Bevimi! Mangiami!

Quando riprese conoscenza per la prima volta, il suo primo pensiero fu "Ho freddo". Sentì la superficie dura sotto di sé, aprì gli occhi, ma non cambiò molto: tutto rimase buio.

Si mise seduto, tastò lo spazio attorno, ma riuscì solo a capire che si trovava in una stanza chiusa e senza finestre; trovò la porta, ma non la serratura o la maniglia.

Come diavolo ci era finito lì? "Che freddo!" continuava a pensare, stringendosi le braccia attorno al busto, e poi, col passare del tempo, pensò alla sete e alla fame.

Improvvisamente la porta scattò e un leggero spiraglio di luce lo attirò verso di sé; lentamente si fece avanti e spinse la porta, fermandosi sulla soglia a osservare il nuovo ambiente.

Si trattava di un'altra stanza cieca, nella quale si trovavano al centro una sedia e un tavolo di legno, sul quale erano poggiati un pezzo di pane e un bicchiere.

Lo stomaco si contorse e per l'ennesima volta si chiese da quanto tempo era lì, da quanto tempo non mangiava e non beveva; si sfiorò le labbra e le sentì screpolate.

Fece un altro passo verso il tavolo. La porta alle sue spalle si richiuse. Si fermò. Si voltò ancora verso il tavolo. Allungò la mano, ma poi la ritrasse. Poi prese il bicchiere e lo annusò: non sentì alcun odore e il liquido era trasparente. "Che sete!" Non poteva resistere ancora a quella sete. Prima un sorso. "È acqua!" Poi lo ingoiò senza sprecare nemmeno una goccia.

Allungò l'altra mano per arraffare il pezzo di pane e lo morse, affondando i denti nella crosta e nella mollica. "Che fame!"

Un suono secco e improvviso lo fece sobbalzare; si voltò sulla sinistra e si accorse di un'altra porta, anch'essa senza serratura né maniglia, ma con in basso una gattaiola, che ancora oscillava.

«Miaooo!» Un gatto, nero e con gli occhi gialli, lo fissava, rimanendo sulla difensiva, con la schiena ingobbita e gli artigli di fuori.

L'uomo restò un istante sgomento, subito prima di infilarsi l'ultimo boccone di pane in bocca e saltare addosso al gatto, senza sapere nemmeno lui perché lo fece. Quello però riuscì a sgusciare via e, attraversando nuovamente la gattaiola scappò.

L'uomo si precipitò contro la porta, andandoci a sbattere; sollevò lo sportello e intravide un prato, verde e rigoglioso dall'altro lato. Era giorno.

Si alzò, tastò ancora la porta, ma non trovò niente che potesse aprirla. La porta della prima stanza invece si aprì per la seconda volta, quindi tornò in quella direzione e vide piegata per terra una coperta.


Riaprì gli occhi. "Quanto tempo è passato?" Aveva ancora fame, ancora sete. La porta scattò ancora.

Quella flebile luce gli fece comunque male agli occhi.

Varcò la soglia e la porta si richiuse alle sue spalle.

Sul tavolo c'era un piatto di spaghetti avvolti da grondante sugo, un bicchiere ricoperto di condensa e una forchetta. Di nuovo si fiondò sul bicchiere per prima cosa: ancora acqua, fresca. "Che sete!"

Poi si sedette, afferrò la forchetta e mangiò la pasta con una velocità tale che sorprese anche lui.

Ancora il rumore proveniente dall'altra porta, ancora il gatto nero, che quella volta però si limitò a soffiargli contro, strisciare lungo la parete a lui più lontana, per poi scappare di nuovo all'esterno.

La prima porta scattò alla sua destra; quando tornò nella cella trovò per terra un cuscino.


Quando si svegliò la volta successiva, pregò che fosse l'ultima: sempre con la sete, sempre con la fame, sempre senza sapere quanto tempo fosse passato. Ma almeno non aveva più freddo. Almeno non poggiava le tempie sul duro pavimento.

Si strinse nella coperta e abbracciò il cuscino.

La porta si aprì e lui si fiondò fuori: lo stesso tavolo, la stessa sedia, lo stesso gatto, già lì ad aspettarlo, così come lo aspettavano il piatto con la bistecca, il bicchiere di vino rosso, la forchetta e il coltello.

Quella volta attaccò prima il cibo; il vino venne dopo, come un piacere, un lusso.

Il gatto si avvicinò lentamente: «Miaaaoo.» Si strusciò contro la gamba del tavolo.

L'uomo sorrise, tagliò un pezzetto di carne e si allungò per porgerlo al musetto scuro, che lo fece sparire in un secondo.

Ottenuto ciò che voleva, il gatto scappò di nuovo attraverso la porta: un lembo verde del prato balenò per un momento sotto gli occhi del prigioniero, subito distratto dal rosso vermiglio nel bicchiere sul tavolo. Bevve il vino e ne assaporò il gusto alcolico.

La porta della cella scattò ancora. L'uomo si alzò lentamente e la raggiunse: un letto, con lenzuola, coperte e un cuscino, era posizionato nel centro.


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