𝘊𝘈𝘗𝘐𝘛𝘖𝘓𝘖 8: "Non c'è pace per un cuore innamorato"

ᏗᎷᎧᏒᏋ ᎥᏁᎦᎥᏁᎥᏖᎧ

"Endless Love"

❤️∞

"Ti ho fatto aspettare così a lungo? Scusa..." Le chiesi, fermando l'auto di fronte all'università, dove avevamo stabilito d'incontrarci.

"No... Sono appena arrivata anch'io." rispose abbassandosi vicino al finestrino, increspando un sorriso.

"Su, sali." Sbloccai le portiere ed entrò mentre ripartivo.

In poco tempo ci ritrovammo sedute sulle comode poltrone di uno dei saloni di bellezza più popolari dell'intera città, non a caso il preferito di mia madre.

Kyla era entusiasta, da tempo mi supplicava di accompagnarla lì, ma tutte le volte era complicato liberarmi di quella presenza asfissiante, che controllava ogni mio singolo spostamento.

Quel giorno, a causa del rally, aveva messo un po' da parte il pensiero di farmi controllare dai suoi scagnozzi, sapendo che avrei lavorato con Miranda al progetto dell'hotel.

"Sei bellissima!" commentò la biondina, mentre osservavo lo chignon morbido, con cui avevo raccolto i capelli, e sistemavo delle ciocche dietro l'orecchio. "Oggi vedrò di fare quelle fotografie! Grazie AB. Sei un angelo!"

"Figurati, tesoro. Non iscriverti in posti assurdi. Dopo che avrai scattato le foto, fammele avere e mi metterò in contatto con il mio amico, okay?"

"Intendi dire... che le darai direttamente al proprietario? E' così?" chiese girandosi.

Il cellulare suonò e mi allungai per prenderlo constatando sul display una notifica. E non una qualsiasi.

Louis mi aveva inviato una foto, lo ritraeva insieme ad Aymeric, con alle spalle le due macchine da corsa. In allegato, c'era una frase:

«𝘝𝘶𝘰𝘪 𝘥𝘢𝘷𝘷𝘦𝘳𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘧𝘦𝘭𝘪𝘤𝘪𝘵à 𝘧𝘪𝘯𝘪𝘴𝘤𝘢...?» Ma non parlava della mia, ma della sua. Voleva mantenere in piedi quelle ridicoli apparenze che ogni singolo istante mi avvelenavano.

"Non sto nella pelle! Finalmente verrò scoperta." Distolsi gli occhi da quell'immagine vomitevole e la biondina si bloccò dal lisciarsi i capelli. "Che succede? Tutto bene?"

Alzai il mento e risposi. "No, niente." Rimisi il cellulare in borsa e sviai quel discorso. "Allora, cosa facciamo?"

"Non lo so. Quello che vuoi. Mi sei mancata molto, AB. Tanto!" Poi si intristì. "Ma mi hai trascurata. Passa sempre tanto tempo e alla fine non riusciamo mai ad incontrarci. Se non avessimo parlato ieri non ci saremmo viste neanche oggi."

"Kyla, lo sai... vederti non significa solo quello. Mi torna in mente il passato."

Un passato di cui mai e poi mai avrei potuto disfarmi per bruciarlo in un inceneritore. Ancora delle ferite che stentavano a guarire nell'anima di una ragazzina che, cinque anni fa, si era rovinata con le sue stesse mani cedendo a ricatti e manipolazioni.

La biondina restò muta e riprese a specchiarsi, mentre emettevo un profondo sospiro.

"Ehm... allora vado un attimo in bagno e poi andiamo, ok?"

"D'accordo." La imitai, alzandomi in piedi. "Ti aspetterò vicino alla cassa."

"Non si preoccupi, signora Amybeth. Sto venendo." Mi anticipò una delle commesse raggiungendomi.

"Grazie." le dissi porgendole gentilmente la carta di credito.

Mentre digitava i numeri per effettuare il pagamento tramite pos, il cellulare della biondina squillò.

L'aveva dimenticato sul tavolo... mi sporsi e sul display continuava a lampeggiare il nome «𝘓𝘶𝘤𝘢𝘴».

Scrutai le porte del bagno e una volta che la ragazza terminò l'operazione e se ne andò, lo presi osservandolo per una manciata di secondi.

Alla fine senza alcun indugio accettai. L'avvicinai all'orecchio e udii la sua voce dall'altro capo della cornetta. "Pronto? Kyla?" Mi bastò. Dopotutto non avevo il coraggio di rivelargli chi fossi e tentò di nuovo. "Pronto? Kyla?" Le lacrime stavano per sfuggire e le ricacciai indietro, tirando su con il naso. "Kyla?" si rivolse a un'altra persona. "Ivan, non girare a Milltown, prosegui dritto." Quella notizia mi fece trattenere il respiro. Stavo per boccheggiare, come se i polmoni si fossero svuotati di colpo. Milltown era uno dei quartieri eleganti... di Dublino. Lui era qui. Non potevo crederlo, no. Era tornato. "Kyla?" Le gambe non mi ressero più per l'emozione e dovetti sedermi. "Pronto?" Riattaccò. Dopodiché chiamò ancora.

Stavolta osservai solo il display, tenendo il polpastrello alla larga dal tasto.

"Sono pronta!" esclamò kyla di ritorno e la fissai volendo delle spiegazioni plausibili sul perché mi avesse mentito. Alzò un sopracciglio confusa e quando notò la chiamata in corso impallidí. Me lo strappò dalle mani e rispose. "Pronto?" Mi osservò ancora più sospettosa, mentre ascoltava. Poi riprese. "No, fratellino... Tornerò a casa da sola. Scusami. Adesso non posso proprio parlare. Sono a lezione in laboratorio." Lo salutò e riagganciò. Lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi e sbatté i piedi sul pavimento sbuffando. "Oh, cos'hai fatto AB?"

Ma non riuscii ad aprire bocca perché ero troppo scossa per l'accaduto.
La caduta in acqua e l'ombra che mi aiutava a liberare la caviglia non erano stati frutto della mia immaginazione o dello champagne alla festa...

L'autista si fermò di fronte alla struttura e l'addetto sopraggiunse ad aprire la portiera. Scesi munito della ventiquattrore e chiusi il penultimo bottone della giacca. Guardai quel posto dall'aria familiare, c'ero già stato infatti e all'epoca ero solo un ragazzino con tanti sogni rosei ormai distrutti. Misi piede sul primo scalino e strinsi saldamente il corrimano, prima di essere teletrasportato a quell'epoca.

Stavo per varcare le porte di quel posto lussuoso, quando l'uomo in smoking e auricolare, come un agente segreto mi bloccò.

«Purtroppo, signore... Non posso farla entrare... La signorina Amybeth ha cancellato la sua prenotazione.»

Già.
Da nessuna altra parte avevo provato una tale vergogna ma, ora, sarebbe stato tutto diverso.

Andai verso le porte di vetro e una signorina dall'aspetto composto e smoking bordeaux, mi salutò.

"Buonasera, signore."

"Salve."

"Ha la prenotazione?" S'informò.

"Lucas Zumann." I due iniziarono a scorrere nell'elenco e il giovane parve riconoscermi, nonostante avessi un aspetto più maturo e un filo di barba sul mento. "Sono l'ospite del signor Louis Hynes." aggiunsi.

"Da questa parte, signore." Rivolsi un'occhiata al ragazzo - era proprio lo stesso - poi mi accinsi a seguire la ragazza verso un'ala più appartata.

Al centro, un tavolo grande ovale, candele profumate e due divanetti blu. La ragazza mi fece accomodare.

"Il signor Hynes è in ritardo, suppongo."

"Non è ancora arrivato."

A quel punto, presi posto nell'altro divano e un altro si fece avanti. "Desidera qualcosa mentre aspetta?"

"La ringrazio, non voglio niente."

L'uomo si allontanò e contemplai i due calici disposti l'uno di fronte all'altro. Picchiettai nervosamente la mano sul ginocchio e controllai l'ora sull'orologio, le lancette puntavano inesorabilmente sulle cinque.

Ero in perfetto orario. Ma il mio ospite si faceva attendere, sicuramente aveva in serbo qualche strategia assurda per fare il suo esordio nel locale e dimostrare che gli altri avevano una presenza scenica minuscola quanto quella di un microbo al microscopio.


"AB... Ti giuro che non ti ho mentito. Devi credermi!" ripeté la biondina, rimarcando per la millionesima volta quella frase, cercando di starmi dietro. "Quando abbiamo parlato ieri, non lo sapevo... L'ho saputo dopo, insomma... stamani."

Frenai il passo per guardarla in faccia. "E gli hai confessato che ti ho chiamato per chiedere di lui?"

Ci pensò su qualche secondo utile a farmi dubitare. "No."

"L'hai fatto invece." affermai delusa, riprendendo a camminare più svelta.

"Ma Amybeth... giuro che sto dicendo la verità, non gliel'ho detto. Inoltre, se gli avessi detto una cosa del genere, si sarebbe arrabbiato con me. Sai com'è fatto Lucas, odia le bugie. Credimi, ti prego."

Le appoggiai la mano su un braccio e l'accarezzai. Non potevo scaricare su di lei la mia eterna frustrazione. Che colpa ne aveva lei se ero io a complicare tutto?

"D'accordo, tesoro. Ci vediamo dopo. Ok? Scusami." tagliai corto allontanandomi e lasciandomi alle spalle quell'espressione sconfitta.

L'attesa si stava facendo più lunga di quanto avessi pensato. Louis Hynes non si era fatto vivo e guardavo l'orologio, calcolando una mezz'ora di ritardo.
Lo vidi oltrepassare la sala come un despota e mi alzai in piedi, più per educazione che per riverenza nei suoi confronti; non aveva nulla di diverso da un povero comune mortale, se non l'espressione prepotente stampata sulla faccia, quando giunse lì.

"Signor Zumann."

Allungai la mano affinché me la stringesse, ma lui si girò verso il cameriere.

"Questo cos'è?" Osservò le bottiglie nel seau à glace e fulminò l'altro. "Dov'è il mio vino?"

"Signore, abbiamo terminato le scorte. Domani arriverà la nuova fornitura."

Abbassai lentamente il braccio e chiusi gli occhi, appellandomi alla pazienza e autocontrollo per sopportare le manie di protagonismo di quest'uomo.

Mi snervava il modo in cui calpestava chi era a un gradino più in basso.

"Quindi mi stai obbligando a non venire più qui?"

"Ma signor Hynes, come potrebbe essere una cosa del genere? Le chiedo scusa, dal computer risultava ce ne fosse."

Smise di concentrarsi sul povero cameriere e si mise comodo stendendo il braccio destro. "Allora?" iniziò accavallando le gambe. "Mi dica... Come si sta in campagna... tra le rocce?" Lo fissai di rimando, scrutai la sua figura da cima a fondo e non risposi una mezza parola. "Mi piacerebbe saperlo. Ma me ne parli in fretta. Sa, non ho tutto il pomeriggio da dedicarle."

"È impossibile raccontare la vita in campagna in così poco tempo. Specie sotto terra... Dovrebbe viverlo sulla sua pelle e capirà il significato."

"Ma davvero!" chiese alzando il calice per farsi servire.

"Non può capire se la guarda da lontano." Lui sollevò gli occhi su di me facendo ondeggiare il bicchiere sotto il naso. "Ma se proprio vuole gliene parlerò in una frazione di minuti... È un luogo dove vive gente modesta. Dove la vita è dura e si corrono pericoli ogni volta per portare a casa il cibo per sfamare la propria famiglia. La cosa più importante tra le rocce è il tempo... C'è un tempo per ogni cosa." Aggrottò la fronte, avevo fatto breccia nella sua indifferenza. "Quindi bisogna essere puntuale." Si portò il bicchiere alle labbra e sorseggiò un goccio di vino, ma a quel punto volli assestare il colpo finale. "Ma da qualunque punto di vista io lo guardi... non riesco a vedere niente in lei, che si addica a quel posto." Smise di bere, guardandomi con arroganza mista a stizza, nella stessa posizione. "Avevo assegnato un tempo specifico per questa riunione. Ma ha sprecato tutto quel tempo per farmi aspettare qui. Ci si vede alla gara."

Con un sorrisetto pienamente soddisfatto l'abbandonai a quel tavolo, fumante di rabbia. Ero felice di aver compiuto un quarto della mia vendetta.
Mi recai verso l'uscita e il cameriere di prima, con cui Hynes aveva avuto il diverbio, mi ringraziò per aver dato una lezione a quel figlio di papà.

"L'aspettiamo di nuovo, signor Zumann." Mi voltai verso i tre, riservandogli un breve cenno d'assenso e scesi velocemente le scale.

Non potevo essere più fiero del risultato ottenuto, avevo vinto il primo round ed era solo l'inizio. Louis credeva di avere davanti il solito novellino da manovrare, ma si sbagliava di grosso. La limousine era già arrivata. Ivan si affrettò ad aprire la portiera, nonostante le mie innumerevoli proteste. Poggiai la mano sul braccio e, guardai la struttura con una smorfia, prima di entrare in auto.
Ivan mise in moto immediatamente.

"Signora Amybeth!" Mi chiamò a gran voce una donna, ma la ignorai, continuando a camminare. "Signora Amybeth, aspetti!" Sbatté la portiera e corse, facendo salire più su la gonna in pelle rossa che lasciava poco spazio all'immaginazione, specie quella degli uomini. Si posizionò di fronte a me per intralciarmi la strada. "Spero che non sia arrabbiata per ciò che hanno scritto i giornali, le assicuro che sono tutte menzogne. Dorma sogni tranquilli."

"Non ho sentito niente. Né m'interessa. Può stare pure tranquilla."

La sorpassai per salire nella mia auto, mentre la castana dopo aver contemplato l'asfalto masticando il labbro, si era allontanata a piedi.
Stavo guidando quando mi arrivò una chiamata da parte di Miranda. Probabilmente si stava domandando dove fossi finita. Avevamo quel progetto importante da completare.

"Ciao, Miri... Dimmi."

"Dove sei finita, AB? Hai intenzione di venire all'atelier oggi?" Domandò in preda all'angoscia, visto che le avevo detto che l'avrei raggiunta dopo essere sopravvissuta alla colazione in compagnia di Louis e famiglia.

"Sono per strada."

"Perché mi parli con quel tono? Cos'è successo?"

Mi attaccai di più allo schienale e strinsi sul volante le dita quasi a farle sbiancarle, tirando un altro sospiro, più strascicato dell'altro.

"Lucas... è tornato."

"Quale Lucas?" Poi un lampo di consapevolezza scacciò via ogni suo dubbio e le sfuggì un gridolino. "Oh... E quindi?"

Non potevo raccontarlo in quel modo per telefono, così rimandai fino a quando non arrivai nel mio piccolo regno incantato. Mi sedetti fra i cuscini sulla sedia di vimini e a quel punto continuai. Non avevo dimenticato la sua voce e ciò che mi provocava.

"Appena ho sentito la sua voce... sono andata in frantumi. Come se fossi fatta di vetro, mi sono distrutta in tanti piccoli pezzetti. Ora li sento conficcati nello stomaco."

"Mio Dio, Amybeth!" mi rimproverò balzando in piedi.

"Non dire così." Mi raddrizzai.

"È così invece!" puntualizzò con le mani posate sui fianchi. "Vale la pena confondersi senza alcuna ragione... e dopo tutti questi anni di separazione?" Provai a parlare, ma alzò l'indice e me lo impedí. Tolse il suo ritratto dal cavalletto per posarlo fra gli altri. "Non osare rispondermi con frasi sdolcinate, del tipo 'lui è il mio primo amore e io sono ancora innamorata'. Torna in te, amica mia. Il passato è passato! Se allora hai preso quella decisione significa ch'era quella giusta! Ti è venuto in mente perché hai visto Louis sui giornali, lo so questo. Ma tu guarda quell'uomo... Ha trovato proprio il momento giusto per rifarsi vivo." Continuò a sbraitare Miranda, per poi inginocchiarsi accanto a me. "Amybeth... devi capire ch'è una storia impossibile. Hai un marito che ti ama da impazzire. Lo sai anche tu... com'è chiaro che due più due fa' quattro. Se Louis s'insospettisce per qualcosa, non esiterà a trovare quel ragazzo. Troverebbe Lucas e gli darebbe filo da torcere. Non sa di Lucas, vero?" La guardai appena e scossi il capo. "Non farlo, Amybeth, ti prego. Lo dico per il tuo bene e perché ti voglio bene. Lascia che le cose seguano il loro corso. Non alterare quest'equilibrio, non ci provare. Soffrirai più di prima!" Mi agguantò la mano e mi tirai i capelli all'indietro, frastornata. "Dai, sforzati, torna in te. Dimenticati di Lucas." Abbassai il capo. "Mi hai sentita?" Annuì cercando di sembrare convincente, mentre mi passavo le mani sul viso per asciugare le lacrime.

"Wow, wow, wow." Commentò Dalmar sfoggiando un sorriso splendente mentre appoggiava i caffè sul tavolino. "Guarda, guarda, guarda... sei così spaccone. Stento a riconoscerti ormai." Mi punzecchiò ridendo e scorrendo con la mano sulla giacca.

"D'accordo, Dudu, non farmene pentire. Non vado in giro in giacca e cravatta tutto il tempo, naturalmente. Avevo una riunione. Perciò l'ho indossato."

"Stavo semplicemente scherzando..." esclamò accomodandosi sull'altra panca mentre gli rivolgevo un sorriso girando con il cucchiaino. "Bene, raccontami. Sei diventato un grande capo. Non puoi farti nominare qui?"

Feci schioccare la lingua sotto il palato e strizzai l'occhio.

"C'è un tempo per tutto."

"Non c'è nessuna bella ragazza? Dobbiamo organizzare un bel matrimonio per te, no?" Chiese incuriosito.

"Non c'è." lo contraddissi rialzando la testa e virando quel discorso proprio su di lui. "Prima devi sposarti tu." Nascose un sorrisetto, come tutte le volte che qualcosa gli frullava nel cervello, e lo incalzai a sputare il rospo dandogli una sberla amichevole. "Guardami... Non c'è nessuna che ti piace ora?"

"In realtà, volevo parlarti proprio di questo, ma..."

Sembrò tentennare nel proseguire e soffiai un breve "shh" prendendogli il braccio e strinsi gli occhi in due fessure. "C'è qualcuna, Dudu?" Restò in silenzio, ma lo conoscevo fin troppo bene e non avrebbe resistito a lungo con quel mistero. "Guardami... Abbiamo parlato così tanto al telefono? Perché non me l'hai detto?"

"Non è qualcosa di cui parlare al telefono, ecco perché." Si giustificò. "Volevo parlartene faccia a faccia."

"È di qui eh?" Mi sporsi spiandolo di sottecchi e ingoiò a vuoto. A quanto pare, stavo per centrare l'obiettivo. "È del quartiere? La conosco? Sto parlando con te... Perché stai sudando? Dai, dimmelo, non farmi stare sulle spine! Siamo o non siamo migliori amici noi due?"

"Lo siamo. Beh, quello ch'è successo è successo. Non c'è niente, in realtà, ma..."

"Quindi?"

"Io faccio le cose per conto mio."

Poi si interruppe e puntò lo sguardo altrove. Ignorai il motivo di quel gesto, perché la mia preoccupazione era un'altra, e continuai ad osservarlo con un sorriso compiaciuto sulle labbra.
"Beh, allora?" Vedendo l'espressione turbata che gli si era dipinta in faccia, decisi di girarmi a mia volta. "Che succede? Hai visto un fantasma?"

La donna che ci stava osservando in disparte trasalì e cercò di scappare, ma non volendo la borsa le cadde a terra.
Si chinò per raccoglierla e il sorriso di prima si tramutò in un'espressione seria.

Dalmar mi chiamò, ma non l'ascoltai alzandomi dallo sgabello per avvicinarmi sperando di mettere a fuoco quella figura.

Quando alzò la testa la riconobbi. Sistemò la borsa sulla scapola lentamente e i miei occhi s'incastrarono ai suoi, quelle pietre azzurre appartenevano a lei.

Era Amybeth, la donna immobile sul pontile con un'aria persa.
Cercando di non farmi vedere... notai un uomo raggiungerla alle spalle, afferrarle il viso e sussurrarle qualcosa. Dopodiché le accerchiò le spalle e mi feci ancora più a destra mentre i due salivano sulla vettura. Quell'uomo che la toccava e sfiorava... mi provocò un moto di rabbia incontrollabile.

Vederli insieme era stato come ricevere un gancio dritto nello stomaco. Quando l'auto si allontanò la ferita riprese a sanguinare copiosamente, combattevo in silenzio la voglia di piangere che mi stava annebbiando gli occhi.

"Ti sei infastidita per qualcosa oggi? Immagino che tu abbia incontrato Bridgitte." iniziò il castano mentre mi sostenevo la testa con la mano inclinandola da un lato impassibile a qualsiasi argomento avesse voluto tirare fuori. Ormai mi scivolava di dosso come pioggia.

"Louis, ti prego, non ricominciare. Sono stanca."

"D'accordo, cara. Non inizio." Finalmente arrivammo a casa e lo chauffeur spalancò la portiera. Anticipai l'uomo sfrecciando giù per le scalinate. Mentre oltrepassavo l'atrio per dirigermi in camera mi fermò per il braccio e mi porse la mano, facendomi intendere che dovevamo recitare la parte di una coppietta affiatata.

Roteai gli occhi e alla fine fui costretta dalle circostanze a cedere.

"Ciao a tutti!" Salutò, comparendo nel salotto con un sorriso falso dopo aver intrecciato le nostre mani.

"Benvenuti, ragazzi!" ricambiò Aymeric.

"Ah... Louis caro. Non potrò mai ringraziarti abbastanza." dichiarò mia madre facendogli gli occhi dolci con atteggiamento voluttuoso, mentre Louis mi teneva saldamente attaccata al suo petto. "Nonostante i tuoi innumerevoli impegni di lavoro, non hai dimenticato i miei ordini dal catalogo."

"Mi fa piacere che siano arrivati." rispose e ci guardammo all'unisono mentre aveva poggiato la mano sulla mia spalla.

"Mi avevano spiegato che ci sarebbero potuti volere mesi, ma..."

"È bastata una chiamata di Louis Hynes per convincerli a velocizzare la consegna" aggiunse Aymeric.

"Non è niente..." rispose l'interessato.

"E che mi dici di questo? Abbiamo gareggiato per due volte. E ho superato Louis in entrambe."

Corse a prendere una cornice per mostrarmela, ed era la stessa foto della chat, facendomi sgranare gli occhi per la sorpresa.

"Wow... Questa allora sarà il ricordo di un momento memorabile, eh?"

"Esattamente." affermò il castano ridendo.

Gliela restituí e lui l'andò a posizionare sul mobile. Era letteralmente in visibilio per quella vittoria inaspettata, non l'avevo mai visto così spensierato, dopo quel giorno.

"Aymeric è davvero felice. Grazie mille."

"Il mio dovere è quello di rendervi felici, cara Giselle." Poi mi attirò a sé e mi scrutò attentamente. "E sarò ancora più felice dopo quest'anniversario di matrimonio. Vero, amore mio?"

Mi diede un bacio sulla tempia, poi si dileguò e posai la borsa sulla sedia, lasciandomi sopraffare dai pensieri con gli occhi puntati sulla piscina.

"Benvenuto... fratellino." Fu la biondina ad accogliermi. Si era appostata vicino al muretto e mi guardava con aria innocente, identica a quando da piccola combinava dei pasticci e supplicava il nostro aiuto per nascondere la faccenda alla mamma.

"Mi stai aspettando al cancello...?" Le chiesi e mi si avvicinò, stringendosi nello scialle. "O forse hai dato la notizia alla tua amica?" sottolineai irritato.

Sbatté le palpebre, confusa.
"Quale amica? Di che parli?"

Feci un passo avanti e affermai senza far tremare la voce. "Amybeth Hynes."

"Ti giuro che non le ho detto nemmeno una parola." ribatté e distolsi la faccia. Erano troppo in confidenza per tenere la bocca chiusa. "Non le detto che sei stato qui, te lo giuro. Noi ci siamo incontrate oggi. Voglio dire... ho incontrato Amybeth per puro caso. Sono andata un attimo alla toilette e nel frattempo mi hai chiamata. Ha visto il tuo nome sul display e ha capito. L'ha sentito, non lo so." Piegai leggermente la testa senza distogliere lo sguardo, con un sopracciglio arcuato mentre spiegava ciò ch'era accaduto. "Non so come abbia fatto a capirlo. Deve aver sentito la tua voce e ha scoperto che sei qui. Non gliel'ho detto io. Guarda... giuro che non gli ho detto una parola."

"A casa chi altro sa che le hai parlato oltre me?" chiesi indicando l'abitazione con un cenno del mento.

Si voltò di soprassalto e mormorò. "Nessuno." La guardai dritto negli occhi e diventò pallida. "Lucas, ti scongiuro, se la mamma dovesse venire a saperlo mi strapperebbe tutti i capelli. Non glielo dirai, vero? Ti prometto... anzi no, lo giuro sollennemente: Non vedrò mai la sua faccia, questa è stata l'ultima volta. Non la incontrerò mai più."

"Cos'hai fatto ai capelli?"

"Niente..." Se li toccò e sembravano essere stati curati da mani esperte. "Li ho arricciati da me... a casa."

"Ah, sì?" esclamai, reticente.

Il nostro battibecco venne interrotto dalla voce di nostra madre.

Mia sorella si voltò.
"Lucas... non glielo dirai, vero?" m'implorò mentre la fissavo. "Non dirglielo." La sorpassai. "Lucas!" Mi seguì sul vialetto, continuando a chiamarmi ed entrammo dentro.

Mi ritirai in camera con sotto al braccio l'enorme cartellina, dove custodivo gelosamente le mie creazioni con cui evadevo dalla realtà.

Appoggiai la borsa sul mobile con noncuranza e mi accomodai sul letto, aprendo la cerniera, tirando fuori il suo ritratto. Contemplai i suoi occhi, avevano quella luce divina che mi trasportava in un universo colorato. Quei tratti somatici delineati alla perfezione in cui mi ci immersi, fin quando qualcuno bussò alla porta.

Girai il foglio per nasconderlo e Margot fece il suo ingresso. Non ebbe nemmeno bisogno del mio 'avanti' e si avvicinò discretamente.

"Il signor Louis mi ha chiesto di dirle che lavorerà nella sua stanza, stasera. Non vuole essere disturbato e voleva che la informassi che non scenderà."

"D'accordo, ho intenzione di lavorare anch'io."

La donna annuì, poi si spostò verso la porta del balcone e chiuse le tende.
"Le porto qui la cena?"

"Ah, no. Non ho fame." Risposi voltandomi nella sua direzione.

"Va bene, signora. Buona notte."

Appena lasciò la camera scattai in piedi e chiusi la porta a chiave.

Mi cambiai velocemente e iniziai a delineare prima un occhio, fino a che man mano non passai ai dettagli salienti: il suo volto spigoloso, le sopracciglia folte, la mandibola prominente ricoperta da un po' di barba. Staccai la matita dal foglio e percepii una sensazione strana... mi sentivo osservata.

Mi alzai, raggiungendo il balcone e spostai leggermente la tenda per guardare fuori.

Mi paralizzai quando intravidi la sua chioma riccia e accennai un piccolo sorriso. Con un gesto deciso, aprii la porta scorrevole e camminai a piedi nudi sull'erba, avanzando tra gli alberi.
Mi bloccai, forse avevo perso l'orientamento, intorno a me regnava buio e silenzio, ma non era inquietante. Per quanto l'avessi sperato, lui era non lì. Non era in questo bosco.

Era come svanito nell'aria e mi diedi della stupida.

Quando mi voltai amareggiata per fare la strada a ritroso, me lo ritrovai davanti, a pochi centimetri dal mio volto. Mi fissava con un'espressione cupa e sgranai gli occhi per lo stupore. Sembrava offeso. Non si avvicinò a me, mentre avrei voluto buttarmi a capofitto nelle sue braccia e annullare il dolore che mi tormentava.

"Perché sei venuta in quel posto, stasera?"

"Mi sei mancato."

"Allora, perché sei scappata?" chiese senza distogliere lo sguardo dal mio. "Perché avevi paura." Le sue parole taglienti mi costrinsero ad abbassare gli occhi. Mi vergognavo. "Se ti fossi avvicinata non avresti saputo come ti avrei accolta... dopo tutti questi anni." Si avvicinò e mi accarezzò il volto, scendendo verso la mascella con il pollice. Quel tocco leggero mi fece vibrare l'anima e la mia pelle fu sopraffatta dai brividi. Quando aprii gli occhi lentamente mi persi nei suoi. La luna scolpiva i tratti del suo volto.
Mi fissò le labbra leggermente dischiuse e inclinò la testa con un sorriso vagamente ironico. "E se non avessi sentito la tua mancanza?" A quel punto, fece l'atto di avvicinarsi a me e il suo respiro mi soffiò sulle guance. Il cuore era più matto di una pallina di ping pong durante il match decisivo di una partita. Avevo infranto ogni limite possibile. Strofinò il naso sulla mia guancia. "Se avessi dimenticato il tuo profumo?" sentenziò e ci guardammo in silenzio. Poi le nostre labbra combaciarono, incastrandosi alla perfezione, mentre univo le mie mani sul suo dorso che mi stringeva delicatamente il mento tenendolo alzato. Poi però si staccò e il fiato scarseggiò nei polmoni. Avevo bisogno di lui per sopravvivere, niente mi avrebbe salvato da quell'inferno. "E se l'amore fosse finito?" m'immersi nel suo sguardo determinato e lui aggrottò la fronte. "Se fosse rimasto solo l'odio?" Tornò nella medesima posizione, facendosi più indietro, creando una nuova spaccatura.

"Io ti amo ancora tanto. Vorrei poterti dire tutto. Vorrei... togliermi questo peso dal cuore." Dal suo canto, nonostante la durezza che si ostinava a riservarmi, lasciò cadere un'unica lacrima lungo la guancia.

Ecco, una voce maschile perforò quell'incantesimo, quella calma. "Amybeth!"

Superai il riccio, cercando di rintracciare la fonte, e poi mi voltai.
"Lucas!" Ma non era più lì.

Si era volatizzato. Mi aveva abbandonato in quel bosco da sola.

"Amybeth!" gridò qualcuno impossibilitato ad entrare, mentre mi svegliavo e mi guardavo intorno per capire dove fossi, stropicciandomi gli occhi. I colpi provenivano dalla porta.

"Sto arrivando!" risposi.

Nascosi il ritratto del riccio sotto un altro e mi rimisi in piedi. Infilai le pantofole e corsi ad aprire, prima che il biondino rischiasse di buttarla giù a forza di battere colpi.

"È una tua nuova abitudine chiuderti a chiave?" Louis non si fece problemi a farmelo notare sorpassandomi.

"Non me ne sono resa conto."

"Che succede?" chiese mia madre facendo capolino.

"Non è niente, cara Giselle. Può pure tornare nella sua stanza. Questo è compito mio."

"Amybeth tesoro, stai bene?" domandò mio padre preoccupato.

"Sto bene, papà, sta' tranquillo. Mi sono solo addormentata mentre lavoravo." Indicai il letto con una mano e poi, come da copione, presi a braccetto mio marito stringendomi di più a lui. "Louis si è preoccupato per me. Vi chiedo scusa..." Rivolsi un sorriso ad entrambi, che decisero di lasciarci soli.

"Questa porta non verrà mai più chiusa a chiave. Sono stato chiaro?"

"Non preoccuparti. Non mi taglierò i polsi a causa tua."

"Meglio che tu non lo faccia."

Mi afferrò il volto e mi schioccò un bacio fra i capelli, inalandone il profumo. Poi mi liberò della sua presenza perché doveva partecipare a una gara d'appalto che era intenzionato a vincere ad ogni costo. Osservai il ritratto del riccio prima di riporlo al sicuro nella custodia.

Dopodiché, uscii in giardino per prendere aria e fare dello stretching mentre passeggiavo nei dintorni del giardino. Notai Louis Hynes e mio padre salire sul nostro veicolo e ripartire, mentre soffocavo uno sbadiglio sul palmo della mano.
Quando alzai gli occhi verso il cielo, ecco che un particolare attirò la mia attenzione e mi fece tornare il sorriso. Un altro flashback si fece largo nel mio cervello.

Quando parcheggiai, lui era lì, in mezzo a una radura e sventolava il braccio per farsi vedere con un ampio sorriso.

Lo salutai agitando entrambe le braccia, correndo giù per la scarpata. «Vieni, vieni! È da stamattina che cerco di mandarti questo segnale, sperando che tu te ne renda conto.

«Perchè non mi hai chiamata? Sarebbe stato più semplice!»

Rise tendendo il filo, e io con lui, sentendomi leggera come una piuma. «...Non sarebbe stato tanto romantico.» mi avvicinò il rocchetto abbassandolo alla mia altezza. «Tieni, prendilo.»

«Ma non ho mai fatto volare un aquilone», confessai.

«Guarda... Lo lasci così e poi lo tiri» mi spiegò standomi vicino per aiutarmi in caso ne avessi avuto bisogno. «Cosí...»

«Va bene.»

«Una volta che prendi il vento, sarà lui stesso a ricordartelo quando vorrà.» I nostri occhi s'incastrarono e il sorriso gli si allargò ancora di più sulle labbra. «D'ora in poi né lui si dimenticherà di te, né tu di lui...» A un certo punto, gridò. «Oh, sta cadendo, sta cadendo, sta cadendo!» Prese il filo in mano e cercò di tirarlo forte per farlo riprendere quota. «Va via, va via! Tira ancora, tira, tira!»

Ma l'aquilone alla fine scivolò giù e si adagiò al suolo. «Non ci sono riuscita...»

Non riuscivo a smettere di ridere.

«E' caduto.»

«Non l'ho fatto cadere io.» Dichiarai mentre mi attirava al suo petto e le nostre risate si diffondevano per il posto.

Il segnale!

Presi a correre in mezzo agli alberi, inseguendo l'aquilone che volteggiava nel cielo e sembrava cercare me. Sotto lo sguardo stupito del portinaio, varcai il cancello rosso e corsi più forte.

Il mio cuore traboccava di gioia immensa mentre puntavo lo sguardo al cielo sorridendo. Mi stava aspettando... e non vedevo l'ora di arrivare.

Quando giunsi in quel punto, iniziai a scendere quella scarpata, ormai c'erano sterpaglie ovunque. Appena guardai in basso, vidi due ragazzini governarlo. La tristezza invase i miei occhi...

«Dai, aiutami. Si, si, srotola un po'...»
Aveva tra le mani il rocchetto e nonostante fossi inesperta, continuai a farlo.

«Devo solo srotolarlo

«Certo, certo!»

«Tiro io.» Dissi con aria sicura.

«... sì, sta cadendo.» Strinsi il rocchetto, mentre il vento impetuoso lo faceva barcollare da una parte all'altra e il riccio teneva il filo. «Aspetta... tira, tira, tira!»

Vedere quei bambini imitarci nelle espressioni e pose, mentre il loro aquilone volava in alto... mi fece desiderare di scomparire.

Risalii la scarpata e borbottai.
"Sei un'idiota, Amybeth. Sei un caso disperato. Un'idiota..." Imprecai riprendendo la corsa, cercando di allontanarmi il prima possibile. Le lacrime mi bruciavano gli occhi mentre ripercorrevo il sentiero. "Un'idiota! Che cosa pensavi eh?"

Mi portai la mano alla bocca per soffocare i singhiozzi e continuai a scendere. Ormai piangevo a dirotto.

"Dove stai correndo così, ragazza?"chiese Mary seduta sul muretto, mentre accudiva un povero micetto. Si rimise in piedi e ammorbidí il tono, quando mi frenai di colpo. "A-Amybeth?" Mi abbracciò forte, come se avesse capito dal mio sguardo che ne avessi realmente bisogno. "Mi domando in che tipo di tragedia tu sia incappata stavolta..." disse quando ci separammo, mentre i miei occhi erano gonfi e rossi.

"Dai, vieni." mi accerchiò le spalle e mi condusse in casa. A mia madre sarebbe venuto un coccolone nel vedermi in quello stato pietoso. Aprí la porta e mi bloccò. "Ferma! Non posso ammettere le persone tristi qui dentro, signora Amybeth."

Mi asciugai con il dorso la faccia, spazzando via le lacrime e ripresi. "Lucas è qui. L'ho visto ieri sera. Non l'ho immaginato."

Mi fece oltrepassare la soglia e chiuse la porta. "E la nostra ragazza è rovinata."

"Anche l'uomo che quella notte si è tuffato in acqua per salvarmi era lui. Lo so. Ho visto l'aquilone e pensavo che fosse lì. Lo cerco ovunque... come una pazza. Sogno che mi mandi segnali o altro. Giuro che sto impazzendo!"

"Come sai che non ti ha mandato un segnale?" La fissai sbalordita e sbatté le ciglia più volte. "No, mia cara. Non so proprio nulla. Ho solo chiesto." mi fece cenno di seguirla e mi addentrai nel corridoio, per raggiungere la terrazza.

FINE CAPITOLO

Ecco il nuovo capitolo di AMORE INFINITO. Come ho già detto Amybeth e Lucas fanno ancora parte della vita dell'altro... pur avendo preso strada e decisioni opposte. E mentre Hynes trova un valido nemico nella sua scalata al potere, potrebbe avere qualche problema anche sul fronte sentimentale...

Amybeth infatti è andata nel panico quando ha scoperto che Lucas, il ragazzo che lei ama... è di nuovo molto vicino a lei. Cosa accadrà quando i due saranno veramente faccia a faccia? Lucas sarà arrabbiato o semplicemente impassibile?

Per scoprirlo non resta che attendere il prossimo aggiornamento Domenica prossima su Wattpad.

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