24 [AX]
GIUSTO PERCHE' NON AVEVO AVUTO ABBASTANZA PROBLEMI
Eravamo i primi mezzosangue a tornare vivi alla Collina Mezzosangue dopo Luke, perciò tutti ci trattarono come dei veri eroi.
Rispettammo la tradizione del Campo: indossammo delle corone d'alloro ad un grande banchetto preparato in nostro onore, poi raggiungemmo il falò in testa a un corteo per bruciare i lenzuoli funebri che le nostre capanne avevano preparato per noi durante la nostra assenza.
Io e Percy non avevamo dei compagni di Casa, perciò quelli della sei si erano offerti di preparare un lenzuolo per entrambi. Avevano preso due vecchi lenzuoli da letto e ci avevano dipinto intorno delle faccine con delle croci al posto degli occhi, mentre al centro avevano scritto a grandi lettere "PERDENTE" su ognuno. Fu divertente dargli fuoco. Ma fu ancora più divertente dare una scossa così forte a Clarisse da metterla fuori combattimento per una giornata intera.
Mentre i ragazzi della capanna di Apollo conducevano il coro e distribuivano i marshmallows arrostiti sul falò fummo circondati da gente: i figli di Ermes, quelli di Atena e i satiri amici di Grover, che ammiravano la licenza di cercatore nuova di zecca che aveva appena ricevuto dal Consiglio dei Satiri Anziani. Il Consiglio aveva definito la prestazione di Grover come "coraggiosa fino all'indigestione. Un'impresa con la barba e con le corna, come mai si era visto in passato."
Gli unici a non essere in vena di festeggiare erano Clarisse e la sua banda. Dalle occhiate velenose che ci lanciavano dovevano essere furiosi per il fatto che avessimo screditato il loro paparino.
Il discorso di bentornato di Dioniso fu... be', normale, per i suoi standard. «Sì, sì, e così il marmocchio è riuscito a non farsi ammazzare e adesso si sarà montato ancora di più la testa. Be', urrà. Passando ad altri annunci, non ci sarà nessuna gara di canoa questo sabato...»
Passai un sacco di tempo nella casa di Poseidone con Percy. Ogni tanto mi raggiungeva in quella di Zeus, ma mio padre non faceva nulla per rendergli l'atmosfera un po' meno ostile, così andavo io da lui.
Una sera Percy mi raccontò di sua madre, che ebbe l'occasione di cambiare vita. La sua lettera arrivò una settimana dopo il nostro ritorno al Campo. Mi raccontò che il suo patrigno se ne era andato misteriosamente: era svanito dalla faccia della terra, in effetti. Sally Jackson aveva denunciato la sua scomparsa alla polizia, ma aveva la strana sensazione che non lo avrebbero mai ritrovato.
Inoltre aveva venduto a un collezionista la sua prima scultura di cemento a grandezza naturale, intitolata "Il giocatore di poker", tramite una galleria d'arte di Soho. Le aveva fruttato così bene che aveva lasciato un anticipo per un nuovo appartamento e si era già pagata il primo semestre di lezioni alla New York University. La galleria di Soho chiedeva a gran voce altre opere, che definivano "un enorme passo avanti nel neorealismo dell'orrido".
Percy mi aveva anche detto che sua madre l'aveva iscritto ad una scuola lì a New York, nel caso avesse voluto tornare a casa. Non l'aveva detto, ma io sapevo che gli sarebbe piaciuto tornarci. Come per Annabeth: sapevo che aveva preso contatti con la sua famiglia e che sarebbe tornata da loro. Non aveva, però, il coraggio di dirmelo.
Be', almeno avrei avuto Luke... anche se era di umore un po' strano. Sembrava sempre vagamente accigliato, e gli allenamenti con lui si erano fatti un po' più impegnativi: delle volte mi sembrava che stesse combattendo sul serio, come se stesse cercando di uccidermi. Sosteneva, però, di stare benissimo e di non avere niente che non andava. Convinto lui...
Il quattro luglio tutto il campo si riunì sulla spiaggia per i fuochi d'artificio preparati dalla capanna nove. I figli di Efesto non potevano certo accontentarsi di qualche insulso scoppio rosso/bianco/blu; avevano ancorato una chiatta al largo, carica di razzi grandi come missili. Il gran finale sull'oceano prevedeva la crepitante apparizione di un paio di giganteschi guerrieri spartani, che dovevano battersi in duello per poi esplodere in milioni di colori.
Mentre io, Percy e Annabeth stendevamo una coperta da picnic, Grover venne a salutarci. Era vestito come al solito (jeans, maglietta e scarpe da ginnastica) ma nelle ultime settimane aveva iniziato a sembrare più grande, quasi dell'età del liceo. La barbetta era più folta. Era ingrassato. Le corna gli erano cresciute di almeno due centimetri, e adesso era costretto a indossare il berretto tutto il tempo se voleva passare per umano.
«Sto partendo» ci annunciò «sono venuto solo a... be', lo sapete»
Cercai di essere contenta per lui. In fin dei conti non capitava tutti i giorni che un satiro ricevesse il permesso di andare alla ricerca del grande dio Pan, ma non era facile dirgli addio. Lo abbracciai e gli raccomandai di fare attenzione, con il cuore che pesava una tonnellata. Annabeth lo abbracciò e gli raccomandò di indossare sempre i piedi finti. Percy gli chiese da dove avrebbe cominciato a cercare.
«Ehm, sarebbe un segreto» rispose lui, imbarazzato «vorrei che poteste venire con me, ragazzi, ma gli umani e Pan...»
«Lo capiamo» lo interruppe Annabeth «hai abbastanza lattine per il viaggio?»
«Sì»
«E ti sei ricordato di prendere il flauto?» feci io.
«Cavolo, ragazze» brontolò «sembrate due vecchie mamme-capra». Non sembrava davvero infastidito, però. Impugnò il suo bastone da passeggio e si infilò lo zaino in spalla. «Be'... auguratemi buona fortuna»
Abbracciò di nuovo me e Annabeth, diede una pacca sulla spalla a Percy e si allontanò fra le dune.
In cielo, intanto, esplosero i fuochi d'artificio: Ercole che uccideva Nemeo, Artemide che cacciava il cinghiale, George Washington che attraversava il Delaware...
«Ehi, Grover» chiamò Percy. Lui si voltò sul margine del bosco. «Ovunque tu vada... spero che facciano delle ottime enchiladas»
Grover sorrise e un attimo dopo era svanito, inghiottito nel folto degli alberi. «Lo rivedremo» disse Annabeth, stringendomi la mano.
Pregai che avesse ragione.
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Luglio passò.
Pianificai le mie attività con Percy, allenandomi alternativamente con lui e con Luke, che mi sembrava sempre più strano. Provai a chiedergli a più riprese che cosa avesse, ma non ricevevo in risposta niente di diverso da un'alzata di spalle e un «va tutto bene». In compenso si stava allenando con una frequenza quasi allarmante, come se si stesse preparando per qualcosa di grosso. Ormai era sempre in arena.
L'ultima sera della sessione estiva arrivò in un lampo. C'era rimasta solo un'ultima cena tutti insieme. Bruciammo le nostre porzioni in onore degli dei. Al falò, i capigruppo assegnarono le perle di fine estate.
La perla di quell'anno era tutta nera, con un tridente verde e scintillante al centro. «La scelta è stata unanime» annunciò Luke «questa perla commemora il primo figlio del dio del mare giunto al campo e l'Impresa che ha compiuto addentrandosi nella parte più oscura degli Inferi per impedire la guerra!»
Tutti si alzarono in piedi per applaudire Percy. Perfino i figli di Ares non poterono evitarlo. I ragazzi di Atena spinsero Annabeth a farsi avanti, perché partecipasse al trionfo; lei mi prese per mano e insieme raggiungemmo Percy.
Il giorno dopo avrei dato tutte e due le gambe per non pensare all'imminente partenza di tutti quanti, e così acconsentii immediatamente la proposta di allenarci insieme di Luke. Aveva detto che aveva una spada nuova da provare; quando la vidi rimasi un bel po' interdetta. La lama era di due tipi diversi di metallo: per metà di bronzo e per metà d'acciaio. «E' un regalo del tuo vecchio?» gli domandai mentre mi avvicinavo a lui, roteando le Gemelle per sciogliere i polsi.
«Bella, eh?» disse lui con un mezzo sorriso, facendo scintillare la lama ai raggi solari «Si chiama Vipera»
Era molto strano che un dio regalasse a uno dei suoi figli mezzosangue una lama in grado di ferire anche i mortali, a meno che non si trovasse in una situazione potenzialmente molto pericolosa. «Luke, sei sicuro che vada tutto bene?» gli domandai, incerta «Perchè Ermes dovrebbe regalarti una lama del genere se tu non fossi in pericolo mortale?»
Lo vidi accigliarsi un po'. «Chi ha detto che è da parte sua?» ribattè seccato «Dai, vuoi allenarti o no?»
Sospirai, mettendomi in guardia.
Luke, quel giorno, aveva un'aggressività inusuale -e visto che ormai tutti i suoi ultimi allenamenti sembravano una lotta per avere salva la vita, era tutto dire. Feci quasi fatica a parare i suoi colpi, e mi costrinse a mettermi sulla difensiva per la maggior parte del tempo.
«Così non andrai da nessuna parte, Alex» mi rimproverò aspro, arretrando di qualche passo.
«Al contrario» ribattei a denti stretti, cercando di riprendere fiato «sono ancora viva»
«Pensi che voglia ucciderti?»
Non mi piacque né il tono che usò per domandarmelo, né il sorrisetto sfrontato che aveva sulle labbra. Qualche mese prima avrei potuto forse pensare che stesse scherzando... ma la luce nei suoi occhi mi inquietava non poco. «Non lo so. Dimmelo tu!» sbottai, ritirando le Gemelle «Mi vuoi dire che cavolo ti prende?»
«Non ho-»
«Ah, no, non ci provare neanche, Luke Castellan!» lo interruppi brusca, puntandogli contro il dito «Non provare nemmeno a pensare di rifilarmi il solito "va tutto bene, non ho niente" perché non ci crede nemmeno il manichino di paglia dietro di te!»
«E che risposta vuoi, allora?» mi domandò.
Il suo tono disinteressato, quasi annoiato, non fece assolutamente niente per farmi calmare. Un archetto di fulmini mi avvolse le dita, sparendo un secondo dopo. «Una sincera. E' da quando sono tornata che ti comporti in modo strano. Sei taciturno, passi tutto il tuo tempo ad allenarti e lo fai come se dovesse succedere qualcosa di grosso e dovessi rischiare di lasciarci le penne. Vuoi dirmi cosa c'è che ti turba? E' colpa di Ermes?»
I bei lineamenti di Luke vennero, per un istante, sconvolti dalla rabbia. Se non fossi stata lì davanti a lui a fissarlo, avrei sicuramente pensato di essermelo immaginato. «Ermes?» ripetè con una mezza risata beffarda «E perché mai dovrebbe importarmi di lui fino al punto di permettergli di condizionare le mie giornate?»
Incrociai le braccia. «Perché è da tempo immemore che ce l'hai con lui»
«E quindi?»
«E quindi, o stai mentendo, o è successo qualcos'altro di grave». Sospirai, sciogliendo le braccia. «Luke, sono solo preoccupata. Voglio aiutarti, se posso»
Luke mi fissò intensamente per un lungo momento, come se stesse cercando di inquadrarmi per bene. «Davvero?» domandò in un sussurro.
«Davvero cosa?»
«Vuoi aiutarmi davvero?»
Stavo per rispondere che sì, volevo, e che non capivo perché lo mettesse in dubbio. Notai, però, Percy fermo a qualche metro di distanza. Non l'avevo nemmeno sentito entrare. «Scusate» fece lui, vagamente imbarazzato «ho interrotto qualcosa?»
«Non c'è problema» rispose Luke, abbassando la spada «stavamo solo facendo due tiri dell'ultimo minuto»
Lo fissai accigliata. Era quello, che stavamo facendo? Due tiri dell'ultimo minuto?
«Bella spada» commentò Percy.
«Oh, questa? Un giocattolo nuovo. Si chiama Vipera». Luke la rigirò nella luce e la lama scintillò minacciosa. «Un lato è di bronzo celeste. L'altro è di acciaio temprato. Funziona sia con i mortali sia con gli immortali»
«Non sapevo che potessero fabbricare armi così» disse Percy.
«Loro probabilmente non possono» convenne Luke «è un pezzo unico». Rinfoderò la spada con un sorrisetto. «Senti, stavo per venire a cercarti. Che ne dici di andare un'ultima volta nel bosco, a cercare qualcosa con cui batterci? Alex, ti dispiace? Vorrei andare solo con lui. Ho delle cose che devo dirgli»
Per la prima volta da quando lo conoscevo, ogni fibra del mio essere mi urlava di non fidarmi di lui. Il mio istinto mi suggeriva che le sue intenzioni non erano affatto buone, e che Percy avrebbe potuto essere in pericolo. Era una sensazione così forte che, per un momento, mi lasciò senza parole. Fortunatamente mi ripresi subito, e dissimulai al meglio delle mie capacità. «Figurati» risposi, rivolgendogli un sorriso finto «vado a farmi una doccia e poi cerco Annabeth. Ho da restituirle dei libri»
Mi scambiai un'occhiata con Percy. Luke mi stava ancora osservando, quindi non potei lanciargli nessun avvertimento. Mi limitai a sorridere anche a lui e a salutarlo.
Andai negli spogliatoi e aspettai che si allontanassero. Poi gli andai dietro, ringraziando le lezioni di Will sulla caccia e sull'importanza di muoversi il più silenziosamente possibile.
Nel bosco faceva un caldo infernale. Non tirava un filo di vento. Qualcosa mi diceva che Luke non aveva intenzione di parlare e basta con Percy, non sapevo per quale motivo. Ma avevo imparato a fidarmi ciecamente del mio istinto.
Trovarono un angolo d'ombra accanto al ruscello dove Percy aveva spezzato la lancia di Clarisse, la sera della sua prima partita di Caccia alla Bandiera. Si sedettero su un masso a scolarsi delle bibite, scrutando il sole che penetrava nel bosco. Mi sistemai dietro il tronco di una grossa quercia, coperta da un cespuglio di more. Riuscivo a vederli perfettamente.
«Ti manca la sensazione dell'Impresa?» gli domandò Luke dopo un po'.
«Con i mostri che mi attaccano ogni tre passi? Vuoi scherzare?». Luke alzò un sopracciglio. «Sì... e a te?»
«Vivo sulla Collina Mezzosangue da quando avevo quattordici anni, Percy» disse Luke «da quando Talia... be', lo sai. Alex te l'avrà detto»
«Sì, ma non ne parla molto volentieri» rispose Percy.
Luke annuì. «Non ho fatto altro che allenarmi, in continuazione. Non sono mai riuscito a essere un ragazzo come tutti gli altri, nel mondo reale. Poi si sono degnati di assegnarmi un'unica Impresa, e quando sono tornato è stato come se mi dicessero: "Okay, fine della corsa. Vai per la tua strada e chi si è visto si è visto"». Schiacciò la sua lattina e la lanciò nel ruscello.
Ecco l'ennesimo segno che qualcosa non andava con Luke: Ninfee e Naiadi non fanno altro che chiederci di non gettare i rifiuti nel verde. Era una delle prime regole, lì a Campo Mezzosangue, e Luke l'aveva sempre rispettata con una diligenza invidiabile.
Lo osservai meglio. Notai quanto sembrasse stanco e arrabbiato. «Al diavolo le corone d'alloro. Non ho intenzione di fare la fine di quei trofei polverosi che riempiono la soffitta della Casa Grande»
«Da come parli sembra che tu stia partendo»
Luke lo guardò con un sorriso obliquo. «Oh, ma io sto partendo, Percy. È vero. Ti ho portato qui per salutarti» e schioccò le dita.
Vidi Percy muoversi appena. Non vedevo che cosa stava succedendo, però, perchè mi dava le spalle. «Io non lo farei» lo avvisò Luke «gli scorpioni dell'abisso possono saltare fino a quattro metri e mezzo. Il pungiglione penetra anche nei vestiti. Sessanta secondi e sei morto».
Scorpioni dell'abisso?!
Come una lampadina che si accendeva all'improvviso tutto mi divenne improvvisamente chiaro.
Era lui, fin dall'inizio.
Era stato lui.
Luke ci aveva traditi.
«Tu» mormorò Percy. Era arrivato alla mia stessa conclusione.
Luke si alzò con calma, spazzolandosi i jeans. «Ho visto un sacco di cose là fuori, Percy. Non te ne sei accorto anche tu? Le tenebre che si infittiscono, i mostri che diventano più forti. Non hai capito quanto tutto questo sia inutile? Tutti gli eroi... non sono altro che pedine degli dei. Avrebbero dovuto perdere il trono da migliaia di anni, ma hanno continuato a prosperare grazie a noi mezzosangue. Non riuscivo a credere a quello che stava succedendo»
«Luke, stai parlando dei nostri genitori...»
Lui scoppiò a ridere. «E questo dovrebbe bastarmi per amarli? La loro preziosa "civiltà occidentale" è un cancro, Percy. Sta uccidendo il mondo. L'unico modo per fermarla è raderla al tappeto, ricominciare con qualcosa di più onesto»
«Sei pazzo come Ares»
«Ares è uno sciocco. Non ha mai capito chi fosse il suo vero padrone. Se avessi tempo, Percy, te lo potrei spiegare. Ma temo che non vivrai abbastanza»
Cambiai angolatura, premurandomi di non fare troppo rumore. Finalmente vedevo lo scorpione dell'abisso: si stava arrampicando sulla gamba dei jeans di Percy. «Crono!» esclamò «Ecco chi è il tuo padrone!»
Un gelo si diffuse nell'aria. «Dovresti andarci piano con i nomi» lo ammonì Luke.
«È stato Crono a farti rubare la Folgore e l'Elmo. Ti ha parlato in sogno»
Un occhio di Luke ebbe un fremito. «Ha parlato anche con te, Percy. Avresti dovuto ascoltarlo. Avresti dovuto portargli la Folgore e Alex. Adesso, per colpa tua, mi toccherà ucciderla»
Strinsi la mascella, infiammandomi all'istante. Ah, era così che stavano le cose, quindi? Voleva uccidermi, e voleva consegnarmi a Crono. Come se per lui fossi una semplice pedina da spostare a piacimento, come se tutte le volte in cui mi aveva chiamata "sorella", aveva detto che ero la sua famiglia e si era preso cura di me fossero una recita.
Tutte bugie.
Continuare a rimanere nascosta mi fu impossibile. Le else delle Gemelle presero forma nelle mie mani mentre mi alzavo e uscivo allo scoperto. «Sono proprio qui, Luke» ringhiai «perché non ci provi?»
I suoi occhi azzurri saettarono verso di me. Non riconobbi niente del ragazzo che conoscevo mentre lo guardavo.
«Alex... no... va' via...» gemette piano Percy.
«Richiama la tua bestiaccia» gli imposi, indicando con Sinistra lo scorpione sulla gamba di Percy «o giuro che te la faccio mangiare»
Luke sbattè le palpebre. Poi rise di una risata gelida, quasi inumana. «Uno dei tuoi peggiori difetti è che sei impulsiva, Alex» mi disse «forse avresti dovuto pensare meglio alla tua strategia prima di uscire dal tuo nascondiglio. Hai perso tutto il vantaggio che avevi»
«Non vi ho seguiti per farmi impartire una lezione da te» replicai acida.
«E che cosa avevi intenzione di fare, mmh? Se provi a fulminare lo scorpione colpirai anche il tuo preziosissimo, nuovo amico. E l'energia necessaria per ucciderlo ucciderebbe anche lui. Se mi attaccherai, attaccherà anche lui, e Percy morirà comunque. Sei bloccata»
Aveva ragione, ma se credeva che la mia impulsività mi rendesse una completa sprovveduta aveva sbagliato tutto.
Feci apposta a non rispondere mentre cercavo di elaborare una strategia efficace. Prese la mia non-risposta come un'ammissione di sconfitta. «Be', visto che sei qui...». Si strinse nelle spalle. «Hai bisogno di ancora molto allenamento, ma sei figlia di Zeus e sei molto potente. Perchè non vieni con me, Alex?»
«Non ascoltarlo» intervenne Percy «Crono ti farà il lavaggio del cervello, come l'ha fatto a lui»
«Ti sbagli. Mi ha mostrato quanto i miei talenti siano sprecati, e può fare lo stesso con Alex. Sai qual era la mia Impresa due anni fa, Percy? Mio padre, Ermes, voleva che rubassi una mela d'oro dal Giardino delle Esperidi e la portassi sull'Olimpo. Dopo tutto l'allenamento che avevo fatto, ecco il meglio che era riuscito a escogitare»
«Non è un'impresa facile» obiettò lui «l'ha compiuta Ercole»
«Esatto» fece Luke «che gloria c'è nel ripetere le gesta altrui? Gli dei non fanno altro che replicare il passato. Non ci ho messo il cuore. Il drago del giardino mi ha lasciato questa». Indicò con rabbia la sua cicatrice. «E quando sono tornato non ho ottenuto altro che pietà. In quel momento avrei distrutto l'Olimpo pietra dopo pietra, ma ho aspettato il momento opportuno. Ho cominciato a sognare Crono. Lui mi ha convinto a rubare qualcosa che ne valesse il rischio, qualcosa che nessun eroe avesse mai avuto il coraggio di prendere. Durante la gita del solstizio d'inverno, mentre gli altri dormivano, mi sono introdotto nella sala del trono e ho preso la Folgore di Zeus direttamente dal suo scranno. E anche l'elmo dell'oscurità di Ade. Non crederesti mai quanto sia stato facile. Gli dei sono così arroganti; non si sono mai sognati che qualcuno osasse derubarli. Il servizio di vigilanza fa pena. Ero nel New Jersey già da un pezzo quando ho sentito rombare i tuoni e ho capito che avevano scoperto il furto»
Lo scorpione adesso si era appollaiato sul ginocchio di Percy e lo fissava con i suoi occhietti luccicanti. «Allora perché non hai portato la refurtiva a Crono?»
Il sorriso di Luke vacillò. «Io... ho peccato di presunzione. Zeus ha mandato i suoi figli e le sue figlie a cercare la folgore rubata. Artemide, Apollo, mio padre Ermes... ma è stato Ares a trovarmi. Avrei potuto batterlo, ma non sono stato abbastanza cauto. Mi ha disarmato, ha preso la Folgore e l'elmo e ha minacciato di riportarli sull'Olimpo e di incenerirmi. Ma la voce di Crono è venuta in mio soccorso, suggerendomi che cosa dire. Sono stato io a mettere in testa ad Ares l'idea di una grande guerra fra gli dei. Gli ho detto che non doveva fare altro che nascondere gli oggetti per un po' e starsene a guardare gli altri che litigavano. Gli ho visto un barlume maligno negli occhi e ho capito che aveva abboccato. Mi ha lasciato andare, così sono tornato sull'Olimpo prima che qualcuno notasse la mia assenza». Luke estrasse la sua nuova spada. Fece scorrere il pollice lungo la lama, come ipnotizzato dalla sua bellezza. «Poi, il Signore dei Titani... m-mi ha punito con degli incubi. Ho giurato di non fallire più. Quando sono tornato al Campo Mezzosangue, i sogni mi hanno detto che sarebbe arrivato un secondo eroe, un eroe che si poteva indurre con l'inganno a portare la Folgore e l'Elmo nell'ultimo tratto del viaggio... da Ares al Tartaro»
«Sei stato tu a evocare il segugio infernale nella foresta»
«Dovevamo indurre Chirone a pensare che il Campo non fosse sicuro per te e Alex. Solo così ti avrebbe assegnato l'Impresa, coinvolgendo anche lei. Avere dalla nostra parte la figlia di Zeus ci avrebbe resi-»
«E' questo che sono per te?!» esclamai, tremando per la rabbia «Una pedina, Luke?!»
Luke mi fissò inespressivo. «Tutti abbiamo la nostra utilità, Alex...»
«Come, prego?!»
«... e comunque, dovevamo confermare i suoi timori che Ade vi stesse dando la caccia. E ha funzionato
«Le scarpe volanti erano maledette» disse Percy «dovevano trascinare me e lo zaino dritti nel Tartaro»
«E lo avrebbero fatto, se tu le avessi indossate. Ma tu le hai date a quel satiro, che non faceva parte del piano. Grover rovina tutto quello che tocca. È riuscito a confondere perfino la maledizione»
«Non ti permettere neanche!» gridai.
Luke mi ignorò. «Dovevi morire nel Tartaro, Percy. Ma non preoccuparti: per rimediare, ti lascerò insieme al mio amichetto»
«Talia ha dato la sua vita per salvarti!» sbottai, sempre più furiosa «E tu la ripaghi in questo modo?»
«Lascia Talia fuori da questa storia!» gridò Luke «Gli dei l'hanno lasciata morire! Ed è una delle molte cose per cui pagheranno! Come fai a non vedere la verità?»
Un archetto di fulmini mi solleticò entrambe le nocche, sbiancate dalla forza con cui stavo stringendo le else delle Gemelle. «Tutto quello che vedo è un piccolo e inutile verme ingrato che sta gettando al vento il sacrificio che Talia ha fatto per lui!»
«Tu non capisci! Talia-»
«Non nominare mai più mia sorella! Non sei degno neppure di quello!» tuonai. Le lame delle Gemelle si illuminarono del bagliore perlaceo dei fulmini. Capii di averle caricate di elettricità, e non vidi l'ora di scagliarmi contro di lui.
«Crono ti sta usando, Luke. Proprio come sta usando Ares. Non ascoltarlo» intervenne Percy. Mi stava guardando. Aveva capito che ero ad un passo da perdere il controllo.
«E tu allora?». La voce di Luke diventò stridula. «Guardati! Che cos'ha mai fatto tuo padre per te? Crono risorgerà. Hai solo rimandato i suoi piani. Getterà gli dei dell'Olimpo nel Tartaro e ricondurrà gli umani nelle grotte a cui appartengono. Tutti, tranne i più forti... i suoi servitori»
«Richiama la bestiola» suggerì Percy «se sei così forte, battiti tu con me»
Luke sorrise. «Bel tentativo, Percy. Ma io non sono Ares. Non ci casco. Il mio signore mi aspetta, e ha moltissime Imprese in serbo per me»
«Ti farà ammazzare» dissi in tono duro «e se non lo farà lui e il suo stupido piano, lo farò io»
«Hai detto che mi avresti aiutato» mi ricordò. Percy mi lanciò un'occhiata stranita. «Poco fa, nell'arena. Ricordi? Vieni con me, Alex. Famiglia, ricordi? Insieme possiamo-»
«Era prima che scoprissi il tuo piano malato» lo interruppi brusca. Scossi la testa; una lacrima rabbiosa mi scese giù per la guancia. «Tu non sei mai stato la mia famiglia, schifoso di un bugiardo. Le tue erano solo balle, e gli Inferi geleranno prima che decida di aiutarti a distruggere l'Olimpo! Quindi va' al Tartaro... tu e quello psicolabile del tuo padrone!»
Luke non ebbe una sola reazione alle mie parole, come se non l'avessero scalfito minimamente. Si limitò a rivolgermi un ghigno tutt'altro che amichevole che non raggiunse gli occhi. «Allora addio, Alex. Ti unirai presto a noi, anche se non vuoi. E addio, Percy. Una nuova Età dell'Oro sta per sorgere. E tu non ne farai parte»
Capii che stava per andarsene. Cercai di raggiungerlo, ma arrivai troppo tardi: tracciò un arco in aria con la spada e scomparve in un tremolio di tenebre.
Mi voltai di scatto verso Percy. Lo scorpione si slanciò in avanti, pronto ad attaccarlo. Lui lo spazzò via con un gesto fulmineo e io lo tagliai in due, friggendo entrambe le parti con l'elettricità nelle lame.
«Alex» mi chiamò debolmente Percy.
Mi mostrò la mano: sul palmo c'era una grande piaga rossa e fumante che trasudava una specie di denso pus giallo. L'aveva punto.
«Percy!» esclamai preoccupata.
Mollai le Gemelle a terra e corsi verso di lui proprio nel momento in cui le gambe gli cedevano. Lo sorressi come meglio potevo e lo avvicinai all'acqua.
Immerse la mano. Ma non successe nulla.
Imprecai in greco antico. Avevamo bisogno di aiuto. Di Chirone, nello specifico: lui avrebbe saputo cosa fare. Lo avrebbe salvato.
Mi allontanai da Percy di un passo e chiusi gli occhi, accumulando energia. Non aveva tempo di aspettare che corressi alla Casa Grande, e quindi quello era il modo più veloce. La rilasciai tutta insieme verso l'alto, creando un fulmine di diversi chilometri, visibile dal Campo. Sperai che bastasse come richiamo.
Percy aveva un colorito grigioverde e faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Il respiro si era notevolmente affievolito, così come i battiti del suo cuore. «Ehi! Non osare chiudere gli occhi!» gli dissi, afferrandolo per le guance «Guardami, Percy. Rimani con me, d'accordo?»
«Alex!» mi sentii chiamare in lontananza.
Alzai lo sguardo e vidi Will e Michael che correvano verso di me. «Chiamate Chirone!» urlai «In fretta! Percy sta morendo!»
«Alex, che cosa- Percy!»
La testa bionda di Annabeth comparve nella mia visuale, arrivando alle mie spalle. «Aiutami a portarlo alla Casa Grande» le dissi con urgenza «non abbiamo molto tempo»
«Ma che cosa-»
«Muoviamoci!»
Lo prendemmo per le braccia e lo trascinammo di peso. A metà strada, proprio nel momento in cui Percy perse conoscenza, incontrammo Chirone. Lo prese in braccio e cavalcò con urgenza verso la Casa Grande.
«Che cosa è successo?» mi chiese Annabeth preoccupata.
«Quel piccolo, lurido verme ci ha traditi» ringhiai a denti stretti.
Annabeth mi guardò, la fronte corrugata per la confusione. «Ma chi?»
«Luke»
Annabeth barcollò appena. Sbiancò sensibilmente. «Ma che cosa... di cosa stai...» balbettò «chi... Luke? Luke ci avrebbe traditi?»
Tremavo dalla rabbia e non avevo nessuna intenzione di rivivere gli ultimi venti minuti, così mi limitai ad annuire, incamminandomi verso la Casa Grande. Sapevo che anche Chirone mi avrebbe chiesto di raccontargli che cosa fosse successo, ma in quel momento m'importava solo che Percy stesse meglio.
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