17 [AX]


SGUAZZARE TRA I RIFIUTI


Saltammo giù dal Tir un po' goffamente, immergendoci nel pomeriggio del deserto.

C'erano come minimo quaranta gradi e noi dovevamo proprio avere l'aria di vagabondi cotti dal sole, ma erano tutti troppo presi dagli animali per fare caso a noi. Passammo davanti a ogni genere di albergo e casinò di lusso: il Montecarlo, l'MGM, le piramidi, una nave pirata e perfino la Statua della Libertà.

Non era ben chiaro cosa stessimo cercando. Forse solo un posto per ripararci dal caldo, trovare un panino e qualcosa da bere -e magari escogitare un nuovo piano per arrivare sulla costa occidentale. Quello era il problema più impellente.

Probabilmente ad un certo punto sbagliammo strada, perché ci ritrovammo in un vicolo cieco di fronte all'Hotel Casinò Lotus. L'ingresso era un enorme fiore al neon, con i petali che si accendevano a intermittenza. Non c'era gente, ma le scintillanti porte cromate erano aperte, liberando un'aria condizionata che profumava di fiori di loto. Il portiere, adocchiandoci, ci sorrise. «Ehi, ragazzi. Sembrate stanchi. Volete entrare a riposarvi?»

Percy annuì subito e disse che ci sarebbe piaciuto molto entrare. Eravamo tutti stanchi, sporchi e affamati, quindi nessuno di noi protestò -anche se, con il senno di poi, sarebbe stato meglio farlo.

Una volta dentro, ci guardammo attorno e Grover esclamò: «Cavolo!».

L'intero atrio era una sala giochi gigantesca. C'era uno scivolo d'acqua attorcigliato attorno a un ascensore di vetro che saliva per almeno quaranta piani. Un'intera parete era dedicata all'arrampicata e c'era persino un ponte per il bungee jumping da interni. Si potevano indossare tute speciali per la realtà virtuale, con vere pistole laser, e centinaia di videogame proiettati su giganteschi maxischermi. E non bisognava fare la fila, perché non c'erano molti ragazzi a giocare.

Inoltre, diverse cameriere giravano per la sala e c'erano snack-bar che servivano ogni genere di cibo che si possa immaginare. Se non fossi stata così stordita per il caldo, la sete e la fame probabilmente mi sarei fatta due domande, ma in quel momento la fortuita apparizione di quel posto quando più ne avevamo bisogno non mi disturbava minimamente.

«Benvenuti al Casinò Lotus!» esclamò un fattorino. Indossava un'orrenda camicia hawaiana bianca e gialla a motivi floreali, dei pantaloncini corti e un paio di infradito. Mi ricordò un po' il signor D. «Ecco la chiave della vostra stanza!»

«Ehm, ma noi-» balbettò Percy.

«No, no» lo interruppe lui, ridendo «il conto è già saldato. Niente spese extra, niente mance. Salite pure all'ultimo piano, stanza 4001. Se avete bisogno di qualcosa, tipo più bolle nell'idromassaggio o le ricariche per il tiro al piattello, chiamate la reception. Ed ecco qui le vostre carte Lotus». Ci mise in mano quattro carte di credito di plastica. «Funzionano nei ristoranti e su tutti i giochi e le attrazioni»

Fissai la mia, un po' confusa. «Chi ha-»

Ma Percy mi interruppe. «Qual è il budget?»

Lui aggrottò le sopracciglia. «In che senso?»

«Voglio dire, quando si esauriscono le carte?»

Scoppiò a ridere. «Ah, era una battuta! Forte! Godetevi il soggiorno!»

Salimmo in ascensore e raggiungemmo la nostra stanza. Era una suite con quattro camere da letto e un angolo bar rifornito di dolciumi, bibite gassate e patatine. Aveva anche la diretta con il servizio in camera. C'erano asciugamani soffici e letti con materasso ad acqua e cuscini di piume, un televisore a schermo panoramico collegato al satellite e a Internet... insomma, ogni tipo di confort possibile e immaginabile. Il balcone comprendeva anche una vasca idromassaggio e, come preannunciato dal fattorino, c'era una macchina per il tiro al piattello: potevi scagliare i piattelli direttamente nel cielo di Las Vegas e poi farli saltare con un fucile vero. La vista sulla strada dei casinò e sul deserto era stupefacente, anche se dubitavo che avremmo mai trovato il tempo di fermarci ad ammirarla, con una stanza come quella.

«Dei del cielo» esclamò Annabeth «questo posto è-»

«Una meraviglia» concluse Grover «un'assoluta meraviglia»

«Sì, ma chi ci ha pagato il soggiorno?» domandai un po' confusa «Non vi pare un po' strano?»

«Ci avranno scambiati per i figli di qualche miliardario» rispose Percy, stringendosi nelle spalle «direi di godercela finchè dura, no?»

«Sì, ma-»

«Alex, c'è qualcosa in questo momento che desideri più di una doccia e un pacchetto di patatine?» mi chiese Percy, le sopracciglia alzate.

«In effetti no» ammisi.

Entrai in una delle stanze e mi misi a frugare nell'armadio. C'erano una marea di vestiti di colori diversi, ed erano tutti della mia taglia. Strano.

Mi feci una doccia e fu fantastico, dopo una settimana di viaggio in quelle condizioni. Mi cambiai e raggiunsi gli altri; io e Percy dividemmo tre pacchetti di patatine, spaparanzati sul divano. Feci fuori una bottiglia intera di thè alla pesca e menta e mi sembrò quasi di rinascere: stavo davvero alla grande.

Grover si stava abbuffando di salatini, mentre Annabeth aveva acceso la tv sul canale del National Geographic. «Con tutti i canali che ci sono» le disse Percy «vai a scegliere proprio il National Geographic? Sei matta?»

«È interessante» si giustificò lei.

«Mi sento proprio bene» esclamò Grover «adoro questo posto». Senza che nemmeno se ne rendesse conto, gli spuntarono le ali sulle scarpe e lo sollevarono a trenta centimetri da terra, riportandolo giù subito dopo.

«E adesso che si fa?» chiese Annabeth «si dorme?»

Percy e Grover si scambiarono uno sguardo e un sorriso. Tirarono fuori le carte di credito Lotus di plastica verde. «Si gioca!» esclamò Percy.


─────── ⋆⋅✶⋅⋆ ───────


Non riuscivo a ricordare l'ultima volta in cui mi ero divertita tanto.

Feci quasi tutto con Percy, visto che Annabeth preferiva le attività per cervelloni e Grover sembrava essersi fissato con la caccia al contrario -cervi contro cacciatori. Ci lanciammo con il bungee jumping nell'atrio cinque o sei volte, ci tuffammo dallo scivolo d'acqua, provammo lo snowboard sulla pista artificiale, giocammo alle battaglie laser e all'agente FBI della realtà virtuale.

Il sospetto che qualcosa non andasse mi tornò di prepotenza quando, proprio nel bel mezzo di una agguerritissima battaglia laser, Percy mi piombò davanti. «Spostati!» protestai «Mi blocchi la visuale!»

«Alex, dobbiamo andarcene!» disse lui con decisione.

Cercai di scansarlo, ma proprio in quel momento qualcuno mi colpì, facendo diventare la mia pettorina rossa. «Oooh, ma dai!» esclamai esasperata «Grazie tante, eh! Adesso mi tocca farne un'altra! Ehi, ti va? C'è un tipo grosso come un armadio che mi ha preso di mira, e-»

«No! Non abbiamo tempo per queste cose!» sibilò lui «Dobbiamo andare via! Subito!»

«Cosa? Ma perchè? Ci stiamo divertendo tanto, e poi ho quasi battuto il record assoluto alla battaglia laser, mi manca pochissimo! Guarda, il primo-»

Percy mi afferrò saldamente per le spalle e mi costrinse a guardarlo dritto negli occhi. «Alex, come si chiama tua sorella?» mi interruppe brusco.

«Mia sorella? Io non ho-»

Chiusi la bocca di scatto. Mi venne improvvisamente da vomitare. Stavo per dire a Percy che non avevo una sorella, quando in realtà io l'avevo eccome.

«Talia» dissi con un filo di voce «mia sorella... oh Stige...»

«L'Impresa, ricordi?» disse lui «Il solstizio... la Folgore... i nostri padri che litigano...»

Fu come ricevere una secchiata di acqua gelida dritta in testa. Improvvisamente mi resi conto di dove mi trovavo. Lasciai cadere la pistola laser a terra come se scottasse. «Di immortales!» esclamai, strappandomi la pettorina di dosso «Percy, da quanto siamo qui dentro?»

«Non ne ho idea, ma c'è un tizio che è qui dal 1977»

«Cosa?! Non va bene per niente!» strillai «Cerchiamo Annabeth e Grover e andiamocene immediatamente!»

Io e Percy corremmo per il casinò per almeno cinque minuti buoni. Alla fine trovammo Annabeth ancora intenta a costruire la sua città. «Muoviti» le ordinò Percy «dobbiamo andarcene di qui»

Nessuna risposta. La afferrai per una spalla e la scrollai. «Annabeth!»

Lei alzò lo sguardo, seccata. «Che c'è?»

«Dobbiamo andare!» esclamammo io e Percy all'unisono.

«Andare? Ma di cosa state parlando? Ho appena innalzato le torri...»

«Questo posto è una trappola» le disse Percy.

Non ci rispose finché non la scrollai di nuovo, con più vigore. «Che c'è?» sibilò infastidita.

«Ascolta! Gli Inferi! La nostra Impresa!» insistette Percy impaziente.

«Eddai, Percy, solo un altro paio di minuti...»

«Annabeth, c'è gente che è qui dal 1977! Ragazzi che non sono mai invecchiati! Entri nell'albergo e ci rimani per sempre!»

«E allora?» fece lei indifferente «Riesci a immaginare un posto migliore?»

«Okay, ne ho abbastanza» sbottai.

Le misi una mano sul collo e le mandai una scossa tanto forte da farla rinsavire, ma non svenire.

Annabeth tremò da capo a piedi, percorsa dall'elettricità. Interruppi il contatto. Lei scosse la testa, fece un sobbalzo e il suo sguardo tornò lucido. «Dei del cielo!» esclamò «Alex! Percy! Da quanto tempo siamo qui?»

«Non lo so, ma dobbiamo trovare Grover. Vieni» le disse Percy.

Lo trovammo ancora intento a giocare al cervo cacciatore virtuale. «Grover!» gridammo insieme.

Lui rispose: «Muori, mortale! Muori, stupido e odioso individuo inquinante!»

«Grover!» lo chiamò di nuovo Percy.

Il satiro, per tutta risposta, gli puntò il fucile di plastica contro e cominciò a premere il grilletto, come se fosse solo un'altra immagine dello schermo.

Percy guardò Annabeth e insieme presero Grover a braccetto, trascinandolo via. Le sue scarpe volanti presero vita e tirarono le gambe nella direzione opposta, mentre lui gridava: «No! Ero appena entrato in un nuovo livello! No!».

Il fattorino della Lotus ci corse incontro. «Allora, siete pronti per le carte Platino?»

«No, ce ne andiamo» gli annunciai burbera.

«Che peccato» replicò lui, ed ebbi la sensazione che dicesse proprio sul serio, che gli avremmo spezzato il cuore se ce ne fossimo andati. Ma doveva trattarsi di un'altra illusione. «Abbiamo appena aggiunto un nuovo piano attrezzatissimo per i possessori di carta Platino...»

Ci mostrò le carte e io ne desiderai una con tutta me stessa, ma sapevo che se l'avessi presa non me ne sarei mai più andata.

Grover tese il braccio per afferrare la carta, ma Annabeth lo bloccò. Il profumo del cibo e i suoni dei giochi sembrarono farsi sempre più invitanti. Pensai alla nostra suite al piano di sopra. Forse potevamo restare solo per la notte, e dormire una volta tanto in un letto vero...

NO.

Quelle due sillabe mi riecheggiarono nel cervello. Senza rendermene nemmeno conto, mi ritrovai in mano le Gemelle. Puntai Sinistra dritta alla gola del fattorino. «Se non vuoi diventare un kebab è meglio se ti levi di torno, amico» ringhiai minacciosa.

Il fattorino si dileguò alla velocità della luce, terrorizzato. A quel punto ci precipitammo fuori dalle porte del Casinò Lotus, e corremmo fino in fondo al marciapiede.

Sembrava pomeriggio, più o meno la stessa ora di quando eravamo entrati, ma qualcosa non tornava. Il tempo era completamente cambiato. Era temporalesco, con i lampi estivi che illuminavano il deserto. Percy corse all'edicola più vicina e agguantò il giornale. «Che giorno è?» gli chiese Annabeth ansiosa.

«Che anno è, piuttosto?» aggiunsi io.

«L'anno è sempre lo stesso, ma siamo rimasti nel Casinò Lotus per cinque giorni» rispose Percy pallido.

«Cinque...?» ripetè Annabeth «Vuoi dire che...»

«E' il venti giugno» specificò Percy, quasi senza fiato «ci resta solo un giorno prima del solstizio d'estate. Un giorno per portare a termine l'Impresa».


─────── ⋆⋅✶⋅⋆ ───────


Fu un'idea di Annabeth. Ci fece salire su un taxi di Las Vegas, come se avessimo davvero i soldi per permettercelo, e disse all'autista: «Los Angeles, prego».

Il tassista ci soppesò con lo sguardo. «Sono duecento chilometri. Pagamento anticipato»

«Accetta le carte di debito dei casinò?» chiese Annabeth.

Lui alzò le spalle. «Dipende. Come le carte di credito. Prima le devo strisciare»

Annabeth gli passò la sua carta Lotus verde. Il tipo la guardò, scettico. «La strisci» lo invitò lei.

Lui lo fece. Il tassametro prese a vibrare. Le luci lampeggiarono. Alla fine, dopo il segno del dollaro, comparve il simbolo dell'infinito. Il tassista si voltò a guardarci con tanto d'occhi. «Da che parte di Los Angeles, di preciso... Vostra Altezza?»

«Il molo di Santa Monica». Annabeth drizzò un po' la schiena. Capii che essere apostrofata in quel modo le era decisamente piaciuto. «Si sbrighi, e potrà tenere il resto»

Forse non avrebbe dovuto dirlo. Il tachimetro del taxi non scese mai sotto i centocinquanta per tutto il deserto del Mojave.

Lungo la strada avemmo un sacco di tempo per parlare. Percy ci raccontò il suo ultimo sogno, ma più si sforzava di ricordarne i particolari, più si facevano vaghi. A quanto pareva, il Casinò Lotus ci aveva mandato in corto circuito la memoria. «Il Silente?» suggerì Annabeth, riferito al nome del servo del sogno che Percy non riusciva a ricordare «Il Ricco? Sono entrambi degli appellativi di Ade»

«Forse» rispose Percy incerto.

«Quella sala del trono però somiglia proprio a quella di Ade» commentò Grover «è così che di solito la descrivono»

Percy scosse la testa. «C'è qualcosa che non torna. La sala del trono non è stata la parte principale del sogno. E la voce del baratro... non lo so. Solo che non sembrava la voce di un dio»

Annabeth sgranò gli occhi. «Che c'è, Beth?» le chiesi.

«Oh... niente. Stavo solo... No, deve essere Ade. Forse ha mandato questo ladro, questa persona invisibile, a rubare la Folgore e qualcosa è andato storto...»

«Tipo cosa?» domandai.

«Non lo so» rispose lei, pallida «ma se ha sottratto il simbolo del potere di Zeus dall'Olimpo e aveva gli dei alle calcagna, be'... un sacco di cose potevano andare storte. Perciò forse ha dovuto nascondere la Folgore o magari l'ha persa. Comunque sia, non è riuscito a portarla ad Ade. Non è questo che ha detto la voce del tuo sogno, Percy? Il tizio ha fallito. Questo spiegherebbe cosa stavano cercando le Furie quando ci hanno assalito sull'autobus. Forse pensavano che avessimo recuperato la Folgore»

«Ma se avessi davvero recuperato la Folgore» obiettò Percy «perché starei andando negli Inferi, adesso?»

«Per minacciare Ade» suggerì Grover «per corromperlo o ricattarlo e farti restituire tua madre»

Percy fischiò. «Certo che sei sveglio per essere una capra»

«Oh, be', grazie»

«Ma la cosa nel baratro ha parlato di due oggetti, oltre che di Alex» disse Percy «se uno è la Folgore, l'altro che cos'è? E perchè vuole anche lei?»

«Questa è semplice» disse Grover «chiunque abbia rubato la Folgore vuole indebolire Zeus e la sua autorità. Alex è la sua unica figlia ancora in vita. La vogliono usare per indebolirlo ulteriormente»

Sbuffai. «Chiunque abbia combinato questo pasticcio non ha idea di quanto poco importi a mio padre di me» borbottai.

«Alex, che cosa è successo con tuo padre?» mi chiese Annabeth.

Scambiai un'occhiata con Percy. Era l'unico a cui avevo raccontato della litigata che avevamo avuto sul treno, e sinceramente non avevo nessuna voglia di raccontarla di nuovo. «Non è importante, adesso» tagliai corto «concentriamoci sul vero problema»

«Tu ti sei fatta un'idea sulla cosa che c'è in quel baratro, vero?» chiese Percy ad Annabeth dopo una breve pausa «Cioè, nel caso in cui non si trattasse di Ade?»

«Percy, lasciamo stare. Perché se non si tratta di Ade... no. Deve essere lui per forza» insistette Annabeth. Il deserto ci scorreva accanto in tutta la sua desolazione. Superammo un cartello che diceva: CONFINE DELLA CALIFORNIA, 12 MIGLIA. «La risposta è negli Inferi. Hai visto gli spiriti dei morti, Percy. Ed esiste un solo posto in cui questo è possibile. Siamo sulla strada giusta»

Cercò di tirarci su di morale suggerendo una serie di ingegnose strategie per entrare nel Regno dei Morti, ma mi sentivo inquieta come non mai. Le incognite erano troppe.

Il taxi sfrecciava verso ovest. Ogni folata di vento nella Valle della Morte suonava come uno spettro. Al tramonto ci scaricò sulla spiaggia di Santa Monica, che era identica alle spiagge californiane, tranne che per il tanfo. C'erano giostre sul molo, palme lungo i marciapiedi, barboni che dormivano sulle dune di sabbia e surfisti in attesa dell'onda perfetta.

Ci avvicinammo alla riva. «E adesso?» chiese Annabeth.

Il Pacifico si stava tingendo d'oro alla luce del tramonto. Percy entrò con i piedi nel mare. «Ehi, che stai facendo?» gli domandò Grover, confuso.

Lui continuò a camminare, con l'acqua fino alla vita, poi fino al petto. «Sai quant'è inquinata quell'acqua?» domandò Annabeth «C'è ogni genere di rifiuto toss- e niente, si è immerso»

«Lascialo fare» le dissi, sedendomi sulla spiaggia «non c'è niente che può ferirlo, lì sotto. E' al sicuro. E poi sta imparando, il suo istinto sta iniziando a fare meno schifo»

Grover e Annabeth si sedettero ai miei lati. Per un po' rimanemmo in silenzio, scrutando il pelo dell'acqua scintillare alla luce del tramonto. «La ragione per cui hai litigato con tuo padre» esordì Annabeth «è Percy, non è vero?»

Strinsi le labbra. «Sì» risposi infine con un sospiro «ma non solo»

«Ti ha chiesto di nuovo di ucciderlo e di riportargli la Folgore, vero?» mi domandò Grover.

Sospirai, annuendo. «Se mi fossi rifiutata mi ha detto chiaro e tondo che mi avrebbe considerata indegna di essere sua figlia, e che sarei morta con Percy»

«E tu hai rifiutato» disse Annabeth, ma non era una domanda.

«Ho perso la testa, in quel bagno» raccontai «non tanto per quello che mi ha chiesto di fare, quanto per il fatto che mi ha definito "la sua unica figlia", come se si fosse dimenticato di Talia». Scossi la testa. «Non ha il diritto di usarmi come una marionetta dopo quello che ha fatto a lei e dopo quello che ha fatto a me. Così ho dato un pugno allo specchio dove si era manifestato, ma non prima di avergli urlato in faccia»

«Accidenti!» esclamò Grover «Ora capisco perchè è offeso e perchè ti ha colpita con quel fulmine...»

«Non voleva uccidermi» dissi «se avesse voluto, non sarei qui. Voleva dimostrarmi che credeva a quello che mi ha detto: il fatto che sia mio padre non implica che possa mancargli di rispetto. Era una sorta di avvertimento»

«Perchè hai rifiutato il suo incarico?» mi chiese Annabeth «Non fraintendermi, mi può solo che far piacere che tu non debba uccidere Percy, ma comunque è di tuo padre che stiamo parlando, Alex...»

«Perchè l'Impresa di Percy è molto più importante del suo stupido orgoglio ferito» risposi, ignorando il tuono che riecheggiò per tutta la baia. Annabeth e Grover guardarono nervosamente il cielo. «Se non fermiamo questa guerra ancora prima che nasca soffriranno e moriranno moltissime persone innocenti. E poi...». Mi mordicchiai l'interno guancia. «Abbiamo avuto un inizio un po' burrascoso, ma sono sicura che io e Percy diventeremo amici. E' l'unico che può capire cos'ho passato e cosa sto passando al Campo»

«In che senso?» chiese Annabeth, e notai che era un po' contrariata.

«Nel senso che entrambi siamo gli unici figli viventi di uno dei Tre Pezzi Grossi» spiegai «non avremmo dovuto esistere, Beth. Gli altri hanno timore di noi e del nostro potere. Il resto degli dei ci guarda come una minaccia, anche se non lo ammetterebbero a voce troppo alta. Voglio bene a te, a Grover e a Luke, siete la mia famiglia, ma alla fine della giornata voi avete il vostro posto nel mondo. Io e Percy, invece, siamo soli»

Grover mi circondò le spalle con un braccio, stringendomi a sé. Annabeth non disse nulla, ma le sue dita trovarono le mie e mi strinsero appena la mano.

Rimanemmo così finchè Percy non riaffiorò dall'acqua. Gli andammo incontro mentre i suoi vestiti si asciugavano. Ci raccontò cos'era successo e ci mostrò quattro grosse perle. Annabeth fece una smorfia. «Ogni dono ha un prezzo» disse.

«Questo è gratis» obbiettò Percy.

«No» lo contraddisse, scuotendo la testa «"nessuno dà niente per niente". È un vecchio detto greco che si traduce molto bene nella nostra lingua. Ci sarà un prezzo da pagare. Aspetta e vedrai»

E con questa felice considerazione voltammo le spalle al mare.

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