8 [AX]
COS'E' QUESTA PUZZA?
Camminavamo fra i boschi del New Jersey, con il bagliore di New York che ingialliva il cielo notturno alle nostre spalle, il fetore del fiume Hudson che ci appestava le narici e il tempo atmosferico che ci regalava una doccia gelata decisamente non gradita. Fortunatamente stava smettendo di piovere, ma troppo tardi: le mie converse erano già zuppe, così come i miei calzini. Detestavo a morte avere i piedi bagnati, e la cosa non faceva altro che peggiorare il mio umore (già considerevolmente nero).
Insomma, avevamo lasciato il campo da meno di due ore e quei tre tacchini spelacchiati di zio Gioia ci avevano già trovati, avevamo perso gli zaini con dentro tutti i nostri averi e mio padre aveva già cercato di accopparci tutti. Sfidavo chiunque ad essere felice e beato.
Grover, dal canto suo, non faceva niente per migliorare la situazione. Rabbrividiva e ragliava di continuo, i grandi occhi caprini con le pupille assottigliate, colmi di terrore. «Tre Benevole. In una volta sola» mugugnava ogni tre minuti.
«Coraggio! Più ci allontaniamo, meglio è» gli disse Annabeth ad un certo punto.
«Laggiù c'erano i nostri soldi» disse cupo Perseus «e anche il cibo e i vestiti. Tutto»
«Be', forse se tu non avessi deciso di buttarti nella mischia...» ribattè acida lei.
«Che volevi che facessi? Dovevo lasciarvi ammazzare?»
Mi accigliai. «Ehi, io me la stavo cavando piuttosto-»
«Non avevo bisogno della tua protezione, Percy» m'interruppe brusca Annabeth «me la sarei cavata!»
«Sicuro. Ti avrebbero fatta a pezzi» intervenne Grover «ma te la saresti cavata»
«Piantala, ragazzo-capra»
«Non prendertela con lui, ha detto la verità!» esclamò Perseus.
«Sono perfettamente in grado di-»
«Dateci un taglio!» tuonai. I tre ammutolirono all'istante. «Ho già i piedi bagnati, non ho bisogno di avere anche il mal di testa! Abbiamo affrontato tre Benevole insieme e un fulmine di mio padre, e ne siamo usciti vivi. Conta questo. Non so voi, ma preferisco essere viva e senza un soldo che con lo zaino e morta stecchita sul fondo di quel maledetto autobus»
Grover ragliò mestamente. «Lattine... una busta intera di lattine...»
«Riesci a pensare solo a quello?!» sbottò Annabeth.
«Di immortales... te ne troverò delle altre!» esclamai esasperata «Una montagna di lattine di tutte le forme e dimensioni, basta che la pianti! Non volete che provi anche io a scagliarvi contro un fulmine, vero?»
«No» rispose Annabeth «ma-»
«Allora silenzio!»
Perseus, Annabeth e Grover ammutolirono all'improvviso. Ah, finalmente. Adesso riuscivo a sentire il rumore dei nostri passi sul terreno molliccio e disgustoso, e potevo concentrarmi nel sopprimere i conati di vomito causati dall'odore di immondizia emanato alberi.
Una gioia continua, insomma.
Continuammo a camminare per un po', in religioso silenzio. Poi, ad un certo punto, Annabeth si girò verso Perseus e disse: «Senti, io... apprezzo il fatto che sei tornato indietro per noi, okay? È stato molto coraggioso»
«Siamo una squadra» si limitò a replicare lui.
Restò zitta per qualche altro passo. «Solo che se tu morissi, a parte il fatto che sarebbe una gran brutta cosa per te, significherebbe la fine dell'Impresa. E questa potrebbe essere la mia unica occasione di vedere il mondo reale»
Il temporale finalmente era cessato. Il bagliore della città si era affievolito, lasciandoci quasi totalmente al buio. Perseus le lanciò un'occhiata di sottecchi. «Non sei mai uscita dal Campo Mezzosangue da quando avevi sette anni?» le chiese.
«No, tranne per qualche gita. Mio padre...»
«Il professore di storia»
«Già. A casa le cose non andavano. Cioè, casa mia è il Campo Mezzosangue. Lì non fai altro che allenarti... ed è fantastico, davvero, ma il posto in cui si trovano i mostri è il mondo reale. È qui che capisci davvero quanto vali»
Lui annuì piano. «Capisco. Sei brava con quel coltello, comunque»
«Dici?»
«Chiunque sia capace di montare a cavalluccio di una Furia è a posto, per me»
«Stai bene?» mi sussurrò Grover.
«Sì, perchè?» replicai.
«Be', sento... ecco...». Mi lanciò un'occhiata incerta. «E' come se tu fossi a disagio, e mi domandavo...»
«Ho i piedi bagnati, Grover. Sai che lo odio»
Lui scosse la testa. «E' una sensazione che ti porti dietro dal Campo, Alex. I piedi bagnati non c'entrano... o almeno, non più di tanto. Mi chiedevo... ecco... è ancora per Luke? Hai detto ad Annabeth che avevi la sensazione che nascondesse qualcosa...»
Sospirai dal naso, mordicchiandomi l'interno guancia. «Non hai notato niente di strano nel suo umore?» gli domandai.
Grover scosse la testa. «No, niente. Annabeth aveva ragione, era preoccupato, e anche un po' triste. Probabilmente avrebbe voluto accompagnarci, ma Percy non l'ha scelto»
«Mmh. Sarà» borbottai distrattamente.
Grover dovette notare che il mio stato d'animo non era cambiato più di tanto. Tirò quindi fuori il flauto e produsse un paio di note, probabilmente per distrarmi. Uno dei gufi appollaiati sugli alberi bubolò sdegnato. Chiaramente non aveva apprezzato la... ehm, melodia?
«Ehi, il mio flauto funziona ancora! Hai sentito, Alex?» esclamò Grover «Se solo riuscissi a ricordarmi una canzone per ritrovare la strada, potremmo finalmente uscire da questo bosco!»
Soffiò qualche nota, ma la melodia era ancora sospettosamente simile alla canzone di Hilary Duff. Ridacchiai. Non era piacevole da sentire, però capii che lo stava facendo per me, e apprezzai enormemente il gesto. Poi Perseus andò a sbattere contro un albero, e la mia gratitudine nei suoi confronti aumentò.
Dopo aver inciampato e imprecato per un altro chilometro o giù di lì, finalmente riuscimmo a vedere la luce: i colori di un'insegna al neon accompagnata dal profumo inebriante di cibo. Annusai l'aria e il mio stomaco brontolò rumorosamente.
«Ehi, sta per mettersi a piovere di nuovo?» scherzò Perseus.
«Simpatico» replicai piatta «non lo sentite?»
«Sentire cosa?» domandò Annabeth, guardandosi circospetta intorno.
«Questo profumino» risposi, continuando ad annusare l'aria «sembrano... hot dog? No... forse cheeseburgers?»
«Io non sento nulla» disse Perseus «è quella cosa strana dell'olfatto che hai?»
«Non è strana» ribattei scorbutica.
«Be', noi non sentiamo niente...»
«Allora forse siete voi che avete dei problemi, Jackson»
«Io lo sento» intervenne Grover prima che Perseus riuscisse a rispondermi, indicando un punto a nord-est «e viene da lì. Mmh... è formaggio, quello che sento?»
«Sì» sospirai bramosa «decisamente. Sto morendo di fame...»
«Se anche ci fosse del cibo, non abbiamo soldi per comprarlo» fece presente Annabeth.
«E quandomai è stato un problema?» ribattei con un sorriso furbo «Dai, andiamo. Ho talmente fame che sarei capace di mangiarmi un albero»
Continuammo a camminare finché tra gli alberi non sbucò una strada deserta. Sul ciglio della strada, di fronte a noi, c'erano un distributore di benzina in disuso, il cartellone pubblicitario di un film degli anni Novanta e un negozio aperto, che era l'origine della luce al neon e del profumo appetitoso.
Non era un fast food; sembrava più il negozio di un rigattiere. L'edificio principale era un magazzino lungo e basso, circondato da una marea di statue. L'insegna al neon sopra la porta era praticamente illeggibile, perché se c'era una cosa che i miei occhi leggevano peggio del corsivo, era il corsivo rosso al neon. Decifravo una roba tipo: "DAIZA ME, LEPMROIO DIE NNATTIE DA GRIADNIO".
«Che accidenti dice?» chiese Perseus.
«Non lo so» rispose Annabeth.
«Ehi, Grover, ti dispiace?» gli chiesi, indicando l'insegna.
«Da zia Em, l'emporio dei nanetti da giardino» lesse.
Accanto all'ingresso, come annunciato, c'erano due nanetti da giardino di cemento, dei brutti omuncoli barbuti che sorridevano e salutavano con la mano come se fossero in posa per una fotografia.
Attraversammo la strada, seguendo il profumo degli hamburger. «Ci sono le luci accese» fece Annabeth «forse è aperto»
«Snack-bar» disse Percy con voce sognante.
«Snack-bar» concordai.
«Non abbiamo soldi» ribadì Annabeth debolmente.
«Sì, ma... cibo...» mugugnai.
«Voi siete matti!» esclamò Grover «Questo posto è assurdo! Non lo sentite?»
«Sentire cosa?» domandò Annabeth.
Grover allungò la mano e mi tappò il naso.
Smisi di sentire l'odore del cibo, e immediatamente mi venne addosso una strana sensazione di ansia. Mi guardai in giro, e mi venne la pelle d'oca. «Ma che cavolo...»
«Andiamo più vicino» mi disse «tolgo la mano... magari lo senti anche tu...»
Tornai a sentire il profumino. Come aveva detto Grover, però, più ci avvicinavamo, più l'odore paradisiaco del cibo si trasformava in qualcosa di acido e disgustoso, come se gli alimenti fossero scaduti. Qualcosa non andava. Gli lanciai un'occhiata stranita. «Grover, cos'è?»
«Non lo so» fece nervoso lui «ma non penso che entrare sia una buona idea»
«Forse hai ragione». Mi girai verso Perseus e Annabeth, che continuavano ad avanzare sotto una specie di mezza trance dovuta alla fame. «Ehi, voi due. Forse è meglio se torniamo indietro»
Mi ignorarono bellamente. «Che facciamo?» mi domandò Grover.
«Non possiamo farli andare dentro da soli. Non sono lucidi, e sinceramente li capisco: ho una fame assurda». Sospirai. «Meglio seguirli»
Io e Grover ci accodammo, seguendoli. Il cortile d'ingresso era una foresta di statue: animali di cemento, bambini di cemento, perfino un satiro di cemento che suonava il flauto e che fece venire al satiro la pelle d'oca. «Bee-bee! Somiglia a mio zio Ferdinand!»
Ci fermammo davanti alla porta del magazzino. L'odore acre e rivoltante era più forte, in quel punto. L'odorino paradisiaco di cibo serviva a coprire quello dei mostri, ormai mi era chiaro. «Non bussate» supplicò Grover «sento odore di mostri»
«Anche io sento un odore strano» concordai «forse è meglio lasciar perdere...»
«Avete il naso intasato dalle Furie» disse Annabeth «io sento solo profumo di hamburger. Non avete fame?»
«Mi è passata» risposi «e poi i satiri non mangiano carne»
«Sono vegetariano!» confermò Grover.
«Tu mangi enchiladas al formaggio e lattine di alluminio» gli ricordò Perseus.
«Sempre di verdura si tratta. Dai, andiamo via. Queste statue mi stanno guardando»
«Sono d'accordo con Grover» dissi «questo posto mi mette i-»
Ma non riuscii a finire la frase. La porta si aprì con un cigolio e ci trovammo davanti una donna.
Indossava un lungo abito nero che la copriva per intero, a parte le mani, e aveva la testa completamente avvolta in un velo. Gli occhi scintillavano dietro uno strato di garza scura. Non riuscivo a distinguere altro. Le mani color caffè sembravano vecchie, ma erano curate ed eleganti, e immaginai che un tempo fosse stata una bellissima donna. «Bambini, è tardi per andarsene in giro tutti soli. Dove sono i vostri genitori?» domandò in uno strano accento esotico.
«Sono... ehm...» cominciò Annabeth.
«Siamo orfani» intervenne Perseus.
«Orfani?» ripeté la donna dispiaciuta «Oh, poveri cari! Non posso crederci!»
«Abbiamo perso il convoglio» continuò lui «il convoglio del circo, sa... il direttore ci aveva detto di aspettarli al distributore nel caso ci fossimo persi, ma forse se n'è dimenticato o intendeva un altro distributore. Comunque sia, ci siamo persi. Sbaglio o sento profumo di cibo?»
Mi trattenni dall'alzare gli occhi al cielo. Di immortales, era un pessimo bugiardo, ma la donna sembrava aver abboccato. Le cose erano due: o era una totale cretina, oppure fingeva di averci creduto per attirarci all'interno.
Chissà perché, ma ero propensa a credere più alla seconda ipotesi.
«Oh, poveri cari!» esclamò di nuovo la donna «Dovete entrare, poveri bambini. Io sono zia Em. Accomodatevi pure sul retro. C'è un'area di ristoro»
Perseus e Annabeth la ringraziarono ed entrarono. Io e Grover ci scambiammo un'occhiata rassegnata prima di seguirli.
«"Convoglio del circo"?» sibilai all'orecchio di Perseus «Questa tizia deve essere più scema di te se ci è cascata»
«Ha funzionato, no?» replicò lui, rivolgendomi una smorfia «Piantala di lamentarti e preparati a mangiare»
«O ad essere mangiata» brontolai sottovoce.
«Eh? Hai detto qualcosa?»
«No, Grande Capo» risposi piatta.
Il magazzino era pieno di altre statue: persone in ogni genere di posa, tutte vestite in modi diversi e con diverse espressioni in viso. Non ce ne era una che non fosse vagamente inquietante. Grover gemeva nervoso, e gli occhi delle statue sembravano seguirci. Zia Em aveva addirittura chiuso la porta a chiave dopo che fummo entrati. Toccai il braccialetto che era Destra, nervosa e guardinga. Mi domandai con che razza di mostro avessimo a che fare.
L'area di ristoro era sul retro del magazzino: c'erano un bancone da fast food, un distributore di bibite, uno scaldavivande per i pretzel e un dosatore per le salse. «Accomodatevi» ci invitò zia Em.
«Fantastico» esultò Perseus.
«Ehm» intervenne Grover con riluttanza «noi non abbiamo soldi, signora»
«No, no, bambini. Niente soldi. Questo è un caso speciale, no? Offro io, a dei simpatici orfanelli come voi»
«Grazie, signora» disse Annabeth.
Zia Em si irrigidì, come se Annabeth avesse detto qualcosa di sbagliato. «Non c'è di che, Annabeth. Hai dei bellissimi occhi grigi, sai?»
Mi irrigidii, ma cercai di non darlo a vedere mentre zia Em mi puntava gli occhi addosso. Sapeva che si chiamava Annabeth, ed era un'altra bandiera rossa quella. Grossa come una casa, anche.
«Anche i tuoi, Alexandra» mi disse zia Em con un sorriso che trovai immediatamente sgradevole «di una sfumatura di blu molto particolare. E le pagliuzze grigie? Insolite, ma bellissime. Non credo di aver mai visto niente del genere...»
Le rivolsi un sorriso tiratissimo, e non appena scomparì dietro il bancone per cucinare afferrai Perseus per un braccio e me lo tirai più vicino. «Andiamo via» sibilai in un sussurro appena udibile «immediatamente»
«Vuoi piantarla?!» sussurrò di rimando «Sto morendo di fame!»
«Sai che me ne importa?!»
«Cosa accidenti ti prende, si può sapere?!»
«Mi prende che conosce il mio nome e quello di Annabeth!»
«E allora?»
«Allora?! Non ci siamo nemmeno presentate!»
«Rilassati, avrà tirato ad indovinare»
Spalancai la bocca e feci per chiedergli molto sgarbatamente se fosse serio, quando zia Em arrivò con dei vassoi carichi di doppi cheeseburger, frullati alla vaniglia e porzioni maxi di patatine.
Perseus divorò metà panino prima di ricordarsi di respirare. Annabeth trangugiò il frullato come se non bevesse da secoli. Grover piluccava le patatine e sbirciava la tovaglietta di carta cerata come se volesse assaggiare anche quella, ma sembrava ancora troppo nervoso per mangiare. Ogni tanto mi lanciava qualche occhiata tesa. Io non toccai cibo. Mi si era chiuso lo stomaco, e la fame era completamente scomparsa. Mi limitai a incrociare le braccia e a fissare zia Em.
«Tutto bene, bambina?» mi chiese lei «Non hai fame?»
«No» risposi glaciale.
«Cos'è questo sibilo?» chiese Grover.
Tesi le orecchie, ma non sentii nulla. Percy sembrava confuso. Annabeth scosse la testa. «Un sibilo?» fece zia Em «Forse è il rumore della friggitrice. Hai un ottimo udito, Grover»
Sapeva anche il suo nome. Mollai un piccolo calcio a Perseus da sotto il tavolo, ma lui mi guardò male, la bocca piena di cibo. Aveva addirittura le briciole su mento e maglietta. Imbecille...
«Prendo le vitamine. Per l'udito» fece Grover imbarazzato.
«Davvero ammirevole. Ma ti prego, rilassati»
Zia Em, come me, non mangiò nulla. Non si era tolta il velo nemmeno per cucinare e adesso se ne stava seduta sul bordo della sedia, a guardarci con le dita intrecciate. Era inquietante quasi come le sue statue.
«E così vende nanetti da giardino» esordì Perseus.
«Oh, sì» rispose zia Em «ma anche animali e persone. Di tutto! Anche su ordinazione. Le statue sono molto richieste, sapete»
«C'è molto giro da queste parti?»
«Non molto, no. Da quando hanno costruito l'autostrada la maggior parte delle macchine non passa di qui. Devo tenermi caro ogni cliente che capita»
C'era qualcosa nel tono in cui l'aveva detto che mi aveva messo i brividi. Perseus si voltò all'improvviso; seguendo la linea del suo sguardo vidi la statua di una ragazzina con un cestino di uova di Pasqua. I particolari erano incredibili, molto più accurati delle statue da giardino che si vedevano in giro. Ma la faccia aveva qualcosa di strano. Sembrava spaventata, se non terrorizzata.
«Ah» disse zia Em con un sospiro «avete notato che alcune delle mie statue non vengono bene. Sono rovinate. Non vendono. La faccia è la parte più difficile. È sempre la faccia...»
«È lei a fare le statue?»
«Oh, sì. Un tempo mi aiutavano le mie due sorelle ma sono morte, ormai, e zia Em è rimasta sola. Ho soltanto le mie statue. Ecco perché le faccio, capite. Mi fanno compagnia»
Qualcosa scattò nella mia testa alla menzione delle due sorelle. Misi una mano sul ginocchio di Perseus e strinsi appena; lui mi guardò confuso. «Due sorelle?» fece Annabeth.
La guardai. Aveva smesso di mangiare. Dalla sua espressione capii che stava iniziando a rendersi finalmente conto che qualcosa non andava.
Alla buon ora, accidenti a lei.
«È una storia terribile» raccontò zia Em «non adatta ai bambini, davvero. Vedi, Annabeth, una donna cattiva era gelosa di me, tanto tempo fa, quando ero giovane. Avevo un fidanzato e questa donna cattiva voleva separarci. Provocò un incidente terribile. Le mie sorelle abitavano con me. Hanno condiviso la mia sfortuna fin quando hanno potuto, ma alla fine sono morte. Sono scomparse. Solo io sono sopravvissuta, ma ho dovuto pagare un prezzo»
Il mio cuore prese a battere più velocemente. Avevo capito chi era. E dovevamo fuggire il più velocemente possibile.
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