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LA MIA IDEA FOLLE, SORPRENDENTEMENTE, FUNZIONA
Mi piacerebbe molto raccontarvi che ebbi delle profonde rivelazioni durante la discesa, che venni a patti con la mia natura mortale, che risi in faccia alla morte e cose così.
La verità? Il mio unico pensiero fu: "Aaaaaahhhhh!".
Il fiume mi correva incontro alla velocità di un autotreno. Il vento mi strappava il fiato dai polmoni. Guglie, grattacieli e ponti si alternavano confusamente nella mia visuale.
Alex, alla quale mi aggrappavo disperatamente (lo ammetto, speravo che facesse qualche trucchetto dei suoi visto che sapeva controllare il vento) strillava i peggiori insulti che mi fossi mai sentito rivolgere. Probabilmente avevo combinato un bel casino: avevamo appena deciso di provare ad essere amici, e con quella bravata avevo quasi sicuramente rovinato tutto. La faccenda di zia Em non era niente in confronto al tentato suicidio che avevo appena messo in scena.
Tentato... non c'era niente di tentato, in realtà. Quella era davvero una mossa suicida.
FLAA-BUUUUM!
Venni accecato dal chiarore delle bollicine. Affondai nel buio, sicuro di finire sepolto sotto trenta metri di fango con Alex.
Ma l'impatto con l'acqua non mi fece male. Ora stavo cadendo lentamente, con le bollicine che salivano verso l'alto. Guardai Alex e mi accorsi che aveva una strana bolla che le circondava la testa, un po' come un astronauta. Non avevo idea del perchè, però. Magari ero stato io, inconsciamente, ma non ricordavo di aver pensato niente del genere. Teneva gli occhi chiusi; sentivo il suo battito cardiaco, lento e regolare, contro il petto. La tenevo ancora stretta. Doveva essere svenuta.
E' viva. Questo vuol dire che mi ucciderà quando riprenderà conoscenza. Splendido, ho solo rimandato l'inevitabile.
Ci posammo sul letto del fiume senza emettere un suono. Un pesce gatto grosso quanto il mio patrigno si allontanò nelle tenebre con uno scarto improvviso. Nuvole di limo e di disgustosa immondizia (bottiglie di birra, scarpe vecchie, buste di plastica) mi roteavano attorno.
A quel punto mi resi conto di una serie di cose. Primo: non mi ero spiaccicato come una frittella. Non ero arrostito. Non sentivo neanche più il veleno della Chimera che mi ribolliva nelle vene. Ero vivo, il che era una buona notizia.
Seconda illuminazione: non ero bagnato. Cioè, percepivo il fresco dell'acqua. Vedevo i punti in cui il fuoco si era spento sui miei vestiti. Ma quando mi toccavo, la maglietta era asciutta. Alex, invece, era bagnata fradicia. Scrutai la spazzatura che mi fluttuava accanto. Con una mano continuai a tenere lei stretta a me, e con l'altra e agguantai un vecchio accendino. "Impossibile" pensai.
Lo provai. Funzionava. Una minuscola fiammella si accese sul fondo del Mississippi. Pazzesco.
Ma il pensiero più strano giunse solo all'ultimo: stavo respirando. Ero sott'acqua e respiravo normalmente. Mi alzai in piedi, sostenendo Alex. Non mi sentivo molto stabile. Avremmo dovuto essere morti. Il fatto che non lo fossimo, sembrava... be', un miracolo.
Immaginai la voce di una donna, una voce che somigliava un po' a quella della mamma: "Come si dice, Percy?".
«Ehm... grazie». Sott'acqua, la mia voce sembrava quasi registrata e somigliava a quella di un ragazzo molto più grande. «Grazie, Padre»
Nessuna risposta. C'erano solo la scura corrente carica di immondizia che fluiva a valle, l'enorme pesce gatto che adesso mi scivolava accanto e il bagliore lontano del tramonto in superficie, che tingeva tutto di color caramello. Perché Poseidone mi aveva salvato? Perchè aveva salvato Alex, la figlia del suo attuale nemico?
Più ci pensavo, più mi assaliva la vergogna. Così le altre volte ero stato solo fortunato. Contro un mostro come la Chimera non avevo mai avuto una possibilità. Se Alex non ci fosse stata mi avrebbe dato immediatamente alle fiamme. Quei poveretti in cima all'arco probabilmente erano carbonizzati. Non ero riuscito a proteggerli. Non ero affatto un eroe. Forse dovevo solo restarmene laggiù insieme al pesce gatto, unirmi alle creature del fondale.
Guardai Alex. Sembrava dormire. Lei era una Figlia del Cielo, non era fatta per vivere lì sotto con me, l'immondizia e tutto il resto. Avrei dovuto portarla su.
Fump-fump-fump. La ruota di un battello fluviale sbatté sopra la mia testa, smuovendo il limo. Lì, a meno di un metro e mezzo di distanza, c'era la mia spada con l'elsa di bronzo scintillante che sbucava dal fango. Sentii di nuovo la voce della donna: "Percy, prendi la spada. Tuo padre crede in te".
Stavolta capii che la voce non era nella mia testa. Non la stavo immaginando. Quelle parole sembravano risuonare ovunque, propagandosi nell'acqua come il sonar di un delfino. «Dove sei?» chiesi ad alta voce.
Poi, nella semioscurità, la vidi: una donna del colore dell'acqua, uno spirito della corrente, che aleggiava proprio sopra la spada. Aveva lunghi capelli fluttuanti e gli occhi, appena visibili, erano verdi come i miei. Mi salì un groppo in gola. «Mamma?»
"No, figliolo, sono solo una messaggera, anche se il destino di tua madre non è disperato come credi. Vai sulla spiaggia di Santa Monica"
«Cosa?»
"È il volere di tuo padre. Prima di scendere negli Inferi, devi andare sulla spiaggia di Santa Monica. Porta la figlia di Zeus con te. Ti prego, Percy, non posso fermarmi a lungo. Il fiume è troppo inquinato per la mia presenza"
«Ma...». Ero sicuro che quella donna fosse mia madre, o una sua visione. «Chi... come ha...»
Volevo chiederle così tante cose che le parole mi si confondevano in gola. "Non posso restare, oh prode" disse la donna. Tese la mano e sentii la corrente che mi sfiorava il viso come una carezza. "Devi andare a Santa Monica! E, Percy, non fidarti dei doni..."
La voce si affievolì. «Doni?» chiesi «Quali doni? Aspetti!»
La donna fece un altro tentativo di parlare, ma il suono era svanito. La sua immagine si sciolse nella corrente. Se quella era mia madre, l'avevo persa di nuovo.
Mi sentivo annegare. Peccato che fossi immune all'annegamento. "Tuo padre crede in te" aveva detto. Mi aveva anche chiamato "prode", a meno che non stesse parlando al pesce gatto.
Tenendo stretta Alex mi feci strada fino a raggiungere Vortice e afferrai l'elsa. La Chimera poteva ancora essere lassù, insieme alla sua mammina serpentesca, pronta a finirmi. Come minimo stava arrivando anche la polizia mortale per scoprire chi avesse provocato uno squarcio nell'arco. Se mi avessero trovato avrebbero avuto qualche domandina da farmi.
Sperai che Alex si riprendesse in fretta. Con una certa difficoltà rimisi il cappuccio alla spada e infilai la penna a sfera in tasca. «Grazie, Padre» ripetei nell'acqua scura. Poi mi slanciai nel buio, verso l'alto, e nuotai per raggiungere la superficie.
Arrivai a riva accanto a un McDonald's galleggiante. A un isolato di distanza, tutti i veicoli d'emergenza di St Louis stavano accorrendo attorno all'arco. Elicotteri della polizia volteggiavano in cielo, e a giudicare dalla folla di spettatori, sembrava di essere a Time Square la notte di Capodanno.
Trascinai Alex con me e la adagiai sulla riva. Non appena toccò terra spalancò gli occhi di colpo e si alzò a sedere. «Che cosa...» gracchiò. Poi si toccò il viso, le braccia e le gambe. Alzò gli occhi blu su di me. Erano così grandi che sembravano due palline da ping pong. Le pagliuzze argentate risaltavano con prepotenza. «Siamo vivi?!»
«Sì, siamo vivi» confermai stancamente, tirando un bel sospiro. Ormai mi ero rassegnato: si sarebbe arrabbiata, e avrei ricevuto un altro pugno. Era solo questione di secondi, ormai.
Lei batté piano le palpebre. Poi fece una cosa che mi prese totalmente alla sprovvista: gettò indietro la testa e rise di gusto.
La fissai, sconcertato. Quello, decisamente, non l'avevo previsto. «Alex...?» la chiamai incerto.
«Fantastico!» esclamò deliziata. Mi tese una mano, tenendola sospesa per aria. Le schiacciai il cinque che aspettava. «Bel colpo, Percy Jackson! Ho pensato che ci sfracellassimo, e invece...»
«L'ho pensato anche io» ammisi con una risata nervosa «non sei... insomma...»
«Arrabbiata?». Annuii, e lei rise di nuovo. «Certo che sì! Sono bagnata fradicia e mi hai appena fatta saltare da un'altezza oscena! Sei un pazzo psicopatico! Ma ci hai salvati, perciò per stavolta passi»
«Per stavolta?» borbottai preoccupato.
«Per stavolta» confermò lei, strizzandosi un lembo della maglietta. Lanciò un'occhiata alla mia gamba. «Il veleno?»
«Credo che l'acqua mi abbia guarito. Non sento niente»
Una bambina, poco distante, esclamò: «Mamma! Quei ragazzi sono appena usciti fuori dal fiume!».
«Che bello, tesoro!» rispose la madre, allungando il collo per guardare le ambulanze.
«Ma sono asciutti!»
«Non tutti e due» borbottò contrariata Alex.
«Che bello, tesoro!»
«Oh-oh» borbottai, osservando gli elicotteri della polizia.
Una giornalista parlava davanti a una telecamera: «Probabilmente non si tratta di un attacco terroristico, ci dicono, ma le indagini sono appena iniziate. Il danno, come potete vedere, è molto serio. Pare che dei testimoni oculari abbiano visto qualcuno cadere dall'arco. Stiamo cercando di raggiungere alcuni dei superstiti per sapere se è vero».
Superstiti. Provai un'ondata di sollievo. Forse il custode e la famigliola erano sani e salvi. «La famiglia e il custode» disse Alex «dobbiamo trovare Annabeth e Grover. La Chimera potrebbe essere ancora nei paraggi»
Ci alzammo in piedi e cercammo di intrufolarci in mezzo alla folla per vedere quello che stava succedendo dietro il cordone della polizia. «... due adoloscenti» stava dicendo un altro giornalista «Il Quinto Canale ha saputo che le telecamere della sicurezza mostrano due adolescenti, un ragazzo e una ragazza, in preda a un attacco di follia sul belvedere. Pare che sia stato proprio il ragazzo a innescare in qualche modo l'esplosione. Sembra incredibile, John, ma questo è quanto ci dicono. Parrebbe che subito dopo abbia afferrato la ragazza e si sia buttato di sotto. Ribadisco che non risultano feriti»
«Non puoi stare qui» bisbigliò Alex, spingendomi nella direzione opposta.
Arretrai a testa bassa e percorremmo un lungo tratto attorno al perimetro della polizia. C'erano agenti in uniforme e giornalisti dappertutto. Avevo quasi perso la speranza di ritrovare Annabeth e Grover quando una voce familiare belò: «Peerrr-cy! Aaaa-lex!». Mi voltai e mi ritrovai stretto in un grosso abbraccio. Grover esclamò: «Pensavamo che foste andati a trovare Ade nel modo peggiore!»
Alle sue spalle, Annabeth stava abbracciando Alex. Si sforzava di sembrare arrabbiata, ma anche lei era felice di vederci. «Non possiamo lasciarvi soli nemmeno per cinque minuti! Cos'è successo?»
«Diciamo che siamo caduti»
«Percy! È un volo di oltre centottanta metri!»
«Sì, è psicolabile e ha delle idee folli» intervenne Alex «ma non siamo morti, perciò...»
Dietro di noi, un poliziotto gridò: «Fate largo!». La folla si divise e un paio di paramedici sbucarono fuori in fretta e furia, trasportando una donna su una barella. La riconobbi subito: era la madre del bambino del belvedere. Stava dicendo: «E poi questo cane enorme, questo chihuahua sputafuoco...».
«Sì, signora» disse il paramedico «cerchi di calmarsi. La sua famiglia sta bene. La medicina sta cominciando a fare effetto»
«Non sono pazza! Quel ragazzo ha afferrato la sua amica e si è tuffato nello squarcio, e il mostro è scomparso». Poi mi vide. «Eccolo lì! È lui!»
Alex mi costrinse a girarmi. Ci dileguammo nella folla. «Che sta succedendo?» chiese Annabeth «Stava parlando del chihuahua in ascensore?»
Gli raccontammo tutta la storia: Chimera, Echidna, il nostro numero di tuffo acrobatico e il messaggio della donna sott'acqua. «Cavolo» commentò Grover «dobbiamo portarti a Santa Monica! Non puoi ignorare una convocazione di tuo padre»
Prima che Annabeth potesse rispondere passammo davanti a un altro giornalista che parlava in diretta con lo studio. Mi prese quasi un colpo quando disse: «Percy Jackson. Esatto, Dan. Canale Dodici ha saputo che il ragazzo che potrebbe aver causato l'esplosione corrisponde alla descrizione di un giovane ricercato dalle autorità per un serio incidente d'autobus avvenuto in New Jersey tre sere fa. Le autorità non sono riuscite ad identificare la ragazza, ma non è escluso che Jackson l'abbia rapita: il suo patrigno, Gabe Ugliano, ha detto chiaramente che il figliastro è un ragazzo molto pericoloso. E pare che sia diretto a ovest. Per i nostri spettatori a casa, ecco una foto di Percy Jackson».
Scappammo dietro il furgone della tv e ci infilammo in una stradina laterale. «Certo che il tuo patrigno è proprio un imbecille» commentò Alex «l'idiota sta aiutando inconsapevolmente chiunque ci stia alle calcagna»
«Sì, infatti. Per prima cosa, comunque» dissi «dobbiamo andarcene da questa città!»
In qualche modo riuscimmo a tornare alla stazione senza farci beccare. Salimmo sul treno per Denver appena in tempo. Mentre calava la sera, il convoglio si mosse pesantemente verso ovest, con le luci della polizia che pulsavano ancora alle nostre spalle, stagliandosi contro il profilo di St Louis.
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