19 [AX]
IL CAGNOLINO VUOLE GIOCARE
Ci facemmo largo tra la folla di spiriti in attesa. Cominciarono a tirarci i vestiti come il vento, le voci che sussurravano frasi incomprensibili. Caronte li allontanò con gesti bruschi, brontolando: «Scrocconi».
Ci scortò nell'ascensore, che era già stracolmo di anime dei morti, ciascuna con la sua carta d'imbarco verde. Caronte agguantò due spiriti che stavano cercando di salire con noi e li respinse nell'atrio. «Bene. Ora, non fatevi venire idee strane durante la mia assenza» annunciò alla sala d'attesa «e se qualcuno si azzarda a spostare la manopola dalla mia stazione radio preferita, farò in modo che restiate qui per un altro migliaio di anni. Intesi?» e chiuse le porte. Infilò una scheda d'accesso in una fessura sul pannello dell'ascensore e cominciammo a scendere.
«Che succede agli spiriti che aspettano nell'atrio?» chiese Annabeth.
«Niente» rispose Caronte.
«Per quanto tempo?»
«Per sempre, o finché non mi sento generoso»
«Oh» fece lei «mi sembra... giusto»
Caronte alzò un sopracciglio. «Chi ha mai detto che la morte è giusta, signorinella? Vedrai quando toccherà a te. E morirai presto, nel posto dove state andando»
«Ne usciremo vivi» replicò Percy.
«Come no»
Ebbi un'improvvisa sensazione di vertigine. Non stavamo più andando verso il basso, ma in avanti -come se fosse meglio, per me. Più ci allontanavamo dalla superficie, più una sensazione di malessere mi stritolava i polmoni. Mi appoggiai una mano sul petto e strofinai, respirando profondamente.
«Stai bene?» mi sussurrò Percy.
«No» risposi in tutta onestà «non particolarmente»
«Gli Inferi non sono posto per i viventi» disse Caronte, osservandomi da dietro gli occhiali «in special modo per una Figlia del Cielo»
«Sa chi sono?» gli chiesi sbalordita.
«Ma certo. Hai lo stesso odore del tuo vecchio, piccola. Più ti separerai dal cielo, più starai male»
Strinsi le labbra. Aveva senso, in effetti. «Che odore ho?» chiesi infine, curiosa.
«Pioggia e ozono» replicò Caronte. Poi strinse le labbra. «E vita» aggiunse, guardando dritto davanti a sé.
«Vita?» domandai perplessa, ma non mi rispose: l'aria si velò d'improvviso. Gli spiriti che avevo intorno iniziarono a cambiare. Gli abiti moderni che indossavano tremolarono, trasformandosi in tuniche grigie col cappuccio. Il pavimento dell'ascensore prese a ondeggiare.
Chiusi forte gli occhi, combattendo la nausea. Quando li riaprii, il completo chiaro di Caronte era stato rimpiazzato da una lunga tunica nera. Gli occhiali con la montatura di tartaruga erano spariti. E al posto degli occhi c'erano delle orbite vuote –come quelle di Ares, solo che queste erano fosse di tenebre, piene di buio, morte e disperazione. «Che hai da guardare?» chiese a Percy.
«Niente» riuscì a balbettare lui in risposta.
Pensai che Caronte sogghignasse, ma mi sbagliavo. La carne del suo volto stava diventando trasparente, lasciandoci intravedere le ossa del cranio. Il pavimento, intanto, continuava ad ondeggiare. Grover gemette: «Penso che mi stia venendo il mal di mare».
«Non dirlo a me» borbottai.
Quando chiusi di nuovo gli occhi e li riaprii qualche minuto dopo, l'ascensore non era più un ascensore. Eravamo su una chiatta di legno. Caronte ci stava traghettando attraverso un nero fiume oleoso in cui turbinavano ossa, pesci morti e altri oggetti inquietanti: bambole di plastica, garofani schiacciati, fradici diplomi dai bordi dorati.
«Lo Stige» mormorò Annabeth «è così...»
«... inquinato» finì Caronte «da migliaia di anni voi umani ci gettate dentro di tutto, durante la traversata: speranze, sogni, desideri che non si sono mai realizzati. Una gestione dei rifiuti irresponsabile, se volete la mia opinione»
La foschia si levava in volute di vapore dall'acqua sudicia. Sopra di noi, quasi sperduto nell'oscurità, c'era un soffitto di stalattiti. Di fronte, una costa lontana emanava un bagliore verdognolo che mi ricordava il colore del veleno.
Annabeth mi afferrò la mano destra. Percy, subito dopo, mi afferrò la mano sinistra. Capivo come si sentivano. Avevano entrambi bisogno di sapere che c'era qualcun altro vivo su quella barca. Percy mormorava qualcosa di simile ad una preghiera, non capii bene rivolta a chi. Laggiù contava soltanto un dio, ed era quello che eravamo venuti ad affrontare.
La costa degli Inferi entrò lentamente nella nostra visuale. Rocce scoscese e sabbia vulcanica nera si estendevano verso l'interno per un centinaio di metri, fino ai piedi di un alto muro di pietra che proseguiva in entrambe le direzioni fin dove riuscivamo a spingere lo sguardo. Un verso risuonò nella penombra verdognola, riecheggiando sulle pietre: l'ululato di un grosso animale. «Il vecchio Tre Facce è affamato» commentò Caronte. Il suo sorriso si fece scheletrico nella luce verdognola. «Peggio per voi, piccoli dei»
Il fondo della barca scivolò sulla sabbia nera. I morti cominciarono a scendere: una donna che teneva per mano una bambina; una coppia di anziani barcollanti, che avanzavano tenendosi a braccetto; un ragazzo non più grande di noi, che procedeva muto nella sua tunica grigia. Caronte disse a Percy: «Ti auguro buona fortuna, amico, ma quaggiù non ne troverai. Ricordati di accennare al mio aumento di stipendio».
Si infilò le dracme d'oro nella borsa, una per una, poi raccolse la sua pertica. Gorgheggiò qualcosa che somigliava a una canzone e ripartì, traghettando la chiatta vuota lungo il fiume.
L'ingresso degli Inferi somigliava a un incrocio fra la vigilanza di un aeroporto e il casello dell'autostrada più trafficata d'America. C'erano tre entrate separate sotto un'unica immensa volta nera, su cui campeggiava la scritta: STATE ENTRANDO NELL'EREBO. Ogni ingresso era provvisto di un metal detector sormontato da telecamere di sicurezza, superato il quale c'erano dei caselli con dentro dei demoni vestiti con una tunica nera, come Caronte.
L'ululato della bestia affamata adesso era davvero assordante, ma non riuscivo a vedere da dove provenisse. Il cane a tre teste, Cerbero, preposto a fare la guardia alla porta di Ade, non si vedeva da nessuna parte.
I morti si misero l'uno dietro l'altro, dividendosi in tre file, due con su scritto OPERATORE IN SERVIZIO e una con il cartello MORTE FACILE. Quest'ultima procedeva spedita. Le altre due erano più lente. «Che vuol dire, secondo te?» chiese Percy ad Annabeth.
«La fila veloce andrà direttamente alle Praterie degli Asfodeli» rispose lei «per quelli che preferiscono evitare controversie legali. Non vogliono rischiare il giudizio del tribunale, perché potrebbe essergli avverso»
«C'è un tribunale per i morti?»
«Sì. Formato da tre giudici, che cambiano di volta in volta. Minosse, Thomas Jefferson, Shakespeare... gente così. Qualche volta osservano una vita e decidono che quella persona merita una speciale ricompensa: i Campi Elisi. Altre volte stabiliscono una pena. Ma la maggior parte della gente, be', è vissuta e basta. Non ha fatto niente di speciale, né di buono né di cattivo. Perciò va nelle Praterie degli Asfodeli»
«A fare cosa?»
«Immagina di stare in un campo di grano del Kansas. Per sempre» rispose Grover.
«Dev'essere dura»
«Non quanto quello che succederà a lui» mormorò Grover «guarda». Un paio di demoni avvolti nelle tuniche nere aveva preso da parte uno spirito e lo stavano perquisendo al bancone della vigilanza. «È quel predicatore che ha dato scandalo, hai presente?»
«Ah, sì»
«Chi cavolo è?» domandai.
«Era un telepredicatore di New York che ha raccolto milioni di dollari per gli orfanotrofi e poi li ha spesi per rifarsi la villa, con accessori indispensabili tipo tavolette del water laminate d'oro e un campo da minigolf da interni» mi spiegò Percy «è morto durante un inseguimento con la polizia, quando la sua "Lamborghini per il Signore" è precipitata in un dirupo». Si rivolse a Grover. «Che cosa gli faranno?»
«Ade gli assegnerà una pena speciale» ipotizzò lui «quelli davvero malvagi ottengono la sua attenzione personale non appena arrivano. Le Fur... le Benevole inventeranno una tortura eterna apposta per lui»
«Spero sia abbastanza brutta» commentai.
«Ma se è un predicatore» disse Percy «e crede in un inferno diverso...»
Grover fece spallucce. «Chi dice che sta vedendo questo posto come lo vediamo noi? Gli umani vedono quello che vogliono vedere. Siete piuttosto cocciuti... ehm, costanti, in questo senso»
Ci avvicinammo alle porte. L'ululato adesso era talmente forte da far tremare il terreno sotto i nostri piedi, ma ancora non riuscivo a capire da dove provenisse.
Poi, a una quindicina di metri di distanza, ci fu un luccichio nella foschia verdognola. E lì, nel punto in cui il sentiero si divideva in tre, c'era un gigantesco mostro informe. Non l'avevo visto prima perché era semitrasparente, come i morti. Finché non si muoveva si fondeva con qualsiasi cosa ci fosse alle sue spalle. Solo gli occhi e le zanne sembravano solidi. E stava guardando noi.
Rimasi a bocca aperta. «È un rottweiler» disse Percy.
Mi ero sempre immaginata Cerbero come un grosso mastino nero. E invece era senza dubbio un rottweiler puro, solo che naturalmente era grande il doppio di un mammut, era pressoché invisibile e aveva tre teste. I morti gli si avvicinavano senza avere il minimo timore. Le file dell'OPERATORE IN SERVIZIO si dividevano ai suoi fianchi, mentre gli spiriti della MORTE FACILE gli passavano direttamente fra le zampe anteriori e sotto la pancia, senza neanche accucciarsi.
«Comincio a vederlo meglio» mormorò Percy «come mai?»
«Penso...». Annabeth si inumidì le labbra. «Temo che sia perché ci stiamo avvicinando di più alla nostra morte»
La testa di mezzo del cane si allungò verso di noi. Annusò l'aria e ringhiò. «Riesce a fiutare i vivi» dissi.
«Non c'è problema» replicò Grover, tremando al mio fianco «perché abbiamo un piano»
Sul quale avevo più di un dubbio, ma non lo dissi.
Ci avvicinammo al mostro. La testa di mezzo ringhiò, poi abbaiò così forte da farmi tremare le pupille. «Lo capite?» chiese Percy a me e a Grover.
Scossi la testa. «No, io no. Tu, Grover?»
«Oh, sì»
«Che sta dicendo?»
«Non credo che esista una parolaccia simile in nessun linguaggio umano» rispose Grover, pallido.
Percy tirò fuori dallo zaino un grosso bastone, la gamba di un letto che aveva spezzato da un modello Safari Deluxe di Crusty. La sollevò con il braccio. Si sforzò poi di sorridere come se non fossimo sul punto di morire. «Ehi, bel cagnone» gridò «scommetto che non giocano molto con te!»
«GRRRRRRRRRR!»
«Di immortales» gemetti, arretrando di un passo con Annabeth aggrappata al mio braccio.
«Buooono...» fece Percy con un filo di voce. Mosse il bastone. La testa di mezzo seguì il movimento, ma le altre due continuarono a puntarlo, ignorando completamente gli spiriti. «Prendilo!»
Glielo lanciò nell'oscurità: un lancio coi fiocchi. Lo sentii piombare nello Stige.
Cerbero lo guardò torvo, per niente impressionato. I suoi occhi erano minacciosi e freddi.
E tanti saluti al nostro piano.
Il ringhio adesso era diverso, un suono che saliva dal profondo delle tre gole. «Ehm» fece Grover «Percy?»
«Sì?»
«Penso che tu voglia saperlo»
«Sì?»
«Hai presente Cerbero? Ecco... sta dicendo che abbiamo dieci secondi per pregare un dio a nostra scelta. Dopodiché... be'... ha fame»
«Aspettate!» esclamò Annabeth, mettendosi a frugare nel suo zaino.
«Cinque secondi» contò Grover «scappiamo?»
Annabeth tirò fuori una palla di gomma rossa delle dimensioni di un pompelmo. Era marcata WATERLAND, DENVER, CO. La levò in alto e avanzò impettita verso Cerbero. Gridò: «Guarda la palla! Vuoi la palla, Cerbero? Seduto!».
Cerbero sembrava sbigottito quanto noi. Tutte e tre le teste si piegarono di sghembo, allungando il collo. Sei narici si dilatarono.
«Seduto!» gridò di nuovo Annabeth.
Cerbero si leccò le tre serie di labbra, scrollò il posteriore e si sedette, schiacciando una dozzina di spiriti della MORTE FACILE che gli stavano passando sotto proprio in quell'istante. Si dissolsero con dei sibili soffocati, come aria rilasciata da un copertone.
Io e Percy ci scambiammo un'occhiata scioccata.
Annabeth disse: «Bravo!» e gli lanciò la palla.
Cerbero la prese con la bocca centrale. Date le dimensioni riusciva a masticarla appena, e le altre teste cercarono di strapparle il giocattolo nuovo.
«Lascia!» ordinò Annabeth.
Le teste di Cerbero smisero di litigare e la guardarono. La palla era incuneata fra due zanne come un minuscolo pezzetto di gomma.
La simpatica bestiolina emise un guaito acuto e spaventoso, e poi depositò la palla ai piedi di Annabeth. Adesso era tutta appiccicosa e mordicchiata. «Bravo, cagnone». Raccolse la palla, ignorando la bava del mostro. Si girò verso di noi. «Andate. La MORTE FACILE è più veloce»
«Ma-» provò a protestare Percy.
«Ora!» ordinò lei con lo stesso tono che stava usando con il cane.
Ci facemmo debolmente avanti. Cerbero si mise a ringhiare. «Fermo!» gli ordinò Annabeth «se vuoi la palla, stai fermo!»
Cerbero guaì, ma rimase dov'era. «Non ti lascio indietro, Beth» dissi categorica mentre le passavamo davanti. Mi fermai. «Rimango con te»
«So quello che faccio, Alex» mormorò «almeno, ne sono abbastanza sicura... devi andare. Percy e Grover hanno bisogno di te»
«Ma-»
«Vai, Alex» mi ordinò categorica, spingendomi in avanti.
Ci infilammo fra le zampe del mostro. Mi tremavano le ginocchia.
E alla fine riuscimmo a passare. Cerbero non era meno spaventoso visto da dietro, per niente. Annabeth gli disse di nuovo: «Buoono!». Tirò su la palla malconcia e probabilmente giunse alla stessa conclusione a cui ero giunta io: se avesse ricompensato Cerbero, non le sarebbe rimasto nulla per tenerlo a bada.
Ma lei la lanciò lo stesso. La bocca sinistra del mostro l'addentò subito, solo per vedersi attaccata un istante dopo dalla testa di mezzo, mentre quella di destra uggiolava in segno di protesta. Sfruttando l'attimo di distrazione del mostro, Annabeth sfrecciò rapidamente sotto la sua pancia e ci raggiunse al metal detector.
«Come hai fatto?» le chiese Percy, sbigottito.
«Scuola di addestramento» rispose lei, senza fiato. Aveva le lacrime agli occhi. «Quando ero piccola a casa di papà avevamo un dobermann»
«Direi che è ora di muoversi, ne parliamo dopo» ci esortò Grover.
Stavamo per infilarci nella fila della MORTE FACILE quando Cerbero guaì penosamente con tutte e tre le bocche. Annabeth si fermò e si voltò verso il mostro, che ci stava guardando e tirò fuori le lingue, ansimando speranzoso, con la minuscola palla rossa ormai maciullata ai suoi piedi, in una pozza di bava. «Buoono» ripeté Annabeth, ma in tono malinconico, titubante.
Le teste del mostro si piegarono di lato, come se fossero preoccupate per lei. «Ti porterò presto un'altra palla» promise lei timidamente «ti piacerebbe?»
Il mostro guaì in risposta. Vidi Annabeth trasalire appena. «Bravo. Verrò a trovarti presto. Te lo prometto». Poi lei si girò verso di noi. «Andiamo»
Passammo sotto il metal detector. L'allarme scattò subito, facendo partire una serie di lampeggianti rossi. «Articoli non autorizzati! Identificata magia!»
Cerbero si mise ad abbaiare. Ci precipitammo oltre la porta della MORTE FACILE, che fece scattare altri allarmi, ed entrammo a rotta di collo negli Inferi.
Pochi minuti dopo eravamo nascosti nel tronco marcio di un immenso albero nero mentre dei demoni della vigilanza ci superavano di corsa, chiamando a gran voce i rinforzi delle Furie. Grover mormorò: «Be', Percy, che cos'abbiamo imparato oggi?».
«Che i cani a tre teste preferiscono le palle di gomma rossa ai bastoni?»
«No» rispose lui «abbiamo imparato che i tuoi piani hanno decisamente del mordente, ma che alla fine sono una bidonata!»
Cerbero guaiva sconsolato in lontananza, rimpiangendo la sua nuova amica. Quando Annabeth si asciugò una lacrima dalla guancia finsi di non vederla, ma trovai la sua mano e la strinsi.
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