11 [AX]
LA COMBINO GROSSA (DI NUOVO)
Trascorremmo due giorni sul treno per l'Ovest, valicando colline, attraversando fiumi e superando ambrate distese di grano. Non subimmo attacchi, ma non riuscivo a rilassarmi. Mi sembrava di essere osservata in continuazione.
Ad un certo punto, durante il viaggio, Grover mi prese da parte con la scusa di voler essere accompagnato nel vagone ristoro. A metà strada mi trascinò in uno dei bagni e chiuse la porta, mettendomi con le spalle al muro (o al cesso, visto l'ambiente). «Alex, dobbiamo parlare» annunciò.
«Quindi non avevi davvero fame?»
«Ho sempre fame» specificò, strappandomi un sorriso «ma prima questo, è più importante»
Annuii. «Va bene. Allora, di cosa si tratta? E perché ne stiamo parlando in un cesso e non nei nostri posti?»
«Perché ti devo parlare di Percy e non voglio che senta»
Mi accigliai all'istante. «Oh. E perché, di grazia? Si è lamentato di me?»
«No, no!» si affrettò a rispondermi «Niente del genere... be', forse un po'...»
«Come, prego?»
«Nulla» disse in fretta «riguarda il vostro litigare, tutto qui. Volevo darti il consiglio che ho dato a lui l'altra sera»
«E sarebbe?»
Grover prese un bel respiro. «Quest'Impresa è importante e non deve fallire. Dovete riuscire a trovare un punto d'incontro»
Feci una smorfia. «Parli come Chirone»
«Questo perché Chirone aveva ragione. Dovreste davvero provare ad andare d'accordo»
«L'Impresa non fallirà perché trovo Perseus irritante, Grover»
«Non si tratta solo dell'Impresa, Alex. Certo, se non riuscite a fidarvi l'uno dell'altro finirà sicuramente male. Guarda che cosa è successo da zia Em... ma non è solo questo»
«E allora di cosa si tratta?»
«Be'... ti ricordi come ti sentivi quando sei arrivata al Campo?»
«Che cosa c'entra questo, adesso?»
«C'entra. Io me lo ricordo, Alex. Ti sentivi sola, fuori posto, e aver perso Talia-»
«Grover, arriva al punto» lo interruppi bruscamente. Ricordavo bene come erano state le mie prime settimane al Campo Mezzosangue, e quanto ero stata male. Non avevo nessuna voglia di riviverle, sinceramente.
Grover sospirò. «La vita di Percy è cambiata all'improvviso: nel giro di poche ore ha rischiato di venire ucciso più volte, ha perso l'unica famiglia che aveva, ha scoperto di appartenere ad un mondo che credeva inesistente, è stato accusato di una cosa molto grave dal dio più potente di tutti ed è stato costretto a prendere parte ad un'Impresa con un addestramento di base abbastanza scarso, pena la morte. Tu come ti sentiresti se ti trovassi una compagna d'Impresa che ti odia e che ti rende la vita difficile?»
«Io non lo-»
«Lo so che non lo odi, Alex» m'interruppe paziente «ho visto come sei quando odi qualcuno. Lo trovi irritante, ma è solo perché siete praticamente eguali. In realtà non lo conosci affatto, come lui non conosce te: l'hai giudicato in base a chi è suo padre ed è un errore di cui tu stessa sei stata vittima al Campo. Ti sembra una cosa giusta?»
Sospirai dal naso, appoggiandomi al lavandino. Grover aveva, purtroppo per me, ragione.
La verità era che anche io, appena arrivata al Campo Mezzosangue, ero stata Perseus. Scaraventata in un mondo di cui capivo poco senza Talia e perseguitata dall'ombra di quello che era un padre assente che, per anni, se ne era fregato di me. Se avevo degli amici era stato solo perché in pochi avevano capito quanto soffrissi e quanto avessi bisogno di aiuto. Il mio atteggiamento era, quasi sempre, stato il problema.
«Qual è il consiglio che gli hai dato?» domandai infine, rassegnata.
Grover mi rivolse un piccolo sorriso. Sembrava compiaciuto. Stupido ragazzo capra... «Gli ho detto che non vi conoscete e che forse è il caso di rimediare» rispose. Mi porse il giornale che teneva in mano. «E se ti serve una scusa per parlargli...»
Lo presi. Era una copia del "Trenton Register-News": in copertina c'era la foto che un turista aveva scattato a Perseus mentre scendevamo dall'autobus. Aveva un'espressione folle negli occhi. La spada era una macchia sfocata e metallica fra le sue mani. Poteva passare per una mazza da baseball o un bastone da lacrosse. La didascalia diceva:
Il dodicenne Percy Jackson, ricercato per la scomparsa della madre a Long Island due settimane fa, si allontana dall'autobus a bordo del quale ha molestato alcune anziane passeggere. L'autobus è esploso ai margini di una strada del New Jersey poco dopo la fuga di Jackson dalla scena. In base alle testimonianze oculari, la polizia ritiene che il ragazzo possa viaggiare in compagnia di tre complici adolescenti. Il patrigno, Gabe Ugliano, ha offerto una ricompensa in contanti per qualunque informazione utile alla sua cattura.
«Be'... merda» borbottai.
«Hai detto bene». Grover fece una smorfia. «Non gli serve una nemesi, Alex. Gli serve un'amica. E tu saresti perfetta»
«Sì... io, la mia pazienza e le mie doti da interlocutore empatico» replicai sarcastica «Grover, che ti aspetti che faccia per lui, esattamente? Non è che iniziando a chiamarlo "Percy" e rivolgendogli un paio di parole gentili gli risolvo tutti i problemi...»
«No, certo. Siete più simili di quanto pensi. Puoi aiutarlo. E lui può aiutare te»
«A fare che cosa?»
Grover mi rivolse un altro sorriso. «Sai esattamente cosa»
Lo guardai uscire dal bagno, imbronciata. Sì, lo sapevo, eccome. Ero troppo chiusa al mondo, troppo diffidente dal prossimo, e se non volevo finire come mio padre dovevo fare qualcosa per cambiare.
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Trovai Perseus seduto dove l'avevamo lasciato. Era solo; Annabeth era sparita, probabilmente per venire a cercare me e Grover. Gli buttai in grembo il "Trenton Register-News", sedendomi di fianco a lui. «Congratulazioni. Prima pagina» esordii «la foto è magnifica. Sembri proprio il pazzo che ha descritto il tuo patrigno»
Perseus lesse l'articolo, imbronciato. Alla fine mi lanciò un'occhiata di traverso. «Sei venuta a prendermi in giro?»
«No, perché dovrei?». Feci una smorfia. «Non sono mica Clarisse. Non trovo divertenti le tue disgrazie... a parte quando Grover ti ha fatto andare a sbattere contro l'albero. Quello è stato divertente»
«Il bernoccolo che mi è uscito in fronte non è d'accordo con te»
«Ne sono sicura». Lo osservai mentre ripiegava il giornale. «Mi dispiace, Perseus»
Girò la testa di scatto verso di me. I suoi occhi, del colore delle onde dell'oceano, si spalancarono per la sorpresa. «Eh? Per cosa?» farfugliò.
Ridacchiai della sua reazione. «Per il tuo patrigno» risposi, addossandomi allo schienale «suona come un idiota totale. Vivere con un tizio del genere deve aver fatto davvero schifo»
«Non ne hai idea. E' una persona orribile, e puzzava come una stalla. Non so come mia madre...»
S'interruppe bruscamente, abbassando lo sguardo. Non doveva essere facile parlare di lei, e la sua tristezza era così intensa che mi sembrava quasi di avvertirla su di me, come una corrente d'aria. Mi mordicchiai l'interno guancia e ripensai a quello che mi aveva detto Grover. Non sapevo fino a che punto potevo aiutarlo... ma dovevo provarci. «Io non ho molti ricordi di mia madre» confessai a voce bassa, fissando il sedile di fronte a me «ero troppo piccola. Di lei ricordo solo i capelli biondi e un forte profumo floreale»
Con la coda dell'occhio lo vidi alzare lo sguardo su di me. «Oh. E'... insomma...»
«Morta? Sì». Sospirai piano. «E' successo alcuni anni dopo la mia fuga e quella di mia sorella. Un incidente d'auto, così mi hanno detto»
«Tua sorella... Talia, giusto? La ragazza nel pino?». Annuii. «Siete scappate di casa?»
«Sì. Talia aveva sette anni, io tre. Mi ha portata con sé. Non ha mai voluto dirmi il motivo, ma sapevo che non andava d'accordo con nostra madre. Non ne ha mai parlato volentieri...». Mi mordicchiai il labbro. «Anzi, non me ne ha mai proprio parlato. Evitava il discorso. So solo che è morta, come nostro fratello»
«Avevi un fratello?»
«A quanto pare sì, ma non me lo ricordo. E' un'altra cosa su cui Talia aveva la bocca cucita»
Ci fu un lungo silenzio. Perseus, dopo un po', tornò a guardarmi. «Quindi hai praticamente vissuto per strada fino a che non sei arrivata al Campo Mezzosangue?»
«Sì, si può dire così. Talia ha badato a me fino a che non abbiamo incontrato Luke, quando avevo circa cinque anni. Ci ha dato una grandissima mano. Tutto quello che so sul combattere e sopravvivere in generale me lo ha insegnato lui. Talia all'inizio non era d'accordo, ma poi ha ceduto»
«E Annabeth?»
«Avevo sette anni quando l'abbiamo incontrata, qualche tempo prima che Grover ci trovasse e ci condusse al Campo. Se entrambe non avessimo passato quello che abbiamo passato, probabilmente sarei stata molto felice di trovare qualcuno della mia età con cui giocare. Invece non fu così. Fisicamente eravamo ancora delle bambine, ma mentalmente non lo eravamo più. Ci siamo odiate fin da subito»
«Davvero?»
«Già. Be', ora sembra una cosa stupida, ma avevo paura che Luke e Talia mi abbandonassero per lei. E poi Annabeth ha sempre avuto quell'aria da smorfiosa e arrogante, mi faceva andare in bestia» replicai con un piccolo sorriso, ricordando la prima disastrosa interazione che avevamo avuto «ho capito solo dopo che è un meccanismo di difesa. Anche se, a dire la verità, arrogante lo è per davvero»
«Be', è molto intelligente» buttò lì Perseus «se lo può permettere, no?»
«No»
«No?»
«No. L'arroganza è una di quelle cose che in un mucchio di situazioni ti può far ammazzare con facilità. Con il tempo ho imparato a volere bene ad Annabeth, e lei a me. Dopo quello che è successo a Talia...» deglutii. Non me la sentivo di parlare di quello che era successo quel giorno, e Perseus sembrò capirlo, perchè pareva vagamente imbarazzato. «Siamo arrivate al Campo insieme, e in cinque anni lo abbiamo lasciato solo poche ore per delle gite. Lei e Luke fanno parte di due delle case più numerose del Campo, hanno trovato la loro dimensione... ma alla fine dell'estate, quando tutti andavano via, erano soli. Come me il resto dell'anno». Mi girai a guardarlo. «Io e te sappiamo bene che cosa significa essere l'unico figlio di un dio in tutto il Campo, non è vero?»
Perseus annuì, un po' cupo. «Anche se ti fai degli amici, alla fine della giornata sei comunque solo»
«Per me è così da cinque anni» confessai con un filo di voce.
«Be'» fece Perseus, guardando ovunque meno che verso di me «possiamo essere soli insieme, se ti va»
Inarcai le sopracciglia, sorpresa. Un mezzo sorriso mi spuntò sulle labbra di fronte al suo palese imbarazzo: il suo volto stava diventando rapidamente rosso. «Dici sul serio?»
«Be'... io... ehm... sì?» farfugliò.
«Mi stai chiedendo se sei serio, Perseus?»
«Uuhh... io...». Sbuffò spazientito. «Insomma... io e te non avremmo nemmeno dovuto nascere stando a quello che mi ha detto Grover sul patto dei Tre Pezzi Grossi. Abbiamo fatto incazzare il Re degli dei in persona, nonché tuo padre, e con la testa di Medusa immagino che anche gli altri non siano troppo contenti di noi. Stiamo pure per scendere negli Inferi... cosa vuoi che sia provare a diventare amici, in confronto?»
Scoppiai a ridere. «Sai una cosa? Se la metti così, hai proprio ragione» ammisi «possiamo provarci. Sei un tipo piacevole da avere intorno quando ti comporti da essere pensante»
«Doveva essere un complimento, quello?»
«Lo era, Perseus»
Sospirò. «E va be', farò finta di crederci. Però smettila di chiamarmi così»
«Perseus?»
«Sì. Neanche mia madre... chiamami Percy»
«Immagino di poterlo fare, visto che abbiamo appena deciso di provare ad essere amici. Percy sia, allora»
«Finalmente» borbottò con un sospiro. Poi si rigirò il giornale tra le mani. «Vortice nella foto sembra una mazza da baseball»
«Sì, è grazie alla Foschia. E' così che i mortali l'hanno vista» spiegai «alcuni di noi hanno il potere di manipolarla a piacimento. Talia, per esempio. Era piuttosto brava. Non ho mai capito come facesse... io non ci sono mai riuscita. Probabilmente non ce l'ho»
Percy mi guardò con le sopracciglia aggrottate. «Quindi i poteri variano di figlio in figlio? Pensavo che i figli di un determinato dio avessero tutti gli stessi poteri...»
«Non so dirti come funziona con precisione, ma ci sono cose che Talia sapeva fare e io no, e viceversa»
«Tu che poteri hai?»
«Come hai visto so parlare con gli animali, ma è un potere limitato. Non mi succede con tutti, credo sia una cosa random. Ho il fiuto molto sviluppato e sono particolarmente veloce, più di un normale semidio, ma questi non sono sicura che siano poteri speciali. E poi l'Elettrocinesi, naturalmente, e l'Aerocinesi, ma in misura molto, molto limitata. Non sono allenata per quello»
«Cos'è?»
«Il controllo dei venti» spiegai «come ti dicevo, non mi sono mai allenata ad usarlo. Se esagero mi capita di stare male fisicamente. Sangue dal naso, debolezza, e nei casi più gravi svengo. Evito di usarla, se posso»
Percy annuì piano, guardando assorto fuori dalla finestra. Dopo qualche minuto di silenzio, parlò. «E che poteri potrei avere io?»
«Sicuramente Idrocinesi. Trai forza dall'acqua, ti cura, e la controlli a piacimento. Basta vedere che hai combinato nei gabinetti con Clarisse e le sue sorelle». Ridacchiammo insieme. «E poi non saprei, sinceramente. Tuo padre è molto potente, Percy. E' uno dei Tre Pezzi Grossi alla fine, e sa fare parecchie cose. Può provocare terremoti, controllare il ghiaccio, cambiare forma a piacimento, parlare con i cavalli, controllare il tempo atmosferico... oh, e quella cosa che fa con la voce. Può arrivare a dei livelli osceni. Chirone mi ha raccontato di quella volta che Poseidone era depresso perché non riusciva a conquistare Anfitrite, e così ha prodotto una specie di suono simile a quello di una megattera, ma infinitamente più forte e più alto. Così esagerato che ha dato un'emicrania record a metà delle creature del mare, infatti»
«Cavolo» borbottò Percy «non riesco ad immaginare come dev'essere venir sgridati da lui...»
«Non lo so... ma se è come venir sgridati da mio padre, allora ti consiglio di non farlo mai arrabbiare»
«E' così tremendo?»
«E' terrificante, Percy» ammisi «e per mia sfortuna, io sono caratterialmente un po' troppo simile a lui. Siamo due teste calde. Non riesco a stare zitta, specialmente se pretende cose assurde, tipo che mi metta a sbudellare il figlio di suo fratello solo perché è ferito nell'orgoglio»
«Pensi davvero che sia stato Ade a rubare la Folgore?»
Mi strinsi nelle spalle. «Non lo so. Da una parte sì: è un piano perfetto. Mentre i nostri genitori sono impegnati a darsele, il vecchio Zio Gioia conquista l'intera baracca»
«Zio... Gioia?» ripetè Percy allibito «Hai davvero chiamato il signore degli Inferi "Zio Gioia"?»
«Sì. E' nostro zio, alla fine, e ha l'aria di uno che... be', lo capirai meglio non appena lo vediamo. Comunque, dicevo... dividi&conquista, la tattica più vecchia del mondo. Dall'altra parte, però, non ne sono del tutto convinta. Le Benevole sul pullman...»
«Grover mi ha detto che pensate che stessero cercando qualcosa più che qualcuno»
«Sì, esatto. Io le avevo già incontrate, Percy, e ti assicuro che se vogliono ucciderti sono molto più aggressive di così, e di solito non fanno domande». Mi passai distrattamente un polpastrello sulla cicatrice che avevo sul sopracciglio. «Urlavano "dove lo avete messo", e devi ammettere che riferita ad un essere umano è una domanda un po' strana»
«Non hai tutti i torti» concesse «ma se non stavano cercando me... cosa cercavano?»
«Boh. Non ne ho idea. Forse Zio Gioia ha fatto rubare la Folgore, e poi qualcuno l'ha rubata anche a lui... oppure hanno rubato anche qualcosa di suo, e questa sarebbe una pessima notizia, perché vorrebbe dire che abbiamo a che fare con una terza parte di cui non sappiamo nulla. Qualcuno che vuole portare scompiglio nell'Olimpo, e di potente, perché rubare a Zeus e ad Ade e farla franca non è di certo una passeggiata»
Percy rispose con un mugugno indefinito. Mi girai a guardarlo; aveva le labbra strette in una linea sottile e gli era venuto uno strano tic all'occhio. Aveva proprio l'aria di uno che stava meticolosamente cercando di tacere un'informazione importante.
«Ehi, dimmi una cosa» gli dissi «che cosa nascondi?»
Sembrò un cerbiatto sorpreso davanti ad un faro. «Io? Ah... niente, figurati» disse velocemente.
«Percy, ho capito che c'è qualcosa-»
Balzò in piedi tanto in fretta che, se non fossi stata lì ad osservarlo, mi sarei persa il suo movimento. «Vado a vedere che stanno facendo Grover e Annabeth» annunciò interrompendomi, allontanandosi come se avesse avuto le Furie alle calcagna.
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I soldi della ricompensa per la restituzione di Gladiola erano bastati solo per comprarci i biglietti fino a Denver. Non ci eravamo potuti permettere delle cuccette, perciò sonnecchiavamo seduti ai nostri posti.
Grover non faceva che russare, belare e svegliarci di continuo. Una volta, girandosi, si sfilò un piede finto. Lo rimettemmo a posto prima che gli altri passeggeri lo notassero. «Allora» chiese Annabeth a Percy «chi vuole il tuo aiuto?»
«Che vuoi dire?»
«Poco fa, mentre dormivi, hai borbottato: "non ti aiuterò". Chi stavi sognando?»
Percy mi lanciò un'occhiata nervosa. Capii che non avrebbe parlato con me lì, quindi sbuffai e mi alzai in piedi, allontanandomi. Magari Annabeth sarebbe riuscita a scoprire che cavolo stava nascondendo.
Passai due carrozze piene di gente con i nasi incollati ai notebook o ai cellulari prima di raggiungere il bagno, che per fortuna era libero. Entrai e mi chiusi dentro, lavandomi le mani.
«Figlia»
Trasalii, alzando la testa di scatto. Riflessa nello specchio logoro del treno davanti a me non c'era la mia figura, ma quella di un uomo dall'aspetto molto curato. Aveva lunghi e folti capelli neri, la barba sale&pepe e due occhi di un grigio temporalesco, con grosse striature blu elettrico. Il suo volto era fiero, bello e cupo; era talmente massiccio che riuscivo solo a vedergli parte delle spalle, fasciate in un completo blu gessato. Nell'aria avvertivo chiaramente un crepitio costante, accompagnato dall'odore familiare di ozono.
«Di immortales» borbottai, il cuore che mi martellava contro la cassa toracica. Arretrai il più possibile, cozzando con la schiena contro il muro. Un solo metro mi separava dallo specchio, ed era troppo poco anche se non era fisicamente lì.
«Hai timore di me?» disse. La sua voce era profonda e autoritaria. «Fai bene. Dovresti proprio averne, dopo ciò che hai combinato»
Lo spavento mi passò così come mi era venuto. Venne rimpiazzato da fastidio, rabbia e dal rancore che covavo per lui da anni. «Non ho paura di te» replicai secca «mi hai solo presa alla sprovvista. E se mi conoscessi bene sapresti che non ho fatto proprio un bel niente»
Il blu nei suoi occhi iniziò a turbinare minacciosamente. «Non dimenticare con chi stai parlando, ragazza!» abbaiò, e un tuono risuonò in lontananza «Il fatto che ti abbia generata io stesso non giustifica la tua insolenza verso il Signore del Cielo!»
«Qual è allora il motivo della sua visita, Divino Zeus?»
Il fatto che continuassi ad usare lo stesso identico tono non sembrò toccarlo più di tanto. Sembrava notare più il fatto che mi ero rivolta a lui con deferenza. «La tua condotta è inaccettabile. Aiutare il figlio del mio peggior nemico-»
«Percy non-»
Un rombo di tuono fece tremare l'intera carrozza. Chiusi la bocca all'istante, anche se avrei voluto continuare a parlare. Non mi andava che colpisse il treno e mi costringesse a crepare in un deragliamento. E poi, era pieno di mortali.
«In quanto mia unica figlia tra i semidei, esigo che tu elimini il figlio di Poseidone seduta stante e che mi riporti ciò che le sue mani indegne hanno osato portare via dal mio trono. Perdonerò la tua profonda mancanza di rispetto, la tua insolenza e il primo rifiuto che hai osato rivolgermi. Anche la bravata della testa di Medusa. Verrai certamente punita, ma non severamente. E' la tua ultima possibilità, Alexandra. Se ti rifiuti anche stavolta, cadrai in disgrazia ai miei occhi e morirai con il figlio di Poseidone!»
Lo fissai, incredula. Non seppi onestamente cosa mi fece infuriare di più: se la sua tracotanza o il fatto che mi avesse definita "unica figlia". A decidere, però, ci misi sorprendentemente poco.
Dimenticai che stavo parlando con il Divino Zeus, il Signore del Cielo, Padre degli dei e bla bla bla. Tutto quello che vedevo, riflesso nello specchio, era un padre assente che non era stato in grado di proteggere le sue figlie, facendone uccidere una e rendendo sola e disperata l'altra. Un padre che ora si faceva avanti e pretendeva che uccidessi l'unica persona che poteva capirmi sulla faccia della Terra, e solo ed unicamente sulla base di una sua personale ed errata congettura. Un padre cieco e immeritevole persino di definirsi tale.
«Io non sono la tua unica figlia» sibilai con forza, le ultime due parole sputate fuori come se fossero velenose. Tremavo dalla rabbia. Un altro tuono riecheggiò ovunque. Dei piccoli fulmini mi danzarono fra le dita delle mani. «Come... osi... chiedermi una cosa del genere? Non una... ma due volte! Come... osi... dimenticare Talia... dopo tutto quello che le hai fatto...»
Iniziò a piovere all'improvviso. Una lacrima mi scese giù per la guancia, e i fulmini presero a danzarmi anche sulle braccia.
«L'hai lasciata morire!» accusai, alzando di poco la voce «Non l'hai mai protetta, mai, come non hai mai protetto me! Ti rendi conto di quello che mi hai fatto, almeno?! Mi hai portato via tutto!»
Ormai stavo sbraitando. La pioggia prese a cadere con più forza. Sembrava il diluvio universale, lì fuori. Una piccola parte del mio cervello era consapevole che lo stavo facendo infuriare, principalmente perché io non avevo nessun controllo sul tempo atmosferico. Doveva essere lui. Ma non me ne importava: ero troppo infuriata.
«Hai anche già cercato di uccidermi con quel fulmine sopra l'autobus!» continuai «E ora pretendi, di nuovo, che sia il tuo pupazzetto e che uccida solo perché lo vuoi tu?! Percy non ha la tua stupida Folgore! E anche se avesse voluto rubarla, io non l'avrei mai aiutato! Quindi la mia risposta è ancora no, Padre, non lo ucciderò per un tuo capriccio, e se ciò farà sì che tu non mi veda più come tua figlia, tanto meglio! Non è che tu mi abbia mai trattata o vista come tale!»
Respiravo pesantemente, come se avessi corso una maratona. Sentivo i fulmini solleticarmi il collo e avvertivo un formicolio sordo per tutto il corpo. Zeus, invece, se ne stava lì nello specchio a fissarmi, con un'indifferenza negli occhi che mi fece venire la nausea.
«Finirai come Talia» disse infine.
E io persi del tutto la testa.
Strinsi il pugno e lo scagliai con tutte le mie forze sullo specchio, proprio all'altezza del suo naso. Quello si frantumò; frammenti di vetro mi volarono intorno, e la lampadina della plafoniera del bagno esplose, inondandomi di scintille e pezzettini di vetro. La cornice dello specchio, ormai vuota, ondeggiò e cadde sul lavandino con un tonfo sordo.
«Alex!» mi chiamò la voce di Annabeth dall'esterno «Sei lì? Che cosa succede? Alex?» e prese a bussare con insistenza.
Mi guardai le nocche. Non avevo neanche un graffio. La pioggia aveva smesso di cadere nel momento in cui avevo sferrato un pugno allo specchio. Il bagno era silenzioso, buio e tranquillo, come se il padre degli dei non fosse mai stato lì e io non avessi mai perso la pazienza, sbraitando contro il suo riflesso.
Raggiunsi la porta e la aprii, trovandomi davanti una Annabeth molto preoccupata. «Abbiamo sentito i tuoni» mi disse «ha iniziato a diluviare, e poi il treno si è messo a vibrare e abbiamo sentito...». Si interruppe, lanciando un'occhiata alle mie spalle. «Di immortales, che è successo?»
«Lo specchio è caduto e mi ha spaventata» mentii io in tono piatto.
Annabeth mi osservò con la fronte aggrottata. «Stai bene?»
No, non stavo bene. Per niente. Non mi pentivo di aver urlato contro Zeus... ma sapevo che era solo una sensazione temporanea. Mio padre non era per niente tollerante. Ci avrebbe pensato lui a farmi pentire della mia boccaccia e del pugno che avrei voluto mollargli per davvero sul naso se non ci pensavo da sola.
«Benissimo» mentii di nuovo con lo stesso tono «vieni, Beth, torniamo a sederci».
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