20 [AX]


ZIO GIOIA STA AVENDO PROPRIO UNA BRUTTA GIORNATA


Le Praterie degli Asfodeli era il campo più immenso che io avessi mai visto in vita mia.

L'erba nera era stata calpestata da secoli di piedi morti. Spirava un vento caldo e umido, come l'alito di una palude. Alberi neri crescevano qua e là in rade macchie. Il soffitto della caverna era talmente alto che avrebbe potuto essere un banco di nubi temporalesche, e per un attimo mi sentii anche meglio se non fosse stato per le stalattiti -degli spuntoni aguzzi e micidiali che mandavano un lieve bagliore grigiastro. In mezzo ai campi ce n'erano diverse conficcate nell'erba nera.

Cercammo di confonderci tra la folla, tenendo un occhio aperto sugli eventuali demoni della vigilanza. Scrutai gli spiriti in cerca... be', non lo sapevo con precisione. Non sapevo nemmeno che aspetto avesse mia madre quando era morta -o che aspetto avesse quando vivevo con lei. Forse ero troppo piccola a quel tempo, ed era per quello che non ne avevo memoria.

Comunque, anche se avessi saputo com'era, non sarei riuscita a riconoscerla. Era difficile guardare i morti. Hanno il volto tremolante. Sembrano tutti leggermente arrabbiati o confusi. Si accostavano per parlarci, ma le loro voci somigliavano ad un cicaleccio stridulo, come un cinguettio di pipistrelli. Non appena si rendevano conto che non riuscivamo a comprenderli, si accigliavano e si allontanavano.

Avanzammo lentamente, seguendo la fila dei nuovi arrivati che dalle porte principali serpeggiava verso un padiglione di tela nera, con uno striscione che diceva:


GIUDIZI PER L'ELISIO E LA DANNAZIONE ETERNABENVENUTI, NOVELLI ESTINTI!


Da dietro la tenda fuoriuscivano due file molto più piccole. A sinistra i demoni della vigilanza scortavano gli spiriti lungo un sentiero in discesa, verso i Campi della Pena che baluginavano e fumavano in lontananza: un vasto territorio desolato e arido, solcato da fiumi di lava, campi minati e chilometri di filo spinato che separavano le diverse aree di tortura. Perfino da quella distanza riuscivo a scorgere persone inseguite da segugi infernali, bruciate allo spiedo, costrette a correre nude fra i cactus o ad ascoltare l'opera. Distinguevo perfino una collinetta con la sagoma minuscola di Sisifo che sfacchinava per spingere il suo masso fino in cima.

La fila che sbucava alla destra del padiglione del giudizio era molto meglio. Si dirigeva verso una piccola valle circondata da mura: una sorta di comunità residenziale privata che sembrava essere l'unico angolo felice degli Inferi. Oltre la porta blindata c'erano quartieri di splendide case di ogni epoca: ville romane, castelli medievali e tenute vittoriane. Fiori d'oro e d'argento spuntavano nei prati. L'erba si increspava con i colori dell'arcobaleno. Riuscivo a sentire il suono delle risate e il profumo del barbecue. Doveva essere di certo l'Elisio. In mezzo alla valle c'era uno scintillante laghetto azzurro con tre piccole isole simili ad un villaggio vacanze alle Bahamas. Le Isole dei Beati, per coloro che avevano scelto di nascere tre volte e per tre volte si erano meritati l'Elisio.

Era fin troppo semplice decidere dove finire, una volta morti. «Ecco la morale della favola» disse Annabeth «quello è il posto destinato agli eroi»

Lasciammo il padiglione del giudizio e ci addentrammo nelle Praterie degli Asfodeli. Si fece più buio. I colori dei nostri vestiti scomparvero. Il brusio degli spiriti alle nostre spalle si affievolì. Dopo qualche chilometro a piedi, sentimmo in lontananza dei versi striduli.

Un palazzo di scintillante ossidiana nera si stagliava minaccioso all'orizzonte. Sopra i parapetti volteggiavano tre creature scure simili a pipistrelli: le Furie. Ebbi l'orribile sensazione che ci stessero aspettando.

«Suppongo che sia troppo tardi per tornare indietro» sospirò Grover con una punta di rimpianto.

«Andrà tutto bene» disse Percy, ma capii che si stava sforzando di apparire sicuro di sé.

«Forse dovremmo cercare in altri posti, prima» suggerì lui «tipo... ehm, l'Elisio...»

«Coraggio, ragazzo-capra!» lo esortò Annabeth, prendendolo per un braccio.

Grover gridò: le ali delle sue scarpe spuntarono fuori all'improvviso, spingendogli le gambe in avanti e strappandolo da Annabeth. Atterrò di schiena in mezzo all'erba. «Grover» lo rimproverò lei «smettila»

«Ma io non...».

Strillò di nuovo. Le scarpe adesso svolazzavano senza freni. Si levarono da terra e lo trascinarono via.

«Maia!» protestò lui, ma la parola magica sembrava non avere più effetto. «Maia, ho detto! Polizia! Aiuto!»

«Di immortales!» imprecai, cercando con Percy di agguantare la mano di Grover. Ma era troppo tardi. Stava prendendo velocità, slittando giù per la collina.

Gli corremmo dietro e Annabeth gli suggerì: «Slacciati le scarpe!».

Grover cercava di raddrizzarsi, ma non riusciva ad avvicinarsi ai lacci. Continuammo a stargli dietro, cercando di non perderlo di vista mentre zigzagava fra le gambe degli spiriti che lo evitavano, infastiditi.

Le scarpe sterzarono bruscamente a destra, trascinandolo nella direzione opposta. Il pendio si fece più ripido e Grover prese velocità mentre acceleravamo per stargli dietro. Attinsi al mio potere e corsi più veloce che potevo, superando Percy.

Le pareti della caverna si fecero più strette e capii che ero entrata in una specie di tunnel laterale. Non c'erano più alberi o erba nera ma solo roccia, e la luce fioca delle stalattiti sul soffitto. Ero molto veloce, ma non abbastanza per raggiungere il nostro amico satiro.

«Grover!» gridai «Aggrappati a qualcosa!»

«A cosa?» strillò lui di rimando. Cercò di afferrare la ghiaia, ma non c'era niente di abbastanza grosso da rallentarlo.

Il tunnel diventò più buio e freddo. Mi si drizzarono i peli sulle braccia. Percepivo l'odore del male, che mi costrinse a pensare a cose di cui non avrei dovuto nemmeno conoscere l'esistenza: sangue versato su un antico altare, il fiato immondo di un assassino. Poi vidi quello che avevo di fronte e rimasi di stucco.

Il tunnel si apriva su un'enorme caverna buia, solcata nel mezzo da una voragine grande quanto un quartiere. Grover stava scivolando dritto filato verso l'orlo del precipizio.

In mezzo secondo realizzai che ci sarebbe finito dentro.

Lui stava cercando di artigliarsi al terreno, ma le scarpe alate continuavano a trascinarlo verso il baratro, e raggiungerlo in tempo ormai sembrava impossibile.

Lo salvarono gli zoccoli. Le scarpe volanti gli erano sempre state un po' grandi, e alla fine Grover sbatté contro un masso e la scarpa sinistra si staccò, continuando a sfrecciare finché non si tuffò nella voragine. La destra continuò a trascinarlo, ma aveva perso velocità. Grover riuscì a rallentare aggrappandosi al masso e usandolo come un'ancora.

Era a tre metri dall'orlo del precipizio quando riuscii a raggiungerlo e ad afferrarlo; con uno scarto di una decina di secondi arrivarono anche Annabeth e Percy, che mi aiutarono a trascinarlo via di peso, su per il pendio. L'altra scarpa volante si staccò da sola, svolazzandoci attorno indiavolata e riempiendoci di pedate sulla testa prima di tuffarsi a sua volta nella voragine per unirsi alla sua gemella.

A quel punto crollammo tutti e quattro, esausti, sulla ghiaia di ossidiana.

Mi sentivo il corpo di piombo. Grover era ridotto piuttosto male. Era pieno di graffi e gli sanguinavano le mani. Gli occhi avevano le pupille assottigliate, da capra, come succedeva sempre quando era terrorizzato. «Non so come...» ansimò «io non-»

«Aspetta» lo interruppe Percy «ascoltate»

«Percy, questo posto...» disse Annabeth.

«Ssssh!» la interruppe. Si alzò in piedi. E finalmente lo sentii.

Era una voce cantilenante e maligna che saliva dal basso, sotto di noi, in profondità. Veniva dal baratro. Grover si drizzò a sedere. «Co... cos'è questo rumore?»

«E' l'ingresso del Tartaro» risposi con un filo di voce.

Percy tolse il cappuccio a Vortice. La spada di bronzo si allungò, scintillando nell'oscurità, e la voce maligna si inceppò per un attimo, per poi riprendere la sua cantilena. Riuscivo quasi a distinguere le parole, adesso, parole molto, molto antiche, perfino più del greco. Come se fossero parole di...

«Magia» disse Percy ad alta voce.

Poi, nella cantilena, avvertii distintamente il mio nome. Mi alzai all'istante, mentre Percy si girava a guardarmi terrorizzato. «Dobbiamo andarcene di qui» incalzò.

Cominciammo a risalire il tunnel. Le mie gambe si rifiutavano di andare in fretta. Alle nostre spalle, la voce si fece più forte e rabbiosa, così ci mettemmo a correre.

Appena in tempo.

Una gelida raffica di vento cercò di risucchiarci, come se l'intero baratro stesse inspirando aria. Per un attimo terrificante persi terreno, i piedi che scivolavano sulla ghiaia. Se fossimo stati appena più vicini al bordo ci avrebbe sicuramente inghiottito. Continuammo ad arrancare e finalmente sbucammo fuori dal tunnel, dove la caverna si apriva sulle Praterie degli Asfodeli.

Il vento si placò. Un gemito di stizza riecheggiò dalle profondità del tunnel. Qualcuno non era contento della nostra fuga.

«Ma che cos'era?» chiese Grover col fiato mozzo quando ci accasciammo al riparo di un boschetto di pioppi neri «uno degli animaletti di Ade?»

Percy rimise il cappuccio alla spada. «Non lo so e non credo di volerlo sapere. Andiamo» disse «ce la fai a camminare, amico?»

Grover deglutì. «Sicuro. E poi non mi erano mai piaciute quelle scarpe»

Si sforzava di sembrare coraggioso, ma tremava quanto noi. Qualunque cosa ci fosse in quel baratro non era certamente l'animaletto di nessuno. Era qualcosa di antico e potente, e mi aveva chiamata per nome.


─────── ⋆⋅✶⋅⋆ ───────


Fu quasi un sollievo dare le spalle al tunnel e dirigersi al palazzo di Ade.

Quasi.

Le Furie volteggiavano in alto sopra i parapetti, nell'oscurità. I muri esterni della fortezza scintillavano di nero e le immense porte di bronzo erano spalancate. Avvicinandomi vidi le incisioni che le decoravano: rappresentavano tutte scene di morte. Alcune erano di epoca moderna (una bomba atomica che esplodeva sopra una città, una trincea piena di soldati con le maschere antigas, una fila di vittime della carestia africana con le scodelle vuote, in attesa) ma tutte sembravano impresse nel bronzo da migliaia di anni.

All'interno del cortile c'era il giardino più bizzarro che avessi mai visto. Funghi multicolori, arbusti velenosi e curiose piante luminescenti crescevano senza bisogno di luce. Le pietre preziose rimediavano all'assenza di fiori: c'erano mucchi di rubini grandi come un pugno e cumuli di diamanti grezzi. Sparse qua e là, come gli ospiti congelati di una festa, c'erano le statue da giardino di Medusa (bambini, satiri e centauri pietrificati) tutte con un sorriso grottesco in volto. Al centro del giardino c'era un frutteto di melograni con i fiori arancioni che brillavano come neon nell'oscurità. «Il giardino di Persefone» spiegò Annabeth «non vi fermate»

Capii subito perché ci avesse messo fretta. Il profumo squisito dei melograni era quasi travolgente. Avvertii l'improvviso desiderio di mangiarne uno, ma poi mi ricordai la storia di Persefone. Un solo morso del cibo degli Inferi e saremmo rimasti laggiù per l'eternità. Percy tirò via Grover per impedirgli di afferrare un grosso frutto succoso.

Risalendo la scalinata del palazzo ci addentrammo nella casa di Ade, superando un colonnato e un portico di marmo nero. Il pavimento dell'atrio era di bronzo levigato e sembrava ribollire alla luce riflessa delle torce; non c'era soffitto, solo il tetto della caverna in lontananza. Accanto a ogni porta laterale stava uno scheletro di sentinella, vestito con una divisa militare. Alcuni indossavano l'armatura greca, altri l'uniforme delle giubbe rosse inglesi, altri ancora la mimetica con la bandiera a stelle e strisce lacerata sulle spalle. Erano armati di lance, moschetti o M16. Nessuno ci disturbò, ma mentre ci dirigevamo verso le grandi porte in fondo all'atrio non ci staccarono mai le orbite vuote di dosso.

Due scheletri di marine americani erano di guardia alle porte. Ci scrutarono con un ghigno, i lanciabombe a propulsione portati davanti al petto. «Scommetto che Ade non ha problemi con i venditori porta a porta» scherzò Grover.

«Be', ragazzi» disse Percy «suppongo che dovremmo... bussare?»

Un vento caldo spazzò il corridoio e le porte si spalancarono, mentre le guardie si fecero da parte. «Immagino che significhi "avanti"» commentò Annabeth.

Dentro la sala era identica a come ci aveva descritto Percy, solo che stavolta il trono di Ade era occupato.

Alto almeno tre metri, il dio indossava delle vesti di seta nera e una corona d'oro intrecciato. La pelle era di un pallore albino, i capelli lunghi fino alle spalle e neri come la pece. Non era muscoloso come Ares, ma irradiava potere. Era adagiato sul suo trono di ossa umane fuse, flessuoso, aggraziato e pericoloso come una pantera.

Il Signore dei Morti aveva gli stessi occhi intensi e lo stesso genere di carisma maligno e ipnotizzante di tutti i grandi malvagi della storia. Era inquietante da morire. «Hai del coraggio a presentarti qui, figlio di Poseidone» esordì con una voce melliflua «dopo quello che mi hai fatto hai davvero del coraggio. O forse sei soltanto molto sciocco»

Una sensazione di stordimento mi afferrò le membra, instillandomi la tentazione di stendermi là a terra e fare un sonnellino ai piedi di Ade. Raggomitolarmi e dormire per sempre non sarebbe stato affatto male. La sensazione di nausea che provavo da quando avevo messo piede nell'ascensore si intensificò appena. Scossi la testa e mi mollai un piccolo schiaffo, mentre Percy si faceva avanti. «Divino Zio, sono venuto a porgerle due richieste»

Ade inarcò un sopracciglio. Quando si sporse in avanti dei volti indistinti apparvero nelle pieghe delle sue vesti nere, volti tormentati, come se quegli abiti fossero stati cuciti con le anime dei Campi della Pena che cercavano di scappare. «Solo due richieste? Marmocchio arrogante... come se non avessi già preso abbastanza. Parla, dunque. Per il momento mi diverto ancora a non disintegrarti subito»

Annabeth si schiarì la voce. Lo incoraggiò dandogli dei colpetti col dito sulla schiena. «Divino Ade» cominciò lui «ascolti, signore, non può esserci una guerra fra gli dei. Sarebbe... brutto»

«Molto brutto» aggiunse Grover per sostenerlo.

«Mi consegni la Folgore di Zeus» continuò «la prego, signore. Mi permetta di riportarla sull'Olimpo»

Gli occhi di Ade si fecero pericolosamente accesi. «Osi avanzare questa pretesa, dopo quello che hai fatto?»

Percy si voltò a guardarci, confuso. Mi feci avanti, fiancheggiandolo. «Divino Zio-»

«Hah! La tua sola presenza qui è l'ennesimo insulto da parte di mio fratello!» ringhiò Ade, interrompendomi «Il mio Regno non è posto per una Marmocchia dei Cieli! Senza contare che sei direttamente complice di ogni cosa che il tuo compare, qui, mi ha fatto!»

«Non mi ha mandata mio padre!» protestai. Annabeth mi lanciò un'occhiata nervosa. Sapevo cosa stava pensando: il mio temperamento stava avendo la meglio sul mio buonsenso, e aveva ragione. Il problema era che non me ne fregava un accidenti. «E a dirla tutta, signore, nessuno di noi capisce a che cavolo lei si stia riferendo!»

La sala del trono tremò così forte che probabilmente si era sentito anche al piano di sopra, a Los Angeles. Dal soffitto della caverna piovvero dei detriti. Tutte le porte si spalancarono violentemente e centinaia di scheletri guerrieri di ogni epoca e nazione della civiltà occidentale si riversarono nella sala del trono, schierandosi lungo le pareti e bloccando le uscite.

«Pensi che io voglia la guerra, piccola dea?» tuonò Ade.

«Lei è il Signore dei Morti» intervenne Percy «una guerra espanderebbe il suo regno»

«Tipico dei miei fratelli! Pensi che abbia bisogno di altri sudditi? Non hai visto il disordine che c'è nelle Praterie degli Asfodeli?»

«Be'...»

«Hai la minima idea di quanto si sia ingrandito il mio regno solo nell'ultimo secolo, di quanti nuovi padiglioni io abbia dovuto aprire?». Percy aprì la bocca per rispondere, ma Ade ormai andava a ruota libera. «Altri demoni di vigilanza, ingorghi al padiglione del giudizio, doppi straordinari per il personale... una volta ero un dio ricco. Ho accesso a tutti i metalli preziosi del sottosuolo. Ma quante spese!»

«Caronte vuole un aumento di stipendio» aggiunse Percy.

«Non me ne parlare!» gridò Ade «Caronte è diventato impossibile da quando ha scoperto i vestiti firmati! Ci sono problemi ovunque e devo risolverli tutti io, personalmente. Solo il tempo che ci metto dal mio palazzo alla porta degli Inferi basta a farmi impazzire! E i morti continuano ad arrivare! Non mi serve di certo aiuto per avere altri sudditi! Non l'ho voluta io questa guerra!»

«Ma lei ha preso la Folgore di Zeus»

«MENZOGNE!»

La terra tremò di nuovo. Ade si alzò dal trono in tutta la sua altezza, svettando come il palo di un campo di football. «Tuo padre potrà ingannare Zeus, ragazzino, ma io non sono così stupido. Capisco il suo piano»

«Il suo piano?»

«Sei tu il ladro del solstizio d'inverno» lo accusò «tuo padre sperava di farti restare il suo piccolo segreto. Ti ha guidato lui nella sala del trono, sull'Olimpo, con il suo» e indicò me «aiuto! E tu hai preso la Folgore e il mio Elmo! Se non avessi inviato la mia Furia a stanarti in quella scuola forse Poseidone sarebbe riuscito a nascondere i suoi piani di guerra. Ma ora sei stato costretto a uscire allo scoperto. Sarai smascherato come il ladro di Poseidone e io riavrò ciò che è mio!»

«Un momento» intervenni «è sparito anche il suo Elmo dell'Oscurità?»

«Non fare l'innocentina con me! Tu, la ragazzina di Atena e il satiro avete aiutato questo eroe... siete venuti fin qui a minacciarmi in nome di Poseidone... siete venuti a consegnarmi un ultimatum. Poseidone pensa forse di convincermi a schierarmi dalla sua parte con il ricatto?»

«No!» obiettò Percy «Poseidone non... io non...»

«Non ho detto nulla della scomparsa dell'Elmo perché non mi illudevo di trovare qualcuno disposto a offrirmi la minima giustizia, il minimo aiuto, sull'Olimpo. Non posso permettere che si venga a sapere che la mia più potente arma di terrore è scomparsa. Perciò vi ho cercato con le mie forze, e quando è stato chiaro che stavate venendo da me per minacciarmi, non ho cercato di fermarvi»

«Lei non ha cercato di fermarci? Ma-»

«Restituitemi subito l'Elmo o fermerò la morte. Ecco la mia controproposta. Squarcerò la terra e riverserò i morti nel mondo. Trasformerò le vostre città in un incubo. E tu, Percy Jackson! Il tuo scheletro guiderà il mio esercito fuori dall'Ade insieme a quello di Alexandra Grace!»

Tutti i soldati-scheletro fecero un passo avanti, spianando le armi. «Lei è malvagio come Zeus!» sbottò Percy, furioso «Pensa che l'abbiamo derubata? È per questo che ci ha scatenato contro le Furie?»

«Naturalmente» rispose Ade.

«E gli altri mostri?»

Ade contrasse le labbra. «Con loro non ho avuto niente a che fare. Non volevo regalare a te e ad Alexandra una morte rapida, volevo che vi portassero vivi al mio cospetto, per riservarvi tutte le torture dei Campi della Pena. Perché credi che vi abbia lasciato entrare nel mio regno così facilmente?»

«Facilmente?!»

«Restituiscimi la mia proprietà!»

«Ma io non ho il suo Elmo! Sono venuto qui per la Folgore!»

«Quella è già nelle tue mani!» gridò Ade «Te la sei portata dietro fin qui, piccolo sciocco, pensando di potermi minacciare!».

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