𝘊𝘈𝘗𝘐𝘛𝘖𝘓𝘖 9: "Faccia a faccia. Un confronto spinoso"
ᏗᎷᎧᏒᏋ ᎥᏁᎦᎥᏁᎥᏖᎧ
"Endless Love"
∞❤️∞
"Illustri ospiti, benvenuti. Diamo inizio alla gara d'appalto per concedere la licenza di centrale termica collocata a Ulster* nella regione della Repubblica d'Irlanda. Iniziamo ad aprire le singole buste." Dichiarò l'uomo ai presenti, seduti nei tavoli paralleli al centro. Incrociai lo sguardo di Hynes e feci un breve cenno con la testa. Nessun rappresentante fiatò, osservando lo sfoglio proseguire. "Kitas Energy. 110 milioni." Passò la busta al suo collega che la ripose e ne alzò un'altra. "Folkas Holding. 100 milioni." Annuì con il capo tenendolo in mente per non dimenticarlo. "Alacak Holding. 125 milioni." Tenni d'occhio attentamente l'espressione del biondino, che mi era di fronte, e pareva impassibile, posizionato sul solito piedistallo come uno spietato dittatore. "E ora andremo a leggere l'ultima proposta." La tensione si poté tagliare con un coltello quando sollevò il braccio in alto e affermò: "Hynes Holding. 150 milioni." Un brusio incessante di voci mi giunse alle orecchie, ma mantenni il contatto visivo con il mio avversario, per niente intimidito da quel duro confronto. "Per favore, un po' di silenzio. Ora iniziamo le offerte pubbliche. In base alle offerte presentate la gara si disputerà fra la 'Hynes Holding' e la 'Alacak Holding'. L'offerta pubblica è partita." decretò.
"175 milioni." Annunciai per primo sollevando la mano.
Tutti si voltarono verso il biondino in attesa che contrattaccasse con qualche altra cifra. Ma Hynes non si scomodò a farlo, lasciò il compito al suo segretario.
"200 milioni." Gli fece segno di aumentare la posta con due dita severo. "250 milioni di euro." Puntò, infine.
Mi sfidò a replicare con quello sguardo presuntuoso, come se per lui quella fosse stata una sfida per poveri principianti, atto a piegare anche l'avversario più caparbio.
Guardai l'uomo con gli occhiali e gli feci un cenno d'assenso.
"L'offerta è chiusa. Hynes Holding si aggiudica la gara d'appalto offrendo 250 milioni di euro. Buona fortuna."
Il biondino si alzò e andò a stringergli la mano. "Il vincitore era già stato deciso, signor Lucas. Ma è stato comunque bello conoscerla." disse ad alta voce con tono provocatorio, mentre usciva dalla sala, sentendosi il vincitore di una vera e propria guerra.
Ma se pensava che fosse così semplice... aveva fatto male i suoi calcoli.
L'automobile si stava allontanando quando uscii fuori dal palazzo.
Presi il cellulare dalla tasca interna e misi in chiamata, con lo sguardo proiettato verso l'orizzonte.
"Signor Dawson. Sì, è finita adesso. Hynes ha vinto la gara." L'uomo fu molto entusiasta, ma m'invitò a non abbassare la guardia. "Sono pronto per prossimi passi, signore." Mi congedò dicendo che mi avrebbe inviato la posizione e mi avviai verso l'auto.
Ivan mi fece salire senza mezzi termini.
"Non ho il coraggio di vederlo. E non sono abbastanza forte per scappare via da lui. Non faccio altro che piangere. Sono una cascata vivente." Dissi avvicinando il fazzoletto di carta al naso arrossato per asciugarlo. Ero esausta di tutto, percepivo quella voragine sotto di me inghiottirmi e la luce essere totalmente avvolta nel buio.
"Non piangere. Prenditi del tempo e... Riflettici!" Mi consigliò Mary. "Mettiamo il caso che ci fosse Lucas qui davanti a te." La guardai, di rimando. Per poco non mi era venuto un colpo. "Cosa gli diresti? Eh... Amybeth?" Roteò il dito in modo circolare contro la tempia. "Pensa a questo..."
Si alzò dal divanetto e andò dentro, lasciandomi da sola con i miei pensieri, mentre passeggiavo distrattamente sulla terrazza.
Dopo qualche secondo, mi raggiunse e si appoggiò alla ringhiera, dando le spalle al panorama, mentre mi incalzava a tirare fuori tutto ciò che per anni avevo soffocato, sotto quelle false apparenze.
"Forse, la vita intera sarebbe dovuta essere con lui contro qualsiasi avversità o problema." Sospirai e abbassai il mento. "Ma non è successo. C'è qualcosa che manca per questo."
"Ah, ma quanti anni hai, Amybeth, per l'amor del cielo? Per prima cosa, devi sbarazzarti di questa ruggine sulla tua anima." Gesticolò con le mani e sbuffò. "O finirò per svenire qui." Continuai a stropicciare il fazzoletto bagnato. "Cosa ti ho chiesto? E guarda con cosa mi stai rispondendo?"
Tirai su con il naso e bisbigliai. "Scusa."
"Forza, sono Lucas!" Dichiarò all'improvviso con la mano sul fianco e mi scrutò dall'alto verso il basso. "Dimmi." M'incalzò cercando di avere un atteggiamento più rude.
Si sentì solo il cinguettio degli uccelli intorno. Guardai i tratti aggraziati della donna e non riuscii a paragonarli in alcun modo a quelli del riccio.
La sua mascella prominente e proporzionata, i suoi occhi che penetravano facilmente la mia barriera mentale e quei ricci che amavo tanto.
"Vattene da qui, Lucas. Ti supplico, devi andartene."
Mary sogghignò, seguendo il copione. "Come? E perché?"
"Perché non posso andare avanti e continuare con la mia vita come prima, se tu rimani." sollevai gli occhi pieni di lacrime puntandoli in quelli di Mary.
"Che m'importa! Dublino è una città così grande. Ho la mia famiglia qui. Posso andare e venire quando voglio. Non devo chiederlo a te." Mi dava quasi l'impressione che fosse lui a parlare, esattamente come nel mio sogno. Poi si sporse leggermente e proseguì. "Inoltre, non ti sto inseguendo né mandando alcun segnale. Sei tu che insegui me."
"Lucas, per favore, vattene. Va via. Non rendere le cose più difficili." Mary sbatté le lunghe ciglia e rimase a fissarmi stranita. "Perché ti sento qui dentro... ti prego." aggiunsi portando la mano sul petto.
Accennò un sorriso. "In questo caso, a chi stai dicendo di andar via, Amybeth?" Imitò lo stesso gesto con la mano sul cuore. "Se Lucas è già qui?"
Distolsi il viso e provai a resistere con tutte le mie forze, ma percepivo già le lacrime inondarmi le guance.
Non potevo fare nulla. Quel posto l'aveva già conquistato molti anni prima e nonostante i miei obblighi matrimoniali, non avevo mai smesso di alimentare quelle fantasie rosee, quando il mio cammino non si era ancora tramutato in un calvario.
Mary mi attirò in un abbraccio e mi abbandonai alle sue carezze materne. Poi passò ad accarezzarmi più volte il viso e mi asciugò le guance.
Se non ci fosse stata lei in questo frangente... probabilmente sarei crollata, anche se quella confusione nel mio cervello non voleva svanire.
"D'ora in poi, per la licenza che avete ottenuto, avrete a che fare con-"
"Con me." terminai la frase, facendo irruzione nella sala e mi posizionai davanti al naso di Hynes. Non appena mi riconobbe, m'indirizzò uno sguardo sconcerto, mentre un ghigno soddisfatto aleggiava già sulle mie labbra.
"Melting Group, il nostro partner industriale locale. Direttore della Repubblica d'Irlanda, Lucas Zumann." Ci presentarono ufficialmente e gli porsi la mano. Il biondino si mordicchiò l'interno della guancia, poiché non si aspettava una simile notizia... e abbassai il braccio.
"Ma che bella coincidenza, vero, signor Louis?"
"Signor Lucas." rispose, irrigidendosi sulla poltrona con gli occhi incollati ai miei.
"Vi conoscete già?" domandò l'uomo alla mia sinistra.
"Gliel'ho detto. Il tempo." Sottolineai curvando un sopracciglio. "È una cosa preziosa. Non si deve sottovalutare." Girò il collo e non mi degnò di una risposta. "Se volete signori, direi di parlare del progetto senza perdere altro tempo." Mi spostai dall'altro capo della tavola e mi accomodai. Presi il fascicolo e lo consegnai nelle mani della segretaria, che l'appoggiò proprio davanti al biondino. "Perché signor Louis... Non è solo del tempo. Hai bisogno anche di me."
Fece una risatina, osservando la penna che gli era stata data per la firma.
"Signor Lucas. È in errore se pensa che una persona come Louis Hynes abbia bisogno di qualcuno come lei." Poi, scattò in piedi e lo chiuse. "Penso sia dovuto al ridicolo fatto della sua totale inesperienza nel mondo."
Fece sfrecciare il documento alla metà del tavolo senza staccare gli occhi dalla mia espressione impassibile e poi mi diede le spalle per abbandonare la sala. Il suo assistente si congedò con un frettoloso: "Buona giornata" e lo seguì come un cagnolino.
Il resto dei presenti ammutolí di fronte a quella scena. Dopo la fine di quella riunione - che non mi aveva lasciato l'amaro in bocca, al contrario, cominciai a visionare delle carte e dei colpi leggeri alla porta mi fecero distrarre dalla lettura.
"Sì?"
La segretaria entrò alla velocità della luce con il fascicolo e l'appoggiò sulla scrivania sorridendomi. "Ecco a lei il contratto firmato, signor Lucas. Non vedono l'ora di iniziare il progetto con la sua direzione."
"Grazie, Ally."
La segretaria andò via e aprii quel fascicolo, contemplando quella firma, non di un uomo qualunque.
Louis Hynes aveva appena firmato la sua condanna al patibolo.
Mi lasciai ricadere sullo schienale e agguantai il cellulare. C'era qualcun altro con cui dovevo condividere quella fantastica notizia.
"Signor Dawson. Il contratto è stato firmato."
Lui rise. "Che bello! È valsa la pena seguire il tuo piano e fare tutti quegli sforzi, figliolo."
"Gli sforzi di tutti noi. Siamo una squadra, signore." Lo corressi, impugnando tra pollice e indice la penna stilografica. "Abbiamo ottenuto quello che volevamo. Louis Hynes non è riuscito a nascondermi la sua avidità e fino all'ultimo non ha capito di aver fatto il nostro gioco. Si è rovinato con le sue mani."
"Hai preso due piccioni con una fava. Oltre ad avergli causato una perdita di chissà quanti milioni di euro... L'hai anche obbligato a lavorare con noi. Sono fiero di te, ragazzo mio."
"La ringrazio, signore. Devo il mio successo ai suoi insegnamenti. Lei ha perfezionato i miei movimenti futuri."
"Ascolta, c'è qui anche mia nipote Shannon. Vorrebbe congratularsi anche lei con te."
Mi drizzai. "Certo, mi fa piacere."
Smise di parlare e dopo qualche secondo una voce femminile si fece strada nella cornetta. "Pronto, Lucas? Congratulazioni. Hai fatto davvero un ottimo lavoro!"
"Grazie, Shannon. Buona fortuna a tutti noi."
"Bene... Quando hai intenzione di tornare?" domandò e udii la voce del signor Dawson riprenderla, chiedendole di ripassarle il telefono con insistenza. "Lucas... mio zio vorrebbe parlarti di nuovo. Comunque potremmo parlare più tardi. Ancora congratulazioni... Un bacio." Mi salutò.
"Grazie, Shannon. Ci vediamo presto."
"Allora? Cosa succederà adesso, Lucas?"
"Come, signore?" Risposi, perplesso.
"Voglio dire, cosa farai tu? Hai intenzione di restare a Dublino per gestire gli affari o pensi di ritornare presto?"
"Ah... Mi lasci sistemare gli ultimi protocolli." Obiettai, dandoci un'altra sporadica occhiata. "Torno domani con il primo volo."
L'uomo sospirò. "Pensaci ancora una volta, ragazzo."
Sollevai gli occhi verso il soffitto.
Ormai non c'era nessun legame che mi tenesse attaccato a questa città. Semmai ce ne fosse stato almeno uno, me lo sarei lasciato alle spalle una volta messo piede su quell'aereo.
"C'ho già pensato, signore. Non c'è più bisogno di me. Torno in America. A presto..."
Riagganciai e tirai indietro lo schienale della sedia girevole, mentre osservavo la scritta incisa sulla penna.
❛...❜
Saputo del mio rientro effettivo in America, inviai un messaggio a Dalmar comunicandogli che avevo organizzato una serata per soli uomini in uno dei locali sulla costa e che aveva l'obbligo di partecipare. Quindi, qualche ora più tardi, dopo essere uscito dall'ufficio ci ritrovammo attorno a un tavolo con della musica leggera in sottofondo.
"Non ti arrabbiare, Henry. Sai bene che ormai Lucas si è costruito un futuro e delle basi solidi da un'altra parte... e questo giorno doveva arrivare, purtroppo." Disse Dalmar, cercando di rassicurare mio padre e intanto mi lanciava delle occhiate d'intesa.
"Hai ragione. I figli vanno lasciati liberi di volare dove vogliono. Non si possono trattenere contro la loro volontà. Deve andare e pensare ad essere felice. Ma sono comunque un padre... Abbiamo sentito molto la mancanza di nostro figlio in questi anni. Dopo tanto tempo volevamo vederlo e abbracciarlo." Prese il bicchiere mentre poggiavo una mano sulla sua schiena. Poi si voltò e notai la sofferenza dilagare nei suoi occhi e scavarmi un buco nel petto. "Non ne avevamo mai abbastanza di lui... È sempre stato un figlio esemplare."
"Papà, se ne andrà... è naturale. Noi siamo piccoli commercianti. Oggi ci siamo, domani forse no. Ma il signor Lucas è così?" Ridacchiò Jacob.
"Non avrei dovuto riunirvi attorno a questo tavolo per ascoltare discorsi deprimenti. Piuttosto bisogna approfittarne perché sono ancora qui. Avanti, su con la vita!" Intervenni volendo spazzare via quell'aria malinconica, alzando il bicchiere in alto e loro mi imitarono subito, ritrovando il buon umore.
"Facciamo un brindisi al tuo lavoro!" aggiunse mio padre e li facemmo tintinnare gli uni contro gli altri. "Che tu possa sempre ottenere cose positive, ovviamente!"
"Grazie, papà." Risposi con un sorriso smagliante. "Anche a voi."
"A te, ragazzo mio. Guarda, ci hai fatto godere una bella serata come questa." Mi guardò con orgoglio e poggiò la sua grande mano sulla spalla. "Grazie."
"Quando verrai di nuovo e vedrò una tavola come questa." scherzò il castano, facendomi ridere di gusto.
"Che dici, Jacob? Vieni al Jingles e ti preparerò una tavola degna di un re."
"Davvero, Dude?"
"Ovviamente." Rispose l'uomo dalla pelle bronzea, bevendo un lungo sorso del cocktail.
"Walter!" Mi girai verso il cameriere e gli feci un cenno. Lui annuì e cambiò velocemente stazione. A quel punto, mi voltai nuovamente verso i commensali, beccandomi le battutine di mio fratello.
"Guarda, guarda, guarda... guarda! Gli ha fatto di nuovo cambiare musica!" Abbassai gli occhi nel piatto, continuando a mangiare. "Quest'uomo ha finito la scuola con una radio, lo sai, papà?" Nostro padre inarcò un sopracciglio confuso dal nostro discorso. "Come si chiamava?"
"Time Travellers."
"Ah! Time Travellers! Si, ricordo bene... La cantava perfino nella doccia!"
"Lo so, lo so..." Concordò Dalmar. Probabilmente erano entrambi alticci visti i loro sorrisi esagerati. "Era l'unico che ascoltava questo genere di brani. Al giorno d'oggi, queste sono canzoni datate. Direi quasi preistoriche." Quei ricordi mi fecero ridere senza sosta.
"Esattamente. L'ascoltava per ore ed ore fino al mattino, papà. Io gli dicevo 'spegnila che voglio dormire in santa pace', ma lui no. Non la spegneva. E voi pensavate che stesse studiando."
"No. Lui stava studiando." Obiettò nostro padre, imbronciandosi.
"Ah, sí, stava studiando." scimmiottò Jacob.
"Cioè... no, papà. Non studiavo molto, anzi mi distraevo facilmente." concordai e i presenti risero, vedendo la faccia sbigottita di mio padre.
Poi la mia risata si smorzò quando ascoltai la canzone, che stava passando alla radio e si diffuse velocemente per tutto il locale.
Riconoscevo quel motivo, non l'avevo mai dimenticato, seppur avessi accarezzato l'idea di cancellare la traccia dal mio vecchio lettore.
Mi trascinava in una spirale di ricordi ed ogni volta era un tormento poterne uscire senza percepire il cuore andare in frantumi per l'ennesima volta.
Mi bloccai sulle note di "Piccola Anima" mentre sul tavolo scendeva il mutismo. Dalmar aveva già inteso da dove provenisse quel mio atteggiamento distaccato e si sporse.
"Lucas, va via da qui, non restare. Ascoltami, ok?" Non risposi, avevo il boccone in bocca e l'aria di chi non riesce più a raccapezzarsi su niente.
"Forza, un altro brindisi! Forza, Henry... Jacob... Dai, dai, dai." Li incalzò per catalizzare l'attenzione dei due.
Cercai di essere partecipe alla loro felicità e poi bevvi tutto d'un fiato quel liquido, nella speranza che cancellasse ogni momento dal mio cervello.
Ero così scosso che decidemmo di comune accordo di abbandonare i festeggiamenti con una scusa e raggiungemmo il Jingles.
Mi misi seduto sopra la mia barca ormeggiata lì, che veniva cullata dalle onde e continuai a guardare il cielo tempestato di stelle.
Scesi agilmente e aprii una scatola di legno, dove avevo custodito quelle vecchie cianfrusaglie. Afferrai la scatola di fuochi d'artificio e mi venne un'idea. Accesi l'estremità e quella sfrecciò in alto, creando un bagliore intenso, prima di scendere piano.
Non avevo molta fame e continuavo a torturare il cibo con la forchetta da quando avevamo iniziato a cenare.
Quando alzai lo sguardo dal piatto, rivolsi un sorriso rassicurante a mio padre che mi stava di fronte.
Ogni volta dovevo sforzarmi per non insospettirlo e da quella mattina, con la questione della porta chiusa a chiave, sembrava non darsi pace e qualcosa gli frullava in testa.
Ad un certo punto, notai un bagliore scintillare nel cielo, scendendo poi attraverso gli alberi senza toccarli davvero.
Un'ondata di ricordi mi travolse in pieno.
Cinque anni fa, avevo assistito a quello spettacolo fra le sue braccia seduti sulla sua barca, la notte stessa in cui avevo capito di essermi innamorata di lui.
La notte in cui venne sancito che le nostre strade si sarebbero separate, senza tante spiegazioni così di getto. Percepii la mano di Louis avvinghiarsi alla mia. Dovetti stare al suo gioco e lasciai che la trascinasse verso di sé, rivolgendo dei falsi sorrisi ai miei. Le mie indiscusse doti di attrice non erano fallite nemmeno questa volta. Guardai quel particolare fluttuare in basso e il dolore stringermi le viscere. Liberai la mano con la scusa di asciugarmi la bocca con il tovagliolo e sorrisi.
"Vogliate scusarmi."
Abbandonai il tavolo e i commensali, avevo bisogno di stare sola e sfogarmi altrimenti non avrei retto a lungo. Arrivai davanti ai lavandini e la mia figura comparve nello specchio, ero il fantasma di me stessa e avevo il viso stravolto. Sistemai le ciocche dietro le orecchie e aprii l'acqua, buttandomela in faccia più volte, dandomi anche degli schiaffetti, indignata.
Piansi maledettamente e più forte, trattenendo tutte quelle urla che sarebbe sgusciate fuori e quando rialzai il capo, contemplai il mio riflesso. Ero pallida, gli occhi erano rossi come lava e il cuore batteva forte. Stavo per avere un attacco di panico. Non riuscivo a distinguere fantasia e realtà, lo vedevo ovunque, lo cercavo perfino in quei gesti infantili, ma lui non c'era.
Il mio cervello era un completo disastro, non decifrava le informazioni, tutto quello che mi circondava poteva essere una banale allucinazione.
"Ho perso la testa..." Dissi con la voce rotta dai singhiozzi, appoggiando i palmi al bordo del lavandino. "Non ragiono più... Ho perso la testa!"
Mi sentivo fragile, incompresa, un essere maledettamente triste.
Sciacquai la faccia per non lasciare alcuna traccia del pianto e quando girai il polso vidi quel simbolo tatuato marchiarmi la pelle... iniziai a sfregare con le dita per toglierlo sotto il getto forte, ma restava lí, senza sbiadire.
Perché! Vattene... Perché mi tormenti?
E ripresi a piangere.
Era da qualche minuto che me stavo sdraiato sulla barca ad ammirare l'orizzonte, ma senza realmente farlo. Serrai le palpebre e lasciai cadere la testa all'indietro, canticchiando ad alta voce quel motivetto.
"Quello che voglio io da te... Non sarà facile spiegare... Non so nemmeno dove e perché hai perso le parole... Ma se tu vai via, porti i miei occhi con te."
"Dai, fratello." M'interruppe Dalmar sedendosi vicino a me e prese un bel respiro nella posizione di chi stava per farti la ramanzina. "Non permettere a questa ragazza un'altra volta... Non vorrai soffrire di nuovo come un cane?" Distolsi la faccia e mi tirai su con le braccia per mettermi seduto. "Devi andare via da qui. Lasciarti Dublino alle spalle e pensare a costruirti una vita felice altrove."
Ci avrei pensato ore ad ore, finendo per trascorrere la notte in bianco.
Quella mattina appena giunto in ufficio, stavo posando la giacca quando la segretaria fece il suo ingresso, efficiente come al solito.
"Ah... Molto bene, Ally. Era proprio ciò che stavo per chiederti."
"Il file di requisizione dell'azienda." Disse venendo verso la scrivania per porgermi la tazza di caffè fumante e il resto delle scartoffie. "È anche arrivato un invito per lei a nome della Hynes Holding." continuò sventolando nella mano una carta rettangolare.
"Che cos'è?"
Lei l'aprì e iniziò a leggere. "Vorremmo averla tra noi alla festa del nostro anniversario, mentre ci lasceremo alle spalle cinque anni di gloriosa felicità." Sollevai lentamente gli occhi per poi riportarli sui documenti pensieroso. "Ah, questa festa si terrà stasera. Suppongo non potrà prendervi parte dato che ha il volo di ritorno per gli Stati Uniti oggi pomeriggio. Desidera altro signore?" chiese poi adagiando il biglietto sulla mia scrivania.
Smisi di osservare fuori dalla finestra e tornai con i piedi per terra. "No, grazie Ally. Non c'è altro per adesso." La congedai e uscì dal mio ufficio.
Presi quel biglietto, estraendolo dalla busta, e lo aprii osservando quella grafia elegante mentre s'intravedeva perfino la foto dei due sposi, la stessa che circolava nei siti web. Poi alzai il polso guardando quel simbolo che si era del tutto scolorito sulla mia pelle, ne restava solo una macchia rossiccia.
Ridussi gli occhi in due fessure incatenandoli al contenuto del biglietto. "Mentre ci lasceremo alle spalle cinque anni di gloriosa felicità... Vorremmo averla tra noi alla festa del nostro anniversario." Chiusi l'invito e lo gettai con noncuranza sulla scrivania.
"Grazie al cielo, stasera partirai." Dichiarò Mary sollevata appena rispose alla chiamata. "Perché hai comprato anche il biglietto, giusto?"
"Sì, parto con il primo volo. Ho chiuso con suo marito. Non ho niente da spartire con Amybeth." Dissi con durezza e Mary restò in silenzio, senza contraddirmi. "Cinque lunghi anni." Alzai gli occhi e sbuffai. "Sono stato un tale idiota."
"Lascia perdere, Lucas. Ogni cosa accade per una ragione, che tu lo voglia o meno. Non esistono le coincidenze. Te l'ho sempre detto, ricordi? Infatti... Il destino vi ha fatto incontrare di nuovo. E ora sei una persona potente quanto loro." Potevo immaginare un sorriso affiorare sulle sue labbra rosee. "E oltretutto sei umano. Hai dei sentimenti... Sei una grande risorsa per i lavoratori che andranno a lavorare nella miniera che quell'uomo ha comprato. Lo sai, vero? Per questo hai un punto di vantaggio rispetto a loro. Non dimenticarlo!" ribadí.
Feci un respiro e chiusi gli occhi. "Allora? Cosa stavi per dirmi?"
"Stavo per dire... Ecco." tentennò. Poi s'innervosí di colpo. "Cosa volevo dire Lucas? Stavo per dirti: 'fai buon viaggio'. Arrivederci. Saluta tutti da parte mia. D'accordo? Il signor Dawson, Shannon... Forse potrei venire a trovarti per la vigilia del nuovo anno."
"Mi piacerebbe." risposo. "E se Amybeth dovesse fermarsi di nuovo a casa tua."
"Sí?"
Dopo qualche secondo di silenzio, continuai. "Un posto per ogni cosa e ogni cosa è al suo posto."
"D'accordo, glielo dirò. Ma non penso che verrà di nuovo qui."
"D'accordo. Un bacio." tagliai corto.
"Anch'io a te, tesoro. Fai buon viaggio... Ci vediamo." Riattaccai facendo poi cadere lo sguardo sull'invito. Posai la tazzina e l'afferrai, facendolo finire dritto nel cestino delle carte. Non mi sarei mai condannato a prendere parte a quella cerimonia in grande stile...
Camminai per il corridoio dell'azienda con passo svelto e raggiunsi l'uscita.
La limousine era giunta sul posto e stavo per mettere mano sulla portiera quando una voce alle mie spalle mi bloccò. "Signor Lucas!"
Mi girai e vidi l'uomo scendere agilmente le scale. Mi avvicinai con una mano nella tasca. "Signor Erich?"
"Salve, signor Lucas. La stavo aspettando." Mi mostrò una busta sigillata. "Per consegnarle questo."
Lo scrutai con attenzione. "Cos'è questo?"
"Il signor Louis vorrebbe che lei lo accettasse, come gesto di buona volontà. Vuole che sappia ch'è certo che lavoreremo in perfetta sintonia insieme." Fece l'atto di porgermela e l'afferrai con scatto. Quando l'aprii mi si presentò davanti un assegno che valeva molti euro. E rialzai il capo. "Quindi mi state avvertendo: 'prendi i soldi e stai zitto'." Guardai il biondo di sottecchi. "Non intrometterti nei nostri affari e noi ti ricompenseremo, è così?" Lui abbozzò un sorriso. "Chissà quante persone lavorano con voi in questo modo."
"In effetti... il signor Louis la considera una risorsa importante del progetto." Precisò Loch. "Voglio dire, la nostra collaborazione, la nostra unione..."
"Dica al signor Louis che lo ringrazio." lo interruppi sventolando la busta. "Lavoreremo in perfetta sintonia perché il nostro lavoro lo richiede." Lui rise appena. "In ogni caso..." aggiunsi con tono serio. E, detto questo, salii in auto, che partì subito.
La sera giunse inesorabile e con essa la festa, che si prospettava già noiosa.
I primi ospiti si stavano già intrattenendo a parlare ai lati della sala, mentre a braccetto con mio marito, ero costretta a salutare e a dare il benvenuto ad ogni invitato che faceva il suo ingresso.
Louis si intrattenne a parlare con un uomo dalla testa scarna, con al fianco sua moglie, in un abito bianco che le lasciava interamente scoperte le spalle. Parlavano di affari, naturalmente, e io mi limitavo a fare cenni con il capo.
La musica leggera di un violino si diffuse nell'aria, mischiata al chiacchiericcio degli ospiti. I due si congedarono allontanandosi verso i tavoli e respirai profondamente, osservando Bridgette che fingeva di parlare con qualcuno, ma in realtà con la coda dell'occhio spiava Louis divorata dal desiderio di ricevere una sua attenzione.
"Louis, non posso crederci." iniziai piegando il capo verso il basso.
"Il nostro matrimonio non è forse già un circo, cara Amybeth? Volevo che questa nottata non fosse tanto noiosa."
"Sento che sto per vomitare."
"Sei davvero gelosa di me."
"No, ho davvero la nausea." Lo contraddissi e poi mi diressi verso un'uscita secondaria per non assistere agli stupidi occhiolini di Bridgette.
Mi frenai quando notai un uomo apparire nella sala e persi un battito quando osservai il suo volto. La sua aria fiera, la mascella ricoperta da un filo di barba e quegli occhi... che mi lasciavano stordita e inerme.
Quando girò lo sguardo verso di me, tutte le incertezze che avevo covato negli ultimi giorni crollarono come un castello di carte. Deglutii un groppo in gola e seguii il suo tragitto. Posai gli occhi su mio marito, che stringeva la mano ad altri ospiti e poi lo riportai su di lui, ritrovandomi a corto di respiro.
Decisi di andargli incontro, ma mio marito fu più veloce e mi anticipò.
"Signor Lucas! Che gradita sorpresa. Pensavo che non sarebbe più venuto."
Osservai i due uomini scambiarsi una formale stretta di mano e poi continuare a parlare. Il riccio estrasse dalla tasca interna della giacca una busta porgendola a Louis.
L'afferrò, vi scrutò all'interno e alzò gli occhi sull'altro. La tensione era palpabile fra i due, ma da quella distanza non riuscivo a capire granché.
Smise di parlare con mio marito, che aveva nascosto la busta nella tasca interna e spostò gli occhi sulla mia figura.
Avanzai verso di loro e mi posizionai al fianco di Louis, tenendo gli occhi incollati al pavimento.
"Signora Amybeth." Allungò la mano nella mia direzione e gliela strinsi, alzando prontamente il viso. Poi slegammo quel fulmineo contatto e proseguì con tono impassibile. "Le auguro felicità eterna." Restai immobile a contemplarlo, come se quel ragazzo tramutato in un uomo robusto fosse un estraneo... e non lo riconoscessi più in quelle vesti.
"Tesoro, permettimi di presentarti Lucas Zumann, direttore per Dublino del gruppo di Melting Group." Spostai lo sguardo sul riccio che mi fissava a sua volta. "Stiamo lavorando insieme nell'affare per la centrale termica."
"Veramente?" Lui annuì e io feci altrettanto per non acuire i sospetti, mentre i nostri sguardi entravano in collisione per l'ennesima volta.
"Vi conoscete?" domandò il biondino all'oscuro della faccenda e mi voltai per rispondergli, ma Lucas mi anticipò.
"Sì, conosco sua moglie." Lo guardai. "Amybeth McNulty." Mi domandò fingendo di non ricordare, fissandomi negli occhi, mentre il respiro mi si mozzava in gola. "Sono un suo fan." L'osservai, scioccata. "Volevo dire... ammiro molto i suoi dipinti."
"Ora è Amybeth Hynes." Precisò Louis sorridendogli con un certo orgoglio nella voce.
"Oh, sì. È la festa del quinto anniversario, no?" Lo fissai ancora e lui non distolse gli occhi dai miei.
"Gradite?" Disse il cameriere, avvicinandosi con il vassoio, e sia io che il riccio prendemmo un bicchiere di champagne a testa.
"Scusatemi." Si scusò e mi sorpassò.
"Non vada via. Abbiamo appena cominciato a fare affari con lei, signor Lucas."
Diedi le spalle ai due uomini e sospirai, chiudendo gli occhi. "Dio, è reale?"
"Non né dubiti." rispose il riccio e mi girai vedendolo andarsene.
Cercai di muovermi anch'io, ma il biondino mi afferrò il braccio. "Amore mio." Mi prese il viso e mi schioccò un bacio sulla tempia. "Stai accanto a me o ucciderò quest'uomo proprio qui." Lo fissai con la coda dell'occhio, disgustata. Dopo un po', mia madre attraversò la sala di corsa, con l'aria di una che doveva far visto il Tristo Mietitore pronto a falciarle la testa e mi fece cenno di seguirla.
Almeno c'è qualcosa di positivo nelle sue manie, se per qualche secondo potevo liberarmi di quella nefasta presenza.
"Vado a vedere come sta mia madre."
"Va bene."
Raggiungemmo un angolo della sala e appoggiai il bicchiere su un tavolo. Le andai dietro potendo captare il suo nervosismo a chilometri di distanza.
"Cosa ci fa qui?"
"Non lo so. L'ho appena scoperto."
"Chi l'ha invitato?" sussurrò ponendo la mano sul mio braccio per fermarmi. "Chi è stato l'impertinente?"
"Louis."
Si accigliò. "Cosa? Lo sa?"
"Credi davvero che quel pazzo geloso mi faccia incontrare con il mio ex?"
Non mi rispose e si fiondò nel bagno, controllando che non ci fosse nessun orecchio indiscreto ad ascoltarci e poi continuò.
"Mandalo via subito!"
"Cosa dovrei fare? Buttarlo fuori dall'edificio e far scoppiare uno scandalo alla festa?"
"Non lo so. Occupatene in qualche modo."
"Assolutamente no! Sta lavorando con Louis ora."
"Cosa?"
Roteai gli occhi. "Proprio così."
"Santo cielo!"
"Quindi, in altre parole, non c'è nulla che possiamo fare, mamma. Nemmeno tu potrai opporti a questo."
"Non credo. Non è possibile..." disse a bassa voce negando con il capo più volte.
"Pensi che io possa?" Risposi appoggiandomi di schiena al lavandino.
L'entrata improvvisa di una signora interruppe la conversazione e mi portai la mano alla fronte.
"Guardami! Qual è il tuo problema? Riprenditi subito!" mi sgridò sottovoce mentre avevo lo sguardo rivolto alle mie scarpe e nessuna voglia di star a sentire le sue prediche. "Questa è la vostra serata! Non permettere che stasera qualcosa vada storto. Andiamo!"
Mi voltai a fissarla, ma non le dissi nulla, massaggiando il collo.
Non aveva mai capito a fondo i miei desideri e avrebbe continuato ad ignorarli solo per i suoi interessi. Che senso aveva farglielo notare in questo momento? Mi diedi una sistemata allo specchio e raggiunsi Miranda in sala.
"Ehi, stai bene?"
"Mi sento solo un po' stordita... Devo aver bevuto troppo champagne."
"Vieni, ti devo mostrare una cosa." Mi prese a braccetto e mi voltò di scatto, iniziando ad avvicinarci ai tre uomini che stavano parlando. "Non è figo? Guardalo!" In quel momento i nostri sguardi si incatenarono e lui parve stare in silenzio, smettendo di rispondere ai suoi interlocutori.
"Tesoro, voglio sentire che questa festa è la nostra ora. Dobbiamo celebrarla come si deve." S'intromise Louis, comparendo di fronte a me mentre i miei occhi tentavano di oltrepassare in qualche modo le sue spalle invano. "Vieni con me." Prese la mia mano baciandomi il dorso e ci fermammo accanto a Divan, mio padre e Lucas.
Il primo faceva delle domande mirate all'ultimo, ma il riccio rispondeva a tutte in maniera impeccabile e chiara.
"Le sue idee mi sono piaciute, anche se sono un po' taglienti." Dichiarò Divan.
"Essere acuti è una mossa inteliggente per evitare di essere manipolati da altri. Non la pensa con me, signor Louis?" chiese Lucas, rivolgendosi a mio marito che mi teneva attaccato a sé.
"È fortunato che sia il mio anniversario, signor Lucas. Altrimenti non mi sfuggirebbe facilmente." Suonava come una minaccia. "Potrei parlare con lei di affari fino all'alba."
"Sono pronto." Dichiarò, spostando lo sguardo da me al biondino.
"Si unisca a noi nel fine settimana, organizzeremo un barbecue."
"Perché non ne ho sentito mai parlare?" Protestò Miranda sentendosi esclusa dai miei piani, che fino a qualche secondo erano ignari perfino a me. Louis aveva preso questa decisione senza consultare nessuno. Tipico del suo carattere detestabile.
"Anch'io l'ho scoperto ora."
"Il signor Lucas tornerà negli Stati Uniti." S'intromise il signor Loch. Un silenzio improvviso piombò tra i presenti. L'uomo fece una mezza risatina e continuò. "Voglio dire... Non è rimasto solo per l'invito, giusto?"
"No, non per quello." Ribatté il riccio determinato e sorrise. "Comunque... ho intenzione di rimanere." La sua affermazione lasciò basiti tutti. Per me principalmente fu uno shock dover metabolizzare quelle notizie e celare dietro una falsa formalità quello che provavo per lui. Mi risultava difficile non annegare nel suo sguardo profondo, senza destare sospetti.
"Allora ci vedremo questo fine settimana." Fu mio padre a spezzarlo.
"Ma nel fine settimana..."
"Niente scuse." Affermò Louis mentre abbassavo gli occhi per sfuggire a quelli del riccio. "Non si scappa prima che il gioco entri nel vivo. È la parte che preferisco."
"Con piacere."
"Io ho delle piccole cose da fare e non potrò unirmi a voi." avvisò Davin.
"Io invece posso." Comunicò Miranda facendo gli occhi dolci a Lucas.
"D'ora in poi rimarrò stabilmente in città." ripeté il riccio con una calma invidiabile, mentre nel mio cervello si era appena scatenato l'inferno.
"Davvero?" Domandò stupito papà e lui annuì.
"Penso che abbiano bisogno di me qui. Intendo che... ho questa sensazione."
"Anch'io." sussurrò sognante la biondina al mio fianco.
"Sono qui, esattamente dove appartengo. Mi è davvero molto mancata questa città... le sue strade... Ogni cosa. Non c'è posto migliore nel mondo dove puoi stare che in quello dove sei cresciuto. Anche gli Stati Uniti." spiegò mentre tenevo un profilo basso in preda alla vergogna.
"Sei un esperto di miniere?" domandò Miranda.
"Sì!"
Miranda mi lanciò un'occhiata furtiva, come se avesse iniziato a capire qualcosa dalla mia espressione, ma io non la ricambiai.
"Giselle, lascia che ti presenti il signor Lucas." Fece mio padre spostando la mano da una figura a un'altra. "Mia moglie, Giselle McNulty."
"È un piacere conoscerla, signora."
Mia madre non ricambiò il suo gesto di galanteria, nonostante la gentilezza che gli aveva riservato, e preferí concentrarsi su di noi.
"Ragazzi... Ci sono altri ospiti che vogliono congratularsi con voi e augurarvi tanta felicità. Dovreste dare un'occhiata, d'accordo?"
"Hai ragione, Giselle cara." rispose mio marito mentre mi limitavo ad annuire e mi allontanai di poco.
"Quel Lucas è questo Lucas?" sottolineò Miranda, accostandosi al mio volto. E annuì, spingendo il mento verso il basso, stringendomi nelle spalle. La mia amica mi rimase vicino per paura che potessi perdere il controllo e le luci si spensero, lasciando la sala al buio, ad eccezione del palcoscenico.
Una banda musicale fece il suo ingresso da un lato della sala... e sussurrai all'orecchio di Miranda di dover prendere una boccata d'aria fresca. Stavo per andarmene quando la mano del biondino mi afferrò per il braccio e mi ammoní con uno sguardo glaciale.
Mio fratello, apparso all'improvviso al centro, fermò la musica con un gesto delle mani e si voltò verso gli ospiti.
"Signori e signori! Benvenuti alla festa del quinto anniversario di Amybeth e Louis Hynes!" Poi la sala fu invasa dagli applausi. "Questo è un piccolo regalo dal fratello della sposa." Aymeric mi strizzò l'occhio e in risposta gli sorrisi, anche se non c'era niente di quel circo che mi rendesse entusiasta. "La grande coppia è attesa in pista per eseguire il loro primo ballo ancora una volta!" Ecco che indietreggiò verso il fondo, tornando dietro le quinte e il resto continuò ad applaudire.
"Andiamo, mia cara?" Annuii e mi condusse al centro della pista, facendomi fare una giravolta. Iniziammo ad esibirci su quelle note sotto gli occhi di tutti. Presi a fare un'altra giravolta e lui mi riportò vicino al suo petto, guardandomi con acceso interesse. Dopo aver fatto svariate giravolte e casquè, mi strinse una mano mentre io appoggiai la mia sulla sua spalla e continuai a ballare.
Guardai il riccio lì nella folla che ci osservava con in mano il bicchiere di champagne.
Cercavo di seguire i movimenti del biondino preso più di me per quella danza ipnotica, mentre i miei occhi erano puntati in quelli del riccio. Prima che la musica terminasse mi fece fare un altro casquè e le persone intorno applaudirono forte. Abbozzai un inchino e Louis mi tenne la mano, mentre avevamo le luci puntate addosso. Mi sentivo imbarazzata e fuori posto.
"Mi chiedo giorno e notte..." Prese parola il biondino mentre avevo lo sguardo proiettato sugli invitati e a stento potevo dire di respirare. "Che cos'ho fatto per meritare questa grande e incredibile donna al mio fianco."
Posò la mano sulla mia schiena, mi fece piegare verso il basso e mi baciò con ostinazione, come se volesse dimostrare a qualcuno che gli appartenevo. Il pubblico applaudí a comando per l'ennesima volta, come se ci fosse un gobbo che l'avesse impartito da qualche parte. Girai lo sguardo sulla folla e di colpo... non lo vidi più.
Se n'era andato.
Louis mi trascinò con sé fuori dalla pista, mentre lo cercavo tra tutti quei volti che mi circondavano.
Ma lui non era lì.
❛...❜
Dopo gli ultimi avvenimenti stravolgenti della festa avevo deciso di boicottare i festeggiamenti ritirandomi in camera. Ovviamente a nessuno avevo dato spiegazioni. Ora stava sporta alla ringhiera, con una tazza nelle mani, guardando il panorama notturno di Dublino. Facevo piccoli sorsi e poi chiusi gli occhi, avvertendo alle spalle il biondino appena entrato che si stava togliendo il papillon e la giacca.
- Calma... Amybeth. - respirai profondamente e lui uscì all'esterno appoggiandosi con il gomito e guardandomi negli occhi.
"Eri bellissima stasera. Non vedevo l'ora che se andassero. Ed è diventato ancora più insopportabile quando hai lasciato la festa sul più bello."
"Lo spettacolo era finito e non avevo voglia di restare." Mi limitai a dire con freddezza pungente, entrando dentro.
"Dove stai andando?"
"Al bagno."
"Non ora." Ordinò afferrando un lembo della mia maglia e alzai le mani, facendogli capire quanto mi desse fastidio. Distolsi il viso per sfuggire a quelle occhiate maliziose. "Cosa abbiamo concordato?" Ricordò accarezzandomi il collo con la punta delle dita. "Questa è la notte che aspettavamo. Il nostro quinto anno è finito, Amybeth. Non hai più scuse. Sarai mia moglie, basta!"
"Abbiamo già avuto la nostra luna di miele."
Schioccò la lingua. "No, no. Non l'abbiamo avuta." Fece scorrere la mano sul mio braccio, scendendo lungo i miei fianchi, mentre cercavo con le mani di respingerlo. "Non è stata una luna di miele. Non fingere..."
Mi trovai intrappolata nelle braccia senza possibilità di liberarmi dai suoi tentacoli... mentre con la bocca mi torturava.
"Louis, smettila!" protestai agitata, digrignando i denti, mentre cercavo di spingerlo lontano da me. "Louis... Per favore?!" Mi tenne ferma per il collo, continuando a succhiare la mia pelle. "Louis lasciami! Louis!" Lui non si spostava di un centimetro, restando attaccato come un vampiro, intenzionato a portarmi via anche l'ultima goccia di sangue. "Louis, mi vuoi lasciare!" Cercai di staccare le sue mani afferrandogli le braccia. "Louis puoi lasciarmi? Louis lasciami, ho detto! Louis! Lasciami! Ora basta!" tuonai spazientita spintonandolo, facendolo cadere sul letto alle nostre spalle. Lo guardai con ribrezzo, con la cassa toracica che andava su e giù e i pugni stretti ai fianchi.
Cosa credeva? Che sarei stata al suo gioco, facendomi trattare come alla festa? Dovevo compiacerlo perché era l'uomo che avevo sposato? Fingere che mi andasse bene e che il mio corpo fosse una sua proprietà?
Non lo era mai stato!
"C'è solo un'ultima cosa che non hai ancora fatto!" Puntò gli occhi in basso, come se avesse ritrovato la lucidità. "Con che coraggio mi guarderai negli occhi dopo? Che razza di uomo saresti?"
"Mi dispiace." bisbigliò mettendosi seduto. Poi rialzò la testa e ringhiò. "Ho esaurito la pazienza, Amybeth! Basta! Io ti voglio!"
"Solo tu lo vuoi!" Ribattei digrignando i denti. "Anche se dovessero passare cinque, o dieci, o mille... Non pensarci nemmeno di sfiorarmi Louis, non osare! Non sarò mai tua moglie!" Mi girai, dandogli le spalle mentre le lacrime mi rigavano le guance.
"Allora lo spettacolo è finito." Si alzò e prese la giacca. "Posso pure lasciare il palco se ho già fatto godere a tutti lo spettacolo." Poi mi passò accanto e abbandonò la camera.
Mi lasciai scivolare sul bracciolo della poltrona e quel macigno si alleggerí. Passai le mani sul viso, tirando su con il naso e gettai un'occhiata al letto, agguantando di corsa la mia borsetta.
Non potevo rimanere tra quelle mura dove mi sentivo soffocare, così lasciai su due piedi l'hotel.
"Devo portare la sua auto, signora Hynes?" Mi chiese l'uomo di guardia all'entrata.
"No. Mi chiami un taxi, per favore."
"Bene. Un taxi per la signora Hynes." Comunicò.
"Cinque anni..." Dissi al mio amico con gli occhi persi nel vuoto, mentre traccannava l'ennesimo drink. "Cinque anni di matrimonio felice." Dalmar sbatté il bicchiere sul tavolo contrariato. Sollevai il braccio, guardando quel simbolo sbiadito e glielo mostrai. "Ecco... I miei cinque anni. 5 fottuti anni, cazzo, che tento di estirpare dal mio cuore." Strinsi nuovamente il pugno, che avevo aperto in precedenza, e lo sbattei sul tavolo con stizza. "Non so nemmeno se mi pensa qualche volta. Se conto ancora qualcosa... Lei è sposata e felice. E io?" Abbozzai un sorriso e fissai l'uomo dalla pelle bronzea indirizzarmi uno sguardo assonnato. "Mi sono congratulato con lei. Avrai un'eterna felicità, le ho detto, e mi guardava con quegli occhi che io-" Mi sporsi verso lui rimettendomi seduto sulla sedia. "E cosa c'è per me? Niente. Cos'ho fatto io? Ho solo lavorato." Inarcai un sopracciglio. "Lavoro, lavoro... soltanto quello. Molto, molto, lavoro." Mi guardò senza interrompermi, non so se mi ascoltava sul serio, ma avevo bisogno di sfogarmi. "Lei... Lei è felice. Io ho solo lavorato." Lui tentò di aprire bocca, ma glielo impedii puntandogli l'indice addosso. "Ma tu me l'hai detto. L'hai detto... Lei non era adatta a me. Ma io non ti ho detto retta. Ero ostinato! Avevi ragione. Avevi fottutamente ragione!" Tornai a contatto con lo schienale e lui fece dondolare la testa su e giù. "Avevi ragione... Non ti ho ascoltato."
"Eri innamorato perso, amico. Cosa potevi fare?"
"Non riuscivo a mettere in riga il mio cuore... Non mi ascoltava." Abbassai lo sguardo. "Non ho visto niente, non ho sentito niente... Prima ha finto di provare qualcosa per me e mi ha ingannato come uno stupido. E poi? Ho dimenticato tutto!" Gli occhi si fecero lucidi e mi lasciai ricadere contro la sedia con una mano vicino alla bocca, accarezzandomela con il pollice. "Mi guardava in quel modo che... Era come un proiettile." Socchiusi un occhio, osservando il mio amico attraverso un cerchio fatto con indice e pollice. "E' arrivata..." Finsi di lanciarlo come un frisbee. "E mi ha colpito. E dopo..." Sobbalzai. "Mi ha colpito... Mi ha ucciso senza alcuna pietà." bisbigliai.
"Qualunque cosa sia successo... Gente falsa di un mondo falso. Lasciali fare quello che vogliono. E poi... Non sei felice con quello che hai? Lo sei. Guarda dove sei arrivato. Per favore, mostra un po' più di apprezzamento. Non compatirti. Sei una gran bella persona." Disse a mo' di consolazione. "Non importa... Resti qui o no?"
"Resto! Sono scappato in tutti questi anni e cos'è accaduto? Non scapperò più. Non andrò da nessuna parte." Puntualizzai. "Giocherò secondo le loro regole!" Dalmar alzò il mento. "Non ho finito con questo." Bevvi tutto d'un fiato il liquore e sbattei il bicchiere sul tavolo. Poi mi rimisi in piedi. "Andiamo, me ne vado."
Dalmar mi seguì a ruota, barcollando leggermente. "Te ne vai già? Dovresti restare per vedere l'alba!"
"Stasera non ne vale la pena, Dudu."
"Non me ne frega un cazzo, dici?" Si espresse con un linguaggio che non gli apparteneva. Sicuramente era ubriaco.
Tirai fuori delle banconote e mi rimproverò agguantandomi il braccio. "Non pensarci nemmeno! Mi porti sempre in posti da sballo, è il minimo che posso fare per ringraziarti."
Pagò lui e mi mise una mano sulla spalla, mentre uscivamo dal locale.
Il taxi accostò in prossimità del porto. Quel posto custodiva sempre dei ricordi magici. Si respirava un'aria particolare. Notai quella piccola barca che galleggiava tranquilla sull'acqua e la raggiunsi. Osservai i dettagli e un flashback riportò a galla il momento in cui feci la sua conoscenza. Fu Lucas a presentarmela quel giorno.
«Questo è il cubo di ossido.» Spiegò lui riferendosi alla barca. «Lei è più grande di me. Spera di tornare a solcare i mari al più presto.» Gli brillava una luce particolare negli occhi.
Iniziai a scendere. «Penso che è bellissima e non mostri affatto la sua età.»
«Sei sicura? Grazie, altrimenti sarebbe gelosa di te.»
«Ciao, signorina. Sono Amybeth. Sono felice di conoscerla...»
A quel punto, salii lentamente e con le dita accarezzai il vecchio tavolino. Poi m'intrufolai nella stiva e chiusi la porticina, isolandomi dal resto del mondo. Mi guardai intorno e mi tornò in mente il suo volto sorridente, mentre mi porgevo la scatolina con l'anello.
"E una colazione come questa, tutte le volte?" I miei occhi pieni di lacrime. "Vuoi sposarmi?" E io avevo distrutto quella realtà con il mio rifiuto. E avevo lacerato così la mia felicità. Le lacrime iniziarono a scorrere sul mio volto e decisi di sdraiarmi su quel giaciglio chiudendo gli occhi. Un altro tuffo nel passato saettò nel cervello. Ricordai la pioggia battente e noi avvolti in quella scena, mentre le nostre labbra si incontravano e i corpi si sfioravano.
Mi stringeva come una perla rara e magnifica, nelle sue dita si nascondeva delicatezza e il suo viso era l'incastro perfetto. I vestiti s'incollavano addosso, ma non aveva alcuna importanza. Continuò a baciarmi con passione e mi condusse su questo stesso giaciglio. Fu in quel momento che realizzai che la mia vita gli apparteneva, niente mi avrebbe potuto separare da lui.
"Ciao bellissima." Una voce proveniente da fuori mi fece ridestare. Spalancai le palpebre e guardai verso l'alto. "So che non c'ero..." Mi alzai di soprassalto, capendo che non era un sogno, e qualcuno salì sulla barca. "Ma non ti ho dimenticato." Mi portai le mani contro il volto e lui riprese. "Forse volevo scappare da quei giorni. Abbiamo vissuto tanto insieme. Tu, io... e-" Non terminò la frase e allontanai le mani dal mio volto. "Non potevo tornare. Non potevo... Forse non volevo ricordare. Ma mi fa male tuttora... Posso stare qui senza ricordare quei giorni?"
"No!" gli risposi e aprii la porta, sbucando fuori mentre lui mi fissava dall'alto con il suo completo elegante. Nei suoi occhi chiari regnava il vuoto. "Non si può fare a meno di pensarci, anche se non si viene qui..."
"Signora Hynes." Mi salutò, gelandomi sul posto, con espressione indecifrabile.
"Perché non mi chiami Amybeth?"
"Ti chiamo come si conviene a una donna sposata. Cosa fa qui?" Lo guardai tenendo gli occhi incollati alla sua figura. "E soprattutto in una notte tanto speciale. Oggi non è il suo anniversario? Non dovrebbe passarlo con suo marito?"
Salii lo scalino e fermai davanti al suo sguardo glaciale. "Cosa vuoi da me, Lucas?"
"Sei tu che sei venuta qui!"
"Perché sei tornato? Perché non ti sei ancora lasciato alle spalle questa città? Potevi iniziare una nuova vita..."
"Non farti strane idee. Sono qui per affari." Sottolineò con tono scorbutico.
Abbozzai un lieve sorriso. "Davvero credi a quello che hai detto?"
"Sei qui per ascoltare le mie risposte?"
Negai, in silenzio. "Sono qui... perché è il mio rifugio. Sono qui per alleviare la mia sofferenza." Osservai la sua espressione seria. "Mi odi."
"No."
"Allora perché te ne sei andato stasera?" Continuò a squadrarmi senza battere ciglio. "Perché hai accettato di venire a casa nostra?"
"Perché lavoro con suo marito, signora Hynes. L'ha dimenticato?" Rispose sbrigativo.
"Marito..." ripetei con sdegno. "Marito della donna che tu ami!" Poggiò l'indice sulle mie labbra per fermarmi dal proseguire e mi scrutò attentamente.
"Tu non sei più la mia Amybeth." Allontanò il dito e mi fulminò. "Non sei più niente per me. Sei un'estranea."
Deglutii un fiotto di saliva, resistendo alla tentazione di piangere. "Se è questo ciò che pensi, allora vattene da qui." Lui aveva lo sguardo puntato altrove. "Non hai sentito per caso? Se vuoi che ti creda, dammi una prova, ed esci dalla mia vita!"
"Pensi che io sia lo stesso." rispose a tono sollevando il mento. "Davanti a te non c'è più quell'uomo che sacrificava tutto per ogni tuo misero sguardo. Hai seppellito quel Lucas. Ormai non esiste più. Ha chiuso per sempre Jane Eyre nel cassetto... perché la donna che lo custodiva, ha scelto di mettere la sua vita nelle mani di un altro uomo."
"Tu vuoi punirmi. Vorrei che funzionasse... Magari!" esclamai. "Mi sdraierei e aspetterei che mi schiacciassi, ma non funzionerebbe, lo so." Poggiai la mano sul suo petto e lo guardai. "Questa ferita non guarirà. Qualunque cosa tu faccia... o dica questo dolore rimarrà bloccato qui."
"Sei arrugginita. È inutile. Non puoi più ingannarmi." commentò e lasciai scivolare via la mano. "Forza!" Mi afferrò il braccio per farmi passare e mi aiutò a salire sopra la passerella. "Forza, torna da chi appartieni!" mi gridò dietro.
"Non puoi trattarmi così!" Lo guardai in cagnesco.
"Lamentati con tuo marito. Controlla anche nel tuo deposito se ci sono abbastanza soldi da inviarmi."
"Pensi di essere l'unico a soffrire in questa storia, giusto?" Dissi con fare allusivo, squadrando la sua figura a pochi passi da me. "Che vergogna..."
A quel punto, gli diedi le spalle e mi incamminai, mentre i miei occhi venivano offuscati dalle lacrime.
Feci ritorno nella mia casa per non essere costretta a soggiornare in quella squallida camera. Avevo le chiavi a portata di mano così entrai senza problemi, scendendo poi le scale e andando verso l'atrio vuoto.
La figura di mio fratello sbucò da una porta. "Amybeth!" Mi chiamò. "Che succede? Non dovevi rimanere in hotel?"
"Volevo dormire nella mia stanza e allora sono venuta qui."
"E che mi dici di Louis?" Chiese ancora.
"Aymeric... sono un po' stanca. Vorrei tanto andare a dormire. E poi perché sei ancora sveglio anche tu? Su, va' a letto."
"Ma tu stai bene sì o no?" continuò avvicinandosi. "Guardami in faccia." A quel punto gli bastò notare l'espressione da cane bastonato che avevo per completare il puzzle. "È lui la ragione?"
"Di cosa parli?"
"È per Lucas..."
"Cosa?"
"Lo so. Era Lucas." Lo fissai senza dire una parola. "Il tuo Lucas, giusto? Quel Lucas che non ho potuto mai conoscere. L'unico uomo che ami profondamente... e che hai perso." Si tuffò nelle mie braccia e lo strinsi, accarezzandogli le spalle. Poi ci staccammo.
"Buonanotte, piccolino."
"Anche a te, sorellina."
Andai verso la mia stanza. Sentivo il bisogno di stare sola e non parlare con anima viva.
Un miliardo di scuse per il mio ritardo ma non riuscivo a finire il capitolo... Ho esagerato con le parole, ops.
Lucas e Amybeth si sono incontrati!
Finalmente il fatidico incontro, anche se i tra i due non è rimasta una bella amicizia. Il riccio da una parte soffre e dall'altra la caccia... Pensate sia stato duro con Amybeth? Doveva essere meno insensibile?
Ovviamente nel prossimo scoprirete se tra i due è tutto finito... Non dimenticate che ogni domenica avrete un nuovo capitolo su cui sclerare.
Spero che vi sia piaciuto!
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