suo letto?
Come un uomo che scappa a un incendio, afferrò il quaderno e la stilografica del nonno, tutto quello che aveva di più prezioso, e abbandonò l'appartamento, senza più voltarsi indietro.
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Butto un occhio alla sveglia accanto a me per scoprire che sono quasi le due di notte.
Sento correre un brivido sulla nuca e mi raggomitolo sotto le coperte, come se questo basti a tenermi al sicuro.
Con un tocco sullo schermo metto una stellina al racconto di DomenicoNigro5 e chiudo Wattpad, poggiando il telefono sul comodino.
Tutto è buio. Lo vedo bene perché ho gli occhi spalancati.
Tutto è silenzio. Lo sento bene perché ho le orecchie in allerta.
Non so se riuscirò a dormire, di nuovo...
So che devo smettere di leggere le sue storie dell'orrore nel cuore della notte, ma ogni volta ci ricasco. Anche se mi fanno paura.
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