Il profumo della pietra
La donna guardava incerta la porta chiusa davanti a sé.
Stava facendo la cosa giusta? Sapeva che il suo era un gesto drastico, l'ultima speranza di salvare la figlia, ma era la cosa giusta?
Inspirò a fondo, chiuse gli occhi, radunando tutto il suo coraggio. Alzò la mano per bussare.
«Entra», gridò l'anziana voce.
Yulia sussulto, ma fece come le era stato detto.
Al centro della stanza, una donna dall'età indefinita nello scorrere del tempo la guardava sorridendo gentile.
«Vecchia madre», disse la regina, chinandosi appena.
Zoya sorrise ancora, tristemente. «Mia regina, come posso aiutarti?»
«Ho preso la mia decisione.»
La donna più anziana si avvicinò e le afferrò le mani. «Tutto ha un prezzo, mia signora, ogni azione ha delle conseguenze e ciò che mi hai chiesto, una volta fatto, non può essere disfatto.»
La regina trattenne il respiro. «Ma hai detto che trovando il suo cuore...»
L'anziana la interruppe, scuotendo lentamente la testa. «Se. Ho detto che se ritroverà il suo cuore, il sortilegio si scioglierà.»
Yulia titubò.
«Se non sarà così, figlia mia, la tua dinastia finirà con te.»
La regina serrò le labbra in una linea dura. Inspirò a fondo e guardò determinata l'altra donna. «Se la mia eredità deve essere un'anima sterile che divora l'amore di chi la circonda per rimpiazzarla col vuoto, ebbene, così sia. Preferisco che la mia dinastia si estingua con me, vecchia madre.»
La donna la fissò intensamente, poi annui cupa.
«E sia, mia cara. Ricorda solo i termini: se non troverà qualcuno che la ami per ciò che è, se non troverà qualcuno che riesca a guardare oltre, tua figlia perderà lentamente la sua umanità, fino a diventare quello che è adesso. Una bellissima statua priva d'anima".
Yulia tornò a palazzo, indossando, oltre al suo sontuoso mantello, il senso di colpa per ciò che aveva appena fatto a sua figlia.
Il volto tirato dalla preoccupazione, le occhiaie testimoni di lunghe notti insonni. La regina sapeva che il suo regno sarebbe caduto in rovina se fosse finito nelle mani di Giada per come era adesso, ma... Se sua figlia fosse cambiata... Se solo avesse capito quanto il suo popolo aveva bisogno della sua guida...
Doveva spiegarglielo, doveva recarsi immediatamente da lei e confessarle ciò che aveva chiesto a Zoya.
Arrivata davanti alla stanza della principessa, però, non riuscì nemmeno a bussare alla porta, che questa si spalancò e un giovane, rubizzo ma anche paonazzo, la sorpassò senza quasi rendersi conto di avere davanti a sé la regina degli Effluvii. «Mia regina» la salutò con un inchino affrettato, per poi infilarsi nel corridoio più velocemente che poté.
Yulia sospirò rassegnata e ormai consapevole di aver fatto la scelta giusta; entrò nella stanza di sua figlia e cercò di rivolgere il tono più accusatorio che riuscì a recuperare in quella situazione fin troppo familiare: «Giada! Come hai potuto farlo ancora?»
La ragazza indossava una leggera veste di lino, rosa pallido, che a malapena le copriva le cosce e la schiena; si voltò verso l'entrata, lasciando che i suoi lunghi ricci biondi si adagiassero sui seni, che la madre riconobbe immediatamente arrossati.
«Madre, non capisco a cosa vi riferiate.» Lunghe ciglia violacee coprirono rapide, un paio di volte, due occhi del colore che le erano valsi il nome che portava.
«Non credere non mi sia accorta di come Demid si stesse riallacciando le braghe, uscendo. E so a cosa sono dovuti quei segni rossi che hai sul collo e sul seno. E copri le tue forme, per una volta, in un modo che si confaccia alla principessa degli Effluvii!» La voce, sempre più adirata, di Yulia tuonò alta, rimbalzando sulle pareti di pietra e muschio con cui era stato eretto il castello.
La sfuriata della madre, però, non sembrò raggiungere il suo scopo, visto che la figlia si limitò a scrollare le spalle e a sedere sul morbido giaciglio, accavallando le gambe nude. «Non capisco perché dovrei farlo. A nessuno importa come mi vesta, visto che per riconoscerci ci basta solo il nostro odore.» Giada inspirò profondamente e sorrise maliziosa, sfrontata, alla madre. «Lo senti anche tu, vero? Il profumo di quercia di Demid è ancora qui nella stanza. Non potevo non assaggiarlo.»
La regina si arrese alla realtà e si costrinse a chiudere il suo cuore all'indulgenza. Strinse i pugni lungo i fianchi: «Sono stata dalla vecchia Zoya.»
A quel nome, Giada smise di sorridere.
«Quando calerà la notte, tu perderai il tuo odore e il tuo potere Effluvio. Nessun maschio potrà sapere chi tu sia. Non potrai più soggiogarli con i tuoi giochetti olfattivi e non potrai contare sull'appoggio di nessuno! Lascerai il castello, questo regno...»
«Cosa?» provò a interromperla la ragazza, ormai consapevole della punizione inflittale.
«Sarai sola!» riprese Yulia, ancora più aspra. «Sola, finché non capirai il vero potere dell'amore. E finché qualcuno, se mai esiste, capirà chi tu sia veramente.»
Giada si guardava intorno spaventata. Che posto era mai quello?! Non riusciva a riconoscere quasi nessuno degli odori intorno a lei... C'erano, sì, gli alberi ed era sicura di aver riconosciuto alcune fragranze floreali, ma gli altri odori le erano del tutto estranei e in parte anche sgradevoli.
"Madre" pensò, "come hai potuto farmi questo?!"
Un rumore la fece trasalire, seguito da un fischiettare allegro. Senza sapere il perché, si nascose dietro un pioppo. Dopo qualche istante vide un bellissimo uomo uscire dal folto del bosco. Sollevata, si fece avanti. Quando questi la vide si fermò, guardandola stupefatto.
«Salve, viaggiatore. Potete per caso dirmi in quale parte della Sfera io mi trovi?» sorrise gentile.
L'uomo la guardò perplesso. "Sfera?" si chiese, poi si fece cautamente avanti. «Ehm... Salve, sono Valentin, tu chi sei?»
Lei lo guardò sbalordita. «Non riconosci la tua sovrana?!» Poi ricordò le parole della madre. Santo cielo, era vero! Non potevano riconoscerla... Raddrizzò le spalle e impostò un sorriso educato. «Ehm... Volevo dire... Il mio nome è Giada e mi sono perduta.»
Valentin la fissò incerto. «Capisco... E da dove vieni, Giada?» Quella strana ragazza indossava una veste leggera che avrebbe fatto ben poco sulle aspre montagne.
Lei trattenne il fiato un momento, poi mentì. «Non ricordo.»
L'uomo rifletté qualche istante, poi annui fra sé e sé. «Ascolta, Giada, non è prudente stare fuori con il buio. Sto tornando a casa, perché non vieni con me? Direi, prima di tutto, di trovarti dei vestiti più pesanti e magari cercare di capire che ti è successo, va bene?»
La principessa titubò un istante, poi fece qualcosa che lasciò l'uomo interdetto: si avvicinò circospetta a lui e l'annusò. Chiuse gli occhi, mentre Valentin restava impietrito.
Subito nella mente le arrivò l'immagine di un lago limpido, acqua cristallina e carpe koi che nuotavano vivaci sul fondo. Una foresta, dei fiori gialli e viola e il profumo freddo dell'aria che segna l'alba del nuovo del giorno.
«Sì» sorrise emozionata, «sì, di te mi posso fidare. Ti seguirò.»
Valentin sorrise confuso, ora un po' meno sicuro di voler portare con sé la ragazza, ma stava per nevicare e non poteva certo lasciarla sola, nella foresta, vestita in quel modo. Sarebbe morta assiderata. Prese la sua decisione. «Prego, allora, da questa parte.»
Quella che però sembrava essere una normale nevischiata, si trasformò velocemente in una vera e propria tormenta, che li costrinse in casa, cambiando così drasticamente i piani dell'uomo.
Erano già due settimane che la bufera imperversava e, mentre i primi giorni era stato infastidito dal carattere capriccioso e volubile della strana ragazza, ora quasi lo apprezzava.
La osservava aggirarsi per casa incuriosita da tutto, toccando, osservando, ma, soprattutto, annusando: più di una volta l'aveva colta in quello strano gesto, che lei aveva dissimulato con un sorriso, come fosse cosa di poca importanza.
Eppure più volte si era soffermato sul suo busto proteso in avanti, sulla vita stretta che si allargava su fianchi generosi, sulla testa inclinata accanto a un oggetto o, addirittura più volte, alle sue spalle, quasi lo stesse studiando o saggiando.
Era strano, perché non si accorgeva mai di lei finché non se la ritrovava praticamente addosso, come se non avvertisse la sua presenza nella stanza, a meno che non la vedesse o non facesse un rumore.
Una sera l'aveva trovata addormentata sul divano in salotto, si era avvicinato prudente per non svegliarla e aveva provato a imitarla: aveva chinato il viso sui suoi capelli per annusarli, ma non aveva sentito niente, nessun odore, né buono, né cattivo, e la cosa lo sconcertò.
Chi era quella strana ragazza apparsa dal nulla nel bosco e che avanzava in punta di piedi nella sua vita, così come nella sua mente?
Non era riuscito a scoprire molto di lei, ma di una cosa era convinto: Giada nascondeva qualcosa e lui voleva scoprire cosa.
Mentre rifletteva su questo, un urlo strozzato attirò la sua attenzione. Giada fissava orripilata la sua faccia allo specchio, così si avvicinò e le toccò la spalla, facendola trasalire.
«Che hai?» Il suo sguardo fu subito catturato da una chiazza grigia sul collo esile della ragazza; allungò le dita per sfiorarla e sotto i polpastrelli sentì... pietra?
Giada si scansò spaventata, più da quella macchia che da lui; aveva i lucciconi agli occhi, quel paio di occhi che sembravano urlare una richiesta di aiuto.
«Che posso fare?» fu la prima domanda che gli venne in mente, guardandola in viso. Voleva capire, sapere, salvare.
Come era possibile che quella ragazza lo intrigasse a tal punto?
«Nulla» ammise rassegnata. Il suo destino era stato cambiato dalla vecchia Zoya e, per quanto si sentisse attratta da Valentin, in quei giorni non era riuscita a essere sfrontata e voluttuosa come accadeva a palazzo.
Lo osservava di nascosto, provando a non infastidirlo: era lì solo per la tormenta, lui l'avrebbe mandata via appena possibile.
«Questo non è nulla.» Valentin sfiorò di nuovo il suo collo, con aria contrita, sperando che finalmente si fidasse di lui.
Giada arrossì, forse per la prima volta in vita sua, sotto il tocco di un uomo. «La mia condanna.»
Ancora enigmi, ai quali l'altro non si arrese, facendosi raccontare, finalmente, tutta la verità.
«Cosa penseresti di me se sapessi chi sono e cosa ho fatto? Cosa penseresti se ti dicessi che una maledizione incombe su di me? Cosa penseresti se ti confessassi di aver bisogno di essere amata per ciò che sono, nonostante ciò che sono, altrimenti mi trasformerò in pietra?» Distolse lo sguardo, ripudiando ciò che era stata solo pochi giorni prima, capendo che la sua dissolutezza le stava costando la vita.
Valentin le sollevò il mento con un dito, fissò quegli occhi verdi e desiderò vederli risplendere dell'allegria che ormai aveva imparato a conoscere.
Cosa poteva pensare di una storia del genere? Cosa poteva pensare di una ragazza che era un concentrato di mistero e fascino che gli confessava il desiderio... anzi no, il bisogno di essere amata? Nulla, decise di non pensare a nulla e di lasciarsi andare ai sentimenti che stava scoprendo in quei giorni e che sorprendevano lui per primo.
Avanzò di un passo, avvicinandosi al suo corpo tremante, affondò una mano tra i folti capelli dorati e chinò il viso su quello di lei, posandole sulle labbra il bacio più dolce che avesse mai donato, donando al suo corpo la speranza più grande che avesse mai custodito, custodendo nel suo cuore un amore che le avrebbe affidato. Ora. E sempre.
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Il prompt era questo:
https://www.wattpad.com/786994651-i-cinque-sensi-senza-un-senso-4-impulsi
Storia scritta a quattro mani con morgandelleombre per la prova "4. Impulsi afrodisiaci senza senso... dell'olfatto!" del contest "I cinque sensi senza un senso" di magicartist2018 ... L'immagine in copertina è una scultura di Luo Li Rong, denominata "Reverie", che dovrebbe significare "uno stato di piacevole perdita nei pensieri, un sogno ad occhi aperti". Be', direi che ci siamo.
Questo racconto ha vinto il 2° posto per questa prova del contest.
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