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DICO "CIAO" AD UN BARBONCINO


Eravamo davvero scoraggiato quando ci accampammo nel bosco, quella notte. Stavamo ad un centinaio di metri dalla strada principale, in una radura fangosa che dei ragazzi del posto avevano chiaramente usato per dei festini: il terreno era cosparso di lattine schiacciate e cartacce di fast food.

Avevamo preso un po' di cibo e delle coperte da zia Em, ma non ci azzardammo ad accendere un fuoco per toglierci l'umidità di dosso: le Furie e Medusa ci avevano già fornito emozioni sufficienti per un giorno solo. Non volevamo attirare altra attenzione indesiderata, specialmente se era così facile.

Decidemmo di dormire a turno, e io mi offrii volontario per il primo di guardia. Annabeth si raggomitolò sopra le coperte e cominciò a russare non appena poggiò la testa a terra. Alexandra, invece, ci mise qualche minuto di più. Di tanto in tanto mi lanciava occhiatacce che sotto sotto mi facevano un po' rabbrividire, ma mi sforzai di non darlo a vedere. Insomma, cavolo, la ragazza sparava fulmini e facevano pure male.

Mano a mano che passavamo del tempo insieme mi rendevo conto che la sua presenza riusciva ad irritarmi sempre meno. L'esperienza da zia Em mi aveva fatto capire che, nonostante tutto, era un'ottima alleata e aveva delle buone intuizioni. Si vedeva che si era allenata per anni, e non mi dispiaceva avere in squadra qualcuno con la sua esperienza. Avevo le spalle parate... se non si arrabbiava (cosa che, a quanto pare, succedeva spesso) e decideva di mollarmi un cazzotto in faccia.

Mi strofinai una mano sul viso. Avrei dovuto essere arrabbiato con lei di rimando: mi aveva tirato un pugno in faccia -e per tutti gli dei, che pugno! Chi cavolo si aspettava che colpisse così forte, piccoletta e caruccia com'era? Se fossi stato del tutto mortale mi avrebbe quasi staccato la testa. Ma per qualche motivo, mentre la osservavo dormire, non riuscii ad avercela con lei. Forse era il fatto che aveva avuto ragione e che io non avevo voluto ascoltarla con tutta quella faccenda di zia Em, ma non glielo avrei mai detto. Neanche sotto tortura.

«Che tristezza, Percy» esordì cupo Grover, appollaiato sul ramo più basso dell'albero davanti a me.

«Ti sei pentito di esserti imbarcato in questa stupida Impresa?»

«No. È questo che mi rattrista». Indicò l'immondizia a terra. «E il cielo. Non si vedono nemmeno le stelle. Hanno inquinato il cielo. È un'epoca terribile per i satiri»

«Ah, ecco. Ci avrei scommesso che eri un ambientalista»

Mi scoccò un'occhiataccia. «E chi non lo è? Solo gli umani! La tua specie sta inquinando il mondo così in fretta che... ah, lasciamo perdere. È inutile dare lezioni a un essere umano. Se le cose continuano di questo passo, non troverò mai Pan»

«Pam? È una tua amica?»

«Pan!» esclamò lui indignato «P-A-N. Il grande dio Pan! A cosa credi che mi serva una licenza da cercatore?»

Una strana brezza spazzò la radura, coprendo per qualche attimo il tanfo di rifiuti e sporcizia. Trasportava profumo di bacche, fiori selvatici e limpida acqua piovana... insomma, le cose che un tempo forse si trovavano nel bosco. A un tratto provai nostalgia per qualcosa che non avevo mai conosciuto. «Parlami della ricerca» gli dissi.

Grover mi scrutò con sospetto, come se temesse che lo stessi prendendo in giro. «Il dio delle selve è scomparso duemila anni fa. Un marinaio al largo della costa di Efeso udì una voce misteriosa che gridava dalla riva: "dite loro che il grande dio Pan è morto!". Quando gli umani ricevettero la notizia ci credettero, e da allora saccheggiano il regno di Pan». Sospirò, malinconico. «Ma Pan era il nostro signore e padrone. Proteggeva noi satiri e tutti i luoghi selvaggi della terra. Ci rifiutiamo di credere che sia morto. Ogni generazione, i satiri più coraggiosi consacrano la propria vita alla sua ricerca. Setacciano la terra, esplorando i luoghi più selvaggi, sperando di scoprire dove si sia nascosto e di svegliarlo dal suo sonno»

«E tu vuoi diventare un cercatore»

«È il sogno della mia vita. Mio padre era un cercatore. E mio zio Ferdinand... la statua che hai visto laggiù...»

«Oh, giusto. Mi dispiace»

Grover scosse la testa. «Zio Ferdinand conosceva i rischi. E anche mio padre. Ma io ce la farò. Sarò il primo satiro a tornare sano e salvo»

«Aspetta un attimo... il primo?»

Grover tirò fuori il flauto dalla tasca. «Nessun cercatore ha mai fatto ritorno. Una volta partiti, scompaiono nel nulla. Nessuno li ha più visti vivi»

«Nemmeno una volta in duemila anni?»

«No»

«E tuo padre? Non hai idea di cosa gli sia successo?»

«No»

«Ma vuoi partire lo stesso» conclusi, sbigottito «cioè, credi davvero che sarai tu a trovare Pan?»

«Devo crederci, Percy. Ogni cercatore ci crede. È l'unica cosa che ci salva dalla disperazione quando guardiamo ciò che gli umani hanno fatto al mondo. Devo credere che Pan si possa ancora risvegliare»

Osservai la foschia arancione del cielo e cercai di capire come Grover potesse inseguire un sogno che sembrava così disperato. Ma del resto, potevo forse considerarmi in una posizione migliore? «Come faremo a entrare negli Inferi?» mormorai «Insomma, che possibilità abbiamo contro un dio?»

«Non lo so» ammise «ma sai, quando eravamo da Medusa e tu stavi frugando nel suo ufficio, Annabeth diceva-»

«Oh, dimenticavo. Annabeth avrà sicuramente un piano»

Grover fece una smorfia. «Non essere tanto duro con le ragazze, Percy. Hanno avuto una vita difficile, soprattutto Alex, ma sono brave persone. Dopotutto, mi hanno perdonato»

«Che vuoi dire? Perdonato per cosa?». Grover sembrò improvvisamente molto interessato ai fori del suo flauto. Non aveva l'aria di uno che intendeva rispondere, e a me venne un sospetto. «Aspetta un attimo... il tuo primo incarico di custode è stato cinque anni fa. Annabeth e Alex sono al campo da cinque anni. Loro due sono state il tuo primo incarico andato male, vero?»

«Non ne posso parlare» rispose lui, e dal tremito del suo labbro inferiore capii che sarebbe scoppiato a piangere se avessi insistito «ma come stavo dicendo... quando eravamo da Medusa, io, Alex e Annabeth abbiamo notato che c'è qualcosa di strano in questa Impresa. Forse non è quello che sembra»

«Ma davvero?» feci sarcastico «Mi incolpano del furto di una folgore che invece ha preso Ade!»

«Non mi riferisco a questo. Le Fur... ehm, le Benevole... sembrava quasi che si stessero trattenendo. Come la Dodds alla Yancy: perché ha aspettato tanto per cercare di ucciderti? E poi, non erano così aggressive sull'autobus»

«A me sono sembrate parecchio aggressive»

Grover scosse la testa. «Alex le ha incontrate altre volte, Percy, e pensa anche lei che non fossero aggressive. E poi continuavano a ripetere: "Dov'è? Dove l'avete messo?" »

Mi trattenni dal chiedergli di Alex. Il commento di Grover sul suo passato difficile mi aveva incuriosito, ma forse sarebbe stato meglio chiederlo a lei -se mai avesse avuto voglia di rispondermi. Sospettavo mi fulminasse, in realtà. «Cercavano me» gli ricordai.

«Forse, ma tutti e tre abbiamo avuto l'impressione che non stessero cercando una persona. Sembrava che parlassero di una cosa... di un oggetto, insomma»

«Questo non ha senso»

«Lo so. Ma c'è qualcosa che ci sfugge in questa Impresa, e abbiamo solo nove giorni per trovare la Folgore»

Mi guardò come se sperasse in una risposta, ma io non sapevo che cosa dire. Pensai alle parole di Medusa: gli dei mi stavano usando. Mi aspettava qualcosa di peggio della pietrificazione. «Non sono stato onesto con voi» dissi a Grover «non mi importa niente della Folgore. Ho accettato di andare negli Inferi solo per riportare indietro mia madre»

Grover suonò una nota lieve col flauto. «Lo so, Percy. E credo che anche le ragazze lo sappiano. Ma sei sicuro che sia l'unica ragione?»

«Non lo sto facendo per aiutare mio padre. A lui non importa di me. E a me non importa di lui»

Grover mi scrutò dall'alto del suo ramo. «Senti, Percy... io non sono intelligente come Annabeth, non sono forte come Alex e non sono coraggioso come te... ma sono piuttosto bravo a leggere le emozioni. Sei felice che tuo padre sia vivo, sei contento che ti abbia riconosciuto e c'è una parte di te che vorrebbe renderlo fiero. Ecco perché hai spedito la testa di Medusa sull'Olimpo. Volevi che notasse quello che avevi fatto, e hai aggiunto il nome di Alex perchè volevi farti perdonare, avevi paura che ti uccidesse sul serio se ti fossi preso tutto il merito e volevi dimostrare che voi due riuscite ad andare d'accordo e a collaborare, a differenza dei vostri padri»

«Ah, sì? Be', forse le emozioni dei satiri funzionano in modo diverso da quelle degli uomini, perché ti sbagli. Non mi importa di quello che pensa lui». Strinsi le labbra. «E non mi importa di quello che pensa Alex»

Non appena lo dissi, però, mi resi conto di aver mentito. Mi importava. Forse troppo, e ne fui abbastanza sorpreso. Ma Grover non era tenuto a saperlo, specialmente perché non ne capivo minimamente il motivo.

Il mio amico satiro tirò su i piedi e li posò sul ramo. «Okay, Percy. Come vuoi» commentò, vagamente scettico.

«E poi non ho fatto niente di cui valga la pena vantarsi. Siamo appena usciti da New York e siamo bloccati qui, senza soldi e senza mezzi per arrivare a ovest»

Grover fissò il cielo notturno, come se riflettesse sul problema. «E se facessi io il primo turno di guardia? Tu cerca di dormire un po'»

Volevo protestare, ma lui si mise a suonare Mozart e io mi girai dall'altra parte, con gli occhi arrossati.

Stavo giusto per prendere sonno, quando disse: «Percy. Vuoi sapere cosa penso?».

«Cosa?» domandai, mezzo assonnato.

«Tu e Alex...»

«Io e lei cosa?»

«Se riuscite a mettere da parte la questione dello scontro di poteri o qualunque cosa sia... sento che diventerete ottimi amici»

«Come no» borbottai sarcastico, sopprimendo uno sbadiglio «voglio certamente essere amico di una che mi passa continuamente scosse elettriche e che mi prende a pugni in faccia nei tempi morti...»

«Non si è comportata bene, questo è vero. Ma nemmeno tu»

«Io non le ho fatto niente! E' lei che mi risponde male senza motivo»

«Senza motivo?» ripetè scettico «Dimmi, per caso... ti risponde male anche quando le parli con gentilezza? O lo fa solo quando sei scontroso e non la stai a sentire?»

Strinsi le labbra, senza rispondere. In effetti, Grover non aveva tutti i torti. Mi ero lasciato un po' trascinare dall'irritazione e non ero stato esattamente ben disposto nei suoi confronti. Il pugno che mi aveva dato da zia Em, sotto sotto, sapevo di meritarmelo. «Nemmeno lei sembra ben disposta nei miei confronti, comunque» brontolai «insomma, mi chiama Perseus... nemmeno mia madre...»

«Non ti conosce. E tu non conosci lei. Vista la situazione forse è il caso di rimediare, no?»

Mi limitai a rispondere con un grugnito. Quando fu chiaro che non avevo intenzione di rispondere, Grover riprese a suonare: qualche nota del Concerto per Pianoforte numero 12 ed ero addormentato.


─────── ⋆⋅✶⋅⋆ ───────


Mi trovai in una caverna buia, di fronte a un baratro spalancato. Grigie creature di nebbia mi turbinavano attorno, brandelli sussurranti di fumo che in qualche modo sapevo essere gli spiriti dei morti. Mi tiravano per i vestiti, cercando di trattenermi, ma qualcosa mi costringeva ad avanzare fino all'estremo limite della voragine.

Guardare in basso mi dava le vertigini. Il baratro era uno squarcio talmente vasto e nero che doveva essere senza fondo, ne ero certo. Eppure avevo la sensazione che qualcosa stesse cercando di risalire dall'abisso, qualcosa di enorme e di malvagio.

"Il piccolo eroe!" . L'eco di una voce ironica risuonò nel buio di quella profondità. "Troppo debole, troppo giovane... ma forse andrai bene lo stesso".

La voce sembrava antica, fredda e pesante. Mi avvolse come un lenzuolo di piombo e mi mise immediatamente i brividi.

"Ti hanno ingannato, ragazzo. Facciamo uno scambio. Ti darò quello che vuoi"

Un'immagine scintillante fluttuò al di sopra del vuoto: mia madre, immobilizzata nell'istante in cui si era dissolta in una pioggia d'oro. Il volto era distorto dal dolore, come se il Minotauro la stesse ancora strangolando. Gli occhi erano puntati su di me, e supplicavano: "Vai!".

Cercai di gridare, ma non mi uscì la voce. Una gelida risata riecheggiò nella voragine. Una forza invisibile mi spinse avanti. Mi avrebbe trascinato nel baratro se non avessi opposto resistenza.

"Aiutami a risorgere, ragazzo". La voce diventò rabbiosa. "Portami la Folgore e la Figlia del Cielo. Colpisci gli dei traditori!"

Gli spiriti dei morti mi sussurravano attorno: "No! Svegliati!".

L'immagine di mia madre cominciò ad affievolirsi. La creatura nel baratro mi strinse nella sua morsa invisibile. Mi accorsi che non gli interessava trascinarmi dentro. Mi stava usando per tirarsi fuori. "Bene" mormorava.

"Svegliati!"


─────── ⋆⋅✶⋅⋆ ───────


Qualcuno mi stava scrollando con una certa impazienza. Aprii gli occhi ed era giorno. «Bene!» esclamò Annabeth «Lo zombie è vivo»

Tremavo per via del sogno. Sentivo ancora la morsa del mostro nel baratro attorno al petto. «Quanto tempo ho dormito?»

«Il tempo di preparare la colazione». Annabeth mi lanciò una busta di fiocchi di mais al formaggio prelevata dallo snack-bar di zia Em. «E Grover e Alex sono andati in esplorazione. Guarda, hanno trovato un amico»

Non riuscivo a mettere a fuoco la scena. Grover era seduto a gambe incrociate su una coperta, e Alex mangiava seduta di fianco a lui con qualcosa di peloso in grembo: un animaletto di peluche sporco, di un rosa innaturale.

No. Non era un animaletto di peluche. Era un barboncino rosato.

Il barboncino mi abbaiò contro con sospetto. Grover disse: «No, non lo è».

Sbattei le palpebre, perplesso. «Stai... stai parlando con quel coso?»

Il barboncino ringhiò. «Questo coso» ribattè infastidita Alex «è il nostro biglietto per l'Ovest. Sii gentile con lui». Poi si rivolse al cane, che abbaiò piano. «No, non sei un "coso". Mi scuso per lui»

«Parlate con gli animali?» chiesi sbigottito «Tutti e due?!»

Il cane abbaiò secco e alzò la testa verso Alex. Lei ridacchiò, accarezzandogli il dorso. «Sì, da proprio quell'impressione»

Grover soffocò una risata. «Percy, ti presento Gladiola. Gladiola, Percy»

Guardai Annabeth perplesso, immaginando che sarebbe scoppiata a ridere per lo scherzo. Invece era serissima. «Non ho intenzione di dire ciao a un barboncino» replicai secco «scordatelo»

«Percy» intervenne Annabeth «io ho detto ciao al barboncino. Anche tu dirai ciao al barboncino»

Il barboncino ringhiò. Alex lo grattò dietro l'orecchio e mi guardò con un sopracciglio alzato. Sospirai, rassegnato, e dissi ciao al barboncino. Grover spiegò di essersi imbattuto con Alex in Gladiola, dove avevano iniziato a chiacchierare. Il barboncino era scappato da una ricca famiglia dei dintorni, che aveva fissato una ricompensa di duecento dollari per la sua restituzione. Gladiola in realtà non aveva voglia di tornare dalla sua famiglia, ma era disposta a farlo se significava aiutare Grover e Alex.

«Ma come fa Gladiola a sapere della ricompensa?» chiesi.

«Che domande: ha letto gli annunci» rispose Grover come se fosse la cosa più naturale di questo mondo.

«Naturalmente. Che scemo...»

«Così consegniamo Gladiola» spiegò Annabeth nel suo tono strategico più convinto «prendiamo i soldi e compriamo i biglietti per Los Angeles. Semplice»

Ripensai al mio sogno: i sussurri dei morti, la creatura nel baratro e il volto di mia madre, che scintillava dissolvendosi in una pioggia d'oro. La richiesta della creatura, che voleva che gli portassi la Folgore e...

Guardai Alex. «Sei sicura che vuoi continuare?» le domandai.

«Perchè?» chiese lei sospettosa, socchiudendo gli occhi «Non ho più intenzione di ucciderti come ieri, Perseus, se è questo che ti preoccupa»

«Non è quello» replicai, scuotendo piano la testa.

«E allora cosa?»

Mi limitai a fissarla, senza sapere bene cosa rispondere. Per un attimo ebbi l'orrida sensazione che avesse capito che nascondevo qualcosa.

Gladiola guaì piano, strusciando il muso contro il suo braccio. «Lo penso anche io» disse al cane, prima di puntarmi addosso i suoi occhi blu «qual è il problema, Jackson?»

Ripensai alle parole di Grover la sera prima. Non potevo negare che avesse ragione: anche io avevo la mia parte di colpa, e forse se avessi smesso di risponderle in una certa maniera avremmo potuto iniziare almeno ad essere civili l'uno con l'altro. Parlare di amicizia era ancora troppo presto, ma da qualche parte si doveva pur cominciare.

E poi c'era l'Impresa. Probabilmente senza Alex avremmo fatto il quadruplo della fatica, ne ero consapevole. Annabeth era intelligente ed era brava ad escogitare i piani, e Grover era utile a modo suo, ma ad istinto era lei quella di cui mi fidavo di più in battaglia. Sicuramente era più esperta di me. Ci e mi avrebbe dato una mano preziosa, e non potevamo fallire: il nostro saltarci alla gola non faceva niente di utile.

«Pensavo fossi ancora arrabbiata con me, tutto qui» risposi infine. Lei mi fissò con una delle sopracciglia leggermente inarcate, come se non mi credesse. Mi affrettai a distogliere lo sguardo e a cambiare argomento: non mi piaceva come mi stava guardando. «Allora... niente autobus»

«No» concordò Annabeth. Indicò in fondo alla collina, verso dei binari della ferrovia che non avevo visto col buio della notte. «C'è una stazione a meno di un chilometro da qui, andando da quella parte. Secondo Gladiola, il treno per l'Ovest parte a mezzogiorno».

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